The Clown Boy

Jan 19, 2009 21:50

Titolo: The Clown Boy
Fandom: Placebo/Muse
Stato: Conclusa 8/10
Capitoli precedenti: 1 2 3 4 5 6 7
Raiting: NC-17
Genere: AU, introspettivo, Drammatico
Riassunto: Come la vita di un clown che drammaticamente sospesa tra lo scherno e la malinconia regala divertimento agli altri, così la mia regala sogni a chi se li può permettere.
Disclaimer: Non sono miei, che si appartengono a meno che non abbiano venduto l'anima al diavolo...e per Brian non ci metterei la mano sul fuoco, è un dato di fatto. Non fanno queste cose...e non le hanno fatte...spero XD, come al solito non mi pagano ç.ç +sta diventando povera+.
Note:  Questa storia mi ha rapita alla prima riga e non mi abbandonerà fino a che non avrò scritto l'ultima, è una favola triste che albera nel mio cuore e nel mio sangue, è una favola cattiva che distrugge i sogni di chi la vive.


Lady Of Flowers

Il motivo per cui mi trovo qui ora, esattamente all'incrocio di una strada che credevo non avrei mai più dovuto percorrere - quella che porta direttamente alla vita dalla quale ero fuggito raccontandomi di non avere rimpianti - è la madre di Matthew.

Il giorno in cui me la ritrovai di fronte, chiusa nel suo cappotto marrone, le braccia incrociate mentre mi aspettava per strada, la prima cosa che pensai fu -ora anche le signore per bene si mettono ad andare a troie? - ma evidentemente mi sbagliavo, lei non era lì per comprare del sesso che l'avrebbe fatta sentire di nuovo la ragazzina che il marito non vedeva più in lei, era lì per me, mi stava aspettando combattendo contro il freddo coperta solo da quel cappotto, un paio di guanti e una cuffia che le stava veramente male ma che la rispecchiava in quello che era, una madre preoccupata in un posto in cui non avrebbe mai pensato di doversi trovare.

Quella sera il cielo era coperto di nubi, neanche l'ombra di stelle affacciate a illuminare la notte, solo una pallida luna fremeva come la luce di una candela nel buio che avvolgeva Londra. Continuavo a fissare quella donna che camminava intrusa nel mio mondo guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa, qualcuno o forse entrambi. Non ho mai amato le notti senza stelle, mi ricordano ogni volta che agli incubi non serve che dormi per venirti a trovare, riposano dentro di te ogni minuto, aspettando solo il momento giusto per accoglierti nel loro mondo.
Fumando una sigaretta che si bruciava tra le mie dita, tra le mie labbra, nel riflesso dei miei occhi, guardavo la madre di Matthew sollevare lo sguardo fino alla finestra alla quale ero appoggiato, fissavo quegli occhi privi di voglie e disperazione, ricolmi di disprezzo e preghiere senza voce incrociare i miei, la mia dolce Alice non aveva ancora ritrovato la strada di casa, forse per questo era stata lei ad addentrarsi nei sogni della bambina che non voleva guardare la realtà, per cercare lo stregatto che impazzito voleva tenerla per sempre con se, con l'inganno e i tranelli e i finti sorrisi, nel suo paese delle meraviglie.
Non avrei mai creduto possibile che qualcun altro potesse possedere il medesimo colore, quell'azzurro limpido che ti raccontava sogni e non incubi, che ti circondava di ghiaccio bollente come nel più poetico degli ossimori.

Lasciai la sigaretta accompagnandola nella sua caduta, attento al momento in cui la fiamma si sarebbe spenta, per un secondo più vivida che mai, proprio come quando stai per svegliarti e l'incubo che ti faceva compagnia, per un secondo è così reale da lasciare ferite insanguinate.

*****

Non mi sono mai interessato a quale fosse la situazione dei miei clienti, se avessero una moglie, un marito, dei figli o dei genitori che si preoccupavano non vedendoli rincasare se non al mattino presto. Matthew non faceva la differenza, non avevo domande da rivolgergli, lasciavo che fosse il suo sguardo a porre quelle che lui aveva per me limitandomi a lasciarlo scivolare sul mio corpo, lasciando si soffermasse ogni volta su un punto diverso, catturato da una luce che io non ero in grado di scorgere.
Era già accaduto che qualcuno venisse a reclamare il suo amato alla mia porta, ognuno di loro aveva un modo di bussare diverso, chi violentemente sembrava cercasse di buttarla giù prima ancora di ricevere una risposta, chi invece bussava con lacrime cadute in picchiata sul pavimento freddo del pianerottolo, Merylin non aveva avuto bisogno di lacrime e mani pesanti, le era bastato quello sguardo per convincermi a scendere nel freddo di quella notte priva di stelle.
Lasciai i miei incubi a riposare tra le lenzuola ancora calde e la raggiunsi coprendomi di un cappotto fatto di piume finte tanto quanto la spavalderia della mia camminata mentre le andavo incontro.

"Ha trovato il suo passatempo per la serata signora?" un breve inchino, un leggero sbattere di piume.

"Non sto cercando nessun passatempo, sei Brian non è vero?"

"Quel nome non è più il mio da molto tempo, qui mi chiamano Clown Boy"

"Non mi importa quale sia, io voglio solo che tu sparisca senza lasciare nessuna traccia, nessun indirizzo e nessun nome dopo essertene andato, voglio che non resti nulla di te, se potessi cancellare i ricordi lo farei"

Erano parole così cariche di rancore...eppure non erano state quelle a ferirmi, davanti a me si poneva una figura di donna così mingherlina, talmente agitata da lasciarti pensare che far comprendere il suo discorso le sarebbe costato la vita, chiunque avendocela di fronte in quello stato le sarebbe scoppiato a ridere in faccia, ma nonostante questo io riuscivo solo a pensare "ecco com'è una madre", in lei si leggeva così chiaramente quanto le fosse costato presentarsi lì, in quel quartiere, alla mia porta, davanti all'uomo che aveva rinchiuso suo figlio in un mondo che non esiste e non lasciava che tornasse da lei.
Avevo così tanta voglia di distruggerla, di toglierle dagli occhi quell'amore che ancora una volta, non conoscevo e soprattutto, non capivo.

Mi avvicinai con le mani affondate nelle tasche, pronto a ribattere a qualunque accusa avesse avuto il coraggio di portarmi.

"Sa, benchè il mio lavoro sia quello di ubbidire a qualunque richiesta, stavolta proprio non mi va, non se non mi darà un buon motivo per farlo"

"Voglio che lasci andare Matthew"

"Non lo sta trattenendo nessuno"

"Sai benissimo che non è così, io non ho 18 anni, non sono un ragazzino sprovveduto, in te non vedo promesse, non vedo l'allettanza del proibito, non vedo..."

"E cos'è che vede signora? Perchè il suo bambino per farsi scopare da me qualcosa deve pur aver visto, per lasciare che il mio cazzo entrasse nella sua bocca deve esserci stato un motivo, signora, ma quel motivo non sta a me scoprirlo, è dovuta venire fino a qui per avere una sola possibilità di liberare suo figlio? La verità è che se si trova in una gabbia ci si è rinchiuso da solo e ha preferito colorarne le sbarre di oro così lucido da essere accecante, così che la tentazione di scrutare l'esterno non potesse raggiungerlo"

Quando vidi una lacrima trascinare il nero che contornava i suoi occhi fino alle guance, seppi di aver vinto, l'avevo distrutta, ed era stato semplice, era bastato parlarle di quella verità che si raccontava di sapere e poter affrontare.

"Vada da suo figlio se vuole che apra quella gabbia, io non ho mai avuto delle chiavi che funzionassero per le serrature di Matthew, forse lei può trovare quella giusta"

Il suo silenzio durò a lungo, attorno a noi riuscivo a sentire distintamente i rumori della città, i motori delle macchine, le chiacchere, le sportelle di un auto che si chiudevano alla fine di una contrattazione, la musica che usciva dai locali ai lati dei marciapiedi, i singhiozzi trattenuti nel tentativo di parlare della donna che avevo di fronte.

"Io amo mio figlio"

"Lo so" era vero, potevo leggerlo l'amore che provava per lui, così come potevo leggere la paura di perderlo, eppure non riuscivo a capirlo, nella mia vita avevo amato solo una persona, ed ero riuscito ad abbandonare anche lui, il suo profumo, la stanza che dividevamo e coloro che ci avevano uniti dandoci la vita, avevo lasciato tutto quello e non volevo che qualcuno riuscisse a farmelo rimpiangere, neanche gli occhi azzurri di una madre preoccupata.

Le voltai le spalle accendendomi una sigaretta, una volta amavo il sapore che la nicotina mi lasciava sulla lingua, la capacità di darmi quel senso di stordimento, un lieve giramento di testa, il fumo che appanna la vista, colorando tutto di un pallido grigio che sembra in grado di congelare ogni cosa; ma come tutte le cose che ami, prima o poi diventano solo abitudine, semplici gesti meccanici che compi perchè l'hai sempre fatto, sempre allo stesso modo, sempre con lo stesso ritmo.

Mi incamminai sul marciapiede lasciandomi alle spalle una donna con un cappotto marrone, un paio di guanti e una cuffia che le stava davvero male, nella mia testa restavano solo i suoi occhi a raccontarmi delle parole che la sua bocca non era riuscita a pronunciare.

*****

Fissare quella porta dal lato opposto della strada ancora una volta, sentirmi di nuovo il quattordicenne che restava fuori per minuti che sembravano ore, vagliando tutte le possibilità di fuga da quella casa nella quale non sentivo mai il bisogno di fare ritorno, fino a scartarle una per una, passo dopo passo, inserendo la chiave, ascoltando il primo click che indicava lo scatto della serratura, il secondo e poi le mie mani che abbassavano lentamente la maniglia e la mia voce che annunciava ancora una volta che ero tornato a casa e che stavo salendo in camera mia, altri passi e una diversa maniglia da abbassare, meno pesante, meno cigolosa al tatto.
Chissà se hanno cambiato la serratura.
Essere qui ora, appoggiato a quello stesso muretto che mi ospitava ad ogni rientro da scuola ha un qualcosa di vagamente ironico, perché neanche adesso ho davvero voglia di entrare, quindi è inevitabile che io mi domandi per quale motivo ho guidato fino a qui allora, cosa sono venuto a fare se ancora una volta mi manca il coraggio per farli, quei pochi passi.
Ma ora una porta si sta aprendo e io sono qui, a fissare le persone che ne stanno uscendo e sembra tutto così lontano e inavvicinabile e sbagliato…per me.
Una biondina che sembra non essere mai cresciuta è la prima a varcare quella soglia, tiene per mano una bambina, ricci capelli neri a incornicire il viso paffuto di luna piena, quella felice di luna, che non ha nulla da chiedere se non il continuare la sua esistenza esattamente com’è. So benissimo chi è quella bambina, così come so chi sarà il prossimo volto che si affaccerà nel freddo che circonda da sempre la mia città, Barry esce accompagnato da mio padre, il suo profumo mi investe come se non mi avesse mai abbandonato, come se non avessi mai smesso di indossare quella vecchia felpa che mi riscaldava durante la notte, quando non potevano essere le sue braccia a farlo, non è vero che comprendi il valore di una persona solo quando la perdi, io quanto Barry valesse per me l’ho sempre saputo, è stata l’unica persona che io abbia mai amato, l’unico per il quale non avevo pretese da avanzare e l’unico che le soddisfava tutte, il suo profumo era l’unico motivo per fare quei passi e aprire quella porta, ma lui se ne sta andando un’altra volta e dietro di se lascia il sorriso di mio padre, un sorriso che non ho mai visto rivolto a me, o forse, solo, non l’ho mai voluto vedere. So che mi ha cercato, che ha pregato chiunque di dirmi - se mi avesse visto - che dovevo tornare a casa dai miei genitori, che ero troppo giovane per farcela da solo, che mancavo a mia madre, che quello era il mio posto. Ho ignorato ogni cosa, i bambini che fuggono da casa non vogliono attenzioni, vogliono uno schiaffo e un bacio e un Grazie a Dio , non hanno bisogno dei discorsi coerenti di un adulto per convincersi a ritornare sui propri passi.
Io avevo avuto un discorso razionale e l’avevo dimenticato perdendo lettera dopo lettera un passo dietro l’altro.
Chissà se Barry pensa ancora a me.
Lo vedo chinarsi, prendere in braccio sua figlia che gli somiglia così tanto, darle un bacio sulla guancia, stringere la mano a nostro padre indicando la macchina parchegiata lì di fronte con un cenno del capo a sua moglie, e poi alzare lo sguardo e incrociare il mio, stringere gli occhi per non cedere all’impulso di un’illusione, sgranarli quando si rende conto che sono ancora qui e non svanito nel nulla, che gli sto sorridendo come il quattordicenne che scendeva la sera quando la porta si apriva un’altra volta e sapeva che ne stava entrando l’unica persona per la quale quei passi valessero la pena, so che mi sta ancora fissando mentre gli volto le spalle e mi incammino per la direzione opposta, chiavi diverse che tintinnano ad ogni oscillazione nelle mani, passo deciso che mi porta verso un altro luogo, uno di quelli in cui non possono raggiungermi, uno di quelli solo miei.
Chissà se troverò mai il coraggio per aprirla di nuovo, la porta di casa.

Salgo in macchina raccontandomi di stare tornando a casa, a Londra, nel mio quartiere, l’asfalto scorre veloce sotto la pressione dei miei piedi, i pensieri un po’ più lenti si affacciano alla mia mente, i miei occhi restano fermi su un paio identici ai miei, ma molto più forti, occhi che non sanno di donna, ma di coraggio e parole scolpite e profumo di uomo.

placebo, muse, placebo/muse, fangirl:e

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