[Supernatural RPS] J. || #08. 1200ft^2 of surprise (2° part)

Nov 20, 2012 17:37

Titolo: J.
Serie: Supernatural Rps
Capitolo: 8/?
Character: Jared Padalecki; Jensen Ackles; Chad Michael Murray (nominated);
Pairing: JensenxJared {j2},
Rating: Nc-17
Genre: Slice of life, Fluff, Romance, Erotico, Melancoly
Word: 3.367
Note: E con questo capitolo, entra ufficialmente in scena Chad! Olè! Sfortunatamente se i J2 li conosco poco, Chad lo conosco ancora meno, quindi non so quanto vicina ci sono andata al suo chara, ma tant'è, spero che non venga mai a sapere di questa fic -né lui, né tutti gli altri, coff- e che le sue fan mi perdonino se lo rovino. Spero di no, ecco.
Disclaimers: Gli attori appartengono tutti a loro stessi, con questa fic non si vuole assolutamente discutere i loro gusti sessuali, le loro scelte di vita o quant'altro. E' una fic scritta senza scopo di lucro e senza la pretesa di poter dire di "conoscere" i personaggi che qui si muovono perchè no, non li conosco affatto e in questa fic c'è soltanto la loro idealizzazione.
Capitoli precedenti:  01 02 -  03 -  04 -  05 -  06 -  07 - 08


 
 

J.
[The amazing guys]


#08. 1.200ft^2 of surprise (2° part)
Odore di disinfettante, camici bianchi, il bisbigliare di medici, il piangere dei bambini, l'urlare dei feriti, il sangue sui vestiti e, seduto accanto a lui, con le spalle curve e la testa bassa, gli occhi strizzati e i denti serrati, Jared tremava, cercando di tenere a bado il dolore della mano.
Jensen lo guardava con occhi sbarrati e, per la quarta volta nel giro di un'ora, si alzò portandosi al banco informazioni dove un'infermiera era intenta a compilare la cartella di qualche paziente.
«Mi scusi, quanto ci vuole ancora?»
«Ha compilato il modulo?»
«Sì, l'ho compilato, è un'ora che non mi chiede altro ed è un'ora che aspettiamo. Quanto ancora ci vuole perché lo visiti un medico?»
«Mi dispiace, signor...»
«Ackles.»
«Signor Ackles. Mi dispiace, ma come può vedere a causa di un incidente, i medici sono occupati con i pazienti più gravi, appena sarà possibile qualcuno verrà a visitare il suo amico.»
«Almeno dategli qualcosa per il dolore!»
«Signore, la prego, torni seduto, stiamo facendo il possibile.»
...

Braccia sollevate, in piedi su di un vecchio tavolino di scena ora usato come suo piccolo palco personale.
«I was awesome!»
La voce di Jared era squillante, gli occhi gli brillavano d'orgoglio e il pugno della mano sinistra si muoveva per enfatizzare le proprie parole.
«Io!» pausa «Jared Padalecki!» non che avesse bisogno di specificarlo «Ho salvato il volto di Jensen! Le fan di tutto il mondo mi saranno debitrici!»
Uno così, con quell'entusiasmo, il sorriso enorme e quel suo continuare ad annuire, era difficile da prendere sul serio e, la maggior parte dei presenti si convinse che stesse semplicemente mentendo o gonfiando l'accaduto, per quanto alle volte tirassero occhiate verso il compagno d'avventura di Padalecki, spiandone la reazione.
Non ne trovarono una particolare, Jensen ascoltava senza dire niente, chiuso in un silenzio fatto di sensi di colpa, si limitava a seguire ogni movimento della mano destra del più giovane, tenuta fasciata da una benda bianca che spuntava a malapena dalle maniche troppo lunghe della felpa di Sam Winchester; lo seguì attentamente, assicurandosi che non la sbattesse da nessuna parte o che non sentisse dolore, nonostante gli antidolorifici che gli aveva prescritto il medico e che, quella mattina, lo stesso Jensen l'aveva costretto ad ingoiare.
"Butta giù e poche storie, Jared, e appena senti che ti fa male, avvertimi e facciamo fermare le riprese." era stata, più o meno, la frase che gli aveva ripetuto per tutto il tragitto dall'ospedale al set; intontiti entrambi per averci passato la nottata, erano stati recuperati da auto e autista della produzione: Cliff Cognomeacaso. Non era stato molto attento durante le presentazioni, a malapena l'aveva guardato in faccia e l'uomo doveva aver pensato di avere a che fare con il più sgradevole e viziato degli attori, ma aveva cose più importanti del risultare simpatico ad un mezzo sconosciuto.
Aveva Jared di cui preoccuparsi.

Il corridoio di un ospedale non gli era mai sembrato così lungo e così bianco, era come aver attraversato la linea di confine per un altro mondo, dai suoni ovattati, i colori sbiaditi, le divise tutte uguali e le facce vuote.
Inquieto, continuava a guardare la porta chiusa della stanza in cui avevano fatto accomodare Jared, come se fosse bastato quello a rassicurarlo sulle condizioni del ragazzo.
«Fa che non sia grave...» mormorò, in una preghiera sussurrata «Ti prego, fa che non sia niente di grave...»
Sollevò gli occhi al medico quando la porta si aprì, lo guardò massaggiarsi le tempie, stanco per le trentadue ore di turno, e mosse qualche falcata veloce verso di lui, fermandolo.
«Dottore, aspetti.»
«Mhm?»
«Come sta? Intendo, la mano del mio amico.»
«Ah, sì, sei il ragazzo che è venuto con...»
«Jared. Jared Padalecki. Sì, ero con lui.»
«Lo sapete che per i casi di aggressione sarebbe il caso di chiamare la polizia?»
«Sì, ma non ci hanno aggredito... è stato solo un malinteso e... senta, non può solo dirmi come sta?»
«Il suo malinteso gli è costato una mano fratturata.»
Il suo malinteso...
Alle volte Dio aveva un crudele sense of humor.
...

«'Ste due montagne di muscoli ci hanno tirato dentro a forza e uno di loro voleva spaccare uno sgabello sulla testa di Jensen...»
Il più grande si era accorto tardi che Jared aveva ripreso a parlare con una vitalità ed un carisma tale che, alla fine, la troupe si era fermata ad ascoltarlo tra brusii e commentini vari, coinvolta nel suo racconto.
«E' bastato un solo pugno di Jensen e quello è letteralmente volato al tappeto, senza più muoversi od emettere fiato. Poi ha rivolto questo suo sguardo alla Dean Winchester al secondo uomo e quello deve aver pensato "Oh no, sta per tirare fuori il fucile a canne mozze con i proiettili di sale, sono spacciato!". Oh man, com'è sbiancato!»
«Ma falla finita, Jared.» borbottò il diretto interessato, iniziando a sentirsi un po' troppo al centro dell'attenzione, per gli occhi dei colleghi che si spostavano in continuazione da Jared a lui e viceversa. Ormai la cosa andava avanti da quando, entrambi, erano usciti dall'ufficio di Robert, dopo le solite raccomandazioni del caso, dopo aver rassicurato regista e produttori vari che Jared poteva tranquillamente girare le sue scene e dopo aver parlato di quello che, eventualmente, avrebbero dovuto raccontare alla stampa.
Era stata una nottata pesante seguita da una mattina ancora più pesante.
«Dai, scendi da lì, Mike Tison, che abbiamo da lavorare.» sbuffò verso il ragazzo, facendogli cenno di saltar giù.
«Yeha, yeha. Comunque, ricordatevi, è pericoloso far incazzare Jensen, una volta che subite il suo sguardo-che-uccide, la vostra vita cambierà per sempre.»
«Jared!»
«Arrivo, arrivo.»
Ridacchiò, balzando giù dal tavolo sempre sotto lo sguardo attento di Jensen, compiaciuto dello spettacolo che aveva dato, per quanto sapessero entrambi che non aveva raccontato tutto quanto. C'era stato altro che aveva preferito tenere soltanto per sé, forse perché, a propria volta, non era sicuro di quanto fosse vero e si stava convincendo che il trauma del colpo gli avesse giocato un pessimo scherzo alla memoria.
Sorrise verso l'amico, avendo la netta sensazione di vederlo arrossire, prima di distogliere lo sguardo e superarlo verso il set in cui erano attesi, facendogli strada.
Me lo sono solo immaginato... Si disse, mentre, nascosto dallo sguardo del più grande, si massaggiava piano la mano destra, serrando i denti per ingoiare il dolore.
L'adrenalina, l'ansia e lo spavento, gli avevano fatto immaginare tutto... le mani di Jensen, la sua voce calda nell'orecchio, la sua bocca umida contro la propria pelle...
Deglutì, rallentando il passo mentre guardava la schiena del ragazzo allontanarsi, desiderando per la prima volta mettere le distanze da lui, il più possibile, per dimenticare in fretta cos'avesse provato in quel frangente, scappati dal Bulldog bar.
Doveva essersi immaginato tutto.
Non poteva esserci altra spiegazione.

Jensen aprì la porta della stanzetta lentamente, ritrovando il ragazzo più giovane seduto sul lettino, con lo sguardo fisso alla mano destra gonfia e fasciata e una smorfia indecifrabile che gli arricciava le labbra.
«Jared.» lo chiamò piano, avvicinandosi a passi lenti, in attesa del permesso di poter avanzare di più e potergli stare accanto.
Jared si voltò di scatto verso di lui, sorridendogli debolmente, un po' stordito dalla morfina.
«Ehi, buddy, visto? Qualche giorno e sarò come nuovo.»
«Il medico ha detto che è fratturata.»
«Yeha, ma non è così grave, posso lavorare, basta che non la sforzi, don't worry.»
«Jared io...»
«Non fare quella faccia, non sto morendo. Beh no, aspetta, in effetti sto morendo, ma di fame, ecco. Che ore sono?»
«Le sei e mezzo. Ho chiamato Robert per avvertirli che siamo bloccati qui, ha detto che ci manda qualcuno a prendere.» Non riusciva neppure a guardarlo negli occhi «Vado a prenderti un caffè alla macchinetta.»
«Aspetta, vengo con te.»
«No.»
«Eh?»
«Rimani qui, ok? Riposati un po' e... lascia che...» mi senta utile in qualche dannato modo «Torno subito.»
...

Era stato estenuante tenere il ritmo delle riprese, ricordare le battute, muoversi all'interno del set, correre, saltare come dannate cavallette e, soprattutto, continuare a stare attento alla mano di Jared e alle espressioni del suo volto. Eppure, ogni volta che ne incrociava gli occhi, non riusciva a fare a meno di distogliere i propri, incapace di sostenere il suo sguardo così sincero, così fottutamente contento ed orgoglioso di averlo ancora al proprio fianco, nonostante tutto.
Appena scesi dall'auto di Cliff, gli si era perfino avvicinato per confessargli che, da un paio di settimane a quella parte, aveva cominciato a correre e andare in palestra tutte le mattine, per acquistare più massa muscolare e diventare più forte. Per somigliargli un po' di più, perché non erano soltanto gli occhi di Sam a guardare suo fratello Dean e desiderare di diventare come lui, erano anche quelli di Jared a studiare Jensen, osservandolo e cercando di imparare da lui, di trarre ispirazione e di migliorarsi in qualsiasi modo.
Ma Ackles avrebbe preferito non saperlo, avrebbe preferito che il più giovane gli inveisse contro, che gli dicesse chiaramente che era stata colpa sua se la mano gli faceva talmente male da non poter neppure afferrare lo zaino vuoto che gli porse Dean: il braccio di Sam tremò, più visibilmente di quanto non gli avesse visto fare per tutto il tempo, e la presa si allentò troppo, facendo cadere lo zaino che si afflosciò in terra.
Il più giovane dei Winchester chiuse gli occhi, sospirò pesantemente e, quando li riaprì, erano gli occhi di Jared a guardare il collega e il resto della troupe, mortificati.
«Scusate, la rifaccio da capo.» azzardò un sorriso stanco, chinandosi per afferrare lo zaino; era così frustrato che calcolò male i movimenti, strusciando malamente la mano destra contro l'asfalto sotto ai propri piedi, lasciandosi sfuggire una smorfia di dolore e un'imprecazione sottovoce.
«Jared, fai le cose con calma e vai tranquillo, abbiamo ancora tempo.» lo rassicurò il regista, prima di dare l'ordine di rimettersi in posizione per un nuovo ciack.
Annuì seccato, ricominciando la scena, portandola a termine, ripetendone altre e, infine, arrivando allo "Stop! Va bene così per oggi!" di Singer, che giunse come una liberazione.
Poco dopo le riprese, Jensen lo ritrovò nel bagno degli uomini, con la testa sotto il rubinetto, che inveiva contro l'acqua di cui non era riuscito a moderare la temperatura ed usciva gelata, a bagnare i suoi capelli.
Si tirò in piedi, chiudendolo e, irritato per non essere riuscito a dare il meglio di sé per la puntata, sbatté il pugno destro contro la ceramica bianca del lavandino, accompagnando il gesto con un disperato "Fanculo!" che risuonò tra le pareti del bagno, poco prima di un grugnito di dolore e della voce di Ackles.
«Porca miseria, Jared, vuoi stare più attento?»
Da una parte il tono gli uscì male, arrabbiato -per quanto fosse arrabbiato con se stesso, più che col ragazzo-, dall'altra il più giovane non aveva fatto altro che sentirsi addosso gli occhi e l'ansia di Jensen e quel suo continuare a preoccuparsi per lui ad ogni singolo movimento gli dava l'impressione di camminare sul filo di un rasoio.
«E che cazzo, Jensen!» sbottò a sua volta, esasperato e stanco quanto l'altro. La giornata era stata troppo, troppo lunga «Non mi sono fatto niente, ok? E poi c'è la benda, take it easy.»
«Dio, Jared, proprio non ci arrivi, eh? Oltre a crescere con il corpo, vedi di crescere anche col cervello, cazzo! Non puoi fare sempre il bambino e comportarti come se fossi indistruttibile, non posso stare sempre a preoccuparmi per te! Non sei neppure davvero mio fratello, for the God sake!»
Jared si girò, fronteggiandolo.
«E chi cazzo te l'ha chiesto di preoccuparti, so badare a me stesso!»
«E allora inizia a farlo! Io me ne tiro fuori.»
Se ne pentì non appena concluse la frase, ma decise comunque di andarsene e lasciarlo lì, alzando le mani in un gesto di resa e dandogli le spalle, per tornarsene al proprio trailer e buttarsi quella maledetta giornata alle spalle.

«State aspettando da molto?»
L'auto era calda, il motore ancora acceso.
Jensen guardò l'uomo, era ben piantato, alto circa quanto lui, dai capelli radi e una barba chiara e brizzolata a coprirgli il mento.
Apprezzò il suo tentativo di sorridere per sembrare più amichevole, ma preferì ugualmente rimanere immobile accanto a Jared, i muscoli tesi e il pugno stretto, pronto a scattare.
«Da quaranta minuti.»
«Mi dispiace, è lunga dal set all'ospedale.»
«Sì, lo so, non importa. Può aprirmi la portiera?»
«Subito.»
«C'mon princess, è arrivata la carrozza.»
Aiutò Jared a sistemarsi nel sedile posteriore, raggiungendolo subito dopo e, quando l'auto partì, il più giovane sbadigliò stropicciandosi gli occhi, iniziando lentamente a scivolare verso Jensen, finché non si addormentò con la testa contro la sua spalla.
Lui non si mosse, se non per gli occhi che si puntarono allo specchietto retrovisore, incontrando il riflesso dello sguardo di Cliff; divennero due lame fredde e smeraldine nel tentativo di intimidirlo, affinché si tenesse ogni possibile commento e giudizio per sé. Piano il braccio si sollevò, per potersi poggiare alle spalle di Jared, le dita affondarono tra i suoi capelli castani e, senza pensarci due volte, lo tirò maggiormente a sé, continuando a puntare gli occhi allo specchietto, sentendosi in dovere di proteggere il ragazzo dagli sguardi di chiunque, con quella propria aria di sfida che, in realtà, aveva indossato per tutta la notte solo per nascondere la paura.
...

La porta del trailer si aprì, lasciando sbucare dallo spiraglio un braccio e un sacchetto di carta da cui proveniva un dolciastro profumo di panetteria, per poi far spazio al resto del corpo di Jared e ai suoi occhi dispiaciuti, quelli che tutti, nella realtà e nella finzione di Supernatural, chiamavano puppy-eyes.
Jensen lo guardò a lungo, osservando, senza dir niente, il sacchetto di carta.
E quello cos'è?
Per quanto taciuta, il più giovane riuscì a interpretare perfettamente la sua domanda.
«Offerta di pace.» affermò, entrando completamente nel trailer e chiudendosi la porta alle spalle, avanzando in direzione del divanetto a cui aveva preso posto l'amico.
Jensen chinò il capo.
«Scusa se ti ho urlato contro a quel modo.»
Spalancò gli occhi, stupito.
«Eh?»
«Non farmelo ripetere.»
«No, cioè... è che non pensavo saresti stato tu a chiedere scusa a me. Dovevo essere io a chiederti scusa, commuoverti fino alle lacrime con la mia espressione più adorabile, parlarti di quanto ti rispetto e ti voglia bene e ti sia grato per tutto quello che fai sempre per me e...»
«Va avanti per molto? Perché altrimenti vorrei almeno dei pop-corn per gustarmi meglio la dichiarazione.»
«Gnegnegne.»
Jensen si passò la lingua sulle labbra, inspirando, per poi cercare le parole giuste con cui riprendere a parlare, con la voce carica di una dolcezza affettuosa che si rispecchiava anche negli occhi verdi, mentre lo guardava prendere posto sul divano accanto a sé e lasciargli il sacchetto di carta sulle gambe, sistemandosi un po' più in là per non dargli fastidio.
Se solo avesse saputo quanto, invece, Jensen desiderava averlo più vicino e poterlo tenere solo per sé, per non condividerlo con nessuno, neppure con i fan, neppure con le telecamere.
«Lo sai che non pensavo davvero quello che ho detto, right?» affermò, cercando dopo tanto gli occhi di Jared che annuì.
«Yeha.»
«Ok.»
«Lo sai che ti voglio bene anche le poche volte che mi urli contro, right?» fu il turno del più giovane.
«Yeha.»
«Ok.»
Jared gli sorrise ed il più grande la vide di nuovo, quella luce particolare nei suoi occhi, che si accendeva solo quando guardava lui. Era così, ne era sicuro, anche se non aveva ancora avuto il coraggio di interpretarla e capire cosa significasse.
Poi, il suo sguardo iniziò a soffermarsi un po' troppo a lungo sull'offerta di pace.
«Ehm... posso mangiartene un pezzo?» doveva aspettarsela una domanda del genere.
Jensen ruotò gli occhi al cielo, tendendo il sacchetto verso di lui.
«Mangialo tutto, asshole.»
«Thanks, buddy!»
Allegramente iniziò a scartarlo con la mano sana, rivelando una grossa fetta di apple-pie che Jensen squadrò incredulo.
«Mi avevi portato della pie?»
«Yep.»
«Ti sembro forse Dean?»
Domanda stupida, ma ormai era troppo tardi per rimangiarsela e sulle labbra dell'amico nacque un ghignetto birbante.
«Devo rivelarti un segreto, magari non te ne sei ancora accorto, ma tu e Dean avete la stessa faccia... sai, con la storia che sei tu ad interpretarlo. Non so se mi capisci.»
«Stupido, lo sai cosa intendo!»
«Oh c'mon, dude, non avrai gli stessi gusti di Dean, ma non significa che la torta di mele non sia buona comunque. E poi avevano già finito tutto il resto. La prossima volta, per farmi perdonare, ti porterò un pony, ok?»
«Jerk.»
Jared rise divertito, scegliendo, per questa volta, di non rispondere come avrebbe fatto Sam, in realtà, a parte durante le loro prime interviste e in qualche occasione passata a venir assaltati dai fan, sapeva che Jensen non apprezzava particolarmente essere costretto ad interpretare il proprio personaggio al di fuori del set. Per quanto gli piacesse Dean, gli piaceva molto di più la propria identità e l'idea che chi lo conoscesse gli volesse bene per quello che era, non perché interpretava un cacciatore di demoni dall'aria sexy, lo sguardo da tigre e la battuta sempre pronta.
«Jensen.» lo chiamò, invece, mordendo un pezzo di torta e prendendosi il tempo per formulare mentalmente una frase di senso compiuto «...ieri non ho avuto occasione di chiedertelo.»
Qualcosa vibrò nella propria tasca.
«Ti va di...»
Pochi istanti dopo e, oltre alla vibrazione, giunse ad interromperlo anche la suoneria pre-impostata del cellulare.
Iniziava a convincersi che Qualcuno lassù ce l'avesse tanto con lui da non volergli dare l'opportunità di parlare seriamente con il ragazzo.
Maledì il cellulare, tirandolo fuori dalla tasca dei jeans e gettandolo malamente tra i cuscini del divano, sbuffandogli e ringhiandogli contro come un animaletto indispettito, tanto buffo quanto tenero.
«Guarda che non smetterà di squillare solo perché gli stai soffiando contro, kitty-boy.» gli fece notare Jensen, raccogliendolo tra le mani, per porgerlo al suo proprietario, in un gesto molto più maturo.
Ma l'altro non sembrava intenzionato a rispondere:
«Fa niente.»

Il Burrard Bridge sembrava interminabile e la strada da percorrere era ancora lunga.
Per tutto il tragitto l'unica cosa che aveva tenuto loro compagnia erano le notizie del traffico e la musica soft di una stazione radio scelta più che altro a caso, per coprire il ronzio del riscaldamento che aveva reso la temperatura dell'abitacolo molto meno rigida rispetto a quella esterna.
Jensen aveva faticato a tenere gli occhi aperti e, come Jared, stava lentamente scivolando nel sonno, quando, proprio la voce quasi inudibile del ragazzo, lo chiamò, riportandolo subito con i sensi all'erta e gli occhi spalancati sul suo capo, che non si era più spostato dalla propria spalla.
«Jensen...»
«Ehi, buddy. Continua a dormire, non siamo ancora arrivati.»
«Mhm. Volevo... volevo solo dirti... che sono felice che non ti abbiano fatto... del male.»
Jensen si impose di tacere, di non respirare, di non gemere per il dolore che quella sola frase gli aveva procurato, trapanandogli il cuore.
Annuì soltanto, aspettando che Jared si riaddormentasse e rimase per tutto il resto del tempo a guardare fuori dal finestrino, verso una Vancouver appena risvegliata.
...

Dopo la prima telefonata, ne erano seguite altre due.
«Vuoi che risponda io?» chiese Jensen, iniziando a trovare fastidioso l'insistenza di quelle chiamate.
«Se gli dici che ha un tempismo del cazzo ci sto.» borbottò Jared, incrociando le braccia al petto, guardandolo rispondere davvero con un «H'llo?» strascicato.
Dall'altra parte fu una voce maschile a rispondere, cercando ovviamente il proprietario del cellulare.
Senza accorgersene il proprio tono si indurì, ma non avrebbe mai ammesso che fosse per la gelosia di sentir pronunciare il nome dell'amico da un altro ragazzo con così tanta confidenza.
«Chi parla?» chiese, sforzandosi di apparire educato.
Si pentì presto di aver risposto alla chiamata e di aver posto quella domanda.
«Sono Chad, un suo amico.»
Chad.
Aveva un'ottima memoria, allenata dagli anni passati a memorizzare copioni, e quel nome gli era rimasto più impresso di tutti gli altri.
Senza pensare premette il comando "chiudi chiamata", chiudendola in faccia al ragazzo, rendendosi conto di quanto appena fatto quando ormai fu stroppo tardi...
«...shit...»

character: jensen ackles, character: jared padalecki, long-fic: j., pairing: j2, [rps], [longfic], character: chad michael murray

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