Meet Me in Dublin - capitolo 8

Feb 16, 2014 21:13

Mi pare ormai appurato che su queste pagine i miei post abbiano praticamente cadenza mensile. E neanche troppo, dato che dall'ultimo capitolo è passato un mese e mezzo. Ma ora che ci siamo...
ne approfitto anche per dirvi un paio di cose:
1) no, non mi sono scordata della meme che volevamo organizzare, è solo che in questo periodo sono impegnatissima e quindi, tutto sommato, è stato meglio che non la pubblicassi prima di marzo, visto come stanno le cose. Ma la faremo, non disperate;
2) fra un concorso per web series e i format TV a scuola, non chiedetemi dove abbia trovato il tempo di scrivere il capitolo 9. L'importante è che l'abbia trovato, quindi...
beccatevi l'ottavo. Che è lungo, complicato, sofferto e offre interessanti spunti di riflessione (o per lo meno spero).

Titolo: Meet Me in Dublin
Gruppo: Kanjani8
Genere: AU
Pairing: Yasuba
Rating: dal PG al PG-13, principalmente per il linguaggio
Disclaimers: i personaggi e i luoghi descritti non mi appartengono
Ringraziamenti: a genki_ya per la magica città che mi ha fatto scoprire nell'ospitarmi a Dublino, due anni fa e per la meravigliosa gita a Brescia che abbiamo fatto insieme qualche giorno fa con yukari85 ^__^
Note: vedi capitoli precedenti! Vedi note a piè pagina per le traduzioni e le canzoni!
Capitoli precedenti: capitolo 1 - Subaru, capitolo 2 - Yoko, capitolo 3 - Hina, capitolo 4 - Maru, capitolo 5 - Ryo, capitolo 6 - Tacchon, capitolo 7 - Yasu


CAPITOLO 8 - TACCHON.

Tutti i coinquilini accolsero la notizia con un paio di secondi di completo silenzio.
Ryo fu il primo a rispondere con un ampio sorriso ed un: -Well, count me in- risoluto.
Yoko ridacchiò per il tono dell'americano, mentre Maru balzava in azione, scavalcando il divano con un salto e correndo nella propria stanza a recuperare il basso: -I want to play too! I play bass guitar!- esclamò, riapparendo in corridoio brandendo lo strumento come un trofeo, di modo che tutti lo vedessero.
-What should we do, then?- chiese Shingo, indicando se stesso e Yoko, che precisò: -I really can't sing or play any instrument...- mentre Hina aggiungeva: -I used to play the piano, though...-.
-You two can be the managers!- propose Yasu, attirando l'attenzione generale: si ritrasse appena e sorrise timidamente: -Nice to meet you, my name is Yasuda Shota...-.
-SHOTA!- esclamò con eccessiva giovialità Maru, correndo a stringergli la mano: -I am Maru, the Corean bass player!- si presentò con entusiasmo.
-Shouldn't there be some auditions?- chiese all'improvviso Ryo, guardando verso Yoko e Hina, ormai già mentalmente qualificati da tutti come i manager: -We suffer a lack of drummers...- commentò.
Ci fu una breve pausa in cui tutti riflettevano sulla possibilità di fare qualche audizione. Poi, dalla poltrona più lontana, la voce di Tacchon ruppe il silenzio: -I play the drums- dichiarò, con tono piatto.
Un'altra breve pausa in cui tutti processavano l'informazione.
-You WHAT?- esclamò Ryo, fissando incredulo il francese.
Hina si limitò a sgranare gli occhi, più sorpreso dal fatto che Tadayoshi avesse finalmente parlato al loro cospetto dopo la terribile litigata del giorno prima che dal fatto di aver trovato un batterista. Yoko sorrise “sotto i baffi” mentre Maru pigolò festante qualcosa in coreano, perfettamente incomprensibile da tutti gli altri. Yasu sembrava estremamente sollevato e scambiò un veloce sguardo con Subaru.
-I play the drums- ripeté senza batter ciglio il francese.
-Since when?- chiese scettico Ryo, incrociando le braccia.
-Since is none of your business- gli rispose Tacchon, passato alla difensiva.
Yoko stava per intervenire e placarli quando Subaru dichiarò con solennità: -You're in-.
Tornò il silenzio e il sorriso sulle labbra di tutti i coinquilini.
-Okay! Let's brain-storm all together for the right band name!- propose Shingo, sollevando i documenti di lavoro che aveva lasciato per terra di fianco alla propria seria e aprendo la penna bic rossa con la quale correggeva i compiti di italiano dei propri studenti. Yasu accettò un posto a sedere sul divano di fianco a Subaru e Tacchon spinse, lentamente e quasi impercettibilmente, la poltrona più verso il gruppo di amici.
Diedero ognuno la propria opinione: Maru propose strani nomi di cibi coreani insistendo si trattasse di un modo originale per indicare l'adeguato “mix di spezie” che il gruppo multietnico prevedeva, ovviamente venendo ostacolato da Tadayoshi in primis; Yoko tentò di mescolare le iniziali di tutti i loro nomi e cognomi, sostenendo che fosse il metodo più utilizzato dalle industrie di idol giapponesi, al che Subaru dovette porre un veto perché il loro non sarebbe sicuramente stato un gruppo della Johnny's Jimusho ed ad ogni modo “DBN48” era seriamente inaccettabile; Tacchon si limitò a criticare le proposte degli altri, specialmente quelle di Ryo che proponeva solo nomi eccessivamente “tosti” o “sexy” o “politicamente scorretti”; Subaru e Yasu osservavano con divertimento i battibecchi degli altri e davano piccoli suggerimenti a Hina su cosa scrivere nella lista e cosa ignorare.
In un momento di pausa durante il quale l'italiano si era alzato per prendersi uno snack ed una lattina di birra e Ryo aveva preso a strimpellare le quattro corde di metallo del basso di Maru, che ovviamente non stava emettendo particolare rumore, Yasu prese in mano il foglio di quaderno con le proposte e la penna e cominciò a sottolineare qualche idea, per poi richiamare l'attenzione del gruppo: -I think we may have got it...-. Tutti tornarono ai propri posti, pronti a sentire il verdetto.
-I guess... Journey7 isn't bad?- disse lui, leggermente imbarazzato, mostrando il mash-up che aveva fatto fra i nomi segnati.
-What? Like “Journey” the American band? No way I'm gonna cover “Don't stop believin'”, man... done that already, in high school... several times- protestò Ryo con un leggero brivido, venendo tuttavia ignorato dagli altri.
-I like the reference... we're all here because of a journey we took...- tentò di difendersi Yasu, facendo cadere un breve silenzio di riflessione.
-”Janii”- disse sovrappensiero Subaru, facendo alzare lo sguardo dal foglio a Hina, incuriosito: -Say that again?-.
Subaru, sorpreso, ripeté: -”Janii”...-.
-I believe he's just trying to say “journey” properly, you know...- spiegò con finta pazienza Tacchon, ma l'italiano aveva già scritto sul foglio la nuova parola e questa volta lesse: -”Jani7”- a tutti.
Yoko scoppiò a ridere: -”Jani” stands for Johnny's, right?-.
-It's for “journey”!- ridacchiò Yasu, mentre Subaru sgranava gi occhi, scandalizzato.
-Sounds like an idol group's name to me...- osservò ancora Kimitaka.
-No fucking way! I'm voting against!- sollevò la mano Ryo.
-Same- chiamò il francese dalla propria poltrona, imitando il gesto.
-It's for “journey”!- insisterono Subaru, Yasu, Hina e Maru, che non si capì su quale base di pensiero si fosse unito alla causa. Alla fine dunque, “jani” la spuntò per un voto.
-Still, I don't like the number...- commentò l'americano.
-”8” sounds better- dichiarò Yasu, correggendo il foglio.
-Are you doing it on purpose?- protestò nuovamente Ryo, nuovamente ignorato.
-Why “8”?- chiese curioso Shingo.
-We live at Longford Street Little, number 8?- cercò di giustificare Maru.
Shota scosse la testa e guardò incoraggiante verso Subaru.
-There is... was... an eighth member... who couldn't get here with us- disse solamente il cantante, ricevendo un cenno del capo da Ryo ed un sorriso da Yasu.
-The eighth person might be a metaphor for our possible fans- lo giustificò l'americano, improvvisamente favorevole: -Also, the way they say “eight”- aggiunse, indicando i tre giapponesi: -It's quite adorable-.
-”Eito”- provò a dire Tacchon con forte accento francese, ridacchiando fa sé e sé.
-But the name is still quite short, isn't it? Only “Jani8” has quite a strange sound...- fece notare Maru con serietà, ripetendo più volte il nome del gruppo come per convincersi.
-“The Jani8”?- propose Subaru.
-We're not a pop rock band of the '60...- precisò ancora Tadayoshi, strappando un sorriso a Ryo.
-Let's start the “what's in this room?” game!- esclamò il coreano, facendo grugnire l'americano e ridere i tre giapponesi, che iniziarono a indicare vari oggetti assieme a lui, mentre Hina scriveva i nomi più fantasiosi in tutte le lingue che il gruppo conosceva.
Quando improvvisamente Maru indicò la lattina di birra dell'italiano, esclamò fortissimo: -KAEN!-.
-CAN!- lo corresse Ryo.
-KAN!- fecero Subaru e Shota.
-LATTINA!- esclamò Shingo in italiano.
-Boîte- aggiunse Tadayoshi divertito, il viso appoggiato sul palmo della mano.
-...I like can!- disse sorpreso Ryo: -It's like... “Yes, we can”- aggiunse ridendo, mentre Maru batteva le mani convinto.
Yasu appoggiò la mano sul braccio di Subaru e gli sorrise, prendendo poi velocemente la penna rossa dalle mani di Hina e il foglio ormai pieno di scarabocchi, aggiungendone un ultimo: l'ideogramma 関.
-Seki...- lessero quasi in coro Yoko e Subaru, per poi correggersi: -Kan?-.
-All the three of us are from Kansai... and it's where all started for the two of us, right? I guess it still can be read in different ways, so that it'll have many meanings and many pronunciations- spiegò Yasu con calma, rivolgendosi a tutti.
Ci fu una breve pausa, durante la quale tutti provarono, nelle loro teste, a leggere il nome del gruppo.
Poi, rompendo il silenzio, Tadayoshi si sedette meglio sulla propria poltrona e chiese: -So... Kanjani8. Is it official?-.
-Yes, it is- rispose con sicurezza Subaru, guardando i nuovi compagni di band negli occhi e rispondendo ai sorrisi di tutti. Il nome del gruppo era pronto.
Hina offrì della birra a tutti per festeggiare e non accettarono soltanto Ryo e Tacchon: il primo perché astemio ed il secondo perché preferiva di gran lunga il vino, che tuttavia in casa non avevano. Chiacchierarono ancora a lungo sui pezzi da poter provare insieme ed usare per esibirsi, fra cui qualche pezzo di Ryo ancora non inciso con gli Scarecrows e tutto il repertorio originale di Subaru. Yasu disse di aver qualche melodia pronta e Maru chiese subito di poter avere gli spartiti disponibili per provare ad arrangiare la propria parte al basso. Tacchon ignorò la pressante richiesta di Ryo di poterlo sentire suonare al più presto e, a serata finita, rimase seduto al proprio posto nella penombra, tanto da far quasi spaventare Hina, che passava in cucina in pigiama solo per un ultimo bicchiere d'acqua e per spegnere il gas.
-What are you doing there?- chiese l'italiano.
-I'm thinking- disse con un'alzata di spalle il più giovane, per poi posare lo sguardo sulla porta rossa della stanza di Subaru: -Shota's still in there-.
Hina ridacchiò: -Yeah, I guess he's gonna spend the night...- sospirò: -Is this what you were thinking?-.
Tacchon fece una pausa per poi rispondere: -Partially...-.
Sollevò lo sguardo verso l'italiano, con il bicchiere di acqua fresca in mano e lo sguardo leggermente distante, puntato sulla superficie del tavolino fra di loro. Il francese ridacchiò fra sé e sé, indicandosi improvvisamente la guancia: -We didn't say anything about...- non terminò la frase.
Di scatto, Shingo l'aveva raggiunto in due veloci falcate e gli aveva appoggiato il bicchiere gelido sul lato del viso che aveva colpito il giorno prima. La condensa sul bicchiere bagnò la pelle di Tadayoshi, che tuttavia non si ritrasse, lo sguardo fisso in quello del più grande: -It happened two days ago. It doesn't hurt anymore, you know?- provò a dire con un mezzo sorriso.
-Still, you're right: we haven't talked about it and I didn't apologize for slapping you. I'm sorry- spiegò l'italiano, ritraendo il bicchiere prima che cominciasse a gocciolare sui vestiti del più piccolo.
-T'inquiète pas, I appreciated the drama of it. And I also feel I kind of needed a slap, afterall...- mormorò Tadayoshi, a metà fra l'ironico ed il serio: -Got to wake up and confront reality...- terminò, in un sospiro.
Hina appoggiò il bicchiere sul tavolino e si sedette sul divano, al lato opposto rispetto a dove si trovava la poltrona del francese, ma rivolto verso di lui. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e incrociò le dita, portando i pugni sotto il mento: -If you need to talk to someone about something, you can come to us, okay?-.
Tacchon fece una smorfia, per poi cancellarsela dal viso una volta notato lo sguardo serio e concentrato dell'italiano. Annuì piano: -I just... need some time to... wrap my mind around it-.
-Okay. We're here when you'll need us- tentò di rassicurarlo Shingo, per poi sollevare il bicchiere e finire l'acqua in un unico sorso. Rigirò il vetro fra le mani un paio di volte nella quiete del salotto notturno e si alzò per riportare il bicchiere in cucina e tornare a letto: -Buonanotte, 'Chon-.
-Bonne nuit, Shingo- rispose subito il francese, per poi aggiungere, titubante: -I'm sorry too. I'm... very sorry-.
-Non ti preoccupare- sorrise l'italiano, con un'alzata di spalle.
La porta viola si aprì e si richiuse e Tadayoshi rimase ancora per diversi minuti seduto al proprio posto a pensare.

C'est une poupée qui fait non, non, non, non
Toute la journée elle fait non, non, non, non.
Quel pomeriggio, incontrò Yasu in università quasi per caso: non era ancora uscito dalla stanza quella mattina quando l'altro era tornato a casa e non aveva idea delle lezioni e dei corsi del giapponese. Si scambiarono uno sguardo complice in corridoio e si trovarono pochi minuti dopo seduti fianco a fianco su una delle panchine in marmo del cortile, la più appartata. L'ombra proiettata dal bianco palazzo del dipartimento di lettere rinfrescava l'aria leggermente umida di inizio estate; di fronte a loro, sul prato verde smeraldo, sparsi gruppetti di persone avevano steso le giacche a terra ed erano seduti a studiare o parlare godendosi il pallido sole che filtrava attraverso un'ultima, ostinata coltre di nuvole.
Rimase per molto poco tempo in silenzio; come un fiume in piena che non vedeva l'ora di rompere argini e dighe e scorrere libero, il racconto di Tacchon cominciò a sgorgare, lento e cadenzato nella sua prudente pronuncia dell'inglese, lingua franca per la comune comprensione. Yasu lo ascoltava attento, annuendo di tanto in tanto, comunicando tutta la curiosità, la sorpresa e la preoccupazione attraverso lo sguardo.
-I'm gay- esordì il francese, stavolta senza tremore nella voce, senza il fantasma delle lacrime in fondo alla gola. Una sola altra volta aveva osato pronunciare queste parole: erano in francese, erano un paio di anni prima, erano di fronte ai suoi genitori.
-(*) Per tutta la vita sono cresciuto in una famiglia benestante e cattolica di Lione. Mio padre e mia madre sono entrambe persone di successo, ottimi avvocati... le mie sorelle maggiori sono entrambe laureate in economia e hanno già una carriera avviata. Io sono l'unico figlio maschio in una famiglia dalle rigide tradizioni. Il più piccolo, il più viziato...- sorrise amaramente: -Mi perdonavano qualsiasi bravata, mi permettevano lussi che le mie sorelle non avevano mai avuto alla mia età, solo perché crescessi felice, studiassi abbastanza da ereditare lo studio legale di mio padre e seguire i suoi passi nel mondo legale, portando avanti il nome della famiglia. Da qui le prime ubriacature, le serate con gli amici, le lezioni di batteria al posto di quelle di pianoforte...-. Yasu annuiva lentamente, seguendo il discorso con attenzione.
Tacchon si appoggiò con la schiena alla colonna di fianco alla panchina, voltandosi di più verso l'interlocutore ma mantenendo lo sguardo fisso a terra. Si portò una mano alla bocca per mordersi nervosamente le unghie: -Ripensandoci adesso, è come se per tutta la vita avessi cercato un modo per deluderli e lasciarmi in pace: non caricarmi di prospettive future e obblighi e impegni. Farmi crescere come un bambino qualsiasi, sgridarmi quando avrebbero dovuto, vietarmi le cose... quello che tutti i genitori fanno. Facevo di tutto per farmi trattare in modo “normale”-.
-Per farti notare...?- domandò timidamente Shota.
Tacchon annuì: -Penso di sì, tutto sommato. Volevo solo che mi vedessero come un figlio e non come un erede o un... non lo so, strumento?- fece una pausa per rifletterci: -Pur volendo così tanto le loro attenzioni, ho sempre avuto paura di loro. Ho sempre temuto il loro giudizio e desiderato il loro rispetto-.
Per questo motivo per anni aveva esitato a rivelare loro la cosa che più li avrebbe potuti deludere. Aveva tentato di nascondere le sue prime relazioni con alcuni compagni di classe, poi vi aveva rinunciato e finto di avere troppi impegni con lo studio per permettersi di uscire con le ragazze di buona famiglia che i genitori gli consigliavano di frequentare.
-Ho cominciato ad isolarmi per paura di venire scoperto, ma allo stesso tempo trovavo la minima scusa per mettermi in luce. Alternavo buoni risultati a scuola con note di demerito, cose così...- rise di nuovo, lo sguardo distante verso il giardino: -Avevo una confusione incredibile in testa-.
Yasu seguì il suo sguardo, soffermandosi a guardare una coppia di ragazze sedute fianco a fianco sull'erba, intente ad ascoltare la musica da un paio di auricolari condivise. Ridevano fra loro, le teste vicine, i capelli lunghi smossi da una brezza lieve.
-Poi due anni fa ho semplicemente... smesso. Di voler una serie di cose, fra le quali mentire a me stesso e far credere a tutti di essere una persona che non ero. Feci una veloce lista di quello che volevo fare e quello che non volevo fare: lo studio non mi era mai pesato troppo, quindi decisi di voler andare all'università; non volevo diventare avvocato; volevo che le persone mi conoscessero per quello che ero- un breve silenzio: -Così iniziai col dirlo ai miei genitori-.
Chiuse gli occhi per ricordare ancora più vividamente il momento: il genuino stupore negli occhi di entrambi, come se non avessero mai e poi mai potuto sospettare che loro figlio, il loro pupillo, potesse disonorare la famiglia scegliendo di essere un...
-Pédé. E' interessante quanto un insulto possa essere facilmente ignorato se detto da degli sconosciuti, ma faccia particolarmente male detto dai propri genitori- scherzò.
Yasu tornò a guardarlo, l'occhio destro leggermente lucido.
Poi suo padre aveva scosso la testa, gridato, fatto piangere sua madre. L'aveva sollevato di forza dalla sedia del salotto su cui era seduto e spinto a terra con uno schiaffo, intimandogli e quasi implorandogli di cambiare idea, di risparmiarli da questa “ennesima delusione”.
-Quando mi sono rifiutato, mi ha sbattuto fuori di casa. Ha messo le mie cose in un paio di scatole di cartone, bloccato il mio conto in banca e aperto la porta- disse semplicemente Tadayoshi, con un veloce gesto della mano: -Déshériter-. Diseredato.
Yasu corrugò la fronte, chiedendo: -E cos'hai fatto?-.
Il francese fece spallucce: -Ho chiesto aiuto a dei miei amici, ma ovviamente dopo anni in cui avevo fatto di tutto per ignorarli nessuno voleva avere niente a che fare con un un finocchio spocchioso e senzatetto. Per fortuna mio nonno, il padre di mia madre, era uno dei pochi parenti non bigotti e più affezionati a me a cui potessi rivolgermi. Andai a vivere da lui a Marsiglia per un paio di mesi, poi gli chiesi il permesso di trasferirmi all'estero per frequentare l'università, come avevo programmato. Mio nonno non è ricco quanto il resto della mia famiglia, ma ci tiene a me e si è potuto permettere di pagarmi l'affitto della stanza in share-house qui a Dublino quando ho superato il test d'ingresso a filosofia- spiegò.
-E da allora non hai più parlato con i tuoi o le tue sorelle?- chiese sconvolto il giapponese.
Tacchon si limitò a mordersi il labbro e scuotere la testa, guardandolo finalmente negli occhi.
Rimasero per un po' in silenzio, poi Yasu azzardò un'ultima domanda: -Non l'hai davvero mai detto a nessun altro?-.
Il francese sospirò, si osservò le punte delle dita, le unghie rovinate dal nervosismo degli ultimi giorni.
-No. Visto come era andata la prima volta, ho sempre avuto paura di venire di nuovo trattato in quel modo. Ho agito più che altro d'istinto, all'inizio: sono sempre stato abbastanza pessimista, critico e veloce a controbattere, così ho cominciato a crearmi un carattere che mi isolasse e tenesse lontano dalle altre persone-.
-Meno permetti loro di avvicinarsi, meno possono farti del male?- chiese Shota, comprensivo.
-Oui, je pense- affermò Tacchon, serio: -Fino a qualche giorno fa era una condizione che mi andava piuttosto bene-.
-Cosa ti ha fatto cambiare idea?- domandò allora Shota, con un sorriso incoraggiante.
Tadayoshi rispose al sorriso, riscaldato dall'attenzione con la quale il compagno di università l'aveva ascoltato per tutta la durata del racconto: -Il dubbio di non essere poi così solo nella mia condizione- ridacchiò, per poi aggiungere: -E la speranza di... poter fare parte di un gruppo di persone come quello che si sta creando...- agitò la mano nella direzione della share-house, al di là dei muri degli edifici universitari: -A casa- mormorò.
À la maison. Non era stato poi così difficile dirlo.
-Hai iniziato a tenere a loro, eh?- scherzò il chitarrista, appoggiando le mani sul marmo alle sue spalle e stirando la schiena, preparandosi ad alzarsi. La pausa che poteva concedersi era quasi finita.
-Ho iniziato a tenerci abbastanza da poterci... credere? Does this make any sense at all?- chiese perplesso Tacchon, alzandosi per primo e sistemandosi i vestiti con un gesto convinto.
-At all- gli sorrise di nuovo Yasu, tiepidi raggi di un pallido sole che gli brillavano negli occhi, filtrati dal biancore delle nuvole: -You look better when you smile, you know?- gli disse poi, facendo quasi arrossire il francese.
Tacchon gli offrì la mano per aiutarlo ad alzarsi, poi fece un cenno con il capo: -May I buy you coffee? As a thank you for listening to my story with apparently real concern?- domandò.
Yasu ringraziò, ma dovette rifiutare l'offerta e correre a lezione, lasciando che Tadayoshi si dirigesse da solo verso il solito Starbucks, gremito di turisti e studenti.
Con stupore riconobbe Maru al di là della vetrina ed entrò a passo deciso, sedendosi alla sedia vuota del tavolino che il coreano stava occupando. Non gli permise neanche di rendersi conto del coinquilino e di esclamare un saluto prima di affermare: -I really am sorry, Maru. And I also really do like you and your accent and your cooking and the smell of it and the new perfume you bought and all the silly gift you gave me from wherever you went these past two years- si fermò a riflettere ancora un attimo, felice della confusione mista a felicità riflessa nell'espressione del viso del coinquilino: -I can't say I entirely like your clothes and your sense of humor, but I promise of working on my patience and to, I don't know... give more attention to you? More often, I think. Hope. At least I... I'd like to, ok?- balbettò, meno sicuro di prima.
Maru si prese ancora un attimo per comprendere a pieno le parole dell'altro, pensarci su e reagire: un ampio, dolce sorriso gli si dipinse sul viso e, con voce squillante esclamò: -I like you too, Tacchon!-.
Il francese ridacchiò, annuendo: -Good-.
Qualcuno si schiarì la voce al loro fianco, attirando la loro attenzione: Ryo era fermo di fronte al tavolino e spostava lo sguardo dall'uno all'altro, perplesso. Aveva in mano l'ordinazione di Maru, che si affrettò ad appoggiare di fronte al coinquilino mentre chiedeva: -Did I miss something?-.
Maru stava per rispondere quando Tacchon si affrettò ad esclamare: -Not at all! I just...- una pausa incerta. Poi si convinse a dire la verità: -I wanted to apologize to everyone for my behaviour, the other day-.
Ryo sollevò un sopracciglio, poi offrì un sorriso stupito: -Well, that's quite out-of-character coming from you, I'm impressed!-. Il francese schioccò la lingua: -Merci beaucoup-.
L'americano resistette solo un paio di secondi prima di scoppiare a ridere per l'atteggiamento del francese: sembrava meno abbottonato e cupo, più aperto e rilassato. Si chiese cosa avesse provocato un simile cambiamento repentino e si ritrovò con stupore ad essere invidioso di chiunque l'avesse fatto al posto suo.
Rimosse velocemente quei pensieri dalla testa e si accertò che l'ordinazione del francese fosse rimasta la stessa per tornare dietro al bancone.

Il tempo passò con lentezza e fuori dal cafè scese la sera: il locale iniziò a svuotarsi e Tacchon e Maru rimasero quasi gli unici clienti, intenti a studiare, chiacchierare, bere caffè dai propri bicchieri di carta e ridere di gusto alle battute l'uno dell'altro. Ryo li osservava sempre più stupito e curioso da dietro il bancone e non riuscì ad ignorare le veloci occhiate che Tadayoshi gli lanciava di tanto in tanto, quando credeva di non venire scoperto. Era abituato a quel genere di scambi di sguardi: ma da quel pomeriggio l'intenzione e l'intensità di essi si era trasformata, in modo misterioso e interessante. Maru si alzò per andare in bagno e lasciò Tadayoshi solo al tavolino; Ryo notò lo sguardo del francese talmente insistente su di sé dall'essere quasi tentato di raggiungerlo, ma si ritrovò impegnato a ricevere ordinazioni da un gruppetto di ragazzine. Lanciò comunque uno sguardo nella sua direzione, vedendolo curiosamente intento a scrivere qualcosa sul lato del proprio bicchiere di carta usato. Quando riuscì ad avvicinarsi fingendo di dover pulire il tavolino a fianco, catturò lo sguardo sorridente e quasi imbarazzato del francese e non riuscì a trattenersi dal commentare: -What happened to you? Why so much smiling all of sudden?-.
Tacchon fece un cenno con la mano, come a voler sviare il discorso: -Someone told me I look better when I'm smiling- spiegò. Ryo ridacchiò abbassando la testa incredulo: -Geez, looks like this someone know how to compliment you right. I should probably take lessons...-. Tadayoshi nascose un sorriso “sotto i baffi” e commentò a bassa voce: -Yeah, you should-.
Maru tornò in quel momento dal bagno e si sedette di nuovo al tavolino, mentre Ryo raccoglieva i bicchieri vuoti per buttarli dietro al bancone. Si affrettò a cercare su quello del francese gli scarabocchi nervosi che pensò avesse fatto nell'attesa, ma trovò solo una scritta in penna, netta e veloce: “Next friday, 8pm at Mojo's?”.
Ricompose i tasselli e sorrise stupidamente.
Vide i due alzarsi e prepararsi per uscire dal locale e tornare in share-house: lo salutarono con un cenno della mano, che l'americano non poté fare a meno di notare un po' più nervoso da parte di Tadayoshi, il quale si fermò a pagare i caffè di entrambi. Ryo perse solo un po' di tempo nel cercare una penna vicino alla cassa e scrivere una risposta al messaggio segreto di Tacchon sul retro dello scontrino bianco: “Ok :)”.
Lo vide leggere velocemente, nascondendo subito la mano con il foglietto allo sguardo curioso di Maru che stava concitatamente parlando di qualcosa ad entrambi. Tuttavia, entrambi lo stavano ignorando, per colpa dell'imbarazzo e dell'agitazione che fischiava loro nelle orecchie.

Personne ne lui a jamais appris
Qu'on pouvait dire oui

Non penso ci sia bisogno di note, sono tutte parole già usate o cmq facilmente comprensibili... in caso, Google è nostro amico XD
La canzone di questo capitolo è Michel Polnareff - La poupée qui fait non (godetevela, è dalle medie che mi perseguita XD).

p: subassan, r: pg, g: kanjani8, gnr: long fict, gnr: au

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