Meet Me in Dublin - capitolo 7

Jan 01, 2014 20:52

NON CI POSSO CREDERE! *imita Aldo* Sono passati quasi due mesi dall'ultimo capitolo di MMID °__°"
Beh, l'attesa è finita! Ho finalmente terminato il faticoso ma veramente soddisfacente capitolo 8, quindi eccovi il 7.
Ma prima di tutto: BUON ANNO A TUTTE, MIE CARE!
Presto (molto presto u.u) apparirà il post della nuovissima e eccitantissima meme che abbiamo deciso di indire per i prossimi due mesetti circa, quindi tenete come è giusto d'occhio la pagina ^__-
Ed ora è giunto il momento di fare sul serio... e iniziare a svelare le sottotrame *w*

Titolo: Meet Me in Dublin
Gruppo: Kanjani8
Genere: AU
Pairing: Yasuba
Rating: dal PG al PG-13, principalmente per il linguaggio
Disclaimers: i personaggi e i luoghi descritti non mi appartengono
Ringraziamenti: a genki_ya per la magica città che mi ha fatto scoprire nell'ospitarmi a Dublino, due anni fa e per la meravigliosa gita a Brescia che abbiamo fatto insieme qualche giorno fa con yukari85 ^__^
Note: vedi capitoli precedenti! Vedi note a piè pagina per le traduzioni e le canzoni!
Capitoli precedenti: capitolo 1 - Subaru, capitolo 2 - Yoko, capitolo 3 - Hina, capitolo 4 - Maru, capitolo 5 - Ryo, capitolo 6 - Tacchon


CAPITOLO 7 - YASU.
Ricordo il peso della cartella sulle gambe, il dondolio lento e regolare del treno in corsa, lo sferragliare delle rotaie sotto la carrozza di quella mattina di scuola di otto anni fa. Avevo la testa appoggiata contro il finestrino per evitare di cadere addormentato contro la mia vicina di posto, la musica sparata a palla nelle orecchie per evitare di addormentarmi e perdere la mia fermata, cosa da evitare assolutamente trovandomi già in estremo ritardo. Un'accelerata improvvisa del treno, e una delle auricolari mi era caduta dall'orecchio, permettendomi di sentire i cigolii decisi del treno ancora più forte ed il mormorio della carrozza aumentare: velocità, sempre più velocità. I palazzi scorrevano senza dettaglio fuori dai finestrini: “Era in ritardo quando sono salita” aveva detto la mia vicina di posto: “Ha dovuto fare manovra in stazione...” aveva aggiunto qualcuno. Poi uno stridio acuto, qualche grida e la sensazione di vuoto in fondo allo stomaco. Un crash violento, il buio, il dolore... e la musica ancora accesa mentre io cadevo e avevo paura.

La piazza di Temple Bar era buia e vuota, quella sera di pioggia.
Ovviamente fatta eccezione per lui: era seduto al suo solito angolo, sotto il suo solito lampione, con la sua solita chitarra e la sua canzone sulle labbra. Il vento e la pioggia non erano capaci di disturbarlo e smuoverlo.
Eppure, anche da così lontano, Yasu poteva distinguere chiaramente dei tremori di freddo da dei tic indotti dalla musica. Sospirò e si decise a fare il grande passo: rivolgergli la parola, attirare la sua attenzione.
Percorse la distanza con passo deciso, osservando solo il ragazzo di fronte a sé, ignorando la forte pioggia che colpiva l'ombrello azzurro di plastica scivolando a terra in rivoli continui, da ogni direzione.
Una volta giunto di fronte al musicista, allungò la mano per riuscire a ripararlo dalle gocce e, inevitabilmente, il ragazzo si accorse della sua presenza, smettendo di suonare e sollevando lo sguardo.
I loro occhi si incontrarono nell'istante stesso in cui Subaru gli chiese con decisione: -Kimi wa dare da?-.
-(*) Come hai fatto a capire che sono giapponese?- chiese, sorridendo allo sguardo indagatore dell'altro.
-Non è la prima volta che vieni- rispose Subaru, sollevando una spalla in un gesto involontario.
-No- confermò lui, annuendo piano: scrutò ancora una volta nello sguardo sicuro di Subaru per poi presentarsi: -Mi chiamo Yasuda Shota-.
-Shibutani Subaru- si presentò l'altro, concedendo un mezzo sorriso.
“Lo so” non riuscì ad evitare di pensare Yasu: “il tuo coinquilino italiano mi ha salvato la vita l'altro giorno. Il tuo coinquilino francese viene a scuola con me e io ho la terribile sensazione che ciò mi renda uno stalker di prima categoria”. Non riuscì ad evitare una risata, che fece sollevare un sopracciglio a Subaru.
-Scusa, è che... non è la prima volta che rifletto sul venire a parlarti- ammise, sedendosi sui talloni di fronte all'altro e riparando entrambi dalla pioggia con l'ombrello: -Dalla prima volta che ti ho sentito suonare e cantare, in verità...- sussurrò, le guance tinte di imbarazzo.
-Perché non l'hai fatto prima?- chiese Subaru, diretto e confuso.
Shota rifletté sulla risposta, poi mormorò: -Non sapevo se ti avrebbe fatto piacere parlare con uno come me-.
-Cos'hai che non va?- domandò ancora il musicista.
Yasu rise, porgendogli la mano: -Ikoukka?-.
Subaru sembrò chiedersi qualcosa nella testa, mentre osservava il palmo aperto di Shota, il polpastrelli callosi che solo un chitarrista poteva possedere, il viso sorridente del ragazzo e gli occhi leggermente diversi...
-Ikou ya- sospirò, prendendo la mano offerta nella sua e facendosi aiutare ad alzarsi.
Parlarono, passeggiarono e si tennero per mano fino a sotto la share-house. La pioggia non aveva smesso di cadere sull'ombrello azzurro, ma per lo meno era calata di intensità ed il vento aveva smesso di spirare.
-(*) Domani, alla solita ora?- chiese timidamente Shota, mentre il più grande apriva il portone con le proprie chiavi. Si girò a guardarlo con un sorriso finalmente rilassato e sincero sulle labbra: -A domani-.
Shota si allontanò lentamente, lasciando andare un sospiro che non sapeva di star trattenendo.

Il giorno dopo passeggiarono fino a St. Stephen Green, non più mano nella mano, ma comodi nel silenzio e nella vicinanza l'uno dell'altro. Arrivati al gazebo bianco sul laghetto dei cigni, vuoto a quell'ora del crepuscolo, si appoggiarono alla balaustra di legno e guardarono il cielo finalmente terso volgere al buio.
-(*) Hyogo- rispose alla domanda di Subaru, gli ultimi raggi del sole primaverile che danzavano sull'acqua appena increspata dello stagno: -Ma vivo qui dal primo anno di liceo, in appartamento insieme a mia sorella maggiore- si girò a guardare il viso di profilo del cantante e colse immediatamente una luce di confusione nei suoi occhi, nella fronte leggermente aggrottata.
-Insegna biologia al Trinity College, dove studio anch'io adesso... l'Irlanda era il posto più economico dove i miei genitori potessero permettersi di pagarmi gli studi e l'operazione-.
Notò Subaru voltarsi lentamente e chiedere: -Operazione?-.
Shota annuì ed indicò il proprio occhio sinistro, l'unghia dell'indice sollevato smaltata di azzurro: -Ho un occhio finto come i pirati- scherzò, ridacchiando con finta leggerezza: -Quando avevo quattordici anni ogni mattina prendevo la JR per andare a scuola, sulla linea per Amagasaki. Facevo giusto un paio di fermate da casa mia e spesso facevo ritardo. Uno di quei tanti giorni persi il mio solito treno e dovetti aspettare quello successivo, che però arrivò con qualche minuto di ritardo e si fermò male in stazione. Mentre viaggiavamo, qualcuno si accorse che stavamo andando ad una velocità troppo elevata, ma prima che il treno potesse raggiungere la stazione successiva deragliò e uscì dai binari schiantandosi contro un edificio di appartamenti vicino alla linea- raccontò.
-Il disastro ferroviario di Amagasaki- disse Subaru, lo sguardo concentrato sui pochi ricordi che aveva dell'avvenimento: era un adolescente, aveva visto le immagini dell'accaduto su un notiziario in televisione la sera dopo il liceo. Delle persone erano morte...
-Centosei morti, cinquecentosessantadue feriti, fra i quali penso di essere registrato anche io. Ero sul lato opposto dello schianto, ma il finestrino su cui avevo appoggiato la testa esplose e non riuscii a riparare l'occhio sinistro in tempo. Per un paio di anni tutto quello che i medici poterono fare fu togliere i frammenti di vetro e ricostruire l'osso e la pelle lesionati, poi mia sorella trovò qui a Dublino un chirurgo capace di assicurarsi se l'occhio sarebbe mai tornato a vederci dopo cure ed operazioni specifiche- sospirò e fece spallucce: -Alla fine, come già previsto dai medici giapponesi, ero ormai incapace di tornare a vederci, con o senza operazione. Per questioni puramente estetiche chiesi di sostituirlo con una protesi in vetro ed eccola qui- disse, voltandosi di nuovo verso Subaru e sbattendo le ciglia per far notare il movimento differente, ma appena percettibile della palpebra sinistra rispetto a quella sana.
Il cantante osservò l'occhio con più attenzione: sembrava muoversi più lentamente e meccanicamente, ma aveva lo stesso colore e la stessa forma del destro. Shota sollevò nuovamente il dito indice e lo spostò velocemente di fronte al viso per fargli notare come solo l'occhio destro percepiva e seguiva quel movimento: -Ho ancora difficoltà ad aiutarmi con gli altri sensi per percepire e reagire a movimenti rapidi da sinistra... e forse il fatto che vado spesso in giro con queste non aiuta- disse, indicando le cuffie attorno al collo: -Ma, e qui veniamo a te, uno degli elementi più importanti della mia vita dopo l'incidente è la musica-.
-Cosa c'entro io?- chiese ancora perplesso Subaru, tornando ad appoggiarsi con i gomiti alla balaustra di legno, stavolta girato verso l'interno del gazebo.
-Io ti conosco da prima di Temple Bar- sorrise Yasu, rivelando un segreto con una solennità simile a quella dei bambini: -Suonavi con degli amici il sabato pomeriggio sul ponte di Dotonbori o a Umeda, sul passaggio pedonale fra la stazione della JR e la metropolitana...- sospirò il più piccolo, perso nei ricordi.
-Shota...- sussurrò Subaru, lo sguardo sorpreso rivolto all'altro giapponese, che non riusciva a smettere di sorridere mentre raccontava, agitato come non mai, guardando il più grande come se si trattasse di una rockstar della quale fosse fan da moltissimi anni: -Con il sole o la pioggia, con sempre la stessa chitarra che non aveva una custodia... stavi cantando anche il giorno della mia prima operazione e il giorno della mia partenza per l'Irlanda...-.
-Shota...- mormorò ancora Subaru, girando il corpo verso quello dell'altro e prendendo una delle mani tremanti del più piccolo fra le sue.
-Non avrei mai immaginato di poterti rivedere e riascoltare le tue canzoni. Ho sempre tenuto chiusi nel cuore i ricordi legati alla tua voce ed alla tua musica, come una forza segreta, una magia da tirare fuori nei momenti in cui il dolore dell'incidente e le ripercussioni delle operazioni si fossero fatte insostenibili. Seppure i tuoi testi siano sempre stati un po' depressi...- ammise, con una piccola risata.
Subaru sorrise, i grandi occhi lucidi di commozione: -Non attribuirmi meriti che non ho...-.
-Li hai. Hai scoperto solo ora quali fossero- lo corresse Yasu, avvicinando Subaru a sé con la mano catturata nel calore dell'altro: -La tua musica mi ha salvato e mi ha aiutato a trovare la mia strada, ma qualcosa mi fa pensare che non l'abbia ancora fatto con te: per questo motivo ti ho osservato a distanza in questi giorni, per essere certo di non disturbarti mentre cercavi te stesso. Ma proprio ieri ti ho solo visto soffrire- disse, il sorriso tramutatosi in uno sguardo serio e sofferente: -Non sapevo ti avrebbe fatto piacere parlare con uno come me, che nella tua musica ha sempre creduto così tanto-.
Subaru si sforzò di capire e sorridere: -Affatto, anzi. Avevo bisogno di sentirti dire queste cose-.
-Sono felice- ammise Yasu, ricambiando il sorriso con sincerità. Abbassò lo sguardo sulle loro mani congiunte e arrossì appena. Subaru approfittò di quel momento di calma e silenzio per avvicinarlo di più a sé, chiudere gli occhi e baciarlo sulle labbra.
-Scusa...- mormorò, sentendo Yasu irrigidirsi fra le sue braccia nell'abbraccio che aveva improvvisato durante il tiepido bacio: -Troppo?- chiese, titubante.
L'occhio destro di Shota brillava di lacrime di gioia mentre gli sorrideva scuotendo la testa: -Troppo, sì ma... non in quel senso- rise debolmente, stringendo a sua volta le braccia attorno alle spalle di Subaru, che lo avvicinò a sé per i fianchi: -Non mi sembra vero che sia così semplice...-.
Il più piccolo appoggiò la fronte sulla spalla di Subaru, il quale sospirò, chiuse di nuovo gli occhi e dondolò piano entrambi i corpi, una mano fra i capelli biondi di Shota: -Così va bene?- chiese, nel silenzio del gazebo bianco, nel parco vuoto.
-Più che bene- rispose Shota contro i suoi vestiti, stringendosi ancora di più nell'abbraccio.

Subaru lo guidò attraverso la porta blu di ingresso: un forte odore di spezie ed un calore familiare lo investirono mentre metteva piede nella share-house, illuminata di giallo dalle lampade del salotto.
-Subaru, you are back! Welcome back!- esclamò immediatamente Maru, sporgendosi dal divano per osservare l'ingresso come aveva fatto la prima volta che si erano incontrati. Il coreano aveva in mano un ventaglio di carte da gioco, così come Yoko, Hina e Ryo, seduti attorno al tavolino del salotto. Tacchon se ne stava poco lontano, una rivista sulle ginocchia e lo sguardo che tradiva una certa curiosità.
Subaru strinse la mano di Yasu nella sua e lo avvicinò a sé, di modo che entrasse nel campo visivo del resto degli occupanti della share-house: -I met someone- disse, mentre Shota arrossiva e si piegava in un veloce inchino: l'espressione di Shingo passò dal sorpreso al divertito in una frazione di secondo, mentre Tadayoshi trattenne a stento un “oh” di stupore.
-And we wanted to talk with all of you about...- Subaru fece una pausa, lanciando un ultimo, sicuro sguardo a Shota, che annuì quasi impercettibilmente: -About forming a band-.

Capitolo corto, ma abbiamo ufficialmente fatto il giro di boa e scoperto qualcosa sul misterioso Yasu *w*
Traduzione dal giappo/kansai-ben:
"Kimi wa dare da?" = chi sei tu?
"Ikoukka" = andiamo?
"Ikou ya" = andiamo
E St. Stephen Green con il suo meraviglioso gazebo.

p: subassan, r: pg, g: kanjani8, gnr: long fict, gnr: au

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