Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean (accenni Sam/Jessica).
Rating: NC17.
Charapter: 3/5.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo Romantico.
Warning: Sesso descrittivo, Slash, Spoiler!.
Words: 4621 (
fiumidiparole ).
Summary: Durante una ricognizione di un capanno abbandonato, Dean viene attaccato da qualcosa e si risveglia in un universo in cui sua madre è viva, suo fratello Sam è diventato avvocato e si è sposato, mentre lui - a quanto pare - lavora come vigile del fuoco e vive con Castiel.
Note: Scritta sul prompt 06. “Lasciami entrare” preso dal
mio set di
syllablesoftime . Il titolo è un verso di
“Iris” dei Go Go Dolls, colonna sonora di
City of Angels, i cui versi tradotti accompagneranno tutta la fic.
Capitoli precedenti:
1.
Another World.
2.
Another Life.
DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù
When Everything Feels Like the Movies
3. Another Family
E non puoi combattere contro le lacrime che non scendono
O contro quel poco di verità nelle tue bugie
Quando tutto sembra come nei film
Sì, tu sanguini solamente per capire se sei viva.
Uno sbuffo seccato riempì la stanza e Dean si voltò incuriosito a guardare Castiel, fermo davanti allo specchio nel tentativo inutile di allacciarsi bene la cravatta.
«Devo proprio indossarla? In fondo è solo una cena in ristorante» lo sentì lamentarsi.
Sorrise e lo raggiunse alle spalle, sostituendo le proprie mani alle sue e facendogli in un attimo un nodo perfetto. Anche il suo Castiel era totalmente incapace con i vestiti, portava sempre la cravatta pendente e storta, come se non sapesse nemmeno di averla addosso. Mentre lo faceva voltare per aggiustare il nodo, ricordò con un pizzicò di nostalgia quando Sam era ancora bambino e lui gli aveva insegnato a legarla, proprio in quel modo, come aveva fatto loro padre a suo tempo con lui.
«Ecco fatto» concluse, dando un ultimo colpetto al nodo e abbassargli il collo della camicia, prima di chiudergli il bottone della giacca.
«Grazie» Cass posò le labbra sulle sue e Dean si ritrasse con fare giocoso.
«Sta’ buono,» lo redarguì dandogli un bacio s’una guancia ben sbarbata «altrimenti non usciamo più di qui» Gli fece l’occhiolino e poi afferrò le chiavi della macchina, prima di scendere di sotto.
Mise in moto e fece ruggire il motore un paio di volte con il solito affetto, mentre l’altro ragazzo frugava nel cruscotto per cercare un’altra cassetta.
«Cosa stai mettendo?» domandò lui sospettoso.
«Queen?» propose Castiel e il pilota grugni in approvazione.
Le prime note di “Bohemian Rhapsody” accarezzarono l’aria, mentre lui si dirigeva verso casa dei suoi genitori.¹ Sulla strada, ad un isolato di distanza dalla meta, riconobbe il suo fratellino alla guida di un anonima monovolume blu ed un ghigno mefistofelico si dipinse sulle sue labbra mentre accelerava e lo superava sfrecciando, facendogli derisoriamente ‘ciao-ciao’ con la mano. Cass al suo fianco scosse il capo, ma lui riuscì benissimo a vedere che stava sorridendo.
Parcheggiò davanti alla casa dei suoi ricordi e, dopo qualche minuto, Sam fece altrettanto.
«Stavi gareggiando con me?» domandò quest’ultimo quando scese dalla propria auto.
«Certo che no, ti stavo solo facendo mangiare la polvere» replicò il maggiore dei Winchester, regalandogli la sua migliore occhiata da “non c’è nessuno più figo di me”.
«Molto maturo. Come se io potessi correre con un bambino a bordo» commentò il fratello minore alzando gli occhi al cielo. «Sai, avrei dovuto capirlo molto tempo fa che sei gay, sembra sempre che tu debba dimostrare qualcosa».
«Sammy, tu non andresti veloce nemmeno se fossi tutto solo su una Ferrari,» Dean gli passò un braccio attorno alle spalle con l’aria di stargli per spiegare qualcosa di fondamentale «e questo perché, anche se sei etero, sei una donnicciola».
«Cazzone» lo apostrofò l’altro in uno sbuffo.
«Puttana» restituì lui.
«Fesso» concluse Sam.
«Bambini, la ricreazione è finita» li richiamò Castiel che intanto, da vero gentiluomo, aveva aperto la portiera a Jessica, che stringeva un fagotto di coperte tra le braccia.
«Sì, Prof!» cinguettarono loro due in coro, senza nemmeno mettersi d’accordo, cosa che fece sospettare a Dean che fosse una scena che si ripeteva di frequente.
Ipnotizzato, si avvicinò alla cognata e le posò un bacio sulla guancia, prima di sbirciare tra le coperte, dove era accoccolata una figurina addormentata. Scorse un ciuffo di capelli castani come quelli di Sammy, ma ricci come quelli di Jess, e due guance paffute e rosate che incorniciavano una bocca piccola e imbronciata.
«Si è addormentato mentre eravamo in viaggio» bisbigliò la mamma e una manina sbucò dalle coperte per sfregare le palpebre chiuse, prima che due grandi occhi verdi Made in Winchester, appannati di sonno, si schiudessero e guardassero il mondo per poi richiudersi pigramente.
«Su, smettila di guardarlo come se non l’avessi mai visto prima, andiamo dentro» suo fratello gli mise una mano sulla spalla, incitandolo ad entrare in casa.
Suonarono il campanello e Mary, la loro madre, aprì la porta dopo qualche minuto, mentre si agganciava un orecchino.
«Oh, perdonatemi ragazzi, non sono ancora pronta» si scusò e baciò tutti su una guancia, abbracciandoli brevemente. Era scalza, indossava un bell’abito di raso nero che esaltava le sue forme sempre avvenenti, ed i lunghi capelli biondi erano acconciati in un elegante chignon. «Dean, potresti…?» domandò, voltandosi di spalle e porgendogli i due lembi di un collier di perle perché glielo chiudesse.
«Certo» rispose lui prontamente e ne approfittò per osservarla ammaliato, come faceva le rare volte che - a causa di tutti i disastri in cui lui e Sam si erano cacciati negli ultimi anni - aveva occasione di rivederla. Ogni bambino, da piccolo, è convinto che la loro mamma sia la più bella del mondo, ma lui - diamine - avrebbe continuato a pensarlo per sempre. «Sei splendida, mamma» Non si vergognò di dirglielo, mentre la stringeva di nuovo a sé, approfittandone per ispirare il suo profumo, che era uno dei ricordi più vividi che aveva di lei.
«Grazie, tesoro. Sei così dolce» rispose Mary, accarezzandogli una guancia e regalandogli un sorriso luminoso. «Metto le scarpe, prendo il cappotto e possiamo andare» aggiunse poi, all’indirizzo di tutti.
«Io… uhm… vado un attimo in bagno» disse invece Dean e non appena fu lontano dagli occhi della sua famiglia, ne approfittò per salire al piano superiore e fare il giro della casa.
Entrò in quella che era stata la sua stanza con una certa esitazione, ma non era affatto come la ricordava. Niente orsacchiotti, macchinine o quadri di angeli appesi alle pareti celesti. Era la tipica camera di un adolescente, l’intonaco dei muri quasi sparito dietro ai poster di ragazze vestite in maniera discinta e band musicali. Riconobbe i segni di tutte le cose a cui si era davvero appassionato quand’era più giovane e perfino cose a cui avrebbe voluto dedicarsi ma per le quali non aveva mai avuto tempo, come il basket.
Quando si trovò davanti alla porta della camera che, per pochi mesi, era stata di Sammy, si sentì prendere da una scarica di vera e propria tensione. Abbassò la maniglia con circospezione, ma non c’era proprio nulla da temere, anche quella aveva tutte le tracce del tipico adolescente medio americano. Sarebbe quasi stata simile alla sua, se non per il fatto che lui e suo fratello avevano sempre avuto gusti differenti. Le pareti della sua camera erano tappezzate di cartoline di città e paesi stranieri, puzzle e articoli di giornali scientifici e naturalistici. E sulla scrivania, là dove nella sua stanza c’era un impianto stereo enorme, in quella di Sam cappeggiava un computer quasi avanguardistico, per gli anni a cui risaliva.
«È proprio un nerd» borbottò, prima di richiudere la porta.
Già che c’era, ne approfittò davvero per usare il bagno. Fece quel doveva e poi si fermò davanti al lavandino per lavarsi le mani, ma quando alzò lo sguardo sul suo riflesso, il profilo di una ragazza comparve alle sue spalle, ferma vicino alla parete piastrellata. Per poco non gli venne un colpo, fortunatamente era sin troppo avvezzo a questo genere di apparizioni.
La giovane donna era pallida, vestita d’abiti sporchi e strappati in più punti, e i capelli scuri le pendevano flosci e untuosi ai lati del viso. Non stava facendo nulla, si limitava a fissarlo.
Dean si voltò, sperando di riuscire a parlarle, ma quando guardò il punto in cui l’aveva vista apparire, era già scomparsa. Turbato, scese di nuovo di sotto e la prima cosa che fece fu prendere il cellulare per cercare su internet notizie della casa; incidenti avvenuti là dentro da quando era stata costruita, prima e dopo che i suoi genitori l’avevano acquistata, e cose simili.
«Ehi, ci hai messo una vita! Ma che stavi combinando?» lo apostrofò Sam.
«Uh, mi ero perso sul viale dei ricordi» ironizzò, dedicandogli un ghigno fuggevole.
«Zio Dean!» gridò una vocina e poi qualcosa si schiantò letteralmente contro le sue ginocchia.
Lui abbassò lo sguardo per incontrare due enormi occhi verdi che lo fissavano dal basso con aria estatica. A quanto pareva il piccolo John si era svegliato.
Il bambino alzò le braccia verso di lui, aprendo e chiudendo le manine per farsi prendere in braccio. «Brum-brum, brum-brum!» esclamò, aggrappandosi alla sua giacca, quando Dean lo tirò su.
Oh, era davvero bellissimo. Doveva avere circa due anni - mese più, mese meno - e somigliava così tanto a Sammy quand’era piccolo da essere strabiliante, ma c’era una dolcezza nei suoi lineamenti che era tutta di Jessica. Gli baciò la fronte e Johnny si avvinghiò al suo collo, posandogli le labbra su una guancia e producendo un rumore che, più che un bacio, sembrava il tappo di una bottiglia che saltava. Poi Dean se lo mise sulle spalle, tenendo le mani sulla sua schiena per non farlo cadere, mentre il bimbo si aggrappava ai suoi capelli.
«Pronto, mostriciattolo?» domandò, già puntando l’uscita, quando suo fratello lo fermò.
«Ehi, ehi, aspetta un attimo! Non è un giocattolo, Dean, stai attento!» cercò di fermarlo.
«Sono benissimo in grado di badare ad un moccioso, Samantha» replicò. “Chi credi che ti abbia tirato su?!” avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne, perché quello non era il suo mondo.
Sam gli regalò un espressione scettica e lui gli restituì un’occhiataccia, prima di alzare lo sguardo sul suo nipotino.
«Ehi, Johnny, pronto? Al mio tre scappiamo» annunciò, godendosi la faccia di suo fratello che si tingeva di shock. «Uno… due… tre!» Prima che il padre apprensivo potesse aggiungere qualunque altra cosa, Dean scattò in avanti, godendosi la risata cristallina del bimbo nelle orecchie. Era un suono così bello che avrebbe voluto ascoltarlo per sempre.
Sammy cercò d’inseguirli, ma ormai loro erano già saliti in macchina.
«Un giro dell’isolato,» promise Dean «poi te lo riporto» E Sam dovette arrendersi.
Inserì le chiavi nel quadro e accomodò meglio Johnny sulle proprie gambe. «Allora, prima lezione di guida: mani sul volante» lo istruì e il bambino ubbidì prontamente. «Io metto in moto e tu giri, okay?» propose, tenendo comunque le proprie pronte a raddrizzare la rotta nel caso che il piccolo esagerasse.
Suo nipotino annuì con una aria così seria, concentra e da Sam, che quasi lo fece scoppiare a ridere. Mise in prima, schiacciò l’acceleratore, facendo salire i giri e conquistando un gridolino entusiasta da parte del bambino, poi lasciò andare la frizione e avanzarono lentamente di qualche metro.
«Muovi questa» ordinò, spostando una delle manine del piccolo e posizionandola sul comando delle frecce per fargliela azionare, e i suoi occhioni verdi s’illuminarono quando scattò il tipico rumore ticchettante. «Ora gira» continuò, facendogli voltare leggermente il volante per immettersi nella corsia. «E adesso raddrizza, così. Bravissimo!» lo elogiò, guadagnandosi un sorriso tutto denti.
Fortunatamente era un quartiere di villette a schiera, tranquillo e poco trafficato, quindi poterono fare un giro lento dell’isolato senza infastidire nessuno e senza che nessuno li disturbasse. Una volta tornati al punto di partenza, guidò la mano di Johnny a girare le chiavi per spegnere l’auto e, quando tutto si quietò, il piccolo si rigirò tra le sue braccia, rapido e sgusciante come una saponetta, investendolo con lo sguardo più innocente e felice che avesse mai visto.
«Ancoa, ancoa!» esclamò, storpiando leggermente le parole.
«No, adesso non possiamo, dobbiamo andare al ristorante per la pappa» spiegò e il bimbo s’imbronciò immediatamente. «Magari più tardi» lo blandì Dean, non riuscendo a resistere. Aprì la portiera e lo fece scendere, prendendolo per mano mentre tornavano verso la porta di casa. «Oggi è il compleanno della nonna. Dobbiamo spegnere le candeline e cantarle la canzoncina. La conosci?»
«Gnogna!» biascicò suo nipotino, pensando a Nonna Mary. Quando raggiunsero gli altri, stavano intonando insieme “Happy Birthday to you”.
Sam era di sopra, a portare su i bagagli per il finesettimana che lui, sua moglie e suo figlio avrebbero trascorso lì, prima di tornare in Florida, dove abitavano adesso. Anche Mary non c’era, forse era salita con lui per mostrargli la camera che aveva preparato per loro. Jessica e Castiel, invece, erano seduti sul divano, chiacchierando animatamente, e lei ridacchiò quando li vide arrivare.
«Dean è pronto per diventare padre» osservò. «Non avete mai parlato di avere figli?»
Cass le rivolse uno sguardo stranito, poi si voltò verso di lui, non sapendo bene cosa rispondere. Dean lo raggiunse e gli si accomodò accanto, appollaiandosi sul bracciolo, mentre Johnny si arrampicava in grembo alla madre.
«Temo che ad entrambi manchino un paio di organi fondamentali per concepire un bambino, Jess» ironizzò. «E credo che nessuno dei due starebbe bene quanto te con il pancione».
«Oh, andiamo, siamo nel 2011, Dean!» gli ricordo lei. «Anche se non avete un utero, potete affittarlo. O adottare il bambino abbandonato da qualcun altro. Ormai queste cose sono all’ordine del giorno».
«Noi… uhm… non ci avevamo nemmeno mai pensato» ammise Castiel e l’altro ragazzo lo sentì tendersi istintivamente verso di lui, con una certa discrezione, in modo che non lo notasse nessun altro. Stava cercando il suo appoggio, non solo fisico, ma anche spirituale.
«Ci stiamo ancora godendo la vita da sposini» lo soccorse Dean, chiudendo il discorso.
Fortunatamente furono graziati dal ritorno di Sam e della mamma, che impedirono a Jessica d’insistere su quell’argomento imbarazzante. Suo fratello li raggiunse e prese il bambino tra le braccia, stringendolo a sé.
«Lo zio si è comportato bene?» domandò al piccolo, come se il responsabile della salute di entrambi fosse stato lui e non Dean.
«Grazie per la fiducia, Sammy, davvero mi commuovi» replicò lui sarcastico, facendo scoppiare una risata generale che alleggerì notevolmente l’atmosfera.
Mary, intanto, era rimasta sulla cornice della porta ad osservare la sua famiglia con sguardo amorevole. «Vorrei che vostro padre fosse qui» confessò con gli occhi lucidi.
Il maggiore dei Winchester s’incupì leggermente; la morte di suo padre era ancora un tasto dolente per lui. «Già, se n’è andato troppo presto. Ad ogni modo, non credo avrebbe fatto i salti di gioia alla scoperta che il suo primogenito è bisessuale e sta con un uomo» asserì.
«Oh, tesoro…» mormorò sua madre accostandoglisi. «L’incidente d’auto ce l’ha portato via, ma lui era molto fiero di te. Ci avrebbe messo un po’ a digerire il boccone, ma sono certa che alla fine avrebbe capito» cercò di rassicurarlo. «Cass è un ragazzo adorabile» concluse, regalando un sorriso a quest’ultimo, ma Dean non l’ascoltava già più, il suo cervello si era inceppato una manciata di parole prima.
“L’incidente d’auto” pensò, ricordando con estrema chiarezza quello che aveva mandato lui, suo padre e Sammy all’ospedale e che, col gentile intervento di Azazel, aveva - letteralmente - spedito John Winchester all’Inferno.
«Faremo meglio a sbrigarci o perderemo la prenotazione al ristorante» osservò suo fratello minore, richiamando la sua attenzione. Pochi minuti dopo erano tutti nelle rispettive macchine - sua madre era salita con Sam per tenere in braccio Johnny, che non voleva saperne di stare legato nel seggiolino - sulla via per la meta prefissa.
Dean, che stava in coda dietro alla macchina dei suoi familiari, prese una scorciatoia per evitare un paio di semafori. Sentiva su di sé lo sguardo insistente di Castiel, ma non aveva idea del motivo per il quale lo stava fissando e non voleva nemmeno saperlo. Era troppo distratto da tutta quella situazione per interessarsi a qualunque cosa passasse per la testa del compagno, teneva gli occhi fissi sulla strada, senza badare a nient’altro. Fu in quel momento che, in mezzo alla strada perfettamente sgombra, apparve di nuovo la ragazza che era comparsa nel bagno.
Le ruote stridettero sull’asfalto quando sbandò per evitarla, rischiando di andare a finire contro un albero e inchiodò di colpo, ad una manciata di centimetri dal tronco, appena in tempo.
Cass, accanto a lui, piantò le mani sul cruscotto, per bilanciare il proprio peso, sbalzato in avanti dall’improvvisa frenata di Dean. E ora respirava rumorosamente, in preda al panico.
Lui posò una mano sul suo petto, percependo il suo cuore battere fortissimo per lo spavento, e lo risospinse a poggiarsi allo schienale. «Stai bene?» chiese preoccupato.
«Sì… sì» rispose l’altro ragazzo dopo qualche secondo di shock «Che diavolo t’è preso?» gli chiese poi, osservandolo con occhi dilatati dal terrore.
«Io… non hai visto?» ribatté speranzoso e solo allora gettò un’occhiata allo specchietto retrovisore; ovviamente la ragazza non c’era più.
«Visto cosa?» replicò Castiel confuso.
«C’era… c’era un gatto» inventò, «È spuntato fuori dal nulla». Per sua fortuna, in quel momento Cass era stato troppo intento ad osservare lui, quindi non poté controbattere nulla. «Mi dispiace» aggiunse Dean, accarezzandogli i capelli quando si rese conto che si era proprio spaventato.
«È tutto okay, sto bene» lo rassicurò Castiel, tentando un sorriso. «È stato solo tutto molto improvviso».
«Bene, stiamo qui per un po’ e poi ripartiamo» decise lui e lo attirò a sé per fargli posare la testa sulla propria spalla. Ringraziò silenziosamente il cielo di avere buoni riflessi, aveva appena rischiato di ammazzare entrambi.
«Oh, non è necessario, Dean. Davvero, sto bene» cercò di divincolarsi, ma lui non lo lasciò andare.
«Shhh…» mormorò, prima di cercare la sua bocca con la propria.
Cass si arrese con un piccolo mugolio impotente e Dean fece durare il bacio per minuti interi. In qualche modo, quel contatto sembrò restituire lucidità e calma ad entrambi. Gli mordicchiò un’ultima volta il labbro inferiore, tirandolo appena, prima di scostarsi.
«Meglio?» chiese sollecito e Castiel si ritrovò ad annuire, concedendogli un sorriso piccolo piccolo; solo allora lui lo liberò dalla propria presa e rimise in moto la macchina.
Poco dopo arrivarono al ristorante, davanti al quale gli altri li stavano aspettando.
«Finalmente! Cominciavamo a pensare che vi foste persi» li accolse Sam.
«Dean ha preso una scorciatoia, ma abbiamo avuto un piccolo incidente: un gatto ci ha tagliato la strada all’improvviso. Ci siamo fermati un paio di minuti per riprendere fiato» spiegò Cass a mo’ di scusa.
«Oh, niente di grave, spero» intervenne Mary abbracciandoli.
«No, solo un attimo di panico» la rassicurò il maggiore dei suoi figli.
Nel mentre entrarono dentro e diedero il loro nominativo, e il cameriere lì guido ad un tavolo in fondo alla sala elegante. Il ristorante era di quelli particolarmente costosi, che richiedevano abbigliamento formale e modi fini; Dean si sentiva un pesce fuor d’acqua. Quando arrivarono gli antipasti e gli venne messo davanti un grazioso piatto di niente, alzò un sopracciglio con occhio critico.
«Bellissimo» commentò, osservando i tre gamberetti contati e decorati con altrettanti inutili spicchi di limone e gambi di sedano, del modico costo di un rene umano al mercato nero.
I suoi famigliari ridacchiarono concordi e Castiel gli mise una mano sul ginocchio, chinandosi su di lui per sussurrargli all’orecchio: «Il fastfood vicino a casa è aperto fino a mezzanotte».
«Uhm… ora capisco come mi hai conquistato» replicò in un bisbiglio compiaciuto.
«Ti ho raccolto dalla strada come un gatto sotto la pioggia» sorrise lui e Dean dovette trattenersi dal baciarlo lì davanti a tutti e sconvolgere la clientela
La cena proseguì tranquilla e suo fratello stava parlando del noiosissimo caso che stava seguendo al momento, quando all’improvviso e in contemporanea lui sentì la sua voce chiamarlo. Alzò la testa di scatto, mentre Sammy davanti a lui non smetteva di ciarlare ed in sottofondo sentiva la sua stessa voce urlare con tono disperato.
«Dean! DEAN!» continuava a sentire in un’eco lontana, al punto che si guardò attorno, come se potesse trovare la fonte di quelle grida.
«Qualcosa non va?» domandò Cass perplesso, notando il suo comportamento bizzarro e in quel momento tutto si acquietò ed il Sam davanti a lui fu l’unico Sam a parlare.
«No, nulla, mi era solo parso di sentirmi chiamare» rispose con disinvoltura, come se nulla fosse.
Cercò di non pensarci, ma gli eventi strani stavano diventando un po’ troppi. Com’era possibile, se era tutta opera di Gabriel? I fantasmi esistevano anche in quella dimensione perfetta? C’era qualcosa che proprio non quadrava. Solitamente gli spettri erano legati ad un luogo o ad un oggetto ben preciso, eppure quella ragazza gli era apparsa a casa di sua madre e nel bel mezzo della strada.
E poi c’era la visione dentro all’armadio della mattina e ora quello.
«Mamma, c’è mai stato un incendio o un incidente di qualche tipo, a casa nostra?» domandò all’improvviso, interrompendo le chiacchiere noiose di suo fratello. «Anche prima che tu e papà l’acquistasse» precisò.
«Non che io sappia» rispose lei meditabonda. «Perché?»
«Oh, nulla di che. L’altro giorno un collega più anziano mi ha accennato qualcosa in proposito, ma deve essersi sbagliato» inventò di sana pianta, approfittando del fatto che in quella realtà fosse un vigile del fuoco.
A pensarci bene, era un lavoro molto adatto a lui. I pompieri erano praticamente gli eroi della storia moderna, sottopagati per rischiare la vita ogni giorno e salvare le persone. Ovvero ciò che faceva lui ogni giorno, ma con un minimo di remunerazione.
“E a casa nostra non c’è mai stato un incendio” rifletté, ricordando le fiamme da cui era fuggito con Sammy tra le braccia quando aveva solo quattro anni. Avrebbe dovuto immaginarlo, visto che sua madre era viva e vegeta.
*°*°*°*°*
Alla fine, si erano davvero fermati da McDonald e avevano cenato come si deve, prima di rientrare a casa.
«Diamine, odio le occasioni formali» sbuffò Dean, mentre si scioglieva la cravatta, che lasciò cadere sul letto con un morbido fruscio.
«Lo so» sospirò Castiel, raggiungendolo alle spalle ed abbracciandolo. Gli posò un bacio sul collo, sorridendo contro la sua pelle, poi cominciò a sbottonargli la giacca e la camicia sottostante.
«Ogni scusa è buona per mettermi le mani addosso, eh?» sogghignò seguendo i suoi movimenti, ma lo lasciò fare; era rilassante avere qualcuno che si prendesse cura di lui e non era una cosa a cui era abituato.
«Esatto, non so proprio resistere» rispose Cass sullo stesso tono, facendogli scivolare i vestiti giù dalle spalle.
«Ah, è così difficile essere belli» si lagnò fintamente Dean.
L’atmosfera era finalmente tranquilla e rilassata, forse fu per questo che il gracchiare della radiosveglia che si accese da sola parve mille volte più inquietante del normale. Si voltò lentamente a guardarla, percependo un brivido freddo scorrere lungo la propria schiena. Nella sua esperienza, quel genere di avvenimenti significavano una cosa sola: attività soprannaturale.
«Avevi impostato la sveglia per accendersi a quest’ora?» gli domandò Castiel come se niente fosse, allungando una mano per spegnerla.
“No, non mi ero nemmeno accorto di averla, una sveglia!” pensò lui, ma invece rispose: «Forse, non ricordo».
L’altro ragazzo corrugò la fronte, notando che era teso come una corda di violino. «Senti,» esordì, richiamando la sua attenzione «non voglio farti pressioni, perché so che sarebbe inutile, ma… puoi parlarmi di tutto, lo sai, quando vuoi» gli toccò una mano con una certa esitazione, come se pensasse di star esagerando, di doverlo lasciar stare in quel momento. I suoi occhi erano così blu e non volevano saperne di lasciare i suoi; “Sono qui” sembravano dire, “Sono qui per te”.
«Certo che lo so» rispose Dean, e se si fosse trattato del suo Castiel - del suo angelo sulla spalla - gliene avrebbe parlato, perché di lui si fidava ed era sempre maledettamente facile parlargli delle proprie angosce, aveva un talento naturale per tirargliele fuori.
Ma quello non era il suo Castiel, non sapeva nulla del soprannaturale, era un uomo comune che lo avrebbe preso per pazzo, non l’angelo che era stato disposto a strapparsi le ali per lui. Forse, se lui fosse stato un altro Dean, quello che faceva il vigile del fuoco, che portava il suo nipotino a fare un giro in macchina e si sbronzava per lasciarsi salvare da affascinanti professori universitari, allora ne avrebbe parlato con lui, perché sarebbe stato il suo Castiel. O magari se lo avesse conosciuto meglio… Ma così come stavano le cose, semplicemente non era corretto coinvolgerlo, perché era solo una breve sostituzione di ruoli e presto o tardi i veri protagonisti sarebbero tornati in scena.
Il ragazzo annui. «Okay» mormorò, ma non sembrò affatto convinto e Dean ebbe la decenza di sentirsi un po’ in colpa. Poi lo sentì aggiungere «Aspetta un attimo».
Cass uscì dalla camera ed entrò brevemente nel proprio studio, lì accanto, per prendere qualcosa e, quando tornò, gli porse una busta da lettera bianca. «Volevo aspettare ancora un po’ per dartela ma… Be’, aprila» disse semplicemente.
Perplesso - e anche un po’ preoccupato - lui fece come gli aveva suggerito. Dall’interno della busta scivolarono fuori due biglietti d’aereo andata e ritorno per Roma e… «Due biglietti per il concerto dei Metallica al Palalottomatica?» soffiò incredulo, cercando il suo sguardo.
«Tra un paio di mesi è il nostro quarto anniversario e mi piacerebbe fare un viaggio, ma ho pensato che a te sarebbe servito… un incentivo - chiamiamolo così - per salire su un aereo» rispose Castiel rivolgendogli un sorriso piccolo e quasi involontario.
«Mi conosci davvero bene» considerò Dean. Era incredibile che sapesse perfino del suo odio - sì, perché nonostante quello che diceva Sammy, lui non aveva paura di volare, era solo che quegli aggeggi cadevano! - per gli aerei. «Un concerto dei Metallica a Roma. E ci andremo insieme» asserì, cercando di assimilare ciò che aveva davanti. «È… magnifico! Tu sei magnifico!» esclamò infine, afferrandolo per il polso e tirandolo a sé.
Castiel rise sollevato, gettandogli le braccia attorno al collo. Era un momento talmente perfetto che, mentre Dean lo baciava, quasi non si accorse della radiosveglia che si accese di nuovo da sola - quasi.
«Ehi, mi è venuta sete» confessò staccandosi da lui «Vado a prendere da bere, tu intanto infilati a letto» aggiunse con malizia.
Non appena riuscì a sganciarsi dal ragazzo, Dean scese di sotto e cercò il sale grosso nella credenza. Velocemente lo usò per tracciare una linea sotto le finestre e stava facendo lo stesso con la porta, quando l’impianto stereo si accese, iniziando a gracchiare. Con un ringhio frustrato lo spense, ottenendo solo che fosse il televisore ad accendersi, stavolta. Si sentì raggelare quando una voce familiare provenne da esso.
«Dean… ascoltami, Dean!» lo chiamò Castiel dallo schermo e, dopo qualche momento, anche il suo viso apparve su di esso. Ma la connessione era pessima e sia l’immagine che l’audio continuavano ad andare e venire, interrotti da fruscii e schermate grigie.
Che diavolo stava succedendo? Cass era di sopra, com’era possibile che fosse anche lì?
«Dissetato?» gli giunse proprio la sua voce alle spalle, facendolo sussultare. Si voltò incontrando lo sguardo di quel Castiel così umano, già in pigiama, pronto per andare a dormire.
«Dean… Dean!… devi…» gracchio la TV e lui passò lo sguardo da un Castiel all’altro.
«Ti senti bene?» gli chiese il ragazzo, incorniciandogli il viso tra i palmi, come se non si fosse accorto di niente.
«Tutto questo è assurdo» mormorò lui confuso. «Tu non sei reale».
«Certo che sono reale, Dean, che dici?» replicò il Castiel davanti a lui, cercando di abbracciarlo.
«No…!» si scansò, arretrando di diversi passi sino a finire con le spalle al muro, accanto ad una delle cornici delle loro - no, non loro, lui non era quel Dean - foto.
«Dean…devi…lasciar… lasciami entrare» lo chiamò la TV.
«Sono il tuo angelo, no?» insistette il ragazzo davanti a lui, allungando le braccia e poggiando le mani ai lati della sua testa, bloccandolo tra il suo corpo e la parete.
Deglutì a fatica e soffiò uno stentato: «No…» poi il suo sguardo acquisì nuova sicurezza. «No, tu non sei il mio angelo» dichiarò con decisione e, in quel momento, accaddero diverse cose tutte insieme: il televisore si spense, l’uomo di fronte a lui si rabbuiò, poi la porta di casa si spalancò di botto e dietro di essa apparve Castiel - l’angelo Castiel - con un braccio sollevato ed il suo peggior cipiglio da battaglia in viso.
Avanzò verso di loro con passo marziale e attraversò la sua copia umana come se questa fosse un fantasma, facendola dissolvere al suo passaggio, poi afferrò Dean per le spalle e lui si sentì tirare da una forza immensa.
Quando riaprì gli occhi era steso a terra, tra le braccia dell’amico, si sentiva debolissimo e faceva fatica a respirare. La stanza era buia e polverosa, puzzava di muffa, e quell’odore disgustoso lo fece tossire in preda alla nausea.
«Dean! Grazie a Dio! Dean, stai bene?» esclamò una voce ben nota accanto a lui e vide il volto di suo fratello chinarsi su di sé.
«Sono… stordito, Sam… non sordo» biascicò, con la lingua spessa per la sete. Sentì suo fratello ridacchiare e tirare un sospiro di sollievo e la pressione salda del braccio di Castiel attorno alle proprie spalle, poi tutto si fece di nuovo buio.
¹. Queen -
“Bohemian Rhapsody”.
Capitoli sucessivi:
4.
Another Story.
5.
Another Ending.
Potete trovarla anche su:
EFP;
Fire&Blade;