Titolo: J.
Serie: Supernatural Rps
Capitolo: 10/?
Character: Jared Padalecki; Jensen Ackles; Chad Michael Murray; Joanna Krupa (nominated)
Pairing: JensenxJared {j2},
Rating: Nc-17
Genre: Slice of life, Fluff, Romance, Erotico, Melancoly
Word: 3.928
Note: Ora finalmente il rating nc-17 comincia ad avere un senso. Non molto, ma un po' di più dei capitoli precedenti... Ora il vero problema ho scoperto essere il tempo. Dannazione, avevo completamente dimenticato di dover ancora affrontare il periodo Natalizio e ho faticato un casino per risistemarmi mentalmente la cronologia di quello che volevo mettere in campo prima del gran momento (eheheh), sfortunatamente mi sono resa conto che ci sono ancora un paio di cose importanti di cui voglio scrivere, quindi ancora niente baci romantici al chiaro di luna (?), niente scopate selvagge dopo essersi rotolati sulla spiaggia (?) e niente dichiarazione. Soffro anche io, sappiatelo.
Cazzate a parte, c'è una cosa che mi auguro con tutto il cuore per questa fanfic. Me la sto prendendo comoda da fare schifo, lo so e ho le mie ragioni, ma in tutto ciò spero che capitolo dopo capitolo non suoni monotona o ripetitiva, questo mi dispiacerebbe un sacco perché ho davvero tante idee, ma alle volte ho paura che non bastino per far funzionare i capitoli e non farli risultare dei mattoni di noia in cui tutto si riduce al "Jensen non ha ancora ceduto e Jared non s'è ancora mosso".
Disclaimers: Gli attori appartengono tutti a loro stessi, con questa fic non si vuole assolutamente discutere i loro gusti sessuali, le loro scelte di vita o quant'altro. E' una fic scritta senza scopo di lucro e senza la pretesa di poter dire di "conoscere" i personaggi che qui si muovono perchè no, non li conosco affatto e in questa fic c'è soltanto la loro idealizzazione.
Capitoli precedenti:
01 -
02 -
03 -
04 -
05 -
06 -
07 -
08 -
09 -
10
J.
[The amazing guys]
#10. You and Me and a thousand reasons to...
Era passata poco più di una settimana dall'inizio della loro convivenza.
L'appartamento era grande e loro erano soltanto in due, ma, senza riuscire a spiegarsi come, finivano inevitabilmente a starsi tra i piedi dalla mattina alla sera.
I primi giorni, Jared aveva ringhiato contro il telefono della stanza ed il cordlex del salotto che non ne volevano sapere di collaborare e funzionare dopo l'istallazione; aveva passato ore in taverna, abbandonato sulla poltrona del salotto di Jensen, al cellulare con la compagnia dei telefoni o in piedi a supplicare il più grande di provare a richiamarli lui perché sarebbe stato sicuramente più convincente e perché la centralinista avrebbe apprezzato di sicuro la sua voce sexy.
"Jared, non siamo una hotline, e la tua dannata voce va benissimo per parlare con chiunque." gli aveva borbottato l'altro, cercando di mantenere la pazienza, senza la forza di ricordare al ragazzo che, tra i due, era sempre stato il più giovane ad avere la lingua sciolta e la parlantina spigliata.
Qualche minuto dopo Jensen si era ritrovato bloccato al telefono, irritato con Dana, la povera centralinista di turno dal piacevole accento del sud, e la propria pazienza era durata molto meno rispetto a quella del collega.
Poi c'era stata la questione cena o, per meglio dire, il problema-cucina.
"Jared, per l'amor del cielo, non puoi far esplodere la cucina ogni volta che ti dico di aver voglia di macheroni and cheese! Guai a te se provi di nuovo a cucinare senza la mia supervisione!" era la frase standard, veniva urlata, mormorata, supplicata, ogni volta che il ragazzo aveva la pessima idea di mettersi ai fornelli.
Non esisteva nessuno, nessuno, più incapace di lui nell'arte culinaria.
E, ovviamente, si arrivava alla sera. Tornati a casa dopo le riprese, se non era Jared a far capolino dalla cima delle scale, con gli incisivi che torturavano il labbro inferiore e gli occhi chiari che lo ricercavano curioso, era Jensen che non riusciva a resistere all'idea di presentarsi nel salotto dell'amico, portando in dono un paio di enormi ciotole di pop-corn appena fatto e i dvd della saga di Die Hard o qualche film comico con Ben Stiller.
In una settimana la presenza dell'uno per l'altro era diventata una droga alla quale si stavano assuefacendo.
Il peggio, però, doveva ancora arrivare, aveva sei lettere ed il calore di una: doccia.
«Dude, davvero, se domani l'idraulico non si degna di venire, ci penso io ad appendere il padrone di casa al muro!»
Jared rise al di là della porta del bagno da cui ascoltava le lamentele di Jensen e la voce di Steve Forbert che, direttamente dai lontani anni anni '80, strimpellava la sua chitarra e cantava Romeo's Tune. Ancora una volta il più grande doveva aver messo mano alla televisione alla ricerca del canale country music 24 ore su 24, mentre aspettava il proprio turno per potersi dedicare ad una doccia calda.
Avevano scoperto che nel piano di sotto l'acqua calda non arrivava, così, in attesa di un idraulico che salvasse Ackles dall'assideramento, erano stati costretti a condividere il bagno di Jared, almeno per quanto riguardava la doccia. Il patto era semplice: la mattina Jensen entrava per primo perché era il più veloce e, una volta tornato dalla sua corsa con i cani, era il turno Jared; la sera invece potevano permettersi di fare il contrario e perdere quanto tempo volevano.
Così eccolo lì Jared, davanti allo specchio del bagno, con il riflesso del suo corpo nudo e slanciato e le mani affondate nei capelli bagnati che continuava a tirare indietro e poi avanti, giocando con la frangia, sistemandola in un modo, per poi cambiare idea e passare le dita a pettinarli diversamente. Alla fine, come un grosso cagnone dal pelo bagnato, scosse il capo, gettando gocce d'acqua ovunque, facendole colare anche dal vetro dello specchio.
Ci vollero altri dieci minuti prima che uscisse con un asciugamano bianco e lungo annodato alla vita e un sorriso soddisfatto sulle labbra.
«Libero!» annunciò, cercando con lo sguardo Jensen, trovandolo sul divano del salotto, occupato a fare zapping.
«Pensavo che sarei diventato vecchio, dude.»
Jensen abbandonò il telecomando sul divano, scattando in piedi, ma invece di voltarsi subito verso di lui aveva imparato ad aggirare il mobile, facendo sempre il giro più largo, così da riuscire a superare il corpo dell'amico senza doverlo guardare direttamente, scorgendolo unicamente con la coda dell'occhio.
Avrebbe voluto obbligarlo a portarsi il cambio in bagno e vestirsi subito, ma che diavolo avrebbe potuto dirgli? "Ehi, man, pensavo, invece di uscire mezzo nudo, vestiti in bagno, così quando ti guardo non mi sentirò in completo imbarazzo pensando a..." Dio, no, non poteva funzionare così!
Trovò rifugio in bagno, sotto il getto rilassante della doccia che carezzava i muscoli e gli colava lungo i tratti del volto, gocciolando dalle ciglia lunghe, colpendo i capelli biondo scuro e ridisegnandogli le labbra carnose, per poi gettarsi lungo i pettorali, contro il ventre e sulle gambe.
Si prese tempo per lavarsi, tempo per cacciare ogni pensiero sul coinquilino, per cacciare anche quelli che da un po' aveva iniziato a fare su Joanna e i dubbi che continuavano a frullargli nella mente da quando aveva dormito da lei qualche notte prima, nel loft del suo amico. C'era stato qualcosa di strano che il suo cervello aveva registrato solo in parte e che ancora gli sfuggiva.
Scosse il capo, leccandosi le labbra, storcendo il naso quando sentì il sapore di shampoo alla camomilla.
«Camomilla? Seriously?!» berciò «Ma perché non ti decidi a prendere uno shampoo normale, Jared?!»
La risata del collega arrivò filtrata dalla porta chiusa.
«Avevo l'Axe!» esclamò «Ma l'ho finito.»
«Quello era il mio!»
«Ah... beh... ehm... allora sappi che è finito!»
«Io ti...»
Ingoiò ogni imprecazione, per memorizzare invece uno dei troppi promemoria che, da quando viveva con Jared, aveva iniziato a mettere su una lista mentale.
Lasciare una lucina attaccata alle scale, per evitare che quel gigante s'ammazzasse quando voleva scendere da lui alla ricerca di compagnia nelle ore più impensabili.
Niente dolci la sera per Padalecki, era peggio di un bambino e lo zucchero serviva soltanto ad alimentare la sua energia già inesauribile.
Insegnare a quell'impiastro come cucinare almeno un dannato uovo sodo, in alternativa insegnargli ad usare decentemente il microonde.
E l'ultimo della lista: Fare scorta di shampoo per uomo.
Prima o poi sarebbe arrivato il momento di appuntarseli da qualche parte per non dimenticarseli.
Finì di lavarsi in molto meno tempo rispetto al più giovane e, quando uscì dal bagno, era anche già vestito da un paio di semplici pantaloni di una tuta blu con la scritta Champions in verticale sui lati delle cosce e una felpa con cappuccio, dalla zip abbassata un po' sul petto nudo.
Senza gel tra i capelli, sembravano più lunghi, ma non abbastanza da stare abbassati in una frangia vera e propria, con il risultato di farlo sembrare un pulcino.
Jared si incantò a quella visione.
Perché Jensen doveva essere bello in qualunque fottuto momento?
Quella sua perfezione era quasi ingiusta nei confronti di qualsiasi altro essere umano, nei confronti dello stesso Jared che doveva fare salti mortali per riuscire a stargli accanto e non sembrare il brutto anatroccolo della cucciolata Winchester.
Si impegnò per tornarsene a far finta di niente, guardando gli spot pubblicitari che avevano cominciato ad invadere lo schermo del televisore, mentre l'altro avanzava verso il divano e spalancava lo sguardo, esasperato.
«Oh c'mon, Jared! Ma lo fai apposta?»
Lo sguardo che il più piccolo gli rivolse, gli tolse il fiato.
Gocce d'acqua stavano colando dai capelli ancora bagnati a rigare la fronte insieme ad una frangia spettinata, scivolando lungo la mascella e giù per il collo dove per un po' temporeggiavano sul pomo d'Adamo, prima che, deglutendo, le facesse cadere oltre, lungo la linea dei pettorali. Era ancora difficile notare la differenza quando era vestito, ma con solo un asciugamano alla vita, si notavano i muscoli più delineati e le spalle che si erano fatte più forti e un po' più ampie, per quanto avesse ancora quell'aria da ragazzino. Seppure alto come un palo della luce, continuava a sembrare più piccolo di Jensen.
Una parte di sé avrebbe voluto dirgli di smettere di crescere, che voleva essere lui il più forte, il più grande e il più maturo. Voleva essere lui quello su cui Jared avrebbe fatto sempre affidamento, a cui avrebbe chiesto protezione se necessario e da cui sarebbe andato a cercare rifugio, anche se Jared era già forte e non aveva mai avuto bisogno di niente da parte sua. Era lui quello insicuro, quello che desiderava visceralmente che Jared dipendesse da lui tanto da trovare impossibile l'idea di stargli lontano.
«Che c'è di tanto interessante alla tv per impedirti di vestirti o di asciugarti i capelli?» borbottò, sparendo qualche secondo in bagno per recuperare un asciugamano pulito e gettarglielo in testa, iniziando a frizionargli i capelli con rude gentilezza.
Nascosto dal panno spugnoso, Jared sorrise, socchiudendo gli occhi.
Aveva subito realizzato che quella fosse la parte che preferiva della convivenza con Jensen, quello era il momento migliore della giornata quando, finita la doccia, lui si gettava in panciolle sul divano, sfidando il freddo, resistendo all'impulso di asciugarsi i capelli per non rischiare un malanno e aspettava pazientemente l'uscita dal bagno dell'amico.
Era da sei o sette anni che nessuno gli asciugava più i capelli, quando era piccolo sua madre l'aveva rimproverato un paio di volte, obbligando Jeffrey a prendersi cura di lui -e Jeff lo aveva ripagato con tanti di quei pugni sulla testa che non era più ricapitato-, ma le mani di Jensen erano più gentili di quelle del fratello maggiore e, poco per volta, il modo in cui strofinava l'asciugamano contro la sua testa si faceva delicato e piacevole, accompagnato dal dalla sua voce calda in sottofondo.
«Jared?»
«Mhm?»
«Hai sentito una parola di quello che ti ho detto?»
«Ehm... parlavi di...» boccheggiò.
Shit. No, che non aveva ascoltato.
«La partita, asshole. Parlavo della partita di football, dei biglietti che mi hanno regalato e del fatto che domenica non posso andarci con Joanna. Remembà?»
«Oh, sì, giusto! Ci andiamo noi due, vero? Eh? Dovevo uscire con Chad, ma non si offenderà se gli dico che gli do bidone per una buona causa.»
«In effetti, il football vince sugli amici.»
Jared sorrise, annuendo, anche se in realtà non intendeva il football, parlava di Jensen.
«A proposito, domani ti va se invito Chad qui da noi? E' ora che tu lo conosca.»
«Ehm...»
«Non accetto un no come risposta.»
«Forse?»
«Jensen...»
«Ok, ok, invita chi ti pare.»
«Yeha! Thanks buddy!»
L'aveva abbracciato.
Si era liberato in fretta dell'asciugamano che gli penzolava dal capo e gli aveva gettato le braccia al collo.
Jensen rimase immobile, un rigido pezzo di legno, sentì il corpo caldo e umido di Jared spinto contro il proprio, la sua pelle nuda premuta contro la stoffa della propria felpa e contro il proprio petto nudo, là dove la lampo era abbassata, il buon odore di bagnoschiuma, i suoi capelli che gli solleticavano la guancia ed il suo respiro contro il proprio orecchio. Caldo. Lento. Costante. Eccitante.
Lo sentì muoversi contro di sé, spingerglisi più addosso, ricercare istintivamente il suo calore.
Se solo non fosse stato un maschio...
Si impose di stringere le mani intorno ai suoi fianchi, in modo attento e calcolato, affinché non ci fosse nulla di ambiguo in quel gesto.
Jared sentì una scossa quando le dita lunghe di lui lo toccarono, spostandolo indietro con gentilezza, temporeggiando per secondi che parvero un'eternità sulla sua pelle, prima di lasciarlo.
«Dude, non quando sei mezzo nudo.»
«Sorry.» arrossì.
«Ok. Vestiti e inizia a preparare la tavola, ho fame.»
«Subito.»
Sbrigativo, il più grande si allontanò dal divano, con la scusa di dover recuperare qualcosa dalla propria stanza; scese di corsa le scale, si lasciò il salotto alle spalle, attraversandolo a grandi falcate, ed entrò nella propria stanza, sbattendosi la porta dietro di sé.
Non accese la luce, gli bastava quella flebile della luna che filtrava da una finestra alta e rettangolare e aveva paura di quel che avrebbe visto.
Respirò pesantemente, con timore crescente abbassò lo sguardo, inquadrando prima il pavimento, poi il proprio corpo, le proprie gambe e più su, dove un familiare gonfiore pulsava contro la stoffa ruvida dei pantaloni della tuta.
Oh man...
Dopo l'incidente della sera precedente, l'idea di una doccia gelida non era sembrata più così spaventosa come nei giorni precedenti. Jensen poteva resistere al freddo pungente delle gocce che gli scavavano la pelle, tutto pur di non dover di nuovo trovar rifugio nella propria stanza, con i pensieri che vorticavano bollenti e impetuosi (e sbagliati, sbagliati, sbagliati!) nella testa, mentre le proprie mani erano affondate nei pantaloni a circondare la propria erezione, per masturbarsi con così tanta forza che quasi gli faceva male ed emettendo grugniti di rabbioso piacere, masticati tra i denti.
Non sarebbe più ricapitato.
Mai più.
Non per Jared. Dio, ti prego, non per Jared.
Infilandosi una maglia viola scuro dalle maniche lunghe, al di sopra di un paio di vecchi jeans scoloriti che gli ricadevano troppo lunghi sui piedi nudi, risalì le scale, stupendosi di trovare il più giovane già pronto e perfettamente vestito, infilato in un paio di jeans a vita bassa da cui spuntava l'elastico bianco dei boxer e la scritta "Hugo boss" in nero, e in una maglietta dallo scollo a V che sembrava tremendamente uguale ad una delle sue. No, scosse il capo, era una delle sue.
Si chiese a cosa dovesse questa sua spaventosa velocità, ma il mucchio di birre che vide nel frigorifero, quando l'altro aprì l'anta per sistemarle insieme all'enorme cartone di pizza appena arrivato, gli suggerì che aspettasse qualcuno.
Ah sì, quel tale Chad.
Non era entusiasta di incontrarlo, l'idea di scoprire quel pezzo della vita di Jared lo metteva a disagio, soprattutto considerato il fatto che si trattava della prima cotta gay del collega.
Fanculo.
Si conficcò le unghie nel palmo quando il proprio cervello gli suggerì che avrebbe voluto essere lui la prima cotta gay di Jared.
Chad fu stranamente puntuale e Jared, stupito, pensò che fosse perché voleva impressionare il neo-coinquilino.
Lo accolse con un sorriso enorme, facendolo entrare con uno spintone amichevole, rischiando che cadesse lungo disteso per terra subito dopo l'ingresso e, per ringraziarlo, il biondo gli tirò un calcio allo stinco.
A Jensen bastò una sola occhiata per capire che quei due erano parecchio amici e, chiaro come il sole, vide perfettamente la scintilla di nostalgia negli occhi chiari di Jared ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui.
«Chad ti presento Jensen. Jensen, questo è Chad.» fece le presentazioni il più giovane, indicando prima uno e poi l'altro.
«Yo.» salutò il biondo.
«Ehi.» ricambiò il texano.
Si studiarono per un po', come due tigri in procinto di scannarsi a vicenda, regalandosi sorrisi condiscendenti fatti solo per mera educazione.
Jensen spiccava in altezza, solo per qualche centimetro, ma avendo passato anni al fianco di Jared e del suo metro e novantatré, Chad sembrava perfettamente a suo agio. Per di più vantava a sua volta una bellezza ben oltre la media, quella del tipico americano che riempiva i sogni di ragazze e ragazzine, aveva alle spalle una carriera da modello e aveva il suo ruolo da protagonista in un tv show famoso. In realtà ciò che lo differenziava da Jensen, era l'unica cosa che il texano avrebbe voluto possedere: la faccia tosta.
Vennero lasciati per qualche istante in quel silenzio contemplativo, ma alla fine Jared cedette al brontolare del proprio stomaco.
«Ragazzi, pensiamo alla pizza.»
Facendo strada verso il salotto, ne approfittò per tirare una gomitata nel fianco di Chad, lo sguardo che gli concesse aveva un preciso significato nel loro gergo muto: "Fai il bravo, dude e non mi mettere sotto torchio il coinquilino".
Appena il ragazzo lo notò, ghignò sornione.
«Allora Jensen, come te la passi nella convivenza con J-Rod?»
Non aveva neppure provato a prendere in considerazione la richiesta.
Prese posto ad una delle poltrone, seduto storto, con le braccia incrociate al petto e l'aria del figlio di un mafioso a cui tutti avrebbero dato retta, se non per la sua bellezza, per semplice timore.
Jensen si accomodò sul divano, gambe larghe, gomiti sulle ginocchia e spalle incurvate, involontariamente minaccioso.
«Per ora non ci siamo ancora uccisi a vicenda.» rispose, con una scrollata di spalle.
«Posso darti qualche dritta, se vuoi. Prima di tutto nascondi merendine, patatine, cereali e qualsiasi tipo di cibo che non debba stare in frigorifero. E' peggio delle cavallette.»
«Ehi!» sbottò Jared, facendosi ricadere sul divano, accanto al collega, di fronte al tavolino su cui troneggiavano birre e pizza.
«Quella è stata la prima cosa che ho fatto venendo qui.»
«What?»
«Good boy. E poi non dormire mai con il cellulare acceso, questo idiota è capace di chiamarti svegliandoti nel mezzo della notte per dirti di non preoccuparti se non torna a casa.»
Jared sbuffò, infantile.
«Era vero che non volevo farti preoccupare!»
«Ma vaffanculo, J-rod!» gli scoccò un'occhiata affilata, sollevando la bottiglia di birra, evitando di tirargliela addosso solo perché sarebbe andata sprecata per niente. Scosse il capo e continuò.
«Questa ti piacerà: non provare mai e dico mai a farlo piangere davanti ai suoi cani, quei bastardi non aspettano altro che avere una scusa qualsiasi per uccidere chiunque stia troppo vicino a quell'idiota del loro padrone.»
«Ma... veramente non ho mai pianto con te.»
«No, ma hai finto un sacco di volte, stronzo, e tutte le fottute volte le tue belve mi hanno ringhiato contro, come se fosse colpa mia!»
Jared ridacchiò, complimentandosi con se stesso e Chad, questa volta, fece lo sforzo di alzarsi per tirargli un pugno contro la spalla.
Jensen li guardava in silenzio, riscoprendo altri tasselli del collega che non conosceva e che non avevano a che fare con lui, sentendosi meschino e miserabile a pensare di trovare irritante l'idea che esistesse qualcun altro che aveva goduto della sua risata, della sua compagnia e con cui condivideva ricordi in cui lui non era presente.
Sapeva che quel Chad non gli sarebbe piaciuto molto, ma così faceva perfino male.
Poi, di colpo, lo statunitense si voltò a guardarlo, facendogli un cenno col capo.
«Ma raccontaci un po' di te, pal. Sei fidanzato, vero?»
«Yeha.»
«E alla tua tipa non dà fastidio se tu e Jared vivete insieme?»
«Come, scusa?»
«Chad...»
«Ritiro la domanda, vostro onore.»
Jared si portò una mano davanti al volto, ingoiando un insulto.
«Scusalo, è un coglione.»
«No, non fa niente, è simpatico.»
Non lo pensava davvero, ma Jared fu comunque felice che Jensen fosse rimasto con loro per tutta la serata, subendo le domande del ragazzo e, quando si facevano troppo personali, interveniva, cambiava argomento o lo prendeva a coscinate, facendogli capire che fosse ora di abbassare il tiro e giocare meno ai detective.
Superò anche quella serata, scoprendo che il nome della ex di Jared era Sandra, che erano rimasti insieme per un paio d'anni prima che il ragazzo la mollasse, che la prima volta di lui era stata a quattordici anni, contro quella disastrosa di Chad a tredici e la propria a quindici (A questa rivelazione Jared si era sentito in dovere di abbracciarlo, bisbigliandogli qualcosa come "Il piccolo Ackles che si fa uomo."), c'erano stati i racconti di quando i due lavoravano insieme per lo show di Gilmore Girls o per il film di House of wax ed infine Jared aveva fatto l'elenco di tutte le ragazze assunte dalla loro produzione che andavano dietro a Jensen, battendo di un paio il numero di quelle che, negli studios di Wilmington, morivano per un sorriso di Chad.
Tutto sommato era stato divertente, un po' pesante, per nulla da rifare tanto presto, ma divertente e, dopo che il ragazzo se n'era andato, Jensen si lasciò ricadere esausto con la schiena contro il divano ed i piedi incrociati sul tavolino, accanto ad un mucchio di birre vuote e tappi di metallo.
Reclinò il capo verso l'entrata, Jared stava chiudendo la porta, dopo essere stato preso in disparte dall'ex collega per una chiacchierata a quattrocchi ("E' simpatico, te l'approvo e, se vuoi un mio parere, quello ci sta eccome se glielo chiedi." "Chad, non te l'ho chiesto un parere e da quando sei un esperto di ragazzi gay?" "Da quando il mio migliore amico ha cercato di stuprarmi!" "Fanculo, stronzo!"), aspettò che finisse di dare tutte le mandate, per chiedergli: «Quanto rimarrà qui, il tuo amico?»
L'altro ci pensò su, tornando al divano e sistemandosi dietro allo schienale, piegandosi ed incrociando le braccia sui cuscini.
«Qualche altro giorno, mi ha già detto che deve tornare alle sue riprese. Ma lo rivedrò per le vacanze estive, quando torno a Los Angeles.»
«Pensavo tornassi a Sant Antonio dai tuoi.»
«Ci farò un salto per qualche giorno, ma preferisco stare a Los Angeles. E, pensavo... ti va di aggiungerti?»
Lo guardò stupito.
«Tra un po' sarà Natale e tu pensi già all'Estate?»
«Mi piace l'Estate e adoro il mare, che posso farci? Dai, ci divertiremo.»
«Con te e la tua cricca?»
«Yeha, perché no? Saremo io, la mia cricca, tu e la tua signora, se vuoi. Ce ne stiamo in giro a spassarcela e, oh, quando incontrerai i miei amici la prima cosa che dovrai dire loro sarà: Jared è un coinquilino splendido!»
«Jared» la sentiva, la puzza di bruciato, forte e chiaro «c'è qualcosa che devo sapere sui tuoi amici?»
L'altro ridacchiò, grattandosi la guancia e scavalcando il divano, sedendosi in cima allo schienale con i piedi poggiati ai cuscini della seduta.
«Beheeee... no, a parte il fatto che hanno scommesso che non sarei riuscito a tenermi un coinquilino per più di un mese. Ma tu stai andando bene, alla grande!»
Sospirò pesantemente,
Doveva immaginarlo che quel bambino troppo cresciuto aveva degli amici cretini...
«D'accordo, allora se vinci la scommessa voglio la metà!»
...ma non per questo non avrebbe dovuto guadagnarci a propria volta!
«Sogna, bello! Al massimo ti do il venti per cento!»
«Quarantacinque!»
«Dieci!»
«Quaranta!»
«Cinque!»
«Ma da chi diavolo hai imparato a trattare? Tu dovresti venirmi in contro, non continuare ad abbassare la tua offerta!»
«Continua così e mi tengo tutto.»
Jensen lo guardò inorridito e lui gongolò.
«Piccolo bastardo...»
«Se, però, vieni, ti prendi tutto tu.» il ghignetto si trasformò presto in un sorriso più dolce ed il più grande non ebbe il cuore di negargli nulla.
«D'accordo, ma lo faccio solo per i soldi.» mentì. Lo faceva per lui, per il suo sorriso, per poter stare ancora insieme e perché, per quanto non accettasse l'idea di provare tanto affetto per un ragazzo, c'erano centinaia, migliaia di ragioni per cui non avrebbe mai rinunciato alla sua presenza.
Jared balzò in piedi sul divano, sovrastandolo con la propria altezza.
«Vieni davvero? Giura!»
«Ma quanti anni hai?»
«Giura Jensen, giura!» ordinò in un'espressione teatralmente seriosa, gettando un braccio in avanti, verso il più grande, ad indicarlo con giovane furore, esagitato come una trottola impazzita.
«Ok, ok, take it easy. Lo giuro. Contento?»
Sorrise.
Sì, era contento, di una contentezza che gli esplodeva nel petto e che gli illuminava gli occhi, che gli scaldava le guance e che lo faceva sorridere come il più stupido dei bambini, che faceva sembrare i problemi del mondo futili e la stanchezza che gli pesava sulle spalle molto più leggera. E, guardandolo, Jensen sorrise a propria volta, orgoglioso di averlo reso felice.
Alle volte è vero che la felicità delle persone che ami è anche la tua...