When Everything Feels Like the Movies - 2. Another Life

Feb 21, 2011 18:20

Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean (accenni Sam/Jessica).
Rating: NC17.
Charapter: 2/5.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo Romantico.
Warning: Sesso descrittivo, Slash, Spoiler!.
Words: 5188 (fiumidiparole).
Summary: Durante una ricognizione di un capanno abbandonato, Dean viene attaccato da qualcosa e si risveglia in un universo in cui sua madre è viva, suo fratello Sam è diventato avvocato e si è sposato, mentre lui - a quanto pare - lavora come vigile del fuoco e vive con Castiel.
Note: Scritta sul prompt 06. “Lasciami entrare” preso dal mio set di syllablesoftimesyllablesoftime. Il titolo è un verso di “Iris” dei Go Go Dolls, colonna sonora di City of Angels, i cui versi tradotti accompagneranno tutta la fic.

Capitolo precedente: 1. Another World.




DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

When Everything Feels Like the Movies
2. Another Life

E non voglio che il mondo mi veda
Perché non credo che capirebbero
Quando tutto è fatto per rompersi
Voglio solamente che tu sappia chi sono.

Qualcosa di umido e caldo gli accarezzò il collo, stuzzicando proprio quel punto sensibile sotto l’orecchio che lo faceva impazzire, poi scese più in basso, risucchiando un capezzolo turgido. Si lasciò sfuggire un mugugno compiaciuto e uno sbuffo di risata gli solleticò l’addome, mentre quelle labbra - sì, erano decisamente labbra - scivolavano più giù, oltre il suo ombelico.
Dean pensò in modo confuso a Lisa - Dio, da quanto era che non facevano qualcosa del genere?! - e aprì gli occhi s’un nuovo mondo, in cui la bocca di Castiel gli scoccò un sorriso divertito, prima di sparire con tutta la testa sotto il lenzuolo e chiudersi sul suo sesso.
Stava sognando? Avrebbe davvero voluto riuscire a pensare, ma simili attenzioni avevano il potere di cancellare ogni capacità intellettiva al più riflessivo degli uomini - quale lui non era mai stato - ed al momento sulla sua testa gravava ancora una spessa patina di sonno.
S’inarcò e ansimò, mentre il suo uccello, intrappolato in quella gabbia bollente, s’induriva del tutto. Cristo, era fantastico! Niente giochetti, niente preliminari sfiancanti, Cass lo prese semplicemente fino in fondo, premendolo con la lingua nella maniera perfetta per portarlo sull’orlo della follia e stuzzicando tutti i punti giusti nel modo ideale in cui nessuna donna - nemmeno la puttana più esperta e consumata - sarebbe mai riuscita a fare.
Mani decise lo tennero inchiodato al letto, mentre veniva succhiato con passione e, dopo appena qualche minuto, si ritrovò vergognosamente prossimo all’orgasmo, come non gli era mai successo prima. All’improvviso, però, quella bocca fantastica sparì e Castiel riemerse da sotto le coperte, lasciandogli addosso due sensazioni contrastanti: la frustrazione feroce di essere stato a tanto così da toccare il cielo ed il sollievo di non aver fatto la figura dell’adolescente in piena crisi ormonale.
Senza riuscire a trattenersi, portò una mano al proprio membro, ma l’altro lo fermò con un urgente «Aspetta» e si allungò a prendere qualcosa dal comodino. Dean riconobbe subito un preservativo e una boccetta di lubrificante, e sentì un brivido freddo correre lungo la propria schiena. Che diavolo voleva fare?
Ma Cass non gli diede il tempo di reagire, scartò il condom e lo srotolò su di lui, poi stappò l’olio e si bagnò le dita, portandole dietro di sé.
«Cosa…?» cominciò Dean, ma l’altro lo interruppe.
«Shhh… lasciami fare» sospirò, preparandosi davanti ai suoi occhi.
Lui era semplicemente soprafatto, il corpo pietrificato e la mente schiantata, mentre lo osservava con attenzione, senza riuscire a distogliere lo sguardo. Si ritrovò rapito dall’espressione concentrata di quel viso, familiare eppure del tutto inedita. E, quando infine Castiel fu pronto e si mise sopra ai suoi fianchi, guidando il suo uccello dentro di sé, tutto ciò che Dean poté fare fu artigliare le lenzuola e cercare di non venire seduta stante.
Cass ondeggiò piano piano, seguendo i propri tempi, e poggiò le mani sul suo petto per distribuire meglio il proprio peso e muoversi più agevolmente. Si fermò quando riuscì a prenderlo completamente, le palpebre serrate ed il labbro inferiore chiuso tra i denti, concedendosi qualche secondo per abituarsi e riprendere fiato.
Dean gli posò le mani sui fianchi, indeciso se trattenerlo o incitarlo, e scrutò con attenzione il suo viso. «Male?» domandò preoccupato. Non credeva che potesse essere una sensazione molto piacevole.
Sospirò quando lo vide riaprire gli occhi e sorridergli. «Sto benissimo» lo rassicurò il suo angelo, prima di ricominciare a spingersi su di lui. «In effetti, non desideravo nient’altro» ansimò, inarcandosi soddisfatto.
Castiel tenne lo sguardo legato al suo, mentre si muoveva su e giù, sempre più agevolmente, sempre più veloce. Lame di luce filtravano dalle persiane, creando un vivido gioco di luci e ombre sulla sua pelle chiara. Gocce di sudore scivolavano sulle sue tempie, appiccicandogli i capelli alla fronte, e gli zigomi cesellati erano tinti da un rossore inteso. Si spostò indietro, allungando le braccia dietro le proprie spalle e posando la schiena contro le sue gambe piegate, lasciandosi sfuggire un gemito intenso per l’angolazione ancora più piacevole. Quel suono superò gli ansiti di entrambi e parve riempire la stanza, colando denso come liquore, facendo perdere del tutto il controllo a Dean.
Con un colpo di reni si portò seduto e lo strinse a sé, schiacciando il suo sesso tra i loro corpi in una frizione deliziosa che fece mugolare e gettare la testa indietro all’altro ragazzo. Lui ne approfittò per succhiare il suo collo bianco e sudato. Percepì sulla lingua un ombra ruvida di barba e, anziché disturbarlo, stranamente la sensazione lo eccitò ancora di più. Spinse i fianchi contro i suoi, andando incontro ai suoi movimenti e penetrandolo ancora più a fondo; sentirlo tremare per il piacere era semplicemente incredibile.
Cass si aggrappò alle sue spalle e cercò alla cieca le sue labbra, affogando su di esse e stringendo una manciata di capelli di Dean quando infine raggiunse l’orgasmo. E lui quasi lo stritolò tra le braccia, mentre veniva con pochi altri affondi e una luce bianca - intensa e quasi dolorosa quanto la vera essenza del suo angelo - gli esplodeva dietro le palpebre chiuse.
Castiel rimase ancorato a lui, respirandogli affannato sul collo, troppo sfinito per muoversi, e Dean, altrettanto esausto, non si preoccupo di dirgli di spostarsi. Si lasciò semplicemente ricadere sul materasso, tenendoselo addosso.
Non riusciva a far funzionare il cervello, aveva la testa vuota, la sentiva leggerissima. Rimasero così per minuti interi, giacendo pigramente nella stessa posizione. Usando le unghie corte e curate, Cass disegnava ghirigori sul suo braccio con lentezza ipnotica, facendogli formicolare la pelle in modo fin troppo piacevole.
«Se continui così, mi addormenterò di nuovo» mugugnò Dean, dopo un tempo indefinito.
«Uhm… e io che speravo di convincerti a prepararmi la colazione» biascicò lui e, quando l’altro inarcò un sopracciglio, un lento sorriso si dipinse sulle sue labbra. «Pensavo di essermela appena guadagnata».
Dean sbuffò incredulo, tirandogli piano i capelli sulla nuca, senza fargli male. «Ruffiano» lo apostrofò e in quelle iridi blu s’insinuò uno scintillio compiaciuto.
«Uova e bacon?» si arrese lui.
«Pancake. Voglio i pancake, stamattina».
«Io faccio i pancake più buoni del mondo» ghignò Dean.
«Lo so» rispose Cass soddisfatto «Vado a farmi una doccia» Posò una bacio sulle sue labbra, prima di scostarsi e scendere dal letto.
Lui gli fissò sfacciatamente il fondoschiena mentre si dirigeva verso il bagno. Non c’era niente da dire, aveva un gran bel culo.
«E caffè, non dimenticare il caffè!» gli arrivò la sua voce, mentre l’acqua cominciava già a scrosciare.
«Non potrei mai dimenticare il caffè!» esclamò quasi oltraggiato, arraffando un paio di pantaloni ed infilandoseli, prima di lasciare la stanza.
Alla luce del giorno, ebbe occasione di osservare meglio il corridoio e le scale, tappezzati di foto come il soggiorno. Molte ritraevano loro due, ma ce n’erano anche altre ben diverse. Rimase quasi un minuto intero ad osservarne una della sua intera famiglia, lui e Sammy erano bambini e dovevano avere rispettivamente otto e quattro anni; non esisteva alcuna foto del genere nei suoi ricordi e solo in quel momento rammentò che la sera prima Cass gli aveva detto che sua madre era viva.
Viva, assaporò il gusto di quella parola sulle labbra. Prima non aveva avuto tempo di pensarci, troppo sopraffatto da altre notizie.
Cristo, non riusciva ancora a credere di essere appena stato a letto con un uomo, e non un uomo qualsiasi, ma Castiel! Gli era pure piaciuto. No, di più, era stato stupefacente.
Poco più avanti rimase imbambolato davanti ad un’istantanea autografata che ritraeva lui e James Hetfield.¹ Porca puttana, avrebbe dato un braccio per ricordare quell’evento! Perfino nella foto il suo viso sembrava quello di un uomo al cospetto di Dio.
Cercò di riscuotersi dalla contemplazione, ora che era solo poteva finalmente concentrarsi per cercare di capire meglio in che casino si era cacciato. Inoltre aveva una colazione da preparare.
Arrivato in cucina accese la macchina del caffè e si diresse verso il frigo per prendere gli ingredienti necessari a cucinare i pancake. Sullo sportello, fissati con calamite appariscenti, vi erano attaccate cartoline, foto e appunti di ogni tipo. Un foglio recitava i suoi turni di lavoro e un altro gli orari delle lezioni di Cass; notò che avevano fatto tutto il possibile per farli coincidere, perfino il loro giorno libero era lo stesso. C’erano diversi bigliettini su cui erano segnati degli appuntamenti, note come ‘Venerdì 26, visita dentistica di Dean’ e cose simili. Una foto rappresentava Cass con in braccio una bambina bionda che non gli sembrava di aver mai visto, e un’altra raffigurava loro due in abiti eleganti, abbracciati a Sam e Jessica. Suo fratello portava un smoking nero che lo faceva somigliare ad un pinguino e lei un bellissimo abito da sposa color avorio; erano il ritratto della felicità.
“Se solo tutto questo fosse reale” si ritrovò a pensare, chiudendo con forza gli occhi, poi aprì il frigorifero con un gesto secco.
Prese rapidamente uova, burro e latte, poi frugò nella credenza per trovare il resto degli ingredienti e una terrina dove sbatterli. Mentre mescolava, gli sovvenne il ricordo di quand’era ancora ragazzino e, quasi tutti i giorni, preparava i pancake per sé e Sammy; nonostante Samantha fosse la vera donna di casa, in quanto fratello maggiore era lui che tuttora, quando capitava, si occupava di quel genere di cose.
Stava giusto versando il composto in padella per cominciare a cuocerlo, quando due braccia forti lo strinsero e un bacio soffice si posò sulla sua nuca. Rabbrividì, non ancora avvezzo a tutta quella familiarità, ma non era un brivido del tutto spiacevole.
«Uhm… mi piaci in grembiule» sussurrò la voce roca di Castiel al suo orecchio.
Dean sbuffò divertito, l’aveva indossato solo per evitare  di scottarsi il petto nudo con eventuali schizzi d’olio. Per fortuna il grembiule non aveva nulla di femminile - era rosso, con un taglio lineare, privo di voulant - o si sarebbe sentito davvero ridicolo.
Si voltò per incontrare il suo sguardo e gli dedicò una lunga occhiata d’apprezzamento. Cass era vestito solo di un accappatoio blu, che metteva in risalto la sua pelle chiara e gli occhi del medesimo colore della spugna.
«Comincio a sentirmi un personaggio di Desperate Housewives» ironizzò, tornando a controllare la cottura e rivoltando il pancake per cuocerlo sull’altro lato.
«No, tu sei molto più sexy di qualunque abitante di Wisteria Lane» replicò Castiel, puntando il mento sulla sua spalla e osservando il suo operato.
Fu in quel momento che il cellulare di Dean, posato sul tavolo - come c’era finito lì? - iniziò a squillare. Cass si scostò e glielo passò, poi iniziò ad apparecchiare per la colazione.
«Giorno, Ally» rispose, leggendo il nome di Sam sul display. Uh, appena possibile doveva proprio farsi una maratona di Ally McBeal, quella donna era una bomba.
«Ah-ah-ah» sillabò con tono piatto il suo fratellino «Molto divertente. Buongiorno anche a te, Dean. Posso disturbarti o tu e Cass state giocando al vigile del fuoco e la damigella in pericolo?»
«Sammy, uno di noi due ti sembra forse una casalinga frustrata?» domandò retorico «Ma se ti serve la mia divisa non hai che da chiedere, te la lascio il prossimo giorno libero. Sono sicuro che Jess apprezzerà».
«Ti assicuro che non abbiamo bisogno di alcun aiuto per incendiare l’atmosfera. Piuttosto, parliamo di cose serie: hai preso il regalo per il compleanno della mamma? Dobbiamo essere da lei alle sette».
«Il… compleanno della mamma? Certo» mentì prontamente, togliendo la padella dal fuoco.
Sam sospirò attraverso l’etere. «Sapevo che te ne saresti dimenticato, ma pensavo di poter contare almeno su Cass. Lascia stare, dai, ci pensiamo io e Jessica…» s’interruppe e a lui parve di sentire una vocina acuta e sottile in sottofondo «Sto parlando con Zio Dean» disse suo fratello all’indirizzo di qualcuno che doveva essergli vicino, poi sbuffò e tornò a rivolgersi a lui: «Ehi, Johnny vuole salutarti».
Il maggiore dei Winchester non riuscì a capire di chi diavolo stesse parlando, ma restò in attesa. Sentì un po’ di trambusto e poi una voce infantile esclamò: «Zio Dean! Vero che mi potti a fare un giro in brum-brum?»
Lui sgranò gli occhi, sembrava il tono di un bambino molto piccolo e ci mise un po’ per decifrare il senso di quelle parole e comprendere con chi stesse parlano. Sentì il cuore stringersi in una morsa quando capì di aver a che fare con il bambino di Sammy e Jessica, il suo nipotino.
«Ehi, mostriciattolo» rispose voltandosi per non mostrare a Castiel, che lo osservava, di avere gli occhi lucidi. «Certo che ti porto! Quando vuoi» gli assicurò.
Sentì il piccolo ridere festante in sottofondo, mentre il padre riprendeva possesso del cellulare. «Me lo stai rovinando» lo accusò Sam, ma il tono non sembrava affatto arrabbiato.
«Amico, sei tu che gli hai dato il nome di papà, non prendertela con me» replicò. Gli sembrava più che giusto che al suo nipotino piacesse l’Impala del nonno, aveva già buon gusto.
Ebbe quasi l’impressione di poter sentire suo fratello alzare gli occhi al cielo. «A stasera. Saluta Cass, da parte mia e di Jess».
«Sicuro. Ricambia da parte nostra» concluse, chiudendo la chiamata. Fece un respiro profondo e si prese qualche secondo per calmarsi. Non poteva mostrarsi a Castiel in quel modo o avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava. Prese tempo sistemando i pancake in due piatti e intanto sentì la porta di casa aprirsi e richiudersi.
«Ho preso il giornale»  annunciò Cass, sedendosi a tavola «Come sta il mio figlioccio?»
«Chi?» domandò Dean perplesso, accomodandosi di fronte a lui. Notò anche che, mentre lui era al telefono con Sam, il compagno si era messo addosso qualcosa di più consono.
«Johnny!» esclamò lui, come se fosse ovvio - e, in effetti, avrebbe dovuto esserlo.
«Oh, certo. Benissimo. Gli ho promesso un giro in macchina» raccontò, mentre infilzava con la forchetta la propria porzione.
Quindi, si rese conto, Cass faceva a tutti gli effetti parte della famiglia. Suo fratello e sua madre erano perfettamente a conoscenza della sua relazione con un uomo e l’accettavano senza problemi; si chiese se fosse sempre stato così o se ci fosse voluto del tempo - o forse delle discussioni o addirittura dei litigi - per arrivare a ciò.
Castiel gli sorrise da sopra il giornale, prima di prendere un sorso di caffè e tornare a leggere la prima pagina. Lui notò un plico di lettere posate lì accanto - di sicuro l’altro ragazzo le aveva ritirare insieme al quotidiano - e le raccolse per controllarle.
La prima era intestata a Castiel Novak, di Lawrence, Kansas.
Novak, come Jimmy Novak, il tramite del vero Castiel? Fulminato da un’intuizione, alzò il capo ed osservò prima l’uomo davanti a sé e poi la foto attaccata al frigo, in cui teneva in braccio la bimba bionda.
«Uhm… Cass, chi è la piccola nella foto?» domandò con fare casuale, indicandola.
«Claire, mia nipote, e quello non sono io, è mio fratello Jimmy» rispose lui distrattamente «Non l’avevi riconosciuta?» aggiunse «Be’, in effetti non stavamo ancora insieme quando è stata scattata quella foto. Lì è davvero molto piccola, ma ormai è una ragazzina» si rispose da solo.
Dean gli fu immensamente grato per aver fatto tutto da sé. Perciò, rifletté poi, in questo universo Castiel e Jimmy erano gemelli. Be’, questo spiegava la somiglianza.
Smistarono il resto della posta mentre finivano di fare colazione. Si trattava perlopiù di bollette e offerte pubblicitarie. L’unica persona con cui avesse mai fatto qualcosa di così casalingo era Lisa, e quella routine gli dava una sensazione più piacevole di quanto si sarebbe mai aspettato, specie considerato il fatto che non c’era una bella donna davanti a lui, ma un altro uomo.
Venne distratto da un mugolio soddisfatto di Cass che, dopo aver versato una generosa dose di sciroppo d’acero sui propri pancake, ne aveva portato un pezzetto alla bocca. Lo vide accasciarsi in modo scomposto sulla sedia, mentre chiudeva gli occhi e masticava lentamente. Il modo in cui le sue labbra si chiudevano sulla forchetta era semplicemente osceno e Dean non poté fare a meno di ricordare cosa ci fosse stato in quella bocca meno di un’ora prima.
Cristo, ma aveva sempre avuto delle labbra così sensuali? Di solito si concentrava solo sui suoi occhi, che erano la parte più espressiva - se non l’unica davvero espressiva - del suo viso, quindi non aveva mai badato più di tanto a tutto il resto.
Si ritrovò costretto ad accavallare le gambe e pensare a qualcosa di assolutamente disgustoso per evitare premature conseguenze. Dannazione, nessun uomo - nessuna parte di nessun uomo! - gli aveva mai fatto un effetto simile. C’era da dire, però, che nessuna donna gli aveva mai fatto un pompino così spettacolare.
Castiel mugugnò di nuovo in quel modo fin troppo equivoco. «Dio, potrei passare il resto della mia vita cibandomi solo dei tuoi pancake!» esclamò, e anche solo il fatto che proprio lui stesse nominando il nome di Dio in vano era già abbastanza scioccante di per sé.
La risata che gli venne fuori fu quasi isterica, ma cercò di controllarla il più possibile. Finì di mangiare più veloce che poté, con l’intento di andare a farsi una bella doccia. Una doccia gelata.
«Ehi, è il tuo turno di lavare i piatti!» lo fermò Cass, non appena lo vide alzarsi da tavola.
«Non se ne parla nemmeno, io ho cucinato. Vado a darmi una sistemata» rispose, praticamente fuggendo via prima che il compagno potesse frenarlo di nuovo.
Passò almeno dieci minuti sotto il getto dell’acqua fredda e poi tornò in camera da letto per trovare qualcosa da mettersi addosso. Si fermò solo un momento davanti allo specchio, registrando il curioso fatto che sia il tatuaggio che lui e Sam si erano fatti sul petto, che le bruciature lasciategli da Castiel quando l’aveva tirato fuori dall’Inferno erano spariti.
Relegò il fatto in un angolino della propria mente per riesaminarlo in un altro momento e si guardò attorno confuso, non sapendo dove trovare la propria biancheria. Seguendo l’istinto, aprì un’anta a caso dell’armadio, ma quello che vi vide all’interno non era un guardaroba: era una stanza buia e polverosa, sapeva di muffa e dal soffitto pendevano lunghi ganci arrugginiti. S’un tavolaccio, in prossimità della parete più lontana, scorse una lampada ad olio… Poi la visione traballò, come un televisore che non prende bene il segnale dell’antenna satellitare, e un attimo dopo scomparve, lasciando al suo posto solo una pila ordinata di vestiti.
Dean sbatté le ciglia un paio di volte, cercando di capire cosa avesse appena visto. Non era forse uno scorcio della catapecchia in cui era stato la notte prima? Che diavolo significava? Sembrava che stralci di realtà stessero penetrando in quell’universo, come era successo quand’era sotto l’incantesimo del Djiin. Era la stessa cosa, allora? Era davvero un Djiin ad averlo attaccato ed a tenerlo in pugno? Quanto tempo poteva essere passato nella realtà, e perché Sammy non l’aveva ancora trovato?
Mentre questi pensieri gli frullavano in testa, frugò in un altro armadio e si mise addosso un paio di jeans e la prima camicia che gli capitò sottomano, poi scese di nuovo di sotto. Lo stereo era acceso ed un compact disk girava nel lettore CD, mentre Castiel era davanti al lavello e, canticchiando, lavava i piatti.
No, non era possibile, tutto quello non poteva essere opera di un Djiin, era troppo assurdo. E soprattutto non poteva essere un suo desiderio.
Affiancò l’altro ragazzo senza riuscire a nascondere un’espressione divertita. Vedere cantare Castiel era troppo surreale, stava perfino muovendo i fianchi a tempo di musica.
«Cos’è questa roba sdolcinata?» lo sbeffeggiò, mettendogli le mani sul bacino.
«Si chiama buona musica, credevo che lo sapessi. E “questa roba sdolcinata”, come l’hai definita tu, è “Forever”»² rispose prontamente lui.
Dean sbuffò tra il divertito ed il seccato. «Ti perdono solo perché sono i Kiss» replicò a mo’ di ammonimento. «Non hai ancora finito?» aggiunse poi. Due piatti, un paio di tazze, una ciotola ed una padella non gli sembrava che richiedessero tutto quel tempo per essere lavati.
«Ho letto il giornale, prima di cominciare. Dammi una mano, se hai tanto da criticare» lo rimbeccò Cass, gettandogli addosso uno strofinaccio per asciugare le stoviglie.
«Dobbiamo continuare ad ascoltare questa canzone, sul serio?» protestò lui, iniziando tuttavia ad asciugare i bicchieri.
Per tutta risposta, Castiel riprese a cantare: «I see my future when I look in your eyes, it took your love to make my heart come alive,‘cause I lived my life believin’ all love is blind, but everything about you is tellin’ me this time»³ E gli spalmò sulla guancia un bello sbuffo di schiuma per i piatti.
Dean rimase qualche secondo immobile, troppo sorpreso, poi si riscosse, immerse una mano nell’acqua e schizzò il suo viso. In men che non si dica, diedero vita ad una vera e propria battaglia, lanciandosi addosso perfino la spugna e, in pochi minuti, la cucina divenne un pantano ed i loro vestiti s’infradiciarono d’acqua e detersivo. Alla fine riuscì a bloccare Cass contro il banco della cucina e acchiappare i suoi polsi, mentre lui cercava debolmente di liberarsi, troppo scosso dalle risate per trovare davvero la forza di farlo.
Dean non riusciva a ricordare quand’era l’ultima volta che si era divertito così tanto facendo una cosa così stupita. Castiel continuava a ridere, tutto bagnato di schiuma, ancora bloccato contro il mobile, e lui non ricordava di aver mai visto nulla di più bello. Un attimo dopo lo stava baciando e le mani di Cass erano tra i suoi capelli, come se non avesse senso che stessero da qualunque altra parte.
Sapeva ancora di sciroppo d’acero e caffè, e lui aveva voglia di trascinarlo sul divano e passare tutto il resto della mattina a baciarlo, senza fare niente di più, come due adolescenti alle prese con le prime pomiciate. Lo strinse forte a sé, schiacciandolo ancora di più contro il bancone e lasciò scivolare le labbra sul suo mento e poi sul suo collo, succhiandolo avidamente.
Fece strusciare i fianchi contro i suoi, provocandolo, mentre s’impossessava ancora della sua bocca, e Castiel impaziente puntò i palmi sul tavolo, dandosi la spinta per sedersi su di esso. Gli strinse le gambe lunghe attorno alla vita e lo attirò più vicino a sé, prima di cominciare a slacciargli la cintura.
«Sei sicuro? Non abbiamo niente per…» ansimò Dean, contro le sue labbra, iniziando a sua volta ad aprirgli i pantaloni.
«Olio d’oliva» suggerì Cass, con il fiato corto «Hai un preservativo?» chiese poi, mentre lui gli sfilava i vestiti.
Dean si limitò ad annuire, frenetico. Ne portava sempre almeno uno con sé, quello ed un coltello a serramanico; non mancavano mai nei suoi jeans. «Dio, ma che mi hai fatto?» bisbigliò, incorniciando il suo viso tra le mani, prima di baciarlo ancora. Non riusciva nemmeno a ricordare da quant’era che non desiderava qualcuno con un’intensità tanto febbrile.
Castiel artigliò la sua maglietta bagnata, strattonandola per fargliela sfilare. I suoi occhi blu erano così scuriti dal desiderio da sembrare quasi troppo cupi e pericolosi, tanto da ricordargli lo sguardo minaccioso con cui l’aveva fissato quando aveva deciso di dire “sì” a Michael; era maledettamente sexy.
Dean gli sfilò la camicia e poi lo spinse a stendersi sul tavolo, allungandosi per recuperare l’olio, come gli aveva suggerito. «Sta’ giù» sussurrò mentre si bagnava le dita. Poi le portò tra le sue natiche, circuendo lentamente la sua apertura.
«Sbrigati» lo incitò Cass, proprio mentre lui lasciava scivolare dentro la prima falange. E non fu davvero necessario sprecare molto tempo, anche grazie al fatto che fosse già rilassato dalle precedenti attività della mattina.
Quando affondò di nuovo in lui, provò la sensazione travolgente di trovarsi esattamente dove era nato per essere. Si chinò a baciarlo, concedendogli qualche secondo per riprendersi e Castiel gli cinse il collo con le braccia e i fianchi con le gambe, tenendolo avvinto a sé.
Cristo, era fantastico! Sarebbe voluto restare così per sempre, invece l’esigenza di muoversi, di prendersi tutto ciò che l’altro possedeva, di farlo suo dalla prima all’ultima fibra, si fece così impellente da essere quasi dolorosa.
Dopo poco, iniziò a spingere forte, travolto dalla lussuria, ma a Cass non parve dispiacere affatto. Anche quando lui si tirò di nuovo su, per muoversi più agevolmente e più veloce, si limitò a portarsi seduto e ad andargli incontro col bacino, acuendo le sensazioni e rendendole ancora più intense, quasi insopportabili.
«Ci sono quasi» gemette Dean contro il suo collo, torturando la pelle umida fino a lasciare un vistoso marchio rosso.
«Non fermarti» lo pregò il suo angelo e lui, agendo d’istinto, portò una mano al suo membro, stimolandolo a tempo con i propri affondi, sinché Castiel non gettò indietro il capo e venne con un urlo muto.
Dean lo seguì poco dopo, soffocando un grido sulla sua spalla. Rimase lì stretto a lui, tremante, stordito dall’enorme portata di tutto quello. Cass gli accarezzò lentamente la schiena sudata, respirando trai suoi capelli, lasciando che si riprendesse.
Dopo qualche secondo, Dean lo sentì ridacchiare e, incuriosito, alzò lo sguardo per incrociare il suo.
«Sai ancora di detersivo» spiegò il ragazzo con un sorriso luminoso e coinvolgente, e lui si ritrovò a sbuffare divertito.
«Mi sa tanto che dovremmo entrambi rifarci la doccia, eh?» replicò inarcando un sopracciglio.
«Uhm… magari potremmo farla insieme» propose sornione l’altro «Dopo aver sistemato questo casino» aggiunse, gettando un’occhiata critica alla cucina, ridotta ad un campo di battaglia.
Dean seguì il suo sguardo, soppesando le condizioni disastrose dell’ambiente e, quando incontrò di nuovo le sue iridi blu, non riuscì più a resistere. Scoppiarono entrambi in una fragorosa risata, che sembrò rimbalzare su tutte le pareti della casa.

*°*°*°*°*

Il campanello suonò e Dean andò ad aprire la porta, frugando nelle tasche dei propri jeans per prendere il portafoglio. Si trattava di sicuro del fattorino della pizza. Lui e Castiel - che al momento era di sopra, nel suo ufficio, a sistemare gli appunti per la lezione del giorno dopo - avevano concordato sul fatto di ordinare qualcosa fuori, per il pranzo; nessuno dei due aveva voglia di cucinare.
«Quant’è?» domandò, senza nemmeno guardare in faccia il ragazzo delle pizze, mentre cercava i contanti.
«Undici dollari e cinquanta centesimi, signore» rispose una voce che gli risultò stranamente familiare e, quando alzò gli occhi, quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Davanti a lui c’era l’Arcangelo Gabriel, Trickster per copertura, in tutto il suo - dubbio - splendore.
«Tu!» ruggì, prima di riuscire a controllarsi «Sapevo che doveva essere colpa tua! Riporta subito tutto com’era prima» ordinò minaccioso.
Il fattorino sgranò gli occhi, poi aprì il cartone della pizza e sbirciò all’interno. «Non voleva una salsiccia e peperoni, signore?» domandò perplesso e Dean fu a tanto così dal prenderlo a pugni.
Si trattenne solo in virtù del fatto che avrebbe sofferto più lui di quello stronzo, visto che pestare un angelo era come prendersela con un muro, e del fatto che ormai lo conosceva abbastanza da sapere che l’unico modo per ottenere qualcosa da Gabriel era assecondarlo.
Con un grugnito ben poco cortese gli strappò la pizza di mano, gli schiaffò i soldi sul petto - mancia compresa, anche se non se la meritava, perché è sempre meglio non far incazzare un arcangelo - e gli chiuse la porta in faccia.
Posò il cartone sul tavolino davanti al divano e si lasciò cadere su quest’ultimo, poi prese un respiro profondo e si sfregò vigorosamente il viso, cercando di riflettere.
Se era opera di Gabriel, significava che tutto quello era reale? Castiel era davvero Castiel, Sam era davvero Sam e Jessica e sua madre erano di nuovo vive? Un arcangelo poteva davvero arrivare a tanto? Forse sì, visto quanto aveva già fatto in precedenza.
Ricordò lo scherzetto di TVland e quello ancora peggiore che aveva giocato a suo fratello, facendo riavvolgere in continuazione il giorno della sua morte. E Michael - il fratello maggiore di quel cazzone - aveva riportato in vita Adam per i propri scopi, no?
La vera domanda, però, era: cosa doveva fare, ora? Conoscendo Gabriel, l’unico modo per sistemare le cose era aspettare che lui rivelasse il suo intento o costringerlo a farlo. Ma come? Avrebbe dovuto trovare il modo per incastrarlo e per farlo gli sarebbe servito l’olio sacro di Gerusalemme, che non sapeva assolutamente come procurarsi in quell’universo.
E, ad ogni modo, perché quel cazzone spiumato stava facendo tutto quello?! Odiava il suo perverso senso dell’umorismo, quando era rivolto a lui!
Un passo trotterellante che veniva dalle scale lo riscosse.
«È arrivata?» domandò Cass, poi si accorse della sua posa e, in un attimo, gli fu accanto. «Stai bene?» chiese preoccupato.
Dean scrutò i suoi occhi e cercò una traccia, una qualsiasi traccia, del Castiel che conosceva e di cui si fidava. Ma quello non era lui, non era il suo angelo sfigato, era solo un’imitazione. Un’affascinante, divertente, umana ed eccitante imitazione, ma pur sempre un surrogato.
«Sì» sorrise mesto, fingendo noncuranza. «Sono solo seccato perché il fattorino si è dimenticato le patatine» mentì.
Castiel lo fissò per quella che gli parve un eternità, con una tale serietà - così fottutamente familiare! - che lui cominciò a sentirsi a disagio. Chissà se anche questa versione, come l’originale, era capace di leggergli dentro con tanta facilità.
«D’accordo» asserì infine, alzandosi in piedi. «Prendo due birre. Tu accendi la TV».
Mangiarono la pizza stravaccati sul divano e, nel momento in cui Cass si alzò per gettare via il cartone vuoto, Dean ne approfittò per stendersi in lungo, rubando tutto lo spazio. Ma lui non si fece certo intimorire e gli salì addosso con la scusa di rubargli il telecomando.
«Non ho alcuna intenzione di vedere un’altra puntata di quella idiozia!» esclamò.
«Dottor Sexy M.D. non è affatto un’idiozia!» si difese Dean, tenendo il telecomando fuori dalla sua portata.
Dopo qualche minuto di lotta, alla fine Castiel si arrese e si accontentò di restare disteso su di lui. E quando finì la puntata era ormai appisolato con la testa sul suo petto. Dean stava un po’ scomodo, ma non aveva alcuna voglia di muoversi; inoltre gli sarebbe stato impossibile spostarsi senza svegliarlo, e davvero non aveva nulla di meglio - o di più interessante - da fare che stare lì a guardare la TV. Quindi liberò il braccio rimasto incastrato tra il suo corpo ed il divano, e glielo passò attorno alle spalle, iniziando a fare zapping tra i vari programmi spazzatura.
Per un qualche scherzo del destino infingardo, le batterie del telecomando decisero di scaricarsi proprio quand’era appena capitato s’un film d’amore. Dean gemette sconfortato, facendo una smorfia seccata alla faccia da elfo del protagonista. Aveva riconosciuto il film, era uno di quelli smaccatamente romantici che facevano piagnucolare le ragazze, l’aveva visto quand’era appena uscito al cinema, dove l’aveva trascinato Ramona Shirley, una bionda con due tette da urlo. Lui aveva accettato di accompagnarla solo per avere l’occasione di pomiciare al buio con lei, e infatti non aveva nessuna idea di cosa succedesse nella seconda parte della storia.
«Non capisco questo Dio che ci fa incontrare ma non ci dà la possibilità di stare insieme»[4] stava dicendo Nicolas Cage. Se non si sbagliava, interpretava la parte di un angelo che decideva di cadere per amore di una donna umana.
Osservò Castiel, il modo in cui le sue ciglia scure sfioravano gli zigomi cesellati e la sua bocca morbida restava socchiusa, poi passò una mano tra i suoi capelli soffici come piume e, per un solo, fuggevole momento, Dean considerò che tutta quella follia potesse essere una ricompensa. Che Dio fosse sceso dal Suo trono d’indifferenza, avesse riportato in vita uno dei Suoi figli prediletti e gli avesse ordinato di premiare chi si era fatto il culo per salvare il mondo che Lui aveva creato e poi abbandonato a sé stesso.
Sarebbe stato un dono bizzarro, ma - diamine - gli sarebbe andato bene. Gli sarebbe andato più che bene.

[1] James Hetfield, cantante e frontman dei Metallica.
[2] Kiss -  “Forever”
[3] Vedo il mio futuro quando ti guardo negli occhi, prendo il tuo amore per far risorgere il mio cuore, perché ho vissuto così tanto tempo pensando che l’amore fosse completamente cieco, ma ogni cosa su di te mi sta dicendo che è ora. (Kiss -  “Forever”).
[4] City of Angels (1998).

Capitoli sucessivi:
3. Another Family.
4. Another Story.
5. Another Ending.

Potete trovarlo anche su:
EFP;
Fire&Blade;

long: wn everything feels lik the movies, serie: iris (mr gennaio 'verse), syllablesoftime: set sfuso, supernatural

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