itolo: The Clown Boy
Fandom: Placebo/Muse
Stato: Conclusa 7/10
Capitoli precedenti:
1 2 3 4 5 6Raiting: NC-17
Genere: AU, introspettivo, Drammatico
Riassunto: Come la vita di un clown che drammaticamente sospesa tra lo scherno e la malinconia regala divertimento agli altri, così la mia regala sogni a chi se li può permettere.
Disclaimer: Non sono miei, che si appartengono a meno che non abbiano venduto l'anima al diavolo...e per Brian non ci metterei la mano sul fuoco, è un dato di fatto. Non fanno queste cose...e non le hanno fatte...spero XD, come al solito non mi pagano ç.ç +sta diventando povera+.
Note: Questa storia mi ha rapita alla prima riga e non mi abbandonerà fino a che non avrò scritto l'ultima, è una favola triste che albera nel mio cuore e nel mio sangue, è una favola cattiva che distrugge i sogni di chi la vive.
Lullaby for a Child
"Ricordare non è doloroso, quello che ti uccide è la consapevolezza che dimenticherai"
Perdita.
Prima o poi tutti nel corso della vita subiscono una perdita
. L'importanza a livello emotivo della cosa è definibile solo dal singolo individuo, ma che accada è semplicemente certo.
Qualcuno perde i genitori.
I figli.
Altri perdono degli amici.
E qualcuno la persona che ama.
Non è come avviene, che sia una morta improvvisa, una che ti aspetti, un azione che sai di non poter perdonare, un litigio che non fa altro che far scoppiare una bolla di rancori repressi per troppo tempo e troppo grandi per essere ancora trattenuti, importanti non sono nè il modo, nè la tempistica, nè da quanto sapevi che sarebbe accaduto, lo è invece il dolore che ti avvolge quando succede, un dolore freddo, una consapevolezza che ti ustiona il cuore.
Ma per l'essere umano il dolore è vitale poichè è molto più semplice lasciarsi cullare da esso che non da una felicità che ti obbliga a convivere con un'ansia costante attendendo la fine dello stato di grazia in cui ti trovi e a chiederti quando tornerai a tormentanti per motivi apparentemente vitali, ma già ritrovarti a pensare ciò significa tormentarsi, e alla fine te ne rendi conto, che nel dolore dopotutto, ci vivi meglio.
Gli umani ricercano da sempre la felicità ma amano troppo il dolore per avere una sola possibilità di trovarla.
Non sono mai stato bravo a reagire alle perdite, non sono mai stato bravo a raccogliere i cocci che si lasciano dietro.
Quando mio padre se ne andò, avevo 7 anni, dire che andò a comprare le sigarette e non si fece più vedere suonerebbe un cliché abbastanza ridicolo, eppure è quello che accadde.
A ripensarci adesso potevamo tranquillamente aspettarcelo, si erano sposati troppo giovani e la vita non è come nelle canzoni, non finisce con i due che affrontano le difficoltà aiutati dal loro grande amore, mio padre era il classico tipo che le difficoltà le evitava, ci girava intorno, distoglieva lo sguardo e passava oltre.
Ma alla fine contro il muro ci devi sbattere prima o poi e mio padre non aveva mai avuto martelli abbastanza forti per abbatterlo, aveva sempre preferito voltarsi e tornare indietro.
Non era mai cresciuto davvero, era sempre rimasto il ragazzo di campagna innamorato della vita, costantemente alla ricerca di un avventura che sotto sotto sperava di non dover mai realmente affrontare.
Così, dopo 7 anni dalla mia nascita restammo io e mia madre.
Credo di essere cresciuto piuttosto bene nonostante la perdita, o perlomeno è quello che dicono tutti sorridendo all'indirizzo di mia madre. Quello che non ho mai capito è come sia cresciuta lei, non parla mai di lui e io evito accuratamente l'argomento, non voglio sentirla parlarne male, o forse avrei più paura di sentirle dire che le manca, di leggerle negli occhi che non è vero che "è stato meglio così", non sono ancora abbastanza forte per incollare i pezzi del suo cuore, non ho una colla sufficentemente resistente.
Non saprei dire se mi manca, non saprei dire se avrei preferito che restasse nonostante tutto o se è stato meglio vedere quella porta chiudersi alle sue spalle.
Ma sono sicuro di averlo cercato, di aver cercato in ogni uomo che ho visto assieme a mia madre una traccia di quello che era lui, di quello che di lui ancora ricordavo, di quello che credevo fosse reale ma che forse non era mai stato realmente.
Ho sentito in miliardi di film la frase "non esiste un genitore che non ami il proprio figlio", mi chiedo come ancora possano lasciar dire certe frasi di fronte agli esempi che abbiamo.
Un genitore può tranquillamente non amare il proprio figlio, non è una questione genetica ne emotiva, semplicemente è così.
Io ne ho la prova, ne ho avuto la riconferma ad ogni compleanno, Natale, festa comandata per la quale correvo alla cassetta della posta aspettandomi un fottuto biglietto che non è mai arrivato.
Forse è per questo che ora fuggo costantemente ogni volta che qualcuno a cui mi affeziono da un minimo sintomo di abbandono, lo faccio talmente di corsa e in modo così netto da spaventare me per primo, eppure non riesco ad impedirmelo, ogni volta che accade mi ritrovo a pensare "prima che sia tu a farlo è meglio che ti lasci io, ci soffrirò sicuramente di meno" e corro nella direzione opposta.
Per questo non mi sono mai spiegato perchè, nonostante Brian avesse cercato di allontanarmi così tante volte io mi ostinassi comunque a stargli accanto.
Mi sono detto spesso che il motivo era che lo sapevo in fondo, non mi avrebbe mai amato e cercare un amore di questo genere era facile, era senza rischi, non avrebbe lasciato cicatrici impregnate di un sale perennemente votato a farle bruciare.
Correndo verso un orizonte sconosciuto che non avrei mai trovato potevo continuare a correre senza curarmi di quello che incontravo, potevo concentrarmi sul mio obiettivo e ignorare tutto il resto.
Speravo di non trovarlo mai quell'orizzonte, perchè non si sa mai, una volta toccato potrebbe scomparire e lasciarti in un nulla troppo buio per poter essere affrontato.
A quel tempo mi aggrappavo al mio amore per Brian, o alla presunzione di un ragazzino che crede di sapere cosa sia l'amore, ma non mi importava sapere cosa fosse realmente, ossessione, amore o solo l'attaccamento morboso di un bambino alle sottane di una donna matura che ti guarda con gli occhi di chi sa cosa troverai nella vita, ma non è abbastanza cattivo per sbattertelo in faccia.
Volevo solo avere qualcosa a cui aggrapparmi con le unghie, qualcosa da difendere con i denti.
Una dolce bugia che potesse cullarmi con la sua triste ninna nanna durante le notti che fredde avvolgevano la mia pelle.
La notte in cui restai ad osservare Brian mentre dormiva, mi limitai a memorizzarne le palpebre, pensai che i suoi occhi chiusi erano forse più belli, ti davano il tempo di scorgerne gli spostamenti che da sveglio non riuscivi a catturare. Potevi soffermarti sul vibrare delle ciglia mentre qualche sogno o incubo vi scorreva sopra lasciando i segni che ogni giorno andavano ad adornarne il contorno.
Gli occhi di Brian quando mi fissavano erano cattivi ed erano velati di una tristezza che un ragazzino non poteva capire. Per questo mi cullavo nel mio dolore, mi cullavo nel suo costante rifiuto e non rinunciavo all'idea che anche lui potesse innamorarsi di me.
Attaccarsi a un sogno è molto più facile che sbattere contro la realtà, fosse anche che a quel sogno ti ci devi aggrappare con i denti per non fartelo portare via, fosse anche che ti faccia sanguinare di un colore così scuro da sembrarti l'ultimo che vedrai, che alla luce, in fondo, non ci hai mai creduto davvero.
Quella notte mi venne in mente una ninna nanna che sussurrai nella mia mente sperando che il suo sonno durasse ancora ore.
La ninna nanna che scrissi per lui venne spazzata via dallo sbattersi delle sue ciglia, dall'infrangersi del verde dei suoi occhi nell'azzurro dei miei. Pensai che ero stato uno stupido a sperare che un colore solo nostro potesse nascere davvero, quel verde non si sarebbe mai mescolato nell'azzurro, così come il suo cuore non sarebbe mai stato mio, quello che potevo avere da lui era uno scambio di fluidi che a conti fatti non era quello che volevo davvero, quello che mi veniva concesso da quella donna matura erano verità che poco alla volta mi avrebbero distrutto.
Quella notte scappai lasciando al mio cuore solo la pelle a proteggerlo dal vento che cercava di demolirne il battere forte mentre correvo verso casa, mentre correvo sapendo che mi sarei chiuso nella mia stanza, avrei coperto il mio corpo di lenzuola troppo pesanti per la stagione che correva, ma non abbastanza calde per impedirmi di tremare.
Avrei fissato a lungo la luna cullandomi in un dolore sordo che di lacrime disturbate da singhiozzi non aveva bisogno.
L'avrei guardata chiedendole di darmi un colore diverso, uno che a Brian sarebbe piaciuto, dalla mia bocca sarebbero uscite parole di preghiera rivolte a quella sfera di luce che ti illumina ma non ti ascolta davvero, ma volevo sapesse che senza di lui non credevo di riuscire a vivere e che nemmeno mi interessava farlo, volevo dirle che i singhiozzi non disturbavano il mio pianto perchè l'aria non voleva entrare e quindi non sarebbe neanche uscita.
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Non volevo vederlo.
Non volevo più sentirmi rifiutato in quel modo, non volevo più sentirmi sbagliato, non di nuovo, non volevo avercela con me stesso per aver allontanato, per essermi fatto odiare da qualcun'altro senza neanche essere riuscito a capirne il motivo.
Avevo una paura fottuta, ero così spaventato e mi sentivo così piccolo, mi sembrava di essere tornato quel bambino che si attacava al braccio della madre per paura che scappasse anche lei, che vedesse in me quella cosa sbagliata che doveva aver visto anche mio padre.
Eppure l'aria non voleva entrare, per quanto mi sforzassi di respirarne gli odori, non sentivo nulla, non sentivo il sollievo di un respiro profondo né lo sforzo della corsa né la quiete della serenità, non sentivo nulla.
Non riuscivo a respirare e camminavo per le strade della mia città.
Non respiravo e parlavo con gli amici come se niente fosse, di quanto fosse cresciuta Emily la ragazza più carina della classe, di quando Erik fosse fortunato perchè poteva scoparsela, di quanto fosse stronzo il prof di matematica e di quanto rompessero i coglioni i nostri genitori riguardo a milioni di cose, uguali per ognuno di noi.
Mi ci abituai a non respirare, mi abituai a non sentire nulla, a ridere e scherzare e arrabbiarmi senza Brian, a non pronunciare più il suo nome nella mia mente, a non considerarle cose importanti.
Fu settimane dopo che mi resi conto di quanto mi fosse mancato il suo nome, esattamente quando qualcun'altro lo pronunciò subito dopo il mio.
Camminare a vuoto mi era sempre piaciuto, era così che mi piaceva trascorrere i rari pomeriggi di sole che questa città ci regalava, camminavo senza una meta e lasciavo che l'aria mi passasse addosso insieme alla luce. Credo di aver sempre amato di più il giorno della notte, forse è anche per questo che Brian non riusciva a capirmi e nemmeno io lui.
E' stato in uno di questi miei vagare che lo incontrai, lo riconobbi da dietro mentre avanzavo nella sua stessa direzione, i capelli neri un poco più lunghi di quanto ricordassi si scontravano con i suoi fianchi, le mani ondeggiavano abbandonate lungo il suo corpo.
"Micah..." credetti di averlo appena sussurrato, ero così sorpreso di vederlo che neanche mi resi davvero conto di aver pronunciato il suo nome.
"Matt, che ci fai qui? E' un pò che non ti vedo gironzolare intorno a Brian"
Fu come morire.
Sentire pronunciare il suo nome da labbra che lo conoscevano così bene, molto meglio di quanto lo conoscessi io, molto più di quanto a me avrebbe mai permesso.
Fu come morire.
Ricordo la sensazione ancora oggi, il cadere lento di tutti i miei castelli, il loro infrangersi chiaro e netto nel mio cervello, i tagli che produssero i vetri sul mio cuore.
"Beh? Che ti succede ora?" mi fissava dritto negli occhi con la testa leggermente inclinata e le mani sui fianchi, non so se avesse imparato a fare la ragazzina di notte, ma quell'atteggiamento era così discostante dal suo aspetto che riuscì a farmi sorridere nonostante tutto.
"Nulla, sono solo stupito di vederti qui"
"Anche io, è parecchio che non ti fai vedere al quartiere" riprese a camminare facendomi cenno con la testa di seguirlo.
"Già, ho avuto da fare"
"A quanto pare qualcosa di molto importante e impegnativo"
"Già"
"Più importante di Brian?" più importante di respirare?
"Brian non vuole vedermi, mi limito ad accontentarlo"
"Sembri proprio un ragazzino innamorato" lo disse ridendo di gusto, percui da bravo ragazzino arrossii e mi arrabbiai abbastanza da voler puntualizzare
"Non sono un ragazzino!!!"
Mi fissò a lungo mentre il sorriso sbiadiva lentamente dalle sue labbra, gli occhi si assottigliavano mentre l'espressione cambiava, non rideva più, non sorrideva neppure, non saprei decifrare quello che doveva pasargli per la mente in quel momento, ma restai a fissarlo in attesa.
"Già, forse sei solo innamorato"
Mi lasciò lì annunciando che era arrivato, accennò un saluto con la mano e si dileguò dentro un vicolo illuminato solo da un insegna rossa sulla quale lampeggiava la scritta "Heaven&Hell".
Quella sera camminai fino al Guilty, restai fuori appoggiato al muro che costeggiava il locale, ormai era già abbastanza freddo perchè il mio fiato si colorasse di bianco mentre cercavo di scaldarmi le mani infreddolite.
Pensai che ero davvero uno stupido e un masochista, non c'era nessun motivo perchè io tornassi di nuovo lì se non quello di farmi del male, avevo deciso che non l'avrei più rivisto e dopo neanche due mesi ero di nuovo lì in attesa che apparisse.
Mi sentivo veramente un idiota, eppure non me ne andai, non ricordo neanche quanto tempo rimasi ad aspettare appoggiato a quel muro.
Di quella notte ho impressa solo la sua figura fasciata dal cappotto nero mentre usciva dal locale, le sue mani così pallide da risultare perfette in quel contrasto di colori, la sigaretta tra le dita di una e l'accendino tra quelle dell'altra, ancora le sue labbra che aspiravano decise il fumo e lo rilasciavano poco dopo sporcando di grigio il bianco dei suoi respiri e ricordo che fu in quel momento che ripresi a respirare, che sentii nel petto l'aria che graffiava i polmoni, sulla lingua il suo sapore che sapeva sempre troppo di tabacco e troppo poco di lui e mi resi conto che ero davvero un idiota, solo uno stupido avrebbe davvero creduto di potersi abituare a non sentire, solo un ragazzino avrebbe creduto di poterne fare a meno del sapore di Brian.
Restai a fissarlo fino a quando non si voltò verso di me, allontanò la sigaretta dalle labbra e la gettò al suolo calpestandola con la punta del piede sinistro.
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Mi sentii esattamente come quel mozzicone, bruciato, finito, intrappolato e senza la minima speranza di fuggire.
"Ciao Matthew"