The Clown Boy

Jan 19, 2009 21:46

Titolo: The Clown Boy
Fandom: Placebo/Muse
Stato: Conclusa 6/10
Capitoli precedenti: 1 2 3 4 5
Raiting: NC-17
Genere: AU, introspettivo, Drammatico
Riassunto: Come la vita di un clown che drammaticamente sospesa tra lo scherno e la malinconia regala divertimento agli altri, così la mia regala sogni a chi se li può permettere.
Disclaimer: Non sono miei, che si appartengono a meno che non abbiano venduto l'anima al diavolo...e per Brian non ci metterei la mano sul fuoco, è un dato di fatto. Non fanno queste cose...e non le hanno fatte...spero XD, come al solito non mi pagano ç.ç +sta diventando povera+.
Note:  Questa storia mi ha rapita alla prima riga e non mi abbandonerà fino a che non avrò scritto l'ultima, è una favola triste che albera nel mio cuore e nel mio sangue, è una favola cattiva che distrugge i sogni di chi la vive.



White Flake

Ricordo che ero in macchina con mio padre, nonostante fossimo soli avevo preso posto sul sedile posteriore con la scusa che sarei stato più comodo, non fece particolari obbiezioni, non vi avrei dato retta in ogni caso.
Aspettavo che uscisse dal tabaccaio con le sigarette in mano, sapevo che ne avrebbe fumata una appena fosse apparso, non fumava mai in macchina diceva che non voleva che i sedili prendessero l'odore sgradevole del tabacco, in compenso baciava mia madre con le labbra ancora impregnate del sapore delle sigarette. Era comico pensare che da un certo punto di vista aveva più riguardo per l'auto che verso mia madre.
Ricordo che mi rigiravo tra le mani il fiocco bianco che l'indomani sarebbe stato attaccato a quella stessa macchina, segno dei festeggiamenti per il matrimonio appena celebrato. Lasciavo che il nastro scorresse sulle dita, che scivolasse tra di esse in un movimento distratto mentre riflettevo su come sarebbero cambiate le cose allo scoccare delle 10 del mattino successivo.
Mio fratello si sarebbe sposato e l'unica persona per la quale valesse la pena restare se ne sarebbe andata fuggendo da una vita di perfezione che nemmeno odiava davvero, non quanto la detestavo io, non nello stesso modo morboso con il quale vi stavo attaccato lamentandomene come il bambino che ero.
Ascoltavo il classico rumore che producono i sedili in pelle ad ogni tuo movimento, gli occhi fissi sul nastro e la mente a vagare su un futuro incerto, un futuro che non volevo, portato da un passato fatto di eventi mai desiderati.

La mia era una bella vita, mio padre, un banchiere rispettato dai colleghi e gratificato dai superiori con stipendi sopra la norma, era quel tipo di genitore severo ma ragionevole che molti desidererebbero, era sempre vestito di tutto punto "l'immagine conta più delle parole" diceva, aveva maledettamente ragione. Mia madre era la classica donna dedita alla casa e al buon vicinato, gli piaceva vestirsi sobriamente ma alla moda, credo che su quella pelle siano passate tutte le firme esistenti.
Adorava organizzare pranzi di beneficenza dove un'accozzaglia di stronzi con la puzza sotto il naso si riuniva sperperando denaro per "quei poveri ragazzini disadattati del terzo mondo" senza sapere davvero cosa significassero quelle parole, erano le stesse persone che quando vedevano un barbone si coprivano la bocca con un fazzoletto di seta e si allontanavano guardinghi stringendo, chi la borsetta chi il portafogli, un pò più stretto a se.
Poi c'era Barry, ci somigliavamo come due gocce d'acqua dicevano, non l'avevo mai notato. Lui è molto più forte di me, se una cosa non va bene non se ne lamenta, cerca di cambiarla, bestemmia per la fatica, ma ce la fa sempre. Quando ero piccolo dormivo spesso con lui, papà non lo sapeva e mamma fingeva di trovarlo sconveniente ma se ne guardava bene dal dirglielo. Barry mi rivolgeva un "devi deciderti a crescere Brian" ma poi sollevava il lenzuolo e si faceva un pò più in là lasciandomi lo spazio per potermi accomodare. Smisi di farlo quando avevo 9 anni, da quel giorno mi decisi che mi sarei fatto bastare una sua felpa come pigiama, che per dormire insieme ero grande, e poi "Barry russi sai?".

Avevo 14 anni quando si sposò distruggendo con un "sì" tutte le mie certezze. Credevo che finchè avessi avuto quella felpa e il suo odore vicino a me sarebbe andato tutto bene, non mi sarei lasciato andare e sarei resistito alla tentazione di mandare a farsi fottere mamma e le sue cene di beneficenza e sarei riuscito a restare il secondo genito troppo piccolo per essere notato, troppo caro ragazzo per dare problemi.
Invece i problemi si piazzarono davanti al volto di mio padre non appena le certezze crollarono e tentai di incollarle con la cipria. Mi prese a ceffoni la prima volta che vide sulle mie labbra tracce di rossetto tolto poco accuratamente.
Smisi di usare lo struccante.
Credevo che la mia fosse una forma di protesta contro un padre che non mi capiva, in realtà era solo la rivolta di un ragazzino che di farsi capire non aveva nessuna voglia.
Nella mia mente l'idea di andarmene era sempre più radicata, neppure Barry che aveva annusato quello che mi girava nella testa era riuscito a fermarmi.
Furono proprio le sue parole a convincermi che era la cosa giusta da fare. Venne più volte a trovarci a casa, spesso solo, più raramente con la moglie che timida e poco socievole si limitava a sedersi al tavolo ascoltando quello che i miei famigliari avevano da dire, che fossero le lagne di mia madre che si chiedeva "cosa ho fatto di male per meritarmi un figlio così!? Perchè non può essere come te Barry!?" o le risposte burbere di mio padre che zittivano in un momento le lagne di una e la rassicurazioni dell'altro che "è solo una fase, vedrai che non è niente di grave e poi mamma che male c'è se a Brian piace truccarsi? E' la sua vita che se la gestisca come meglio crede!", mio padre lo sapeva che non era una fase e sapeva che la vita non me la sapevo gestire affatto, perciò zittiva tutti e sbatteva la porta del suo studio rinchiudendosi nel suo amato silenzio.
L'ultima volta che Barry entrò in camera mia avevo ancora addosso il trucco e a coprirmi la pelle c'era una sua vecchia felpa dimenticata a casa durante il trasloco. Mi disse che mi donava il nero intorno agli occhi, che ne risaltava il verde; si mise a ridere e avrei voluto lasciarmi trascinare anche io da quella risata ma quello che uscì dalla bocca fu la cosa più sbagliata che potessi dire "Non ha più il tuo odore sai?" seguii il movimento delle sue labbra mentre si chiudevano, quello delle sue guance che si rilassavano nascondendo le fossette nate poco prima, gli occhi non li guardai, percepii con troppa intensità quello che gli stava succedendo per avere il coraggio di fissarli, avessi potuto mi sarei tappato le orecchie tanto forte da farmi male per non sentire quel "mi dispiace" uscire dalla sua bocca con tanta sincerità.
Furono le sue scuse a farmi decidere, perchè avevo visto il suo sorriso mentre pronunciava quel "sì" fissando la ragazza bionda che gli stava davanti pochi mesi prima, avevo visto la felicità genuina che si faceva avanti nei suoi occhi velando i miei di lacrime alle quali non avrei permesso di scendere.
Decisi di andarmene perchè non volevo che rinnegasse i momenti felici della sua vita per un ragazzino che non sapeva accontentarsi di quello che aveva e sbatteva i piedi per ottenere di più, senza sapere cosa quel di più fosse davvero.

Amavo il profumo di Barry, ancora oggi saprei riconoscerlo se lo sentissi. Lo amavo perchè sapeva di forza, sapeva di sicurezza e di coraggio, Barry sapeva di uomo. Il mio profumo invece era sempre stato quello di una donna, io sapevo di debolezza, sapevo di fragilità e di incostanza, avrei voluto che un pò del suo profumo mi accompagnasse mentre varcavo la soglia di casa per quella che sarebbe stata l'ultima volta.
Non sapevo ancora che l'odore si determina in base alle esperienze.
Ero solo un ragazzino che sapeva di donna e non conosceva niente del mondo ma credeva di sapere tutto.

Erano passati tre anni da quando chiusi quella porta alle mie spalle assicurandomi di non lasciare nessuna traccia, non perchè non volessi essere seguito e riportato a casa o perchè sapevo che sarei rimasto deluso quando avrei capito che non sarebbe venuto nessuno, semplicemente non ero sicuro che sarei riuscito a sopportare un'altra volta gli occhi di Barry mentre fissavano tristi il mio volto.
Per questo non lasciai nessuna traccia quando scappai, mi limitai a chiudere bene la porta, accarezzare il cane e scavalcare il basso cancelletto che proteggeva timidamente l'entrata principale.

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Quando raccontai a Micah della mia fuga volle sapere ogni cosa, mi viene ancora da ridere se ripenso ai suoi occhi quella volta, quando mi decisi a rispondere a una delle sue domande, calando uno strato dell'accurato trucco di scena.
Sapevo che sarebbe successo e non provai ne disagio ne fastidio, per una volta mi sentii un fratello maggiore che raccontava una storia al piccolo di famiglia, Micah aveva gli stessi occhi di quel fratellino che non avevo mai avuto ma che avevo sempre impersonato alla perfezione.

"Come hai trovato i soldi per tirare avanti?" avrebbe dovuto infastidirmi la sua curiosità, avrebbero dovuto farlo i suoi occhi incastonati in quella faccia che parlava sorridendo di argomenti tutt'altro che divertenti. Non lo faceva, avevo imparato a conoscerlo o forse sarebbe più giusto dire ad accettarlo, vedevo i suoi sorrisi e li prendevo per quello che erano, non derisione, non ironia semplicemente sorrisi.

"Facendo quello che faccio ora"

"Questa è sempre l'ultima spiaggia"

"E se per me fosse stato il primo e unico porto in cui attraccare?"

"Non lo è stato" questo invece mi faceva irritare, la sua totale sicurezza senza possibilità di repliche mi irritava, e mi faceva venire voglia di contraddirlo per il puro gusto di farlo, infantile lo so, ma non potevo farne a meno.

"Invece la prima cosa che feci appena fuori casa fu proprio dirigermi alla stazione e fare un pompino a un vecchio inginocchiato nei cessi"

"Se non vedessi i segni di lievi ustioni sui tuoi polsi potrei anche crederci" le indicò con l'indice scostandolo appena dal mento che cedette di qualche millimetro alla perdita del sostegno della mano intera. Assumere quella posa da puttanella, pancia sotto e gambe sollevate a ciondolare distratte, nel letto in cui aveva appena scopato con chi puttana lo era davvero fino in fondo era semplicemente assurdo, così come lo era l'atteggiamento con il quale accettava le mie stronzate.

"E tu che ne sai che non è stato qualche cliente più esigente di altri a farmele?"

"lavapiatti o cameriere al fast food della città vicina?"

"Fanculo Micah"

Mi alzai accompagnato dalla sua risata divertita, lo sentii muoversi nel letto e seguirmi fino al bagno.
Lasciai che appoggiasse le mani sui miei fianchi e osservai i nostri corpi vicini nello specchio di fronte.
Micah era bello, non c'è altro modo per definirlo che renda altrettanto bene il modo in cui appare ai miei occhi, era bello di quella bellezza che ti mozza il fiato e ti fa pensare che doopotutto, se resta davanti ai tuoi occhi, dell'aria potresti anche fare a meno. Lo era sempre, ma il momento in cui lo preferivo era dopo il sesso, i suoi capelli resi di un nero ancora più scuro della nottestessa dal sudore che li bagnava e li appiccicava al suo corpo, i suoi occhi con le pupille dilatate ancora dilatate dal piacere appena provato sembravano poter inglobare tutto, perfino l'orizzone...ma quello che preferivo erano le labbra, così rosse, così scure da far pensare che potessero marchiarti in eterno dal calore rovente che dovevano sprigionare.

"Ti manca mai casa tua? Ti manca mai l'odore di tuo fratello?

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Mi irritava perchè aveva 18 anni e molte più esperienze.
Aveva 18 anni e mi trattava come se ne avessi 12.
Aveva 18 anni e conosceva il mondo molto più di me.

Aveva la mia stessa età e sembrava che nelle sue tasche ci fossero tutte le risposte alle domande che non avevo il coraggio di pronunciare.

Nelle mie tasche allora c'erano solo un accendino e un pacchetto di sigarette, di risposte nessuna traccia.

placebo, muse, fangirl: erisa, placebo/muse

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