[Hey!Say!Jump] Hoshi wo Mezashite [03/06]

Nov 19, 2012 15:15

Titolo: Hoshi wo mezashite
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei ; Takaki Yuya x Inoo Kei ; Takaki Yuya x Chinen Yuri ; Yabu Kota x Yaotome Hikaru.
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, NonCon!, Death!Fic, Violence, AU!, Under!Age
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Kei è stanco della sua vita. Stanco di quella routine che lo stava lentamente uccidendo. E Kota, il suo padrone, il suo carnefice e l’uomo che lo aveva comprato non migliorava le cose.
Note: Scritta per il bigbangitalia.
Note 2: Scritta per la 500themes_ita con i seguenti prompt.
“25. Soffrire l’agonia.”
“338. Affetto crescente.”
“253. Da solo vado in pezzi.”
“154. Favola incompleta.”
“339. Un tempo per essere in lutto.”
“108. Promettimelo.”
Note 3: Scritta per la diecielode con i seguenti prompt:
"You trick your loves // That yo're wicked and divine"
“The undisclosed desires in your heart.”
“You may be a sinner.”
“Your beauty’s not just a mask.”
"I'll make you feel pure."
"Trust me // You are the one"
WordCount: 23.331 @fiumidiparole

Infine, ma non meno importante, per questa storia vogue91 ha creato uno splendido fanmix. Meraviglioso. Mi è piaciuto tanto! ** Ancora grazie! <3
Gift!




Banner by: vogue91

Lista capitoli precedenti: 
- Capitolo 01 
- Capitolo 02

**


Capitolo 03

“Con un po’ di tristezza, condividiamo la gentlilezza
finché non ci feriremo l’un l’altro.”
{Kanjani8 - Tsubusa ni Koi}

Kota si accese una sigaretta, camminando per le strade del quartiere. Camminava velocemente, per allontanarsi il più possibile da casa.
Odiava perdere la pazienza e difendere Yuri. Se per tutti quegli anni non gli aveva detto nulla, voleva dire che non era necessario dirlo.
Il più grande odiava mostrare le proprie debolezze. Si era chiuso a riccio tanti anni prima e da quel momento non aveva più detto nulla di personale, nemmeno con lui.
Kota aveva faticato a trovare un rapporto con lui, per togliersi da dosso l’etichetta di illegittimo, di bastardo, di indesiderato.
Aveva lottato contro tutti e tutto per dimostrare di essere una persona che valeva. Aveva cercato di mostrarlo a Yuri, il fratellastro, con tutto sé stesso.
Aveva passato diciassette anni della sua vita a cercare la sua attenzione, la sua approvazione, la sua comprensione.
Perché non era colpa sua se suo padre all’epoca si era portato a letto sua madre e lui era nato in quella famiglia. Non era colpa sua se lui aveva una madre, mentre Yuri no.
Lui non aveva colpa di nulla. Ma Yuri aveva impiegato anni a capirlo. E proprio quando si era aperto, si era di nuovo chiuso a riccio.
E Kota lo sapeva bene che, dentro di sé, Yuri aveva dato a lui la colpa, anche di quella morte.
Gettò a terra il mozzicone di sigaretta, accendendosene una nuova. Era nervoso. Non gli piaceva ripensare a quegli anni, di pensare a come veniva trattato.
Non gli piaceva ricordarsi delle botte presa dietro il capanno degli attrezzi, mentre gli veniva detto che sua madre era solo una puttana.
Non gli piaceva ripensare a quando Yuri gli stringeva la mano alla gola e desiderava ucciderlo. Perché, nonostante tutto, gli voleva bene. Gli aveva sempre voluto bene ed era per quel motivo che non aveva mai aperto bocca.
Perché sua madre, la donna che aveva messo al mondo Kota, aveva cercato di essere una madre anche per lui. E Yuri l’amava.
La chiamava “madre”, la considerava come tale e Kota non voleva togliergli anche lei, dopo avergli inconsciamente tolto il padre. Non se la sentiva.
Dirle la verità sui lividi, sui graffi, sul suo costante mutismo sarebbe stato facile. Ma non avrebbe tradito Yuri.
E il più grande lo sapeva bene. Lo aveva sempre saputo.
Aveva impiegato diciassette anni per farsi dire una parola carina. Per vedere la sua mano allungata verso di lui per dargli una mano e non per picchiarlo.
Era stato quando una famiglia rivale lo aveva rapito. E lui si era fatto rapire per difendere quello che all’epoca era il suo fidanzato, Hikaru.
Era stato torturato nelle peggiori manieri. Era stato toccato. E lui da quel momento aveva giurato che non avrebbe più avuto cura del prossimo.
Aveva coperto le cicatrici con il tatuaggio, ma quelle si vedevano ancora. E lui le odiava, perché lo portavano con la mente ad un periodo in cui era debole.
Poi era arrivato Yuri a salvarlo. Lo aveva preso in braccio perché lui era troppo debole anche per camminare e si era stretto a quello che era suo fratello maggiore. E per la prima volta sentiva che anche Yuri lo considerava come un fratello.
E Kota si era sentito felice, finalmente. Perché il suo dolore era stato finalmente ricompensato.
Poi sua madre era morta.
All’improvviso, senza una motivazione. Erano rientrati da Osaka e l’ala privata della famiglia della casa di famiglia era immersa nel buio.
Anche se aveva già compiuto vent’anni, Kota si era ritrovato ad avvicinarsi al fratello, spaventato da quel buio e da quel silenzio innaturale.
Si erano avvicinati, senza fare alcun rumore a quella che erano le stanze dei genitori, continuando a non trovare nessun oggetto fuori posto, a continuare a stare al buio, a continuare ad essere immersi nel silenzio.
L’unica stanza illuminata era quella adiacente alla camera da letto. Era la stanza dove la madre praticava l’hikebana, l’arte della composizione dei fiori, una sua grande passione. Al tavolo al centro, una grande sistemazione in stile classico, senza nessun elemento moderno, mentre sul pavimento, non ancora pulito, c’erano steli, rami e fiori che la donna doveva aver considerato inadeguati.
Kota aveva lo sguardo fisso a terra. Yuri al suo fianco aveva praticamente smesso di respirare.
Alzandolo lentamente aveva visto la madre impiccata ad una trave a vista. Il corpo era immobile, il volto talmente pallido da sembrare innaturale, la bocca lievemente dischiusa e gli occhi sbarrati.
Aveva voglia di urlare, ma era solo crollato sulle ginocchia.
Tutt’ora i motivi del suicidio della donna, risultavano inspiegabili. E né lui né Yuri se ne erano mai fatti del tutto una ragione.
Era gennaio. La fine di gennaio. E nevicava.
Entrò dentro al palazzo, salendo negli uffici principali. Yuri era da solo. L’uomo alzò a malapena lo sguardo e lo salutò con un gesto della mano.
Si alzò, versandogli un caffè e Yabu le prese, bevendo lentamente.
« Dovresti essere a casa. » commentò il più grande tornando seduto dietro la sua scrivania e sistemando dei fogli.
Yabu grugnì una risposta, che a Yuri probabilmente non sarebbe nemmeno interessato.
« Anche tu. Il casinò è chiuso da più di un’ora. »
« Già. Non riuscivo a prendere sonno, quindi sono ritornato qua. Magari dormo nel futon dell’altra stanza se proprio sto per crollare. »
Yabu annuì. Si sedette su una scrivania, portandosi una gamba al petto e osservandolo attentamente.
Il profilo di Yuri era sempre stato molto più elegante del suo. Molto più nobile e fiero, degno di un qualunque capo yakuza.
La cicatrice sul volto incuteva timore, così come la mano dell’oni che spuntavano dal colletto della cravatta.
Kota aveva visto il suo tatuaggio per intero solo una volta, ma non lo avrebbe mai dimenticato. Raffiguravano due oni che si fronteggiavano, i demoni guardiani delle porte dell’inferno buddista.
Il demone Fu-jin era rosso, sulla parte sinistra del corpo e fra le mani reggeva il sacco dove erano contenuti i lampi e il vento, che durante le tempeste lasciava andare sulla terra. Il demone Rai-jin invece era blu, sulla parte destra della schiena e impugnava le bacchette dei tamburi dal quali fuoriuscivano i lampi.
Rappresentavano la violenza, la morte, la vendetta. Li aveva tatuati anni prima, quando erano pieno di rabbia per il matrimonio di suo padre e non accettava lui come fratello. Quando la madre di Kota era morta, per lui era stato un dolore insuperabile. Si era tatuato le braccia. Sul braccio destro fiori di crisantemo che rappresenta la verità e sul sinistro delle rose bianche che significavano innocenza ed entrambi venivano stritolati da dei serpenti.
Si riscosse quando vide il fratello davanti a lui, che gli schioccava le dita davanti agli occhi.
« Sei strano Kota. Che cosa hai? » domandò perplesso.
« Nulla. » tornò a bere il caffè « Sono solo nervoso. »
« Hai discusso con Kei? » chiese ancora, dandogli le spalle e tornando seduto.
« Ovviamente no. E se anche fosse, perché me la dovrei prendere per quello che dice lui? Sono solo un mucchio di stronzate. » esclamò indignato.
« Perché lui è il tuo punto debole. » si limitò a dire Yuri alzando le spalle « Me lo devi dire te perché ti preoccupi per quello che dice. »
« I-Io… » arrossì per l’irritazione « Basta, vado a mangiare. Ho troppa fame per parlare con te. » scese dal tavolo, senza rispondergli.
Yuri si limitò a fare un sorriso, indicandogli la porta. Kota sbuffò e se ne andò via a grandi passi.

**

Kei si alzò lentamente dal pavimento. Ci era rimasto per un po’, a fissare il soffitto. Lo schiaffo di Kota gli faceva ancora male e per di più continuava a morire di fame.
Il frigo era pressoché vuoto. Yabu mangiava quasi sempre fuori e non si preoccupava di riempirlo.
Si diresse in bagno, lavandosi ancora la faccia, lentamente, cercando di non farsi troppo male. Poi si cambiò e si sdraiò sul letto. Le lenzuola profumavano di lui e non gli ci volle prima di addormentarsi.

**

Yaotome Hikaru era seduto negli uffici centrali. Stava coordinando dei lavori e da lì a poco avrebbe chiamato Kota per definire alcune contrattazioni e per informarlo di alcuni stranieri che cercavano di lavorare nel loro territorio.
Prese il telefono e osservò l’ora. Erano le sette del mattino e Kota era andato via cinque ora prima.
Se lo conosceva bene stava ancora dormendo e non gli andava di svegliarlo. Kota era andato via di pessimo umore e non era sua intenzione farlo ritornare a lavoro ancora più nervoso.
La porta dell’ufficio si aprì all’improvviso e Hikaru fece scattare la mano sulla pistola che aveva in tasca.
Tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che era solo Yabu.
« Dovresti essere a casa a dormire. »
« Non avevo sonno. » brontolò sedendosi alla sua scrivania e allungando i piedi sul tavolo, accendendosi un’altra sigaretta.
« Sei ancora incazzato perché quella puttana si è fatta di nuovo scopare da Takaki? » domandò acido Hikaru senza guardarlo.
Sentì Yabu agitarsi sulla sedia e gli lanciò uno veloce sguardo, giusto in tempo per schivare un enorme raccoglitore che il più grande gli aveva lanciato.
Si accucciò a terra, osservando l’oggetto sbattere contro il muro prima di voltarsi, scioccato, verso l’amico.
« Sei pazzo? Potevi uccidermi! »
« Tu… mi irriti. E’ colpa tua. » replicò rosso in volto.
« Tutto questo perché ho nominato quella puttana! » esclamò ancora avvicinandosi.
« Ovvio che no. E’ il nome di Takaki che mi dà fastidio. Kei è là per farsi scopare, perché mi dovrebbe irritare? »
Hikaru schioccò la lingua, poi si avvicinò ancora di più, avvicinando il suo viso a quello di Yabu.
« E’ sempre a casa tua? » chiese poi.
« Ovvio che no. » mentì Kota senza spostare lo sguardo « Quella è casa mia e mi devo rilassare, non incazzare ancora di più. »
« Mh. Ed è tanto che non te lo scopi? » mormorò poi, sfiorandogli il petto, fino a scivolare sul cavallo del pantalone.
« Un po’. » mentì ancora, cercando di non ricordare l’ultima volta che lo aveva portato a letto, qualche giorno prima « Perché? »
« Sai, pensavo di farti passare il nervosismo. Come qualche anno fa. » continuò allusivo, riferendosi a quando avevano una pseudo relazione.
« Mh. Non è che mi vada tanto di fare sesso. » commentò Yabu cercando di spostarsi, ma senza riuscirci dato che Hikaru continuò a stare su di lui.
« Dai, non fare lo schizzinoso. Dovrai sfogarti, no? Sono convinto di essere molto meglio di lui, lo sai? »
Yabu accennò un sorriso.
« Guarda che a Kei posso fare davvero di tutto. Tu pensi di poter reggere il confronto? » mormorò afferrandolo per il colletto.
Hikaru si scostò dalla sua presa e si inginocchiò davanti a lui, slacciandogli i pantaloni e tirandoli giù oltre le ginocchia. Gli afferrò l’erezione, iniziando a succhiarla e a muovere la mano, lentamente.
Yabu si appoggiò alla scrivania dietro di lui e stringendo le mani ai bordi del tavolo, reclinando la testa. Hikaru continuò a succhiare e a leccare solo la punta, fino a che non decise di prenderlo del tutto in bocca, continuando a muoversi allo stesso ritmo delle spinse di Yabu dentro di lui.
All’improvviso il più grande lo afferrò, sbattendolo contro la scrivania. Hikaru lo fissò, lievemente stordito, alzandosi sui gomiti.
« Kota…? Non ti pare di esagerare un po’ così? »
Ma l’altro non lo stesse ad ascoltare e gli mise una mano alla gola, stringendo. Si avvicinò al suo orecchio.
« Ora ti farò vedere come mi scopo quella piccola puttana. » ringhiò sempre più nervoso.
Lo girò, sfilandogli i pantaloni a sua volta e lasciandolo nudo, spingendogli la testa contro il tavolo e tenendolo fermo, mentre Hikaru iniziava a ribellarsi.
Kota si sistemò dietro di lui, aprendogli le gambe con un ginocchio, sempre più irritato da quello che stava facendo.
Spinse la parte superiore del corpo di Hikaru ancora di più contro il tavolo, facendolo aderire completamente, senza smettere di tenerlo per la testa. Poi gli strappò la maglietta e afferrò un tagliacarte. Fece scivolare la lama oltre la prima parte della schiena, occupata dai tatuaggi e poi iniziò a ferirlo.
Hikaru cercava di ribellarsi in ogni maniera, ma Yabu lo teneva fermo e per ogni suo gemito di dolore gli sembrava che le ferite si facessero sempre più profonde. Ansimò di dolore quando lo ferì lungo le costole e Hikaru strinse le mani a pugno.
Yabu lasciò cadere il tagliacarte insanguinato accanto alla sua faccia e lo penetrò. Sorrise quando sentì il più piccolo trattenere un grido, mordendosi la mano e sorrise ancora di più quando lo vide piangere silenziosamente.
Lasciò la presa sul suo collo, afferrandogli i fianchi e iniziando a graffiarlo a mani nude, guardando la pelle sotto di lui arrossarsi, mentre le spinte dentro di lui si facevano sempre più forti, sempre più profonde e sempre più dolorose per entrambi.
Yabu aveva iniziato quella stupida sfida solo per fare un torto a Kei, solo perché era profondamente incazzato con lui, solo perché voleva far vedere a sé stesso che non era poi così dipendente da lui.
Perché voleva dimostrare a tutti quanti che per lui Kei non contava poi così tanto.
Perché non voleva ammettere di essere dipendente da lui, perché dirlo a voce lo avrebbe reso fin troppo reale e non era pronto a quella verità, a quella realtà che si apriva davanti a lui fin dal primo momento che lo aveva visto.
Perché ammettere di essere nervoso quando altri clienti lo scopava, avrebbe voluto dire troppo. Non poteva e non voleva dirgli che da solo, senza di lui, andava a pezzi, privo di un qualsiasi punto di riferimento.
Era il suo oggetto, una sua proprietà, solo suo e quindi poteva farci quello che voleva. Se voleva fare sesso lo faceva con chiunque. Lui non era indispensabile.
Ma mentre spingeva dentro Hikaru, sentiva che il vomito gli risaliva lungo la gola. E non era colpa del ragazzo. C’era stato un periodo in cui era stato innamorato di lui, in cui pensava davvero di poter essere felice con lui, prima che la vita piombasse addosso ad entrambi con la violenza di un terremoto.
E si erano allontanati, poi lui aveva trovato Kei, la sua ossessione.
Venne dentro al corpo di Hikaru con un gemito roco. Uscì dal suo corpo, osservandolo inerme sul tavolo, mentre il sangue e lo sperma scivolavano lungo le sue cosce.
E si sentì male.
Si rialzò i pantaloni, avvicinandosi a lui, afferrandolo per i capelli e alzandogli lentamente la testa, osservando il suo volto rigato dalle lacrime.
« Diciamo che non sei male Hikka. Ma io sono abituato solo al meglio. » ringhiò lasciandolo ricadere sulla scrivania.
Gli diede le spalle e se ne andò.

**

Yuri Chinen osservò l’ora all’orologio da polso. Sospirò. Prese la sua borsa. Se non si fosse sbrigato sarebbe arrivato in ritardo al suo appuntamento.
Uscì quasi di corsa per infilarsi nel primo taxi disponibile. Raggiunse un bar a Roppongi ed entrò, dirigendosi al solito tavolo.
Già seduto, vide Takaki Yuya. Ordinò un caffè, ignorando l’uomo di fronte a lui che rimaneva, come ogni volta, con la testa china e non lo fissava.
Sorseggiò lentamente, attento a non scottarsi.
Parlarono, del più e del meno. Yuri non era abituato a fare conversazione. Non aveva mai avuto un relazione abbastanza stabile per intraprendere quel tipo di percorso. A volte prendeva qualcuno dei ragazzi e se lo portava a letto.
A volte andava negli altri casinò o a rimorchiare in qualche bar, se proprio si sentiva in vena. Ma non aveva mai cercato, né trovato, qualcosa di più.
Takaki gli piaceva. Gli piaceva tutto di lui e aveva fatto di tutto per averlo. Era stato subdolo e viscido, ma non gli interessava nient’altro.
La voce dell’uomo gli entrò nelle orecchie, rilassandolo. Gli piaceva ascoltarlo.
Si morse un labbro, prima di pagare e di rialzarsi. Takaki lo seguì, come ogni settimana. Uscirono dal bar, per infilarsi poco dopo nel love hotel, distante due palazzi. Yuri avrebbe voluto sentirsi in colpa, ma non ci riusciva.
Odiava vedere i segni che quell’uomo lasciava su Kei ogni volta, ma non riusciva a liberarsene, come aveva fatto con tutti gli altri prima di lui.
Ci aveva provato dopo la prima volta. Conosceva il più piccolo e sapeva che su di lui non si sarebbe mai lamentato.
Ci aveva messo poco a rendersi conto degli scatti d’ira di Takaki, ma lui a differenza di Kei poteva difendersi.
Avevano parlato e Yuri si era lentamente innamorato. Non gli era mai capitato con tutta quella forza, prima d’ora.
Odiava sé stesso. Si odiava tremendamente.
Avrebbe dovuto ucciderlo, come tutti gli altri. Avrebbe dovuto gettare il suo cadavere nella Baia di Tokyo, ma Kei lo avrebbe odiato per il resto dei suoi giorni. Vedeva come si era affezionato, come gli sembrasse tutto più semplice quando c’era lui, come non gli interessasse quello che Takaki gli faceva.
Sapeva che uscivano quando Kei era libero, che stavano insieme più del dovuto. Sapeva che forse anche l’altro era innamorato, che aveva scoperto anche lui che cosa voleva dire essere amati in una maniera umana e civile.
E dalla parte opposta c’era Kota. Yabu era sempre stato abbastanza cristallino. Per lo meno, lui riusciva sempre a capirlo. E aveva capito che c’era qualcosa di più, che non era solo per mancanza di coraggio che non lo aveva ucciso.
Anche perché Kota aveva già ucciso a sangue freddo. Era un assassino, come tutti loro.
E non avrebbe voluto fare quel torto a Kei. Ma Takaki era una droga.
Erano finiti a letto insieme per caso. Erano nella macchina di Yuri. Si era fatto scopare, lo aveva sentito dentro di sé, aveva sentito le sue mani spingersi sul suo corpo, facendolo godere.
E da quel momento andava avanti. Takaki aveva provato a ribellarsi, ma Yuri gli aveva detto che se si fosse rifiutato la sua compagnia avrebbe reciso il contratto con la sua banca, mandandolo sul lastrico.
E senza soldi, gli aveva detto, Kei sarebbe stato irraggiungibile. Takaki si era piegato a quel ricatto e Yuri aveva cercato di reprimere i sensi di colpa.
Si faceva scopare, settimana dopo settimana. Si illudeva, ma non gl’interessava.
Dentro la stanza d’albergo, si spogliò rapidamente, sdraiandosi sul letto. Takaki lo seguì subito dopo, baciandogli il collo, toccandolo, iniziando quasi immediatamente a masturbarlo e Yuri gemette.
Sentiva la sua mani muoversi su di lui, veloce, facendolo impazzire. Sentiva le sue labbra sulla sua erezione, succhiarlo e leccarlo e Yuri non credeva di riuscire più di farne a meno.
Takaki afferrò del lubrificante, iniziando a prepararlo e a spingersi dentro di lui. Al più grande non erano mai piaciuti i preliminari, ma con il tempo aveva capito quale era il lato gentile e affascinante di cui Kei si stava innamorando.
L’uomo spinse dentro di sé e Yuri si aggrappò alle sue spalle, inarcando la schiena per sentire di più, per istigarlo a muoversi sempre più veloce, mentre la sua mano aveva ripreso a toccarlo.
Si spinse con il bacino contro di lui, contro la sua erezione che lo stava penetrando con forza, facendolo gemere e urlare di piacere.
Venne nella sua mano e Takaki continuò a spingere, a spingere, a spingere fino a che non venne a sua volta, con un gemito roco.
Chinen ansimò, cercando di stabilizzare il suo respiro.
Era sempre così. Settimana dopo settimana. Si faceva scopare, poi andava a farsi una doccia. Quando usciva, Takaki se ne era già andato e si rivedevano solo la settimana successiva.
Si alzò, chiudendosi nel bagno.
Sotto l’acqua bollente si chiese per quanto sarebbe andata avanti. Eppure lo amava così tanto che si faceva quasi schifo.
E, esattamente come si aspettava, quando uscì dalla doccia, era da solo, così come era sempre stato.

**

Yabu ritornò a casa esausto. Era nervoso ed irritato. E per di più aveva ancora fame. Era passato ad un fast food prima di rientrare a casa. Non vide Kei in salotto, ma notò la porta della stanza da letto chiusa.
Sbuffò.
Non voleva parlargli e non voleva vederlo. Dal sacchetto prese un panino e la coca-cola, si gettò sulla poltrona e poi accese la televisione, iniziando a guardarla, senza un reale interesse. Si accese un’altra sigaretta. Poi un’altra e un’altra ancora. Si alzò per aprire la finestra, facendo andare via la cappa di fumo che opprimeva la stanza.
Quando si girò, trovò Kei in piedi, con addosso solo una camicia. Una sua camicia, notò Yabu senza dirgli nulla. Tornò seduto sulla poltrona, ignorandolo.
Si accese una nuova sigaretta.
« C’è ancora del cibo nella busta del McDonald’s. » brontolò cambiando canale « A me non va, mangia te. »
Kei prese il sacchetto e vide un’altra coca-cola, un panino e delle patatine. Osservò il tavolo e vide dei resti delle medesime cose.
« Ti eri preso tutta questa roba per te? » domandò senza girarsi e accennando un sorriso.
« Pensavo di avere molta più fame. Ora mangia. O andrà a male. »
Kei annuì e prese la roba, sedendosi sul bracciolo della poltrona. Yabu appoggiò la testa sulla sua coscia, inspirando l’odore della sua pelle e baciandola.
« Sto mangiando. » ridacchiò Kei senza però scostarlo.
« Mh. Anche io. » replicò sorridendo il più grande mentre gli dava dei leggeri morsi.
« Vecchio animale pervertito. »
Yabu scosse le spalle, continuando a morderlo, fino a che Kei non si sedette su di lui, montandogli sulla vita. Piegò la testa contro la sua pelle e poi si rialzò eretto.
« Odori di sesso. » commentò solo sorseggiando la sua bibita e senza guardarlo.
Yabu sospirò.
« Sei pazzo. » mormorò solo tornando a fissare la televisione.
« Hai fatto sesso mentre eri fuori ? » chiese ancora Kei, il tono di voce incredibilmente fermo.
« Cosa te lo fa pensare? » sbottò Kota fissandolo « E se anche fosse? Non devo render conto a te di chi mi scopo. » sibilò.
Kei si morse un labbro, ma non replicò immediatamente. Bevve ancora.
« Nulla. Ti comporti come un peccatore. Sembra che tu abbia la coscienza sporca, ma se anche fosse, Io non sono nessuno per te, vero? Sono solo una puttana, una tua proprietà. »
Kota lo fissò, sulla lingua la voglia di dargli ragione e di dirgli che se ne poteva anche andare a casa sua se non gli stava bene. Ma si trattenne. Perché non voleva che se ne andasse e non avrebbe nemmeno voluto dirgli che sì, aveva fatto sesso perché era incazzato con lui.
« Stai vaneggiando, come tuo solito. Se anche tu non avessi il mio nome tatuato dietro il tuo collo, fra me e te non c’è nulla. Quindi non vedo perché dovrei dirti quando faccio sesso. » replicò scostandolo e alzandosi in piedi.
« E allora io che ci sto a fare? » chiese Kei « Perché sono qua, con il tuo fottutissimo nome addosso? »
« Perché… » Yabu prese profondi respiri prima di voltarsi verso di lui « Perché così volevo e non ti devo dare altre spiegazioni. Ho deciso che ti volevo e ti ho preso. Nulla di più. »
« Vorrei solo sapere con chi hai fatto sesso. » ansimò Kei, gli occhi lucidi per la rabbia.
Yabu si accese l’ennesima sigaretta.
« …Hikaru. » mormorò a mezza voce, distogliendo lo sguardo.
Vide Kei avere un brivido prima di terrore, poi di disgusto.
« Hai veramente dei pessimi gusti per delle sveltine Kota. » si limitò a dire « Venire da me ti faceva tanto schifo se ti sei abbassato a farti toccare da lui? » chiese poi.
« Lui era là e io avevo voglia. Tutto qua. Non c’è nessun complotto alle tue spalle, tranquillo. » brontolò.
« Immagino che adesso sarà felicissimo, no? » sibilò Kei avvicinandosi.
Yabu sorrise, annusandogli il collo e mordendolo. Il più piccolo gemette, portandosi la mano sul segno dei denti.
« Ne dubito. Credeva di poter essere al tuo livello e gli ho fatto vedere com’è che ti scopo. »
« Spero che tu l’abbia fatto soffrire il più possibile. »
« Perché lo odi così tanto? » chiese Yabu esasperato.
Kei scosse le spalle e gli prese la mano, poi si diresse verso il letto, trascinandolo dietro di sé. Si stese sul letto, aprendo leggermente le gambe, facendogli vedere che sotto la lunga camicia non indossava nulla.
Yabu inghiottì, sentendo di nuovo l’eccitazione premere nei suoi pantaloni. Kei si mosse, languido, sul lenzuolo e il più grande si sdraiò accanto a lui. Lo afferrò per i fianchi, stringendolo a sé, tornando a mordergli il collo e le spalle.
Kei lanciò la testa all’indietro e il più grande ne approfittò, per continuare a morderlo e a toccarlo, fino a che non gli montò sopra.
« E’ difficile che tu abbia voglia. » commentò solo con un sopracciglio alzato.
Kei alzò un dito, sfiorandogli il volto e poi il collo, accarezzandolo.
« Voglio solo fare il mio lavoro e farti dimenticare una pessima scopata. » mormorò piano muovendosi contro di lui.
« Mh. Mi pare giusto, sì. » concordò Yabu posando le mani sui suoi fianchi e facendole muovere verso l’alto, scoprendolo sempre di più e iniziando a baciarlo.
Scese con la bocca, dando solo una veloce attenzione alla sua erezione, per poi scivolare oltre e iniziare a leccare la sua apertura. Sentì Kei trattenere un gemito per poi chiedergli che cosa stessa facendo, ma Yabu lo ignorò.
Sapeva di non essere mai stato uno stinco di santo nei confronti di Kei, ma non c’era scritto da nessuna parte che dovesse praticamente stuprarlo ogni volta. Anche lui, di tanto in tanto, poteva essere in vena di fare un po’ di sesso normale.
Continuò a leccarlo e a penetrarlo sia con la lingua che con le dita, lentamente, godendosi ogni secondo possibile.
Quando decise che era pronto, si rialzò, osservando il volto lievemente arrossato di Kei e beandosi della sua espressione di piacere, prima di sistemarsi in mezzo alle sue gambe e iniziare a penetrarlo, cercando di non affondare immediatamente come faceva di solito, ma di godersi il suo calore, per tutto il tutto il tempo.
Kei gemette e per una volta a Yabu sembrò che i suoi gemiti fossero sinceri e, soprattutto, di piacere. Spinse ancora più a fondo, fino a che non fu completamente dentro di lui. Fece passare le sue mani sotto le sue gambe, alzandogliele, iniziando a spingere sempre più velocemente.
Ad un certo punto lasciò ricadere sul materasso una gamba, facendo passare la mano fra i loro corpi sudati, afferrandogli l’erezione e iniziare a masturbarlo alla stessa velocità delle sue spinte.
Sentì Kei gemere ancora più forte e si piego su di lui, al suo orecchio.
« Gemi il mio nome, Kei. » ansimò con voce roca.
Kei non se lo fece ripetere una volta di più. Gli circondò il collo con le braccia, facendogli piegare ancora di più la testa, per raggiungere il suo orecchio e iniziare a gemere il suo nome, sempre più velocemente, sempre con più urgenza, fino a che non raggiunse l’orgasmo nella sua mano e fino a che non sentì Kota venire dentro di lui, con un gemito selvaggio e roco.
Il più grande si accasciò su di lui, ansimante, per poi scivolargli accanto. Kei poteva sentire il suo fiato pesante e sorrise.
« Ci sono riuscito? »
« Kei, tu mi faresti dimenticare qualunque cosa. » ridacchiò Yabu dandogli le spalle e coprendosi fino alla vita con il lenzuolo.
Sbadigliò e il più piccolo si accostò a lui, facendo aderire i loro corpi, iniziando ad accarezzargli le spalle.
« Allora ti servo a qualcosa. » mormorò piano.
Yabu non rispose subito. Avrebbe voluto dirgli tante cose. Avrebbe voluto dirgli perché lo aveva preso, nove anni prima, perché avesse deciso di farlo lavorare là, in quel posto, perché avesse deciso di segregarlo in una vita d’inferno invece di adempiere ai propri doverli e farlo fuori con un proiettile in testa.
Ma rimase in silenzio per qualche secondo. Kei non avrebbe capito che cosa gli passava per la testa in quei mesi e non era nemmeno sicuro di volerglielo spiegare. Si trattava di ferite ancora aperte e che ancora sanguinavano.
E che, probabilmente, non avrebbero mai smesso di perdere sangue. Scosse le spalle.
« I miei acquisti non sono mai inutili. » borbottò solo.
Kei continuò ad accarezzargli le spalle, baciandole.
« A parte quando compri quelle orribili scarpe di pelle vera prodotte all’estero. Quelle sono veramente di pessimo gusto. » lo prese in giro.
Yabu si alzò su un braccio, osservandolo inorridito.
« Quelle scarpe sono bellissime. Non le maltrattare così. » si lamentò « Le ho pagate tantissimo. »
« Hai palesemente gettato i tuoi soldi in un cesso. Sono orribili. Non hai per niente gusto Kota. » lo derise ancora, sdraiandosi e ridendo.
Yabu si avvicinò a lui, dandogli un leggero schiaffo sulla spalla.
« Allora la prossima volta mi accompagni tu e vediamo che cosa ne esce fuori Signor Saputello. » brontolò con una voce infantile il più grande.
Kei rise ancora di più. E non era sicuro di riuscire a fermarsi.
Era in quei momenti che, per quanto sapesse che era solo fantasia, sentiva che Yabu gli voleva bene.
E, in fondo, era proprio grazie a quei momenti che era riuscito a sopravvivere per tutti quegli anni.
Yabu gli diede di nuovo le spalle, deciso ad addormentarsi, fino a che Kei non gli parlò di nuovo.
« Perché? » domandò solo.
« Cosa? »
« Perché mi hai scopato in quel modo? Sei stato gentile. E’ raro che tu lo sia. »
« Mi andava. Sono stanco e non avevo le forze per legarti ad un letto. »
« Ma non è quello. Mi hai… preparato e mi hai fatto venire. Non lo fai spesso. » insistette ancora.
Avrebbe voluto dirgli che gli era piaciuto e che probabilmente era stato il sesso più bello della sua vita. Ma Yabu non avrebbe capito.
Per lui era perfettamente normale e, la maggior parte delle volte, non lo faceva nemmeno con l’intento di fargli male o di farlo soffrire. Quelle erano le sue abitudini sessuali, era una persona a cui gli piaceva farlo in maniera violenta e selvaggia.
Nulla di più. Ma avrebbe voluto dirgli che poteva essere gentile con lui, almeno qualche volta in più.
« L’ho fatto perché mi andava. Era un po’ che non lo facevo e… mi sembrava giusto farlo, quindi l’ho fatto. »
« In che senso? »
« A causa di Hikaru. So che tu lo odi, so che… da anni ormai lo faccio solo con te, quindi mi sembrava giusto essere un po’ più gentile del normale. Tutto qua. »
« Beh Kota, sappi che mi è piaciuto. » si limitò a dire Kei.
Yabu gli sorrise, arrossendo lievemente. Poi si coprì ancora
« Bene. Non che la cosa mi interessi particolarmente. » aggiunse poi senza guardarlo e dandogli di nuovo la schiena.
Kei annuì.
« Ovvio, ovvio. » lo prese in giro, sistemandogli il lenzuolo « Buonanotte Kota. » mormorò.
« Buonanotte Kei. » sussurrò Yabu.
Il più piccolo lo sentì sbadigliare. Quando si voltò verso di lui, lo vide già addormentato.

challenge: bigbang 4 ed, challenge: 500themes ita, pairing: yabu x yaotome, pairing: yabu x inoo, fandom: hey!say!jump, pairing: takaki x inoo, pairing: takaki x chinen, challenge: diecielode {wtunes desires}

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