Meet me in Dublin - capitolo 12

Jun 30, 2014 21:32


Ehilà! :D
A ventisette giorni dall'ultimo post, aggiorno (INKUREDIBBURU!).
Prima, un breve aggiornamento degli ultimi avvenimenti che mi hanno coinvolta: il secondo anno di sceneggiatura è finito; devo scrivere il soggetto di un lungo, ma sono in vacanza fino al 20 ottobre (COSA?); si torna in Giappone ad agosto (yuppie!) per una vacanzina con sorella e moglie; sto seguendo i Mondiali, ma è una disfatta totale per tutte le squadre che mi stanno anche solo vagamente simpatiche (uff...); sto molto lentamente preparando un cosplay e riflettendo sulla possibilità di imparare a cucire come si deve... (ah.ah.ah.).
Ed ora veniamo alla ANNUNCIAZIO': questa cosa che riguarda MMiD è in corso, ovvero sto cominciando a raccogliere le vostre richieste per continuare con qualche "spunto" riguardo a questa 'verse. Partecipate!
A voi la fict!

Titolo: Meet Me in Dublin
Gruppo: Kanjani8
Genere: AU
Pairing: Yasuba, Ryokura
Rating: dal PG al PG-13, principalmente per il linguaggio
Disclaimers: i personaggi e i luoghi descritti non mi appartengono
Ringraziamenti: a genki_ya per la magica città che mi ha fatto scoprire nell'ospitarmi a Dublino, due anni fa.
Note: vedi capitoli precedenti! Vedi note a piè pagina per le traduzioni e le canzoni!
Capitoli precedenti: capitolo 1 - Subaru, capitolo 2 - Yoko, capitolo 3 - Hina, capitolo 4 - Maru, capitolo 5 - Ryo, capitolo 6 - Tacchon, capitolo 7 - Yasu, capitolo 8 - Tacchon, capitolo 9 - Ryo, capitolo 10 - Maru, capitolo 11 - Hina
Questo capitolo è stato MOLTO DIFFICILE da scrivere e ancora non sono del tutto sicura di aver comunicato tutto quello che avevo da dire sul personaggio in questione. Quindi ve lo sottopongo aspettando con ansia i vostri sempre generosi commenti per capirci qualcosa di più anche io XD Per il prossimo dovrò sudare ancora di più, già lo so... *ansia*


CAPITOLO 12 - YOKO.

Tutti i coinquilini erano riuniti attorno al tavolino del salotto, chi in piedi e chi seduto sul divano o su una sedia della cucina. Tacchon era accomodato sulla propria poltrona e Ryo era seduto in bilico sul bracciolo, fra il francese e Maru. Al centro del tavolino era dispiegata la lettera di sfratto, una macchia bianca sul legno scuro del mobile.
Un lungo e profondo sospiro di Shingo ruppe il denso silenzio che era seguito alla lettura della lettera e la spiegazione “in parole povere” per i meno abili in inglese.
-There's not so much we can do about it. The landlord has let us know this a month in advance and given us the possibility to move in another one of his share-houses... with some discounts- ripeté, guardando negli occhi i coinquilini, uno ad uno: -We can't deny this place needs a rennovation-.
-Are we gonna be able to come back here together when the rennovation is finished?- chiese pensieroso Tacchon, smettendo qualche istante di mordersi le unghie. Ryo scivolò un po' di più sul bracciolo della poltrona, appoggiando la schiena.
-I honestly don't know- rispose l'italiano, l'unico ad aver parlato al telefono con il proprietario nello spazio di tempo fra l'arrivo della lettera e il ritorno degli altri coinquilini per la riunione di emergenza indetta.
-I believe we have to speak sincerely about it: I don't want to go. I don't want us to live separated, now that we got the band and everything... but we can try to find a solution, a temporary one, during this month- spiegò meglio l'italiano, gesticolando in modo meno concitato del solito: -Let's all search together for a place to stay, the six of us. Seven, if Shota wants to...-.
-I do- rispose con un sorriso il giapponese, smettendo per qualche secondo di giocare con il cordino della felpa che indossava. Shingo sembrò sollevato.
-We're gonna need a place bigger than this one, guys... I don't think there are any in center Dublin- ragionò Tacchon, scuotendo leggermente la testa.
-I don't care if it's in the center, I can take the bus- disse Ryo, facendo spallucce. Il francese stava per ribattere, ma venne interrotto da Maru: -And if we don't find it in this month?-.
-Then everyone need a personal backup plan. Go to another sharehouse with an available room, get a flat, stay with a friend...- elencò le possibilità Shingo.
-Or go home?- chiese ancora il coreano, titubante.
Yoko gli appoggiò una mano sulla spalla e parlò per la prima volta dall'inizio della riunione: -No, Maru. We'll do our best to stay in town, and together- lo rassicurò: -You should all focus on a B plan and on the band's schedule, while Hina and I search for a new home. Ok?- chiese, guardando i coinquilini con sicurezza.
Scambiò uno sguardo con Shingo, che annuì con un lieve sorriso.
A riunione sciolta, Yasu e Subaru tornarono in silenzio nella stanza rossa, mentre Tacchon e Ryo decisero di uscire uno dopo l'altro, salutando debolmente gli occupanti della zona comune. Dopo un minuto in cui Maru osservò fisso il televisore spento, forse indeciso sul da farsi, appoggiò brevemente una mano sul ginocchio di Yoko per poi alzarsi ed andare in camera sua.
Rimasti soli in salotto, Hina rivolse la sua attenzione a Yoko: -Do you want to start tomorrow? I'm completely free- propose.
Yoko annuì, lo sguardo distante: -In the moring is fine-.
Rimasero a farsi compagnia ancora per un po', nel silenzio della casa, nell'atmosfera cupa che era improvvisamente scesa. Shingo si alzò solo per prendere la lettera e farla sparire da qualche parte, di modo che gli altri non si turbassero nel vederla ancora sul tavolino del salotto.

Il giorno dopo, rincuorati da un cielo incredibilmente limpido e terso e dai raggi del sole che riscaldavano la città con sempre più coraggio, si misero a lavorare sulla ricerca del nuovo appartamento in salotto, con la compagnia di Maru e del suo Speed Learning e di Tacchon che leggeva un libro per l'università.
E così, fra una frase in inglese ripetuta con convinzione con accento coreano e qualche sbuffo occasionale del francese che trovava la lettura noiosa, l'unico altro suono nella casa, oltre al sottofondo di uccellini cinguettanti sull'albero fuori dalla finestra, era il fitto discutere dei due manager dei Kanjani8, che armati di taccuini e computer portatili navigavano con destrezza fra siti di immobiliari e affittacamere.
-I guess we can take a break now?- propose Shingo, guardando l'orologio: -I should start making lunch for everyone- spiegò, intercettando lo sguardo di Ryo, appena uscito dal bagno dopo la solita lunga doccia.
L'americano annuì in segno di approvazione, dirigendosi in cucina per un bicchiere di latte fresco: -Eggs and bacon for me- esclamò, come se lo stesse ordinando in un ristorante.
-Assolutamente no. L'italiano cucina italiano. I can make them work together only if we're talking about Pasta alla Carbonara- ribatté convinto e con una punta di indignazione Hina.
-Amèn to that- non riuscì a trattenersi di commentare Tacchon, che non aveva mai fatto segreto di adorare la cucina dell'italiano. Ryo ridacchiò, con dei ridicoli baffi di latte dopo la sorsata al bicchiere: -Then Pasta alla Carbonara shall be-.
Shingo si alzò dal divano e si rivolse a Yoko, prima di allontanarsi: -A break, then-.
-I can work a bit more- rispose il giapponese, facendo spallucce: -I have things to do in the afternoon, so I better get ahead...-.
-Yuuchin go out with Mysterious Woman?- domandò con un sorriso Maru, facendo subito ridacchiare Tacchon e diventare tutto rosso Yoko, che abbassò lo sguardo sullo schermo del computer, come a volersi nascondere.
Ryo fece un fischio di approvazione dalla cucina, mentre Shingo rimaneva serio e appoggiava una mano sulla spalla del giapponese: -Do you?-.
-Maybe- rispose debolmente Yoko, senza guardarlo. Ma il tono era diverso, più serio che timido.
-I want to meet her one day- commentò Tadayoshi: -Just to make sure she's real-.
-Of course she is, and she's beautiful!- esclamò Maru, in tono solenne: -Yuuchin is handsome so he needs a beautiful woman- ragionò con innocenza, facendo di nuovo ridere americano e francese.
Yoko sprofondò nella vergogna, ma non prima di aver ringraziato debolmente Maru per il complimento.

Il cimitero di Balgriffin, separato dalla trafficata Malahide Road da un muretto di pietre e una siepe, era immerso nello scintillante verde di fine primavera. Le tombe dalle lapidi a croce, di marmo bianco lucido, riposavano sotto il sole caldo, circondati da rigogliosi alberi, su un soffice terreno erboso.
Yoko rimase per un bel po' di tempo in silenzio di fronte ad una tomba, le mani in tasca e la schiena leggermente incurvata, come se spinta verso il basso dal peso dei pensieri.
Non aveva portato fiori perché non lo faceva mai. Non aveva portato altri doni o addirittura cibo, come da tradizione shintoista. “In fondo, sei stato sepolto da cristiano. Da un'altra famiglia” si ritrovò a pensare.
Quando credette che fosse il momento giusto, girò appena il viso per dire: -Need something?-.
Shingo rise e si avvicinò, imbarazzato per la figura che aveva fatto. Probabilmente Yoko non ci aveva messo molto a capire di essere seguito, specie perché erano saliti sullo stesso bus, ma tatticamente a due fermate differenti.
-Are you alright?- domandò l'italiano, fermandosi di fianco all'amico. Lo sguardo era rivolto alla piccola e spoglia tomba di fronte a loro, con una anonima intestazione: “Takanori Hara” e le date di nascita e di morte.
-Yes- rispose con fatica Yoko dopo una lunga pausa.
Una coppia di uccelli si inseguì nel cielo, cinguettando fra loro fino a sparire al di là della fila di alberi. Hina si dondolò appena sul tallone della gamba sana: -You come here only when you're not okay- affermò. Yoko annuì appena.
-I just needed some time. Mitsuru called yesterday to tell me he's graduating in two months... Tsutomu is moving in with his girlfriend. And the situation at the share-house seems... different, these days- spiegò con calma, scegliendo le parole: -I'm not talking only about the eviction, it's the... mood. Tatsu and Ryo are up with something-.
-Glad you noticed that, too. We're, as always, on the same page- scherzò Hina.
Yoko rise amaramente: -Are we? Lately? Because sometimes I don't get you... or anyone else, but you especially...-.
-And why is that?- chiese l'italiano.
-You know you mean something different... you know that- disse Yoko, per poi tornare silenzioso.
-I do know that- annuì Shingo, concedendo ancora un minuto di raccoglimento all'amico.
Una coppia di donne anziane li superò sul vialetto, portando due modesti vasetti di fiori rosa e rossi ad una tomba poco lontana. Shingo le osservò lavorare con precisione e tenero affetto per un po'.
-I'm just like him, right? Like dad- disse Yoko, lo sguardo fisso sul nome inciso nel marmo: -Hiding away in a foreign country, fiding all kind of excuses to be away from my family and still don't get what's wrong with my new one when bad things happen-.
-Your new one?- chiese Shingo.
Yoko rispose con tono secco, irritato: -You know that too-.
Hina fece una pausa prima di rispondere: -(*) Non sei come lui, Kimitaka. Da quello che mi hai sempre detto sul suo conto, tuo padre era un uomo che non ha saputo accettare le sfide della vita: sposarsi, avere un figlio, crescerlo... cos'hai fatto tu di così grave? Trasferirti all'estero per un lavoro che ti permette di pagare la retta scolastica dei tuoi fratelli?-.
-Prendermi cura di un francese con la luna storta, di un americano donnaiolo e di un coreano iperattivo invece che dei miei fratellastri, che mi sono stati affidati da mia madre in punto di morte?- chiese ironico il giapponese.
-Ti stai prendendo cura di loro- insistette Shingo, alzando leggermente la voce: -E hanno anche loro padre, per quello. Ormai sono grandi, sanno cavarsela da soli- osservò.
-Anche i nostri, se è per questo...- disse piano Yoko.
Shingo sospirò: -Ascolta, lo so che è dura e che... ne hai bisogno. Di sentirti a casa, circondato dalla tua famiglia. E anche se all'inizio non capivo, è da un po' che mi sono reso conto che, in fondo, noi sette scemi possiamo esserne una. Un po' strana e decisamente male assortita, ma siamo una famiglia- disse con un sorriso incoraggiante, per poi aggiungere: -Ti ho promesso una volta che avremmo fatto funzionare questa cosa. Posso prometterlo ancora-.
Yoko scosse la testa: -Anche se veniamo separati? Se per qualsiasi motivo il gruppo si scioglie?- chiese, con voce meno sicura di poco prima.
Shingo gli cinse il fianco con un braccio e Yoko, quasi per istinto, nascose il viso contro la sua spalla. Le signore di prima passarono ancora, guardandoli senza commentare. Yoko rise nervosamente, imbarazzato, ma l'italiano non mollò la presa, dandogli un colpetto sulla testa con il mento.
-Non ci separeremo- dichiarò.
Calò il silenzio.
-Era lui che ha deciso il mio nome. Ha espressamente detto a mia mamma di chiamarmi Kimitaka, prima di partire. Lei per un po' ha fatto finta di credere che sarebbe tornato e ha seguito le sue istruzioni alla lettera. Poi, dopo un po', ha perso le speranze: per il dolore ha cominciato a chiamarmi Yuu, non volendo doversi ricordare di lui ogni volta che mi guardava. Eppure, nonostante metà del mio DNA appartenga all'uomo che l'ha tradita e abbandonata con un figlio, mi ha sempre cresciuto con affetto fino alla sua morte. Non ha mai messo barriere fra me e i miei fratellini o il suo secondo marito... non mi ha mai trattato in modo diverso-.
-Perché avrebbe dovuto? Sei suo figlio- osservò con semplicità Shingo, la voce che vibrava fino all'orecchio di Kimitaka, premuto sulla sua spalla. Sorrise.
-Appena ho potuto ho cercato papà e, dopo essermi trasferito a Dublino, l'ho trovato qui. Così ora oltre a metà del DNA e del nome, ho anche metà del suo destino-.
Shingo lo strinse un po' di più: -A me il tuo nome piace-.
Yoko rise, girando il viso per nasconderlo meglio contro il petto di Hina, prima di staccarsi: -Non fare così... non darmi corda- lo osservò con occhi improvvisamente tristi e stanchi.
-Ehi- lo richiamò Hina, facendo un passo avanti sulla gamba destra e traballando appena: -Smettila di deprimerti, ok? Cosa direbbero gli altri se ti vedessero così?- lo provocò.
Yoko distolse lo sguardo.
-Lo so da quando ti ho conosciuto di cosa hai bisogno. Del perché ti comporti così... sono arrivati anche gli altri a capire che ogni tanto li tratti più da figli che da coinquilini, ma in fondo va bene così, lo accettano perché ti vogliono bene e ti conoscono. Non sono uno psicologo, ma fino a qui ci posso arrivare. Fino a starti vicino e consolarti e “crescere” gli altri come se fossimo una famiglia, posso arrivarci- disse convinto il calciatore, per poi dichiarare, a bassa voce: -Non posso arrivare a darti tutto quello che vorresti da me, ma fino ad essere il tuo migliore amico, per sempre, ce la posso fare-.
Yoko nascose il viso dietro le mani, nascondendo forse l'imbarazzo, forse le lacrime.
Parlò poco dopo, con voce debole: -E' che a volte mi... dimentico. E mi illudo nella finzione di potermi prendere cura degli altri insieme a te come.. come una vera coppia- esalò: -E' sempre stato così per me, perché non conosco altri modi... sono sempre arrivato a rovinare tutto...- e aggiunse: -I desperately need a family, because I never had one-.
Hina sorrise sollevando il labbro da un lato: -That's not true-.
Yoko si morse il labbro.
-And you know, we're not a couple... we are a duo-.
-A duo?-
-A comical duo. I am a tsukkomi, and you are my boke-.
Yoko rise, scuotendo la testa come a scrollare via la nuvola di pensieri negativi che lo appesantiva.
-Thanks. Now I may just want to kiss you- scherzò.
Hina dondolò la testa con fare innocente: -No, grazie!- esclamò.
Yoko tornò leggermente più serio: -Then I'll ask you something else-.
-Such as?-.
-Take me out for a date-.
Hina sollevò un sopracciglio, ma Yoko rimase immobile, tanto da confondere l'italiano: -A date? What, like... now?-.

Tornarono in città con un autobus e in meno di mezz'ora Shingo si ritrovò a passeggiare lentamente, come in trance, fra file di strumenti musicali. Yoko stava discutendo con il proprietario del negozio, che in breve tempo l'aveva accompagnato in un'altra sezione, con numerosi strumenti a fiato.
Shingo si tenne in disparte, avendo percepito l'atmosfera tesa ed eccitata del coinquilino e volendo concedergli del tempo da solo, prima di essere reso partecipe di quello che intuiva fosse un nuovo acquisto.
Si ritrovò nella sala dei pianoforti, accarezzando distrattamente e con estrema, forzata delicatezza i tasti immacolati di uno Steinway&Sons. La voce di una commessa alle sue spalle lo fece sobbalzare: -You can try it, if you want to- propose, gentilmente.
L'italiano la guardò come se fosse completamente matta, poi rivolse lo sguardo al ventre nero dello strumento e provò uno strano senso di necessità, come se le dita, che ora a contatto con i tasti quasi prudevano, non potessero fare a meno di suonare qualcosa.
Ringraziò la ragazza, che si allontanò appena per non risultare scortese, ma che rimase in attesa di un ascolto, curiosa.
Senza esitazione, Shingo si sedette allo sgabello di legno e pelle imbottita e sgranchì brevemente le dita delle mani, chiudendo gli occhi. Gli venne in mente, a tratti, uno spartito che aveva studiato poco tempo prima. Gli venne in mente in relazione agli avvenimenti della giornata e decise di provare a comunicare qualcosa, sebbene non sapesse definire precisamente cosa, con l'aiuto della musica.
Non era mai stato il suo forte, lasciava volentieri quel compito a musicisti più talentuosi ed esperti di lui, ma con il recente allenamento per la band e la vicinanza a persone come Yasu, Subaru e Ryo, che sembravano più bravi a comunicare con canto e strumenti invece che con semplici parole, si disse che poteva valere un tentativo.
Le prime note di “Nuvole bianche” echeggiarono nel negozio mediamente frequentato e fecero tacere diverse voci, fermarono numerosi rumori. Yoko e il proprietario si affacciarono nella sala in tempo per vedere l'italiano premere i primi tasti e spostare il pedale. Cominciò con una timidezza quasi reverenziale, per lo strumento e per il rispetto degli altri clienti, ma poi, con la solita leggera franchezza che distingueva l'italiano, la musica prese il suo volo. Come una corsa a perdifiato sul verde prato di un campo di calcio, come il fluire delle nuvole su un cielo terso, riflesse sopra lo specchio di un lago o osservate dall'alto di un palazzo. Con lieve onestà, spregiudicata lealtà.
Suonò per cinque minuti pieni, quasi tutta la durata del brano, per quello che riusciva a ricordarsi, senza spartito, di esso: fece numerosi errori, ma si accorse subito della piccola folla che si era creata nella sala dei pianoforti, in ascolto, in silenzio.
Alla fine del brano sollevò lo sguardo per incontrare quello sorridente e quasi commosso di Yoko, che applaudì convinto, convincendo anche altre persone ad esprimere il loro apprezzamento.
-This instrument is beautiful, thanks for letting me play it- ringraziò la commessa, che scosse la mano in aria come a dire che non ce ne fosse bisogno.
L'italiano le sorrise e si rivolse a Yoko: -Found something?-.
Yoko annuì e chiese: -And you? You want that?- indicò con un cenno del capo il pianoforte a coda.
Shingo scosse la testa: -Maybe later, if we have enough space in our new house- scherzò, sapendo di non poterselo permettere. Seguì Yoko fino al bancone, su cui era appoggiato lo strumento prescelto.
-A... trumpet?- domandò sorpreso l'italiano, osservando la tromba, scintillante sotto le luci del negozio, curiosamente argentata rispetto al solito colore dorato di quel genere di strumenti a fiato.
-Do you remember after our first live, when I was talking with Orin Reel? He gave me the idea and he lent me his trumpet to start learning. After some lessons, I decided to get one on my own, so he recomended me this shop- disse, indicando la stanza. Intervenne il proprietario, con uno strano sorriso da volpe: -I'm Orin's brother, Norris. Nice to meet you- si presentò all'italiano. Shingo gli strinse la mano.
-Why keeping it a secret?- domandò ancora leggermente confuso al migliore amico, che fece spallucce: -I want to get better at it before playing for Kanjani8... but I thought you may know it before the others- gli sorrise, complice.
Shingo indicò lo strumento: -Play me something, then!- propose.
Yoko arrossì all'improvviso e si ritrasse: -Nah, it's very difficult to play. I'm not good at all. I'm never gonna play after what you did- si giustificò.
Vennero interrotti dalla commessa di prima, che si avvicinò titubante a Shingo per chiedergli di suonare qualcos'altro. La cosa fece sollevare un eccitato mormorio fra gli altri clienti, rimasti tatticamente nei paraggi.
Shingo si passò una mano sulla nuca, indeciso: -I don't know... I'm not that good- si giustificò.
La ragazza reagì quasi con indignazione, affermando fermamente il contrario.
Yoko intervenne snocciolando nome della band, strumento suonato, prossime date dei live e nome della pagina Facebook alla signorina, che rimase decisamente colpita dalla parlantina sicura del giapponese.
Shingo si tenne leggermente in disparte, contento delle attenzioni che il coinquilino stava ricevendo: dallo sguardo rapito e dalle domande della commessa, era abbastanza chiaro che l'interesse fosse più per i fini, eleganti lineamenti del viso attraente di Yoko che per quello che stava dicendo.

Uscirono poco dopo dal negozio, la tromba sicura nella sua protezione di pelle nera.
-I'm offended: I take you to a date and you hit on a girl- disse Hina all'orecchio dell'amico, che rise, colpendogli il braccio per allontanarlo da sé. -Did you get her number, at least?-.
-Maybe...- rispose con un sorriso fintamente innocente il giapponese.
-For management purpose, obviously...- disse solennemente Hina.
-Obviously. Are you jealous? I still like you more, you know?- chiese con un sorriso sincero Yoko.
-I do know- rispose in tono altrettanto sincero Hina, stringendo la spalla del migliore amico: -Always and forever-.
-You want coffee?- propose poi l'italiano, indicando un bar sulla strada.
-What about a beer?- propose invece Yoko, svoltando in una stradina laterale.
All'incrocio successivo si imbatterono in Ryo e Tacchon.
L'americano li indicò, esclamando sorpreso, mentre il francese sembrò tentare in primo luogo di nascondersi e poi si arrese a per le meno salutarli, vagamente contrariato dall'atteggiamento di Ryo e palesemente a disagio.
Hina avvertì subito i sentimenti del più piccolo e finse sorpresa: -What? You two out together? E' incredibile!- seguito a ruota da Yoko, cosa che fece rilassare un poco Tadayoshi e ridere felice l'americano.
-What about the two of you, then?- chiese il chitarrista, per poi aggiungere: -Didn't you have a date, Yoko?- punzecchiò il più grande, che fece spallucce: -I did. I am on a date- rispose con innocenza, facendo ridere Shingo e sgranare gli occhi agli altri due coinquilini, improvvisamente molto confusi.

Si ritrovarono a parlare e ascoltare la musica della karaoke night al Foggy Dew, seduti ad un tavolo di legno da quattro, Yoko e Hina con della birra scura e Tacchon e Ryo con della coca cola ghiacciata.
-So the “Mysterious Woman” never existed and it was just a cover for when you go visit your father'grave- riassunse Ryo, scandendo bene le parole per assicurarsi di aver capito e per sovrastare il rumore di una coppia di sposi ubriachi che cantavano una cover di “Whiskey in the jar” dei Metallica.
-I'm sorry for you, Yoko- disse Tadayoshi, facendo scuotere la testa e sorridere il giapponese.
-Why did ya never tell us?- chiese confuso l'americano.
-I'm just now coming to term with all... my family's thing. I'm sorry, guys... I've been off lately- si scusò Yoko, giocando con il sottobicchiere di carta della sua birra.
Ryo agitò una mano: -Don't worry, man. That's fine! I'm glad you're gettin' better- disse l'americano, per poi allungare la schiena sulla sedia e appoggiare una mano sulla spalla di Tacchon, che finse nonchalance nascondendo il sorrisetto nervoso dietro un sorso al proprio bicchiere.
Il turno dei neo-sposini terminò in quell'istante e Ryo lanciò una silenziosa preghiera al cielo per aver posto fine allo strazio. Prima che qualcun altro potesse anche solo pensare di avvicinarsi al palco del locale e rimettere in moto lo strumento infernale che produceva stonate epiche su versioni midi delle canzoni, l'americano li mise in guardia con un: -Stay here. It's my turn- e corse a parlare con il proprietario, che nel frattempo era stato dimesso dall'ospedale ed era completamente guarito.
In pochi minuti erano giunti ad un accordo, aveva recuperato una chitarra acustica dal retro del locale e uno sgabello e si era impossessato dell'attenzione del locale, abbassando l'asta del microfono e colpendolo con un paio di tocchi per accertarsi che fosse acceso.
-Hi guys, I'm Ryo- salutò i presenti, che salutarono con un breve applauso e qualche risata: molti conoscevano il cameriere del locale di cui erano assidui frequentatori: -Sorry for the brief interruption of your... karaoke night- disse, indicando alle sue spalle lo schermo in stand-by: -But, y'know, I just finished a song and I want you to hear it and... don't know- fece spallucce, in cerca delle parole giuste: -Enjoy?- rise nervoso, per poi lanciare un lungo, significativo sguardo al tavolo dei coinquilini, diretto agli occhi scuri dello studente francese.
Shingo pizzicò il braccio di Yoko, che reagì con un salto e ritraendosi, mancando la cercata intesa mentre Tadayoshi appoggiava il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano, in attento ascolto.
Un paio di accordi di chitarra liberi per imporre il silenzio e poi l'americano cominciò a cantare:

Say, wasn't that a funny day?
Gee, you had a funny way - a way about you
a kind of glow of something new

Sure - I'll admit that I'm the same
another sucker for the game kids like to play,
and the rules they like to use

Il tono era calmo e lieve, del tutto differente dal solito modo di cantare del californiano, di sfruttare la propria voce roca su melodie più ritmate e rock.
Il volume si alzò appena durante il ripetuto ritornello:

Don't you want the way I feel?
Don't you want the way I feel?
Don't you want the way I feel for you?

Fece un accordo di rientro con la chitarra, la colpì sul fianco di legno e riprese dalla seconda strofa, gli occhi del pubblico incollati su di lui, i suoi incurvati verso il basso, ancora in cerca di quelli del coinquilino francese, dritto di fronte a sé nella penombra del locale.

The sun: telling me the night is done.
Well I refuse to let it stop our fun.
Close your eyes, we'll make it dark again.

The kiss. Now, there's a thought, so how 'bout this?
Let's pretend that both our lips are made of candy.
After all, we need sweets every now and then.

Una breve pausa in cui abbassò lo sguardo, sorrise soddisfatto.
Shingo osservò Tacchon sollevare il mento per liberare la mano e cominciare a mordersi le unghie, con un altrettanto strano sorriso sulle labbra. Stavolta evitò di coinvolgere Yoko e si decise a farsi i fatti propri.

But here we are: two strangers from two very different places.
Who knows what could happen to us next?
Here we are with nothing but this little spark.
It's too cold outside to lay this far to rest...

Poi, tutto ad un tratto, l'italiano e il giapponese furono testimoni di un avvenimento inaspettato. Tacchon, in completo silenzio e dopo un curioso scambio di sguardi rimasto inosservato, si alzò in silenzio sulle note della canzone di Ryo, li salutò con un gesto della mano e si avviò verso l'uscita, proprio mentre l'americano sembrava quasi dirgli, con tono irridente, con il tono di uno che conosce un segreto:

Go? How so very apropos:
A goodbye just as soon as I said 'hello'...
well all right, I'll see you later.
It's true: it's just a fantasy for two.
But what's the difference if it all could have been true?
I guess this is better...

Terminò la canzone con il coinquilino già lontano, dopo aver ripetuto la domanda del ritornello numerose volte, con note diverse, con lo stesso sorriso.
Ricevette un lungo applauso sul quale non si dimenticò di pubblicizzare i Kanjani8 e di ringraziare il proprio datore di lavoro. Poi, velocemente come aveva arrangiato la piccola esibizione, mise tutto a posto e salutò i coinquilini, uscendo con una apparentemente immotivata fretta.
Yoko e Shingo risero fino alle lacrime, ordinarono un'altra birra, poi un'altra ancora.
Tornarono a casa diverse ore dopo, il giapponese completamente appoggiato al fianco sinistro dell'italiano, che lo sorreggeva con sicurezza. Yoko rideva, pregandolo: “Hina! Don't let me go! I don't want to fall, Hina!” in inglese e giapponese. Hina rispondeva ad ogni richiesta da ubriaco del migliore amico con la solita, paziente calma: “No, mai”.

Ed è tempo di



Vi avevo già spoilerato un link, ma cmq ecco il cimitero di Balgriffin, sulla Malahide Road.
Non ho ancora deciso di quale negozio di strumenti stiamo parlando, ma ho un po' di possibilità: queste qui.
Foto del puccioso proprietario: Norris Reel.
Riguardo alla musica, parliamo di:
- Nuvole Bianche di Ludovico Einaudi (sono una fan, sono recentemente andata a sentirlo suonare al Pianocity di Milano)
- Whiskey in the jar dei Metallica (non credo ci sia bisogno di presentazioni)
- Don't you, Darren Criss (finalmente il grande spoiler è stato rivelato! Godetevi la canzone intera e magari ascoltatela mentre  leggete, perché aiuta molto alla creazione dell'atmosfera giusta) (come potete notare ho cambiato un po' il testo a seconda delle mie esigenze XD) consiglio sempre anche la versione live (decisamente meglio nonostante l'audio, se chiedete la mia opinione... portate pure avanti perché questo ragazzo parla decisamente troppo XD).

p: subassan, r: pg-13, r: pg, :g: kanjani8, gnr: long fict, gnr: au, p: ryokura

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