Meet Me in Dublin - capitolo 5

Sep 30, 2013 14:44

COSPLAY.
Parliamone.
Perché mai ci si mette in testa quest'idea che fare cosplay è cosa buona e giusta? XD
Manca una settimana esatta all'inizio della scuola e siamo ancora in alto male con il cosplay per Lucca Comics, cosa che mi toglierà sicuramente tempo per scrivere MMID .__. Ma! Posto lo stesso visto che non voglio far passare troppo tempo e visto che il capitolo su Ryo mi viene richiesto con insistenza da una persona difficile da ignorare (yukari85 u.u).
LEH!

Titolo: Meet Me in Dublin
Gruppo: Kanjani8
Genere: AU
Pairing: per ora nessuno
Rating: dal PG al PG-13, principalmente per il linguaggio
Disclaimers: i personaggi e i luoghi descritti non mi appartengono
Ringraziamenti: a genki_ya per la magica città che mi ha fatto scoprire nell'ospitarmi a Dublino, due anni fa
Note: appena tornata da un viaggio a Dublino avevo iniziato a scrivere le poche frasi che corrispondono all'incipit di questo capitolo.Terminata Reach, il mio desiderio di scrivere qualcosa riguardo ad una share-house (dopo aver vissuto in una per un anno intero) e il ricordo dell'Irlanda mi hanno aiutato a sviluppare soggetto e trama di MMID.
Ogni capitolo ha un suo personaggio ed un suo punto di vista e si procederà "a cerchio" nello sviluppo della storia.
NB! Le battute sono principalmente scritte in inglese ed italiano, anche se ci sono parole e frasi in giapponese e francese; le lingue straniere sono sempre in corsivo, mentre l'italiano preceduto da (*) indica il fatto che il dialogo sia in giapponese o in inglese (a seconda delle nazionalità dei due dialoganti) ma che sia tradotto per facilitarne la lettura. Nel caso vi accorgiate che per qualsiasi lingua ci sia il bisogno di riportare la traduzione a parte, fatemelo sapere! Una nota particolare: alcune battute di Maru, Yoko e degli altri personaggi non-anglofoni sono VOLUTAMENTE sbagliate dal punto di vista grammaticale!
Capitoli precedenti: capitolo 1 - Subaru, capitolo 2 - Yoko, capitolo 3 - Hina, capitolo 4 - Maru



CAPITOLO 5 - RYO.

San Diego o Dublino, che differenza può fare?

La musica è musica ovunque la si suoni... il pubblico è diverso, l'atmosfera è diversa...

Posso suonare ovunque, trovare una ragazza ovunque, lavorare ovunque...

L'unico ostacolo è sempre stato convincermene.

Si svegliò sentendo un violento crash al di là della parete, molto probabilmente proveniente dalla cucina.

Mugugnò qualcosa ancora troppo addormentato per rendersi conto di cosa avesse voluto dire e sollevò il braccio libero per strofinarsi un occhio e spostare i capelli dalla fronte, osservando il soffitto bianco della stanza senza focus: l'altro braccio era bloccato fra le lenzuola da qualcosa di caldo.

Si voltò lentamente, percependo qualcosa contro la guancia mentre si girava: poteva distinguere solo una sagoma nella penombra della stanza, lunghi capelli chiari e molta pelle nuda.

Sospirò, aggrottando la fronte: aveva bisogno di ben più sonno, ben meno dopo-sbornia e soprattutto ben più caffè per affrontare questo inizio di giornata inaspettato.

Probabilmente svegliata dal movimento del braccio sotto di sé che tentava di liberarsi da quella posizione scomoda, la ragazza bionda al suo fianco si alzò a sedere sul letto, guardandosi attorno con un'espressione ancora più confusa di quella di Ryo, che la osservava come se non l'avesse mai vista prima.

-Mornin'...- le disse dopo un lungo silenzio in cui si poteva solo distinguere il continuo spadellare di qualcuno in cucina.

-Where am I?- chiese la ragazza, talmente poco preoccupata dalla situazione che non era difficile immaginare le capitasse fin troppo spesso.

-In my share-house's room, I guess...- propose l'americano, alzandosi a sedere a sua volta e guardandosi attorno come ad accertarsi che si trattasse effettivamente della propria stanza. La ragazza sospirò e si alzò del tutto dal letto, prendendo da terra i propri vestiti dover erano stati sparsi la notte prima.

Attese che la bionda si fosse vestita per pescare i propri boxer da un groviglio fra le lenzuola ed infilarli.

-Ok, I'm out. Thanks for tonight- disse la ragazza marcando il “grazie”, nell'esatto istante in cui Ryo stava tentando di ricordarsi il suo nome (Stacey...?) per intavolare una discussione e rompere l'imbarazzante silenzio.

-Oh, ok... fine. See you around...- fece una pausa, indicando la bionda.

-It's Liza- disse lei, un sopracciglio alzato e le braccia incrociate.

-Liza, right. See ya- salutò, sforzandosi di accompagnarla dalla porta della propria stanza a quella d'ingresso della share-house, ignorando lo sguardo curioso di Yoko, quello scandalizzato di Tacchon e il crescente disappunto sul viso di Hina. La bionda recuperò la propria borsa e le proprie scarpe e se ne andò senza guardarsi indietro, lasciando addirittura all'americano ancora in mutande l'ingrato compito di chiudere la porta blu.

-Ryo...- cominciò la strigliata Shingo vedendolo tornare nella direzione della zona comune, ma il chitarrista lo bloccò con una mano sollevata, mugugnando: -Too early...- e chiudendosi in bagno.

Tacchon scosse la testa e tornò a sfogliare la propria rivista, mentre Yoko ancora non era riuscito a scollare lo sguardo da dove la bellissima ragazza era passata prima di fuggire.

Ryo ci mise una ventina di minuti ad uscire dal bagno e nel frattempo Shingo aveva già rinunciato a fargli una ramanzina: l'assenza di urla ed insulti deluse Tadayoshi, che se ne tornò nella propria stanza a testa alta, ignorando l'americano che non provò neanche a salutarlo.

-You still remember we live in a male share-house and we're not allowed to bring women in here?- fu l'unica cosa che gli disse Hina dopo avergli caritatevolmente offerto una tazza di caffè, vedendo lo stato di confusione e sonnolenza in cui vessava il coinquilino. Ryo annuì lentamente e mormorò: -Noted-.

-Not that I feel like complaining about it...- giunse il commento di Yoko dal salotto, che fece sospirare l'italiano e gongolare il californiano, il sorriso concentrato sulla propria tazza.

Restò nella zona comune tutta la mattina, sdraiato sul divano: aveva commentato che tornare a dormire gli avrebbe fatto solo male, ma passò comunque le prime ore dopo la colazione a sonnecchiare in salotto, tanto che non si accorse di Shingo, Yoko e Tadayoshi che uscivano di casa per andare al lavoro o al college.

Quando Subaru emerse dalla propria stanza era già quasi ora di pranzo e Ryo gli sorrise appena, concentrato sulle corde della propria chitarra: che il giapponese fosse stato richiamato proprio dal suono dello strumento musicale?

Non badò alla presenza dell'altro in cucina e continuò a suonare: non aveva ancora deciso la scaletta per il prossimo live con la band, ma era convinto di aggiungere un paio di nuove canzoni di sua creazione, che al pubblico del loro solito locale sarebbero sicuramente piaciute. Voleva riuscire a perfezionarle entro quella sera, per proporle ai compagni di band e magari darci una prima arrangiata in sala prove.

Subaru si sedette al suo fianco e rimase in silenzio ad ascoltare il suono della sua chitarra, lo sguardo fisso contro il muro opposto mentre tentava di decifrare l'armonia che Ryo continuava a ripetere, per allenare le mani a muoversi sicure fra un accordo e l'altro.

-How does it sound like?- chiese all'improvviso, un sorriso concentrato rivolto allo spartito di fronte a sé, sul tavolino del salotto. Subaru attese qualche secondo per dire: -You're good-.

Ryo aggrottò le sopracciglia, non particolarmente soddisfatto dalla risposta: “la mia musica deve eccellere. Le mie canzoni devono essere perfette, il pubblico deve amarle” pensò, non accontentandosi del complimento. Cambiò canzone: questa la sapeva perfettamente.

Era uno dei brani con cui aveva convinto i propri compagni di band a formare gli Scarecrows: era arrivato da poco in Irlanda e si era fatto assumere dal primo locale di live che aveva trovato... scovare fra gli avventori dei musicisti come lui era stato un gioco da ragazzi.

Subaru la riconobbe dalle prime note: era lo stesso brano con cui aveva aperto il live qualche sera prima.

Ryo suonò tutti gli accordi con ritmo e convinzione, scaldando l'atmosfera silenziosa della mattina in share-house, per poi aggiungere le parole, cantando con la sua particolare voce roca e vibrante, come se fosse sempre a corto di fiato.

Oh, don't you tell me no, 'cause there you go again

You're ten out of ten

Sorry, did I just s-stutter?

Won't tell you what you know, but there you go again

You were never my friend

You were never my, you were never my lover

Smise di suonare dopo il primo ritornello, convinto di aver colto l'interesse di Subaru nell'averlo visto reagire al ritmo della canzone battendo un piede a terra e muovendo la mano sul ginocchio.

-Well?- domandò di nuovo, stavolta il tono di sfida evidente nella voce.

Incontrò lo sguardo concentrato del giapponese che gli rispose: -You're very good- con un mezzo sorriso: -I think you can do better...-.

Scosse la testa contrariato, ma se lo fece bastare. Aveva tutto il tempo di dimostrare al coinquilino quanto valesse.

-C'mon, Subaru... I'm taking you out- gli disse, alzandosi dal divano con ancora la chitarra in braccio.

-Where?- chiese perplesso il coinquilino, vedendolo allontanarsi verso la propria stanza, strumento musicale e spartiti pronti ad essere messi via.

-To meet a very good friend of mine- rispose con un mezzo sorriso.

Trascorsero un paio di ore immersi fra i dischi e i vinili del un vecchio negozio di musica dell'amico di Ryo: il Mojo's Records era un piccolo negozio di dischi in Merchant's Arch, fra Temple Bar e la sponda sud del Liffey River. Thomas, un omone irlandese con una folta barba rossa ed espressivi occhi azzurri, lo gestiva da almeno una ventina d'anni e conosceva l'americano da quando era arrivato a Dublino.

-(*) Una delle prime cose che ho fatto appena arrivato in Irlanda è stata cercarmi un lavoro...- spiegò Ryo, mentre faceva scorrere vecchi vinili fra le dita, controllando velocemente i titoli e le copertine: -Ma sono stato più fortunato con il pub... a Thomas non serviva un tuttofare- disse, lanciando uno sguardo al proprietario del negozio, che rispose con un enorme sorriso: -Lo sai, avessi i soldi per pagarti lo stipendio saresti il primo che assumerei-. Subaru sorrise, capendo a grandi linee il discorso.

-Perché sei venuto in Irlanda?- chiese nel proprio inglese stentato, guardando dritto negli occhi verdi dell'americano, dall'altra parte della fila di vinili di musica folk.

Ryo fece spallucce e attese qualche secondo per rispondere, come se ci stesse riflettendo su, nonostante il tono che usò volesse suggerire una mancanza di peso ed interesse sull'argomento: -Mi ero stufato dell'America-. Subaru aggrottò la fronte, poi riprese a fare domande: -Suonavi anche là?-.

-Non in una band...- disse il chitarrista, sollevando un disco dalla pila e studiandolo con interesse, per poi aggiungere: -Al college suonavo alle feste di amici e nei locali la sera...- rimise al suo posto il disco e tornò a guardare il giapponese: -Tu? Suonavi anche a Osaka?-.

Subaru annuì, incupendosi all'improvviso: -Nel locale di un amico- rispose velocemente, tentando a sua volta di non dare peso alle proprie parole. Ryo attese qualche istante prima di chiedere: -E come mai sei venuto a Dublino?-.

L'espressione dell'altro peggiorò ancora, facendolo sembrare quasi arrabbiato: un tremore gli percorse il viso, facendogli chiudere gli occhi e muovere il lato della bocca in un tic nervoso involontario. Buttò sul tavolo una significativa risposta, pesante come un macigno, e rimase in silenzio per il resto del pomeriggio, anche mentre Ryo e Thomas intrattennero un lungo dibattito sul rock commerciale alla cassa: -E' morto-.

Ryo continuò a riflettere sulle parole e l'atteggiamento di Subaru per tutta la serata: sulla via del ritorno a casa, sotto la doccia, sui mezzi pubblici che lo portavano alla sala prove che gli Scarecrows affittavano una volta a settimana.

Era chiaro che sotto alla morte dell'amico di Subaru e alla sua decisione di partire per l'Irlanda ci fosse una storia non raccontata che il comportamento ritroso e quasi aggressivo di Subaru non lasciavano trapelare; non che lui stesso potesse lamentarsi della cosa, essendo il primo a non voler parlare di sé, della propria vita prima di Dublino e soprattutto delle cause della sua partenza. Si costrinse ad accettare la versione del coinquilino così come gli era stata offerta ed a distrarsi dai propri ricordi, che in certe occasioni riaffioravano con prepotenza: doveva concentrarsi sulle nuove canzoni... doveva concentrarsi sulla sua nuova musica...

You were never my friend

you were never my lover

Il Dedsound Rehearsal Studio si trovava in periferia, nella zona industriale di Dublino: il bus doveva percorrere una tratta piuttosto consistente per arrivarci e Ryo era solito sedersi sul fondo del mezzo, la chitarra nella sua custodia rigida al sicuro fra le proprie ginocchia.

La saletta era piccola e con un'illuminazione ridicola, ma ben insonorizzata che con un buon impianto di registrazione: ci avevano prodotto un primo LP l'anno precedente, un mini-album di 5 brani che erano tutti stati scritti da Ryo. Gli Scarecrows si erano, in fin dei conti, formati attorno a lui, secondo le sue decisioni e grazie alla sua musica. Quando aveva conosciuto Jeff e Phil al Mojo e Carl al Foggy Dew, aveva riconosciuto del talento nei tre ragazzi: tuttavia, mancavano totalmente del carisma necessario per sfondare nel mondo della musica. Avendo bisogno di qualcuno con cui suonare, li aveva convinti a formare la band e aveva dato loro fiducia nell'arrangiamento dei suoi brani, tutti strutturati per un semplice accompagnamento a chitarra acustica. Ma il loro apporto al successo degli Scarecrows si era, a suo parere, limitato a questo: il frontman e leader vocalist era Ryo, l'organizzazione era in mano sua e, soprattutto, la sua bravura nella composizione di brani accattivanti che piacessero al pubblico non veniva mai messa in discussione.

Fu per questo motivo che quella sera, come tutte le altre sere, si permise di correggere il beat di Phil alla batteria e chiedere più concentrazione da parte di Carl al basso; impose la scaletta per la seguente serata al Foggy Dew senza accettare altre opinioni; propose i due nuovi brani che aveva scritto provandoli da solo, senza che gli altri tre potessero cominciare a lavorarci sui loro strumenti o consigliassero un altro arrangiamento rispetto a quello che aveva impostato.

A tre ore dall'inizio delle prove, Phil perse la pazienza: lanciò le bacchette a terra e gridò a Ryo di darci un taglio con l'atteggiamento da prima donna. Jeff si unì alla protesta, mentre Carl rimase silenzioso.

Ryo era più confuso che altro: era la prima volta che la band protestava contro le sue decisioni, che gli altri tre gli facevano notare cosa non funzionasse nella sua gestione. Senza riflettere, cominciò a rispondere a tono, negando le accuse: fu a quel punto che intervenne Carl, con un tono rancoroso, ma più calmo.

-(*) Ci siamo incontrati prima di venire qui e abbiamo parlato dei nostri ultimi live: non stiamo andando bene, Ryo. E siamo sicuri che il problema sia tu: non ci permetti di toccare i testi, gli arrangiamenti ed il sound. Non possiamo neanche decidere da noi come esibirci e cosa indossare! Gli Scarecrows dovevano essere una band, non un teatro di burattini per permettere solo a te di fare la diva sul palco ed avere il tuo successo...- disse, le braccia incrociate sopra il manico del basso a tracolla. Gli altri due annuivano, mentre Ryo fumava di rabbia: -Vi siete incontrati senza di me?-.

-Non solo, abbiamo anche deciso che le cose devono cambiare. In primis: tu. O ci mettiamo a discutere civilmente una divisione dei compiti ed una organizzazione più paritaria o sei fuori-.

L'americano strabuzzò gli occhi: -Fuori dalla band? Non potete cacciarmi, l'ho creata io!-.

Jeff fece spallucce: -E' stata una votazione democratica-.

-Alla quale io non ho partecipato!- protestò.

-Non fa alcuna differenza!- sbottò Phil, ancora seduto dietro alla batteria del Dedsound.

-Ammettiamolo- sospirò Carl: -Avanti così non possiamo andare. Il mini-album non ha venduto, le serate sono sempre meno frequentate e non troviamo altri locali che ci lascino esibire. A questo punto tanto vale sciogliersi o ricominciare a suonare in strada...-.

Ryo strinse i pugni, tentando di calmarsi: tutto inutile. Si sfilò la chitarra di dosso e la ripose nella sua custodia, sollevandola da terra una volta chiusa: -Fate come volete, ho chiuso-.

Phil e Jeff rimasero in silenzio, scambiandosi solo un veloce sguardo.

Carl sospirò ancora, sonoramente: -Non fraintenderci, amico... lo sappiamo quanto hai fatto per noi e quanto hai dato alla band. La tua musica va bene, piace: ma non è la nostra, per l'appunto... se ti servivano dei musicisti di supporto, perché non l'hai detto subito? Gli Scarecrows sono una band dove ogni membro dovrebbe valere quanto l'altro... almeno, questo è quello che ho sempre creduto io. Ma la situazione ti è sfuggita di mano, amico... possiamo sempre parlarne e risolvere-.

-Non c'è niente da risolvere- ritorse l'americano, uscendo dalla sala prove a passi decisi: -E per la cronaca, non c'è nessun “amico”-. Non sentì alcuna risposta e si decise a chiudere la porta della stanza insonorizzata alle proprie spalle, uscendo dall'edificio e rincorrendo il bus verso il centro.

Per tutta la tratta rimuginò sulle parole degli altri, sui ricordi degli Scarecrows nell'ultimo anno e sugli errori che aveva fatto e che gli erano stati rinfacciati: possibile che non avesse mai notato il poco successo e la scarsa partecipazione degli altri? Che non avesse mai riflettuto sulla sua totale supremazia sulla band e gli effetti che stava avendo? Era doloroso, ma ora che poteva concentrarcisi sopra non poteva non notarli: di chi altri poteva essere la colpa se non sua? Per un anno intero aveva costretto quei ragazzi a fargli da spalla pur avendo promesso loro di sfondare come un gruppo, una band...

Scese dal bus e girovagò per le strade serali, illuminate dai lampioni: la gente era in giro, il quartiere era in movimento, la musica era alta: si ritrovò a Temple Bar, nella via degli artisti.

Osservò alcuni musicisti sul ciglio della strada, chini sui propri strumenti: cosa mancava a loro che Ryo credeva di possedere? Che differenze con quell'anziano dalla barba bianca, oltre all'esibirsi con un gruppo nei locali invece che da solo al freddo della notte?

Per gli Scarecrows aveva sperato in un futuro che non doveva essere stato macchiato da un passato in cui ci si era sporcati stando seduti per terra nella via, bagnati sotto la pioggia e scottati sotto il sole: ma non era quello il modo in cui avevano iniziato tutti? Suonando per strada o alle feste degli amici, divertendosi e credendo nella propria bravura, sperando di riscuotere successo fra i passanti più che fra i produttori delle case discografiche? Chi dei due aveva perso la retta via?

Due accordi familiari richiamarono la sua attenzione: svoltò l'angolo e riconobbe Subaru, alla luce di un lampione nella piazzetta piena di gente, che suonava la sua chitarra senza guardarsi intorno, senza neanche aver aperto la custodia ai propri piedi per raccogliere qualche centesimo. Non era questione di soldi, era questione di musica: era arte, era voglia di farsi sentire.

Ascoltò l'esibizione del coinquilino insieme ai passanti, incredulo nel riconoscersi in parole quasi gridate in una lingua che non conosceva: Subaru aveva più di un semplice talento. Aveva la capacità di arrivare dentro, di forzare la gente a girarsi e ascoltarlo, di attivare i sentimenti di ognuno attraverso canzoni totalmente intime e personali. Oltre la barriera della lingua, oltre al concetto di musica come una semplice aggregazione di suoni, voce, note, accordi, vibrazioni.

La musica era musica ovunque la si suonasse, che si trattasse di Osaka, San Diego o Dublino... però Ryo aveva smesso di crederci e di fare la sua. Ed ora, Subaru gli stava dando una lezione.

Immagini del passato che aveva così a lungo ostinatamente riufiutato di accettare tornavano ora alla memoria in un turbinio confuso: l'aria densa della stanza chiusa, luci e persone strette in poco spazio, i bassi di uno stereo che scuotevano le pareti e le gambe dei danzatori... una porta socchiusa dietro la quale il buio, un pavimento umido, un corpo di donna, l'acre odore di alcol e fumo e sporco e... Una stretta allo stomaco.

La canzone terminò, alcune persone applaudirono, altre si allontanarono con solo un sorriso sulle labbra.

Subaru sollevò lo sguardo e trovò Ryo di fronte a sé: -Why are you crying?- chiese, preoccupato.

L'americano scosse la testa, rendendosi conto solo in quel momento di avere le guance umide: le asciugò con il dorso della mano, lasciando andare la presa sulla custodia della chitarra, che cadde a terra con un tonfo.

Pianse in silenzio e ad occhi chiusi, mordendosi il labbro inferiore: Subaru gli appoggiò una mano sulla spalla e non disse niente, aspettando che si calmasse.

-Can I...- un singhiozzo: -Can I play with you, Subaru?- chiese titubante, una certa speranza nello sguardo.

Il giapponese annuì, sforzando un sorriso incoraggiante. Gli fece cenno di sedersi per terra insieme a lui e prepararono gli strumenti, uno a fianco dell'altro. Quando Subaru gli chiese di insegnargli una delle sue canzoni, Ryo ripeté un accordo, poi un altro, poi attese che Subaru riuscisse a seguirlo per ammettere: -(*) Non la suono da anni...- con un debole sorriso.

-Perché?- si limitò a domandare il coinquilino.

Ryo si concentrò sul trovare una risposta, dentro di sé: -Penso perché... non volevo più sentirmi quel genere di persona. Volevo lasciarmi tutto alle spalle, compreso me stesso, come ero e in cosa credevo-.

-Ed ora?- domandò ancora Subaru, fermando le dita sul manico della propria acustica.

-Ora voglio tornare ad essere quella persona che sapeva chi fosse e cosa volesse- rispose, tornando a sorridere con più convinzione.

Subaru annuì e cominciarono a suonare insieme. Una volta raggiunto un buon ritmo e ritrovata la voce dopo il pianto, Ryo si convinse a cantare, ancora una volta libero: senza microfoni e band, senza locali affollati, aspettative. Due persone, due chitarre, il vento freddo della sera e una strada viva, pulsante.

I feel like a loser

I feel like I'm lost

I feel like I'm not sure if I feel anything at all

But believe me, I'm not helpless
I just need someone to love
So my situation's rough
That just makes me a dumb human, like you

Subaru sorrideva al suo fianco e qualcuno si era fermato ad ascoltarli, battendo i piedi a terra per cogliere il loro beat o dondolando nel cappotto. Ma Ryo stava cantando per sé, per l'ultima volta: stava liberando l'adolescente che era stato; i ricordi, quelli positivi, che per anni aveva evitato.

Why do I have this incredible need to stand up and say "Please pay attention"?
It's the last thing that I need to make myself see
Well, that ain't my intention

Si sentì più leggero e felice.

But believe me I got something,
I just don't know how to say
That I'm just fine with the way,
the way that I'm movin'
But that just makes me a dumb human
That just makes me
That makes me a human, like you.

Link per questo capitolo: - Mojo's records, Il negozio di dischi di Thomas
- Dedsound, la sala prove
Canzoni per questo capitolo: - Stutter, Darren Criss (di nuovo XD)
- Human, Darren Criss (sì, sto sfruttando praticamente tutta la discografia... thank you Daisy! XD) con esibizione live tanto per gradire (e capire come mai odio/amo questo adorable asshole e perché mi sto ispirando moltissimo a lui per il personaggio di Ryo? Dai, è palese XD).

r: pg, g: kanjani8, gnr: long fict, gnr: au

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