When Everything Feels Like the Movies - 1. Another World

Feb 14, 2011 17:13

Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean (accenni Sam/Jessica).
Rating: NC17.
Charapter: 1/5.
Beta: koorime_yu.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Sesso descrittivo, Slash, Spoiler!.
Words: 2811 (fiumidiparole ).
Summary: Durante una ricognizione di un capanno abbandonato, Dean viene attaccato da qualcosa e si risveglia in un universo in cui sua madre è viva, suo fratello Sam è diventato avvocato e si è sposato, mentre lui - a quanto pare - lavora come vigile del fuoco e vive con Castiel.
Note: Il titolo è un verso di “Iris” dei Go Go Dolls, colonna sonora di City of Angels, i cui versi tradotti accompagneranno tutta la fic.
Dedica: Ringrazio la Pucciah, queenseptienna , per aver realizzato questo bellissimo bannerino ♥, e quel tesoro di  koorime_yu  per avermi seguito, sostenuto e spronato nella settimana di stesura in cui questa storia ha risucchiato la mia vita, ed essersi disturbata perfino a betarla!




DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

When Everything Feels Like the Movies
1. Another World

E rinuncerei per sempre a toccarti
Perché so che tu mi senti in qualche modo
tu sei molto più vicina al paradiso di quanto possa mai esserlo io
E non voglio andare a casa proprio adesso.

La strada era deserta, l’unico rumore percettibile era il frinire delle cicale; nuvole fumose ogni tanto oscuravano la luna, gettando ombre fitte sulla campagna. Dean avanzò lentamente, il respirò che si condensava in sbuffi bianchi come il vapore di un treno ottocentesco, appannando il finestrino dell’Impala. Aguzzò la vista nel tentativo di scorgere qualche costruzione, ma non c’era nulla oltre l’erba alta e gli sporadici campi coltivati.
Il cellulare squillò e lui lo aprì senza nemmeno controllare il nome sul display, sapeva già chi era. «È mezzanotte e tutto va bene»¹ ironizzò.
«Trovato qualcosa?» la voce di suo fratello lo raggiunse attraverso l’etere.
«Nulla, c’è solo erba e ghiaia qui. Sei proprio sicuro che il posto sia questo?» domandò scettico.
«Sì, tre ragazze sono scomparse in quella zona nell’ultimo mese, tutte tra i venti e trent’anni» confermò Sam.
«Forse stavolta non si tratta di nulla di soprannaturale, potrebbe essere un banale serial killer» osservò Dean.
«La polizia e la scientifica non hanno trovato nulla, brancolano nel buio» replicò il fratello minore.
«Be’, al momento, anche io» sbuffò Dean, poi un banco di nuvole si mosse e la luce lunare cadde su una forma scura «Aspetta un attimo, ho visto qualcosa… sembra un vecchio capanno abbandonato».
«Sì, ho trovato alcune foto» in sottofondo sentì il ticchettio dei tasti del computer che venivano cliccati «Le forze dell’ordine l’hanno già setacciato senza risultati».
«Vado a controllare» annunciò il maggiore.
«No, ehi, vieni prima a prendermi!» esclamò l’altro.
«Tranquillo, Sammy, do solo un’occhiata» lo rassicurò.
«Non fare follie. Tieniti in contatto» si raccomandò il fratellino.
«Sì, mamma» rispose Dean, prima di chiudere la chiamata e parcheggiare la macchina.
Scese dall’auto impugnando saldamente la torcia in una mano e la pistola nell’altra, strisciò lungo il profilo dell’edificio fatiscente sino alla porta e spinse il vecchio pannello di legno per dare uno sguardo all’interno. Il cigolio da film dell’orrore gli strappò una smorfia esasperata; mai che le loro ricerche li portassero in qualche posto di lusso, eh!
Camminò lungo un oscuro corridoio polveroso che puzzava di muffa; su un tavolaccio scorse una vecchia lampada ad olio. Ovviamente l’elettricità era un’utopia.
Sembrava il posto perfetto in cui trovare un fantasma, ma questi non si preoccupavano di far scomparire le tracce del loro operato e, se si fosse trattato di vampiri o altre creature simili, gli sarebbero già stati addosso, avendo fiutato il suo odore o sentito i suoi passi sin da prima che entrasse là dentro.
Sì fermò ad un angolo, percependo un brivido familiare scorrere lungo la propria schiena: la sensazione di essere osservato. Avanzò ancora di qualche passo, infilandosi in una stanzetta alla sua destra e riparandosi subito dietro il muro, in attesa. Cercò di ridurre il proprio respiro per renderlo il più fievole possibile e tese le orecchie, ma dal corridoio non arrivò alcun rumore.
Poi, d’un tratto, una mano sottile e coperta di tatuaggi sbucò alle sue spalle e s’impose sulla sua fronte, sfrigolando di lampi azzurri.
“Figlio di puttana!” fu l’unica cosa che ebbe tempo di pensare, prima che tutto si facesse buio.

*°*°*°*°*

E tutto quello che posso gustare è questo momento
E tutto quello che posso respirare è la tua vita
E prima o poi finirà
Voglio solo che tu stanotte non mi abbandoni.

Un fulmine tagliò l’aria, rombando come un centinaio di carri da guerra e Dean si svegliò di soprassalto, portandosi seduto sul letto. Si guardò attorno confuso, non riuscendo a capire, in un primo momento, dove si trovasse. Lentamente mise a fuoco la camera da letto e le finestre dietro cui si agitava una vera e propria tempesta.
La stanza aveva un’aria famigliare: somigliava a quella di Lisa, nella sua casa di Cicero, ma il posto accanto a lui era vuoto e dal bagno attiguo non proveniva alcuna luce. Ad ogni modo, come c’era arrivato lì? Era certo di trovarsi da tutt’altra parte, prima, in un luogo molto meno confortevole.
Scese dal letto, posando i piedi nudi sul tappeto, si affacciò sul corridoio e percorse i pochi passi che lo separavano da un’altra porta, quella della camera di Ben. La stanza, però, non era affatto come la ricordava: era adibita ad ufficio.
Stava per accendere la luce e controllare meglio, quando sentì dei rumori provenire dal piano inferiore. Non poteva sbagliarsi, qualcuno si stava muovendo in cucina, al buio.
Con passi felpati, tornò i camera da letto e frugò sotto il proprio cuscino in cerca della pistola, ma non trovò assolutamente nulla lì. Accigliato, si chinò per controllare sotto al materasso, ma nemmeno là c’era qualcosa. Si guardò attorno, alla ricerca di un oggetto da poter usare come arma, però non vide nulla di utile. Solo allora si risolse a scendere disarmato e affrontare il mostro, o i ladro, o chiunque-diavolo-fosse, a mani nude.
Scese le scale in punta di piedi, senza produrre il minimo rumore, aiutato dall’essere scalzo e, non appena arrivò nell’ingresso-soggiorno, scorse la sagoma scura di un uomo vicino al tavolo. In un attimo gli fu alle spalle e gli passò un braccio attorno al collo, stringendo sin quasi a soffocarlo.
«Chi diavolo sei, eh?!» ringhiò.
«Dean… sono io… sono io» gracchiò l’uomo con una voce che, benché strozzata, lui riconobbe subito.
«Cass?! Che sta succedendo, che ci fai qui?» esclamò, lasciandolo andare.
L’amico tossi ed allungò una mano verso l’interruttore della luce. «Ma che ti è preso?» domandò dopo qualche attimo, tenendosi la gola con una mano «Sto via due giorni e dimentichi che viviamo insieme?»
Dean stava per chiedergli di che diamine stesse parlando, quando notò una cornice appesa al muro, proprio di fianco a lui. Quattro foto vi erano incorniciare, scattate evidentemente in consecuzione: la prima mostrava Castiel seduto su una coperta distesa s’un prato, rilassato e sorridente come non l’aveva mai visto. Indossava perfino degli abiti comuni - erano davvero un paio di jeans, quelli? Jeans, sul serio?! - e aveva le braccia tese indietro per reggere il proprio peso. Nella seconda lui, Dean, compariva alle sue spalle e lo tirava a sé. Nella terza - per poco gli occhi non gli uscirono fuori dalle orbite - si stavano baciando appassionatamente e nella quarta avevano le fronti posate l’una contro quella dell’altro e si sorridevano con tenerezza.
Uoh! Li c’era decisamente qualcosa che non andava. Quello che lo aveva attaccato nel capanno fatiscente gli era sembrato un Djinn, ma tutta quella follia sembrava più che altro opera del perverso senso dell’umorismo di un Trickster. Per un attimo sospettò perfino che la vera causa fosse quel cazzone di Gabriel, tornato chissà come in vita, perché lui non poteva - no, davvero, non poteva! - desiderare una cosa simile, nemmeno nel proprio subconscio!
Una mano si posò s’un suo fianco ed un’altra raggiunse il suo viso con una familiarità che non aveva mai avuto con Castiel prima d’ora. «Stai bene?» lo interrogò questi «Sei pallido».
Dean si ritrasse istintivamente, finendo con le spalle al muro ed osservando l’angelo con occhi allucinati. «Sì… benissimo!» squittì allarmato.
Cass corrugò la fronte in un’espressione che gli era ben nota. «Hai bevuto per caso? O hai sbattuto la testa al lavoro? Questo pomeriggio mi era sembrato che stessi bene, quando ti ho chiamato». Solo allora lui si accorse che, sotto il solito trench beige - al momento fradicio di pioggia - l’angelo indossava un semplice maglione ed un paio di pantaloni dal taglio classico e stropicciati.
«È… è così… davvero. Ho solo… solo fatto un brutto sogno» smozzicò teso, sperando che quello in cui si trovava al momento fosse il brutto sogno.
«Un incubo?» domandò gentile l’altro riuscendo ad usare un tono neutro, come se non parlasse di una cosa infantile, e lo tirò per una manica, trascinandolo con sé sul divano.
«Uhm… già» rispose Dean, cercando con discrezione di mettere un po’ di distanza tra se e Castiel.
Lui sembrava davvero preoccupato e tutti i suoi movimenti non gli erano affatto passati inosservati. «Ti va di parlarmene?»
Si guardò attorno, cercando qualcosa di familiare in quell’ambiente. Sul tavolino c’era una foto che raffigurava un gruppo di uomini vestiti da pompieri e, dopo qualche secondo, riuscì ad individuarsi tra di essi. In un’altra cornice c’erano di nuovo loro due, stavolta semplicemente abbracciati - grazie a Dio! - e… Cass portava un paio di occhiali da sole?!
Notò una chitarra elettrica poggiata vicino al muro - sua, forse? - e mensole stracolme di libri, saggi e romanzi - di sicuro non suoi. Un grande impianto stereo e una TV al plasma occupavano la parete attrezzata davanti a lui, insieme a pile di CD di musica rock e metal. La cucina era bianca, abbastanza ordinata, con un frigo immenso, e i divani erano neri, di pelle.
Gli piaceva tutto quello, si rese conto, e infine si accorse anche che Castiel stava ancora aspettando una risposta.
«Io… uhm… non ci crederai mai, è davvero folle» cominciò nervoso, giocherellando con un buco nei pantaloni da ginnastica che indossava - e non era vestito così, prima, Cristo! Una birra, aveva l’urgente bisogno di una birra.
Cass sembrò leggergli nel pensiero, perché si alzò e prese dal frigo due bottiglie della sua marca preferita. Le stappò e gliene porse una, prima di tornare a sedersi.
«Grazie» bisbigliò sorpreso e l’amico - o amante? La sola parola aveva un gusto strano - gli fece un sorriso d’incoraggiamento. Dean era certo di non aver mai visto nulla di simile sul suo viso, se non si considerava la versione drogata del 2014 gentilmente offertagli dalla Zachariah Airline.
Prese un sorso di birra, cercando di schiarirsi i pensieri. Quanto poteva dirgli senza sembrare pazzo o ubriaco?
«In questo sogno, ero… una specie di… acchiappafantasmi» esordì incerto.
«Tipo Ghostbuster?» domandò Castiel, cominciando a sembrare divertito. Anche solo il fatto che sapesse chi fossero i Ghostbuster lasciò Dean senza parole.
«Sì, qualcosa del genere» si riscosse, scuotendo la testa «Io e Sammy davamo la caccia ai mostri».
«Tu e Sam, sul serio?» chiese lui, sforzandosi di contenere una risata.
«Sì, perché?» replicò allarmato. Forse lui e suo fratello non andavano d’accordo, com’era accaduto l’ultima volta che aveva incontrato un Djinn?
«Dai, te lo immagini a rischiare di sporcarsi uno dei suoi perfetti completi da avvocato?» ribatté Cass ed era così genuino, così naturale, così umano, che Dean rimase incantato.
«Be’, non era poi tanto divertente» distolse lo sguardo, perché cominciava a sentirsi ancora più a disagio. Si chinò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e prese un altro sorso di birra. «Noi… eravamo rimasti soli. La mamma era morta quando eravamo bambini e nostro padre ci aveva cresciuto come cacciatori di mostri» spiegò.
Castiel gli posò una mano sulla spalla, accarezzandogli la schiena con fare rassicurante. «Era solo un sogno. Tua madre sta bene e, al momento, Sam starà ronfando sonoramente tra le braccia di Jessica».
Dean si voltò a guardarlo, osservandolo con attenzione nel tentativo di trovare qualche traccia dell’uomo che conoscenza, oltre l’evidente somiglianza fisica. I suoi occhi, quegli occhi blu grandi ed empatici erano sempre gli stessi, capaci di entrargli dentro come se vedessero oltre il suo viso, dritto nella sua anima.
«Ed io? C’ero anche io, nel tuo sogno?» lo riscosse proprio lui, con aria curiosa.
«Tu eri un angelo» ammise.
«Un angelo?» chiese conferma Cass, aprendosi in un sorriso enorme.
«Sì, un vero e proprio angelo, con ali e tutto il resto, anche se tremendamente sfigato» confermò.
«Be’, sono felice che certe cose non cambino» sussurrò lui, chinandosi per baciargli una tempia.
Dean cercò di non irrigidirsi e, troppo distratto da quel gesto, solo in un secondo momento registrò le sue parole. «Che intendi dire?» lo interrogò guardingo.
«È da quando ti ho salvato la vita, il giorno che ci siamo conosciuti, che dici che sono il tuo angelo, no? Quando hai saputo il mio nome ti sei detto assolutamente convinto di ciò» rispose come se fosse ovvio, strofinando il naso tra i suoi capelli.
“Oh…!” pensò stupidamente. «Tu… mi hai salvato la vita?»
«Sì, eri sbronzo e hai attraversato la strada senza controllare se stessero arrivando delle macchine ed io ti ho afferrato per le spalle e ti ho tirato via appena in tempo, prima che un autobus t’investisse»* raccontò Cass, scostandosi da lui per cercare i suoi occhi «Ma che succede, non te lo ricordi?» concluse allarmato «Sei proprio certo di non esserti fatto male durante il tuo turno?» continuò, tastandogli la testa come in cerca di bernoccoli.
“Afferrato per le spalle” si ripeté Dean, pensando alle impronte bruciate delle sue mani che portava ancora addosso. «Scusa, sto bene, davvero. È… è solo che… quel sogno sembrava così reale, capisci? Mi sento un po’ confuso» inventò.
«D’accordo» rispose l’altro, non troppo convinto «Andiamo a letto, dai, sono distrutto. Di certo domani ti sentirai meglio» lo incitò alzandosi e tirando in piedi anche lui.
Letto? Tipo stesso letto?! In men che non si dica, si ritrovò di nuovo nel panico. Non aveva mai condiviso un materasso nemmeno con Sam, figurarsi con qualunque altro uomo! A dire il vero, non aveva dormito tanto spesso nemmeno con delle donne, se non si considerava Lisa; di solito quelle che si portava a letto se ne andavano poco dopo averlo fatto, oppure era lui a sparire.
Per sua fortuna, Castiel non sembrava interessato a fare nulla di strano. Una volta arrivati in camera si spogliò stancamente, indossò una maglietta ed un paio di pantaloni di una tuta, simili ai suoi - o forse proprio suoi, a giudicare dal fatto che gli stavano un po’ lunghi - e poi si buttò a peso morto sulle coperte.
«Quella dannata conferenza sulle religioni moderne è stata una delle cose più noiose a cui abbia mai assistito» sbuffò, mentre il suo corpo rimbalzava un paio di volte per il contraccolpo. Si voltò verso di lui con aria perplessa, vedendolo ancora fermo sulla cornice della porta. «Che fai ancora lì? Vieni, dai» aggiunse e scostò le lenzuola, infilandosi sotto di esse, poi mantenne un lembo sollevato con un braccio, in sua attesa.Dean si avvicinò cautamente, sedendosi sul letto con circospezione, come se avesse paura che potesse pungerlo. «Perché ci sei andato, allora?» domandò nel frattempo, lasciandosi coprire.
Tirando le coperte, Cass gli lasciò un braccio attorno ai fianchi e posò la testa sul suo stesso cuscino. «Sai com’è, devo tenermi aggiornato. Almeno così preparerò delle lezioni più interessanti per i miei allievi, il prossimo semestre» spiegò.
Un insegnante, quindi; Castiel era un professore di teologia. Dean sorrise, trovandolo perfettamente adatto a lui.
«E tu, com’è andata la tua giornata?» gli chiese il docente.
«Oh, sai, il solito…» borbottò, tenendosi vago.
«Niente vite da salvare, solo gattini incauti saliti troppo in alto sugli alberi?» lo sbeffeggiò un po’, pizzicandogli un fianco.
«Già, oggi sembrava di lavorare nella dannata Pleasantville»² ironizzò, tutto sommato contagiato dall’atmosfera giocosa. Cass ridacchiò sommessamente, ed il fatto che capisse le sue battute era una cosa a cui Dean non si sarebbe abituato tanto presto.
Poi successe: Castiel si sporse verso di lui e, in un attimo, posò le labbra sulle sue. Fu un contatto morbido e breve, tanto che lui non ebbe nemmeno il tempo di scostarsi, e si ritrovò ad osservare i suoi occhi blu ad un soffio di distanza dai propri.
«Non mi avevi ancora salutato, sai?» gli fece notare lui, e il tutto fu meno traumatico di quanto si fosse mai immaginato. In fin dei conti erano solo un paio di labbra, un paio di labbra pallide e carnose niente male, considerò tra sé.
Cass si allungò dal suo lato del letto per spegnere la luce, schiacciandosi un po’ su di lui. «Buonanotte» mormorò poi, tornando a distendersi.
Dean lo sentiva vicinissimo a sé, poteva percepire il suo respiro accarezzargli il collo e le sue gambe che s’infilavano tra le proprie con naturalezza. Il cuore gli batteva tanto forte per la tensione, che ebbe timore che da un momento all’altro quell’uomo - sì, era una un uomo, definitivamente umano - se ne sarebbe accorto, e non sapeva dove diamine mettere le mani.
Ci pensò lui a scegliere al suo posto, perché chinò le testa sin quasi a lasciare il cuscino, poggiando la fronte sul suo petto, e lo strinse ancora un po’ di più a sé. «Mi sei mancato» lo sentì mormorare Dean, da qualche parte vicino alle proprie clavicole, e a quel punto gli sembrò davvero stupido - se non addirittura da stronzi - starsene lì rigido come un mattone. Gli passò un braccio sotto le spalle, in modo che potesse fargli da guanciale, e con l’altro lo attirò più vicino. Poi rimase semplicemente così, finché il respiro di Castiel non si fece profondo e regolare.
Lui, invece, rimase sveglio a lungo, cercando di capacitarsi di quell’assurda situazione. Aveva visto solo di sfuggita la mano che l’aveva attaccato in quel capanno e gli era parso appartenesse ad un Djinn, ma ora che si ritrovava in questa realtà così distorta - lui gay? Poteva esistere eresia più grande? - non ne era più tanto sicuro. Se avesse avuto quella certezza, si sarebbe tolto la vita per risvegliarsi nella realtà, come aveva fatto la volta precedente, però - stando le cose com’erano al momento - rischiava di uccidersi per non risvegliarsi mai più, in qualunque realtà.
Tutto ciò che poteva fare era far buon viso a cattivo gioco e cercare di capire di più sul luogo - universo parallelo, sarebbe stato più corretto dire - in cui si trovava. Presto o tardi avrebbe avuto degli elementi validi su cui prendere la propria decisione.

1. Robin Hood (Disney, 1973).
2. Pleasantville (1998).
* Se vi incuriosisce il primo incontro tra Dean e Castiel, date un occhiata qui: Icontro-Scontro.

Capitoli sucessivi:
2. Another Life.
3. Another Family.
4. Another Story.
5. Another Ending.

Potete trovarla anche su:
EFP;
Fire&Blade;

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