Meet Me in Dublin - capitolo 2

Aug 23, 2013 14:04

Mi manca un paragrafo e mezzo (circa XD) per finire il quinto capitolo, ma mi ero ripromessa che avrei postato al ritorno dalla visita alla nonna e vorrei riuscire a mantenere un certo ritmo fra scrittura e postaggio... chissà se ce la farò XD *conoscendomi...*
Enjoy!

Titolo: Meet Me in Dublin (MMID per abbreviare XD)
Gruppo: Kanjani8
Genere: AU
Pairing: per ora nessuno
Rating: dal PG al PG-13, principalmente per il linguaggio
Disclaimers: i personaggi e i luoghi descritti non mi appartengono
Ringraziamenti: a genki_ya per la magica città che mi ha fatto scoprire nell'ospitarmi a Dublino, due anni fa
Note: appena tornata da un viaggio a Dublino avevo iniziato a scrivere le poche frasi che corrispondono all'incipit di questo capitolo.Terminata Reach, il mio desiderio di scrivere qualcosa riguardo ad una share-house (dopo aver vissuto in una per un anno intero) e il ricordo dell'Irlanda mi hanno aiutato a sviluppare soggetto e trama di MMID.
Ogni capitolo ha un suo personaggio ed un suo punto di vista e si procederà "a cerchio" nello sviluppo della storia.
NB! Le battute sono principalmente scritte in inglese ed italiano, anche se ci sono parole e frasi in giapponese e francese; le lingue straniere sono sempre in corsivo, mentre l'italiano preceduto da (*) indica il fatto che il dialogo sia in giapponese o in inglese (a seconda delle nazionalità dei due dialoganti) ma che sia tradotto per facilitarne la lettura. Nel caso vi accorgiate che per qualsiasi lingua ci sia il bisogno di riportare la traduzione a parte, fatemelo sapere! Una nota particolare: alcune battute di Maru, Yoko e degli altri personaggi non-anglofoni sono VOLUTAMENTE sbagliate dal punto di vista grammaticale!
Capitoli precedenti: capitolo 1 - Subaru



CAPITOLO 2 - YOKO.

Dublino è capitata nella mia vita così come sono capitati tutti gli altri eventi importanti: improvvisamente.

Lavoravo per questa azienda di videogiochi da appena tre mesi quando mi fu imposto un trasferimento immediato nella sede irlandese e nel giro di due giorni le valige erano state stipate delle poche cose veramente importanti che in ventitré anni di vita avevo accumulato. Poche cose. A volte mi chiedo se non sia più quello che ho lasciato indietro, nella mia amata Osaka. Nella lontana infanzia che penso di non aver vissuto.

Era uscito di casa indossando la propria t-shirt preferita, quella con i simboli della play-station che gli avevano regalato i suoi fratellini per un compleanno di parecchio tempo prima: se c'era una cosa per cui adorava lavorare all'estero, era il potersi vestire a proprio piacimento e non dover passare intere giornate al computer in completo. Quella stessa mattina a colazione anche Hina aveva fatto presente l'argomento: -You really like wearing t-shirts at work, don't you?- aveva constatato, sorseggiando caffè dalla sua mug personale, quella con il simbolo della sua squadra di calcio preferita, la Fiorentina.

-I do. It's great that I can actually wear whatever I like to work... in Japan we usually wear suits- aveva risposto, con un mezzo sorriso: avere una cucina sufficientemente ampia permetteva loro non solo di mangiare attorno ad un tavolo a sei posti, ma anche di preparare ciascuno il proprio piatto senza disturbarsi. Così Yoko poteva fare colazione con riso e zuppa di miso (che avrebbe tenuto da parte anche per Subaru, nel caso ne avesse voluti un po' e non li avesse portati da casa), Hina con caffè e biscotti e Tacchon con latte e pan dolce.

-You know, maybe in your case wearing a suit would prevent showing everyday your total lack of style- aveva commentato freddamente Tacchon, mentre finiva di ripassare qualche lezione da un libro di scuola.

-Tadayoshi, would you please stop with the diva attitude? It's early in the morning, santo cielo!- l'aveva redarguito Shingo, posando la propria tazza vuota nel lavandino: -I think wearing suits everyday would be a torture...- aveva poi detto, rivolto a Yoko.

-That's probably because it seems those tracksuits and sweatpants are your second skin or something...- aveva rimbeccato Tadayoshi.

-Tacchon...- l'aveva ripreso Hina.

-Houp-là! Désolé, sometimes it happens that I say the truth...- aveva finto di stupirsi lo studente universitario, lasciando la propria tazza e tovagliolo usato sul tavolo, infilando i libri in borsa e uscendo di casa con calma, sistemandosi l'impeccabile ciuffo di capelli e la giacca firmata. Shingo aveva sospirato e ritirato anche la tazza di Tacchon per lavarla, dopo aver borbottato: -Ragazzino viziato- in italiano.

Yoko sapeva cosa quell'epiteto volesse dire: Shingo lo utilizzava spessissimo per descrivere Tadayoshi.

-Maybe he's just stressed... he has a lot of classes in college- aveva tentato di giustificare il più piccolo, come d'altronde faceva sempre: non poteva farne a meno.

Hina aveva ridacchiato, per poi aggiungere: -You're the one that spoil him the most, caro mio-.

Yoko aveva nascosto il sorriso compiaciuto dietro la prima pagina del giornale sportivo che ogni mattina Hina si faceva consegnare a casa e aveva mormorato: -I guess I am-.

-Moshi-moshi?- rispose al cellulare in giapponese, sovrappensiero.

Era in pausa pranzo con alcuni colleghi, in una tavola calda vicino all'ufficio.

-Yuuchin! Is Maru!- la voce del coreano esclamò subito, usando il nomignolo di sua invenzione che solo lui usava: -I need advice, are you busy?-.

Guardò l'orologio a muro di fronte a sé mentre si alzava dal tavolo per parlare in privato, facendo cenno ai colleghi che sarebbe tornato dopo poco: -I'm not, it's break time- disse, raggiungendo un angolo del locale vicino ad un vecchio telefono pubblico da cui poteva parlare senza disturbare nessuno.

-Spain or Greece?- chiese subito Maru, non volendo rubargli più tempo del necessario: la pausa pranzo di Yoko era già fin troppo corta per l'orario full-time di un lavoro parecchio stancante e faticoso come programmatore di videogiochi.

-What? About what?- chiese Yoko, interdetto.

-Me going to next trip! What is better, you think?- esclamò Maru, agitato per la lunga attesa che la risposta di Yokoyama si stava prendendo: -I don't know... I've never been to both...- disse, pensandoci su.

-Where you want to go more? Or... where you want a omiyage from?- si corresse Maru, senza cambiare il tono eccitato dell'intera conversazione. Yoko sorrise: si era ricordato la parola in giapponese che gli aveva spiegato qualche tempo prima, dopo aver ricevuto uno dei tanti souvenir che Maru era solito regalare a tutti i coinquilini dopo ciascuno dei suoi numerosi viaggi.

-I... etto... Spain? Maybe?- provò a dire: in realtà non ne aveva la minima idea, ma uno dei suoi colleghi al lavoro era di Barcellona e gli parlava spesso della propria città in cambio di racconti su Osaka e Tokyo, quindi... -But you know you should choose somewhere you want to go, right? It's your choice!- aggiunse poi, sentendosi un po' in colpa per aver deciso al posto dell'amico.

-No, no! Is fine! I will go to Spain!- esclamò Maru contento: -Thank you, Yuuchin!-.

-Maru, listen... are you at home? Is Subaru there?- domandò, guardando verso il proprio tavolo e sperando che la pausa pranzo non stesse per finire nel caso il coinquilino avesse avuto bisogno di lui.

-He is out for lunch, he just woke up and was hungry! What do you need from Subaru?- chiese Maru, curioso.

-Only to know if he's ok and needs my help... since he's new- ammise, sapendo che forse non era il caso di preoccuparsi così tanto, ma non potendo farne a meno.

-You always so kind, Yuuchin...- disse con aria sognante Maru, facendolo ridacchiare.

Doveva ricordarsi di dare il proprio numero a Subaru il prima possibile.

Chiuse la conversazione non appena i colleghi gli fecero cenno che il tempo stava scadendo, chiedendo scusa a Maru e ricordandogli che sarebbe tornato a casa tardi quella sera. Tornò al tavolo per finire il pranzo, ma non prima di aver inviato il giornaliero messaggio istantaneo a Hina al quale l'altro rispose nei classici dieci minuti di tempo fra il tavolo del locale e la scrivania di Yoko in ufficio.

“So you want to go to Spain? Figata! You should take a week off so you can go there! Stop being too Japanese! ; )” diceva l'italiano, facendolo inevitabilmente ridere di fronte allo schermo del cellulare e attirare l'attenzione del collega più vicino: -Again that “mysterious woman”, Yokoyama?-.

Scosse la testa, imbarazzato: -No, just a friend...- sospirò, rimettendosi al lavoro.

Il tempo atmosferico non era cambiato poi molto dalla pioggia del giorno precedente: le nuvole grigie avevano retto fino al primo pomeriggio, poi un violento scroscio aveva rigato le finestre dell'ufficio e costretto Yoko ad uscire con l'ombrello di scorta, quello che da sempre teneva ben chiuso in un cassetto della scrivania, ormai abituato all'uggioso ed instabile tempo irlandese. Mentre attendeva la fine delle lezioni di Shingo, al solito angolo di strada dove erano soliti incontrarsi, prese ad osservare le gocce di pioggia cadere dalle punte dell'ombrello e formare una piccola pozzanghera sull'asfalto ai suoi piedi.

-Ehi!- sentì chiamare e, in meno di un secondo, Shingo aveva attraversato la stanza con una veloce andatura sulle gambe leggermente scoordinate, la testa coperta dalla cartelletta di pelle nera che portava al lavoro: si infilò con lui sotto l'ombrello, ridacchiando: -(*) Non mi hai avvisato che venivi!-.

Yoko fece spallucce, sistemandosi di modo che fossero entrambi riparati dalla pioggia: -Non hai l'ombrello?-.

-Me lo sono scordato- rispose semplicemente Hina, scrollando la cartelletta e offrendosi di reggere il manico dell'ombrello che stavano condividendo, diretti alla fermata dell'autobus più vicina.

-Sempre distratti e disorganizzati voi italiani- lo stuzzicò Yoko: -siete troppo abituati al sole e al mare-.

-A Firenze non c'è il mare- lo corresse Hina, ridendo: -Però c'è da ammettere che abbiamo un clima molto più mite... a Osaka piove molto?-.

-Non così tanto...- concordò Yoko, mentre attraversavano la strada. Restarono in confortevole silenzio fino alla fermata, dove presero il bus su cui Shingo si mise inevitabilmente a chiacchierare con la signora anziana alla quale aveva quasi subito ceduto il posto. Yoko rise di nascosto, vedendolo esprimersi nel suo buon inglese, ma farcendo il dialogo con la sua solita esagerata gestualità: fosse stato giapponese, sarebbe sicuramente diventato un comico di manzai.

-A cosa pensi, che ridi sotto i baffi?- gli chiese Hina, abbandonata l'accesa conversazione sul traffico con la signora di prima. Aveva usato un modo di dire italiano che qualche tempo prima gli aveva spiegato, parlando di come Tacchon facesse sempre l'indifferente, ma in verità ridesse segretamente delle battute di Maru quando erano seduti tutti insieme in salotto o a tavola.

-Dovremmo creare un duo comico- disse il giapponese, senza pensarci.

-Un duo comico?- chiese stupito Shingo, mentre scendevano alla fermata dove in teoria dovevano cambiare autobus, ma mentre erano a bordo aveva smesso di piovere e, nonostante il tempo non sembrasse assolutamente in via di miglioramento, l'italiano gli fece cenno di proseguire a piedi, godendosi una passeggiata in compagnia.

-Da piccolo volevo fare il comico- ammise Yoko, una tinta rosea sulle guance pallide e Shingo sorrise: -Sei un po' troppo riservato per fare il comico...- osservò.

-In Giappone ci sono tanti tipi di comici...- tentò di spiegare Yoko, ma rinunciando non appena vide che Shingo aveva già cominciato a ridacchiare: -E io che tipo sono?- domandò, curioso.

Erano vicini al quartiere dei locali e l'italiano deviò in una vietta che frequentavano spesso dopo il lavoro, per una birra in compagnia. Yoko lo seguì senza protestare.

-Tu saresti uno tsukkomi- disse, considerando come fosse facile far alterare la pazienza di Shingo con una battuta di troppo o la sua propensione ad essere parecchio manesco, specialmente con Maru. Gli spiegò in breve cosa quella parola volesse dire e Hina si ritrovò a concordare con lui, divertito.

Costeggiarono le vetrine di un pub che avevano visitato qualche volta e Hina sorresse Yoko con il braccio per istinto, vedendo l'amico costretto a scendere a tratti dal marciapiede affollato. Yoko arrossì violentemente, ma superato il tratto di strada difficile, si beccò un ingiustificato scappellotto sulla nuca, mentre Hina chiedeva: -Così?-.

Yoko, stupito dal gesto, ci mise un po' a capire ed annuire.

-Perfetto, allora d'ora in poi io sono uno tsukkomi- dichiarò con orgoglio l'italiano, facendolo ridere.

Proseguirono ancora un po' per la strada in silenzio fino a che non sentirono della musica provenire dalla piazzetta di Temple Bar: -E' Subaru!- esclamò Hina sorpreso, indicando il ragazzo con la chitarra che suonava ad un angolo con una potente voce colma di vibrato. Gli si fermarono di fronte, costituendo il suo unico pubblico della giornata ed attesero la fine della malinconica canzone in giapponese per applaudire con veemenza.

-Che voce stupenda...- commentò Yoko in giapponese, attirando l'attenzione del neo-coinquilino, che sorrise timidamente. -Bravo!- esclamò Shingo in italiano, senza smettere di battere le mani e facendo arrossire ancora di più il cantante.

-(*) Tornate dal lavoro?- domandò Subaru a Yoko, mentre questi apriva nuovamente l'ombrello per ripararsi e tentare di riparare gli altri due dalla pioggia che aveva ricominciato a cadere con sempre più insistenza.

-Ci siamo incontrati sulla strada...- spiegò, mentre Subaru rivolgeva di nuovo la sua attenzione sulle corde della chitarra, incurante del bagnato. Hina scosse subito la testa: -You can't keep on playing here, it's raining! You may catch a cold!- lo rimproverò. Yoko si affrettò a coprire l'altro giapponese e il suo strumento musicale con l'ombrello, concordando con Shingo: -We can go home together...-.

-Or we can go have dinner at Ryo's pub, that's nearby- propose Hina, rivelando i piani per la serata che aveva tenuto segreti fino a quel momento. Controllò l'orologio: -His shift starts in half an hour-.

Subaru considerò lentamente l'informazione, grattando nervosamente il collo della chitarra con le unghie della mano sinistra, poi annuì e si alzò per riporre la chitarra nella sua custodia: -Let's go- disse.

Shingo annuì soddisfatto, attendendo che il neo-coinquilino fosse pronto e offrendosi di reggere nuovamente l'ombrello per tutti e tre: in quel momento notò, alle spalle di Yoko, un movimento a lato della strada. Un ragazzo con un ampio ombrello azzurro, che fino a poco prima era molto probabilmente stato fermo ad osservarli ed ascoltarli, se ne stava andando di tutta fretta, sparendo in una via laterale. Scambiò uno sguardo interrogativo con Yoko, che tuttavia non si era voltato in tempo per notare il ragazzo e lo guardava perplesso: scosse la testa e guidò il trio verso il locale.

Il Foggy Dew si trovava al civico 1 di una piccola, nascosta traversa di College Green, subito dietro ai più famosi dedali di Temple Bar, ma conservando lo stesso stile da vecchio pub irlandese: legno e vetro, tavoli traballanti, memorabilia d'altri tempi appesi alle pareti ed al soffitto.

Ordinarono qualcosa da mangiare e tre birre al coinquilino americano non appena lo videro entrare dal retro del locale e finire di allacciarsi il grembiule scuro del locale dietro l'alto bancone in legno.

-Dudes! Already bringin' the new one out for a good drunk?- li salutò Ryo con un enorme sorriso. Si sedette al tavolo con loro, ignorando completamente il fatto che fosse di servizio. Subaru provò ad offrirgli un sorso di birra dal proprio boccale, ma l'americano rifiutò scuotendo la mano, adducendo la scusa di essere astemio.

-We met him on the way here- spiegò Hina, addentando una patatina fritta con foga come se non mangiasse da giorni.

-Out playin' something to the rain, Subaru?- domandò allora Ryo, come al solito pronunciando il nome del giapponese con una certa veemenza: -When the weather's like that no-one is there to listen, man. You better find a pub, so you can sing while stayin' dry- consigliò, per poi indicare la custodia della chitarra di Subaru e fare cenno verso la parte più interna del locale, dove un palco era già stato allestito con luci e strumenti.

-Can I sing?- chiese allora Subaru, dopo aver riflettuto sulle parole di Ryo ed averlo guardato dritto negli occhi. L'americano, per nulla sorpreso, continuò a sorridergli: -Make yourself at home, dude- offrì, per poi aggiungere: -Open the show for my band, we need someone to warm up the crowd-.

La folla era in realtà composta da solo un paio di tavoli di persone solo parzialmente interessate all'ambiente, assorte nelle loro discussioni private. Subaru non si perse minimamente d'animo e raggiunse il palco, liberando ancora una volta la chitarra dalla sua custodia e infilandola a tracolla, avvicinandosi al microfono in centro al palco sotto lo sguardo curioso degli altri camerieri del locale.

-Good evening, my name is Subaru and I sing in Japanese- si presentò, con il miglior inglese possibile: -Enjoy- disse infine, già concentrato sulle prime note della canzone che poco prima Yoko e Hina avevano sentito suonare a Temple Bar Square.

冷たい雨に何度も打たれ
疲れ果てても陽はまた昇る

-What does the song say?- chiese dopo un po' Hina a Yoko, attirando anche l'attenzione di Ryo.

-It's... complicated- provò a spiegare Yoko, dopo aver considerato per un po' le parole di Subaru sulla dura e ritmata melodia: -It's about believing in a better future, but still being scared and stuck in the painful present-.

Ryo sembrò cambiare atteggiamento: si appoggiò meglio allo schienale della sedia e incrociò le braccia, annuendo a ritmo con gli accordi di Subaru e concentrandosi completamente sulle curve della calda e graffiante voce del coinquilino.

本当は恐くて誰より弱くて
それでもただ前に進まなければ

Prima dell'inizio dell'ultimo ritornello, l'attenzione dell'intero locale era focalizzata su Subaru e la sua misteriosa, rancorosa canzone. Delle persone erano persino entrate apposta per ascoltarlo, avendo sentito stralci di musica dalla porta socchiusa del locale.

Ryo applaudì convinto alla fine del pezzo, per poi alzarsi dal suo posto in silenzio e fare un cenno ai compagni di band, arrivati in tempo per la fine della canzone dal retro del locale, accompagnati dai loro strumenti. Raggiunse Subaru sul palco e lo ringraziò con un profondo inchino che imbarazzò parecchio il cantante.

-Thank you for the opening number, dude- gli sorrise con una strana luce negli occhi, per poi fargli cenno di accomodarsi nuovamente al tavolo e impossessarsi del microfono: -Ok, guys! Give it up for our friend Subaru!- esclamò al locale, che si risvegliò da una lieve trance provocata dalla performance di prima e applaudì con foga, mentre Subaru si sedeva di fianco a Yoko, rosso in viso.

-(*) Non prendertela, Ryo è fatto così... non ama essere messo all'angolo dalla bravura di qualcun altro- disse l'altro giapponese, avvicinando la birra ancora intatta di Subaru alla mano ancora leggermente tremante del neo-coinquilino, appena finito di sistemare il suo strumento nella custodia.

-Non pensavo di poterlo rendere invidioso...- commentò Subaru, osservando la band occupare il palco ed una piccola folla di curiosi avanzare nel locale verso la zona dedicata alla musica live. Yoko si limitò a fare spallucce, scambiando uno sguardo d'intesa con Hina che si alzò con un sospiro: -Toilet!- dichiarò velocemente, sparendo fra le persone in fila al bancone con la sua caratteristica camminata.

Subaru poté allora chiedere piano, in giapponese: -Perché zoppica?-.

Yoko non rispose ancora una volta, lanciandogli però un veloce sguardo che significava più di molte parole.

-Good evening, everybody! We're the Scarecrows!- gridò Ryo al microfono, iniziando immediatamente a suonare due note decise sulla propria chitarra classica e intonando la propria prima canzone della serata.

Remember that time

when you wouldn't talk to me

you wouldn't talk to me

all night

Link per questo capitolo:
Temple Bar square
The Foggy Dew
Canzoni per questo capitolo:
Subaru = One - Subaru Band
Ryo e gli Scarecrows = Stutter - Darren Criss (e esibizione live con band per capire il sound)

r: pg, g: kanjani8, gnr: long fict, gnr: au

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