Fic: Puppet on a lonely string (13/17)

May 23, 2009 00:46

Titolo: Puppet on a lonely string
Parte: 13/17
Autore: el_defe & lisachanoando
Fandom: RPF - Sportivi
Rating: VM18
Warning: A capitoli, Alternate Universe (AU), Hurt/Comfort, Linguaggio pesante, MaleSlash, Sesso esplicito, Ucronia, Underage, Violenza
Disclaimer: Questa fanfiction non è a scopo di lucro. Non si vuole offendere o essere lesivi nei confronti delle persone reali descritte. Niente di quanto narrato nelle fanfiction qui contenute è realmente accaduto e non si pretende di dare tramite esse un ritratto veritiero di eventi o personalità. È una serie di pura fantasia e non vuole descrivere atteggiamenti reali. La presenza di contenuti espliciti o non adatti a tutte le età sarà debitamente segnalata, pertanto l'eventuale fruizione di tali contenuti ricade sotto la piena responsabilità degli utenti. *piange*
Introduzione: (Ucronia) "Bruxelles, 29 maggio 1985.
Durante la finale di Coppa dei Campioni (ora UEFA Champions' League) tra Juventus e Liverpool, scoppiarono dei disordini all'interno dello stadio a causa di alcuni gruppi di facinorosi inglesi, che sfondarono le reti divisorie tra il proprio settore e quello che ospitava tifosi neutrali e italiani. A causa della ressa di gente impaurita, alcuni si gettarono nel vuoto per evitare di essere travolti, altri si ferirono contro le recinzioni divisorie. Il muro su cui tentavano di arrampicarsi alcuni tifosi crollò, forse a causa della scarsa manutenzione o del peso eccessivo, seppellendo numerose persone.
Trentanove morti, più di seicento feriti, in gran parte italiani. La UEFA squalificò a tempo indeterminato tutti i club inglesi dalle competizioni europee, molti tifosi del Liverpool furono accusati di omicidio e strage colposa. I disordini, purtroppo, non si fermarono qui."

Dedicata a Fae e Graffias, con semplicità.

Prologo - 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - Epilogo





La telefonata di Mario - un discorso così sconclusionato da divertire un po’ tutti e così maturo e responsabile, rispetto a neanche pochi giorni fa, da convincere perfino José e far commuovere Davide fino alle lacrime - non è che la prima delle buone notizie della giornata. Il ritorno di Adriano in prima squadra è salutato con una certa sorpresa, perché nessuno si aspettava che lo scazzo di Mourinho si dissipasse così in fretta, ma nessuno è scontento della decisione del mister. Qualcuno, poi, è particolarmente divertito da questo colpo di scena magistrale.
«Si può sapere che hai da ridere da un’ora, Marco?» è la domanda che a turno gli rivolgono i compagni più curiosi, a cui invariabilmente seguono cinque minuti di bisbiglii nell’orecchio del malcapitato: a quel punto, le reazioni sono le più disparate. Esteban fa spallucce, Davide diventa rosso fino alla punta delle orecchie e fugge via a far giri di campo come se fosse in punizione, Julio Cesar e Patrick ghignano e ridono fino alle lacrime. E Adriano non ottiene risposta, ovviamente: al terzo tentativo infruttuoso di estorcere il cazzo di motivo per cui ridono tutti (ed è un motivo del cazzo, c’è da dirlo) manda a ‘fanculo tutti e torna ad allenarsi.
Quando arriva il turno di Zlatan, il gruppo è ancora agli attrezzi, e José è in pausa caffè - per puro caso, c’è da dirlo: finché lavorano, non vieta loro di parlare e scherzare. «Ma che cazzo sta succedendo?» chiede, divertito dall’ilarità generale.
Marco sogghigna e gli si avvicina per quanto possibile. «Hai notato che il mister ha riportato Adri in squadra, no?»
«Be’, per forza.»
«Io so perché non è più in quarantena» mormora, e poi ride sguaiatamente di nuovo.
«Spara» ribatte Zlatan, ormai sinceramente curioso.
«Ieri sera ho fatto tardi, ero nella stanza di Javier e Luis a giocare a carte e dovevo stare attento a non fare casini per tornare in stanza. E…»
«Eddai!»
«C’era la luce accesa nella stanza del mister» butta lì ridendo. Zlatan impallidisce vistosamente, ma Marco continua implacabile il resoconto dell’ultima cosa che lo svedese avrebbe voluto sentire. «E ho dato un’occhiatina dallo spiraglio della porta, perché è stato così cretino da non chiudere bene.»
«Continua» sussurra, nessuna traccia delle risatine che aleggiano sulla bocca di quasi tutti gli altri.
«E… be’, c’era il mister che si faceva fottere da Adri. Letteralmente» ride, ignorando che dietro la schiena Zlatan sta stringendo i pugni in maniera spasmodica, schiacciandoli contro il muro. «E avresti dovuto sentire come si divertiva! Dovrei farlo pure io, se servisse a ottenere un aumento, ma piuttosto me lo taglio» ride ancora senza pudore. «E comunque volevo tornare in stanza, però volevo anche vedere come andava a finire… il mister che gemeva e si dimenava come una verginella mentre Adri spingeva e gli faceva una sega, Cristo santo, c’era davvero da farci un film e alzare su dieci milioni… Zlatan, dove sei?» Si guarda intorno, stupito, e Zlatan non c’è più.

«Ciao.»
Filippo alza gli occhi dal giornale, squadrandolo con la stessa aria della prima volta, e lo saluta con un cenno.
«Senti, ho voglia di farmi un giro» attacca senza tanti giri di parole. «Non ho testa per allenarmi, e Javi mi ha detto di chiedere a te.»
Il carabiniere cerca Rosalia con lo sguardo, trovandola a poca distanza, intenta a controllare lo schermo di una videocamera. Le fa un paio di cenni da lontano. Lei annuisce e lo saluta con la mano, sorridente. Zlatan non capisce un cazzo - per quello che ha sentito l’ultima volta che ha origliato le loro conversazioni, dovrebbero saltarsi alla gola ad ogni occasione.
«Okay, andiamo» borbotta, destabilizzandolo per l’ennesima volta.
«Ma…» balbetta, preso alla sprovvista. «Pensavo che-»
«Vuoi farti un giro, sì o no? Pensate troppo, qua dentro. Quello dobbiamo farlo noi, e al massimo mister Mourinho.»
Quel nome lo fa incazzare anche più del tono supponente del capitano; si avvia a larghi passi verso l’Alfa, seguito da un Filippo sempre più divertito - e sempre più desideroso di prenderlo in giro ogni volta che può, questo l’hanno capito tutti e due - e sbatte la portiera della macchina un po’ più forte di quanto sia necessario. L’altro sorride appena.
«Be’, dove vuoi andare?»
«Fai tu» sbuffa. «Purché sia abbastanza lontano da qui.»

* * *

«Due caffè» ordina con il fare abitudinario di chi, in realtà, di caffè è abituato a ordinarne soltanto uno. Nell’attesa, Filippo comincia a schiacciare la bustina di zucchero e Zlatan si guarda attorno - bel localino, un po’ troppo “in” per uno straniero spaesato, ma forse un carabiniere di un certo prestigio è adatto a un ambiente del genere.
Filippo gli porge la seconda delle due tazze con viso impassibile, poi prende la sua e versa non una, ma due bustine di zucchero; quando Zlatan si porta alla bocca la propria - ha messo anche lui una bustina, quanto zucchero può mai servire per una tazzina così piccola? - e comincia a sorseggiare, quasi si strozza per quanto è ristretto quel caffè. Filippo, a venti centimetri da lui, ghigna per averlo messo di nuovo nel sacco.
«Non è la sciacquatura di piatti che avete su in Norvegia.»
«Svezia» ribatte acido, ancora ansimante e con la lingua gonfia per averlo bevuto bollente.
«È uguale. Sotto Roma è tutta Africa, sopra Milano è tutta Norvegia. E lo Starbucks non conta neanche, come caffè» ridacchia ancora, continuando a far girare il cucchiaino nella tazza. Un istante più tardi lo fa tintinnare bruscamente contro il piattino e si volta di scatto, la mano già sulla fondina; Zlatan, che non si è accorto di nulla - a parte del rumore, chiaro - sobbalza quando sente una voce sconosciuta parlare alle sue spalle.
«Salve, mister Ibrahimović.»
Zlatan si volta di scatto, a disagio che qualcuno lo chiami così; è una figura distinta, un uomo dai capelli brizzolati e dal viso apparentemente sereno, quello tipico dei furbetti che tentano di trarre il meglio da ogni situazione. Ha un impermeabile di quello che portano gli investigatori del cinema, di quelli che neanche sembrano impermeabili e che però non sai se definire cappotti.
«Mister Ranieri» lo apostrofa Filippo, con voce cortese ma con uno sguardo glaciale (Zlatan non sa chi cazzo sia questo qui, e non sa perché lui invece lo sappia) che costringe Ranieri sulla difensiva. «Capitano Filippo De Faveri. Mister Ibrahimović è con me.»
«Ah, capisco» risponde affabile l’altro, senza perdere il contatto visivo con Zlatan. «Mister Mourinho ricorre ancora agli angeli custodi per i suoi… interessi?»
«Questo» ribatte «dovrebbe chiederlo a lui. Io ho un lavoro e sono pagato per compiere il mio dovere.»
«È un peccato che lo Special One si circondi sempre di gente così… inetta.» La voce di Ranieri è dolce come il miele, ma solo due persone su tre sanno che grande errore di valutazione sta compiendo. E quelle due persone, nel loro intimo, sghignazzano di lui senza ritegno. «Senza offesa, naturalmente.»
«Senza offesa» ribatte stolidamente il carabiniere, continuando la recita a beneficio del suo sparuto pubblico. «Le serve qualcosa?»
«Soltanto fare una… ah, proposta di affari al signor Ibrahimović. Anzi, se potesse permetterci di parlare in privato, penso che-»
«Temo che questo sia fuori discussione, mister Ranieri.» Il gesto con cui ha slacciato la fondina è stato così casuale che nessuno, a parte loro tre, si è accorto di alcunché. L’impermeabile fruscia frettoloso, il sorriso si spegne, la voce è un pochino meno ferma di prima.
«Oh, nessun problema. Purché si possa parlare tra noi in armonia, naturalmente. Ibrahimović… Zlatan, giusto? Chiamami Claudio, diamoci del tu.»
L’occhiataccia di Filippo è eloquente. Parla poco, e se puoi non parlare per niente. Non che Ranieri gli ispiri molta fiducia: non ha il carisma di José - no, non ha un sacco di qualità che José invece ha, e sì, gli sono bastati due scambi di battute a cui ha solo assistito e già lo può affermare con sicurezza - e non è dotato di chissà quale valida motivazione perché la gente si fidi di lui, piuttosto che di altri.
«Be’, Zlatan» continua Ranieri, interpretando il suo silenzio come assenso, «ti ho visto fare grandi cose, in queste poche settimane. Oh, certo» si interrompe, fissato in maniera interrogativa, «non ti ho visto io di persona, ma alcuni miei… chiamiamoli amici, o assistenti se preferisci. Hai grandi potenzialità, è un peccato sprecarle in una squadra così… ah, poco performante sulle lunghe distanze.»
Zlatan resta in silenzio, fissando i granelli bruniti di zucchero ammonticchiati sul fondo della tazzina. Via dall’Inter, via da José. Gli direbbe di sì soltanto per fargli un dispetto, se non fosse così difficile pensare di non far passare una cosa del genere come la ripicca di un innamorato geloso.
«Io e la mia squadra - sai, siamo i campioni da tre stagioni, abbiamo un grande team - saremmo felici di ospitarti. Saremo a Milano per alcuni giorni, il tempo per prepararci adeguatamente alla partita contro la vostra squadra, la tua squadra.»
«Sì, credo proprio che ci penserò» risponde in un italiano quasi fluente, ignorando Filippo che, alle spalle dell’uomo, è a metà tra l’inorridito e l’incazzato a livelli astrali - non l’ha mai visto così, e dire che a parte Rosy, probabilmente, è uno di quelli che lo conosce meglio. Ranieri è raggiante, anche se dopo qualche parola di circostanza gli ficca un biglietto da visita in mano e se ne va, congedandosi in una maniera così cerimoniosa da non poter nascondere il suo compiacimento.

«Che cazzo ti è saltato in mente?»
«Lasciami in pace.»
«Col cazzo» lo affronta in un portone, incurante degli sguardi dei passanti. «Meriteresti che ti gonfiassi di botte per ogni stronzata che fai.»
«Non ho detto né sì né no.»
«È questo il punto» sibila, incazzato ben oltre ogni limite. «Dovevi dire no, idiota.»
«Per la bella faccia del mister, dovevo farlo?»
Zlatan si trova inchiodato contro la parete del corridoio di ingresso di quel palazzo sconosciuto. Non c’è niente di erotico, no, e la luce sinistra che brilla negli occhi di Filippo non aiuta a creare una qualsivoglia atmosfera. Ma non gli fa paura.
«Per la tua bella faccia. Non mi faccio problemi a sfigurarti a suon di pugni, cazzone svedese.»
«Provaci» lo sfida.
«E poi chi mi segna un gol domenica? Non posso buttare duemila euro nel cesso solo perché ho voglia di spaccarti la faccia, mio caro.»
Zlatan non risponde, si limita a ghignare - ed è ben assurdo, bloccato contro la parete da uno che ha più o meno la sua stessa forza, la sua stessa altezza e quasi più supponenza di lui, che cominci a ghignare per così poco.
«Ma tu guarda» ridacchia, con un po’ di fiatone - forse per il braccio contro il mento che non lo aiuta a respirare. «E io che pensavo fossi il bravo soldatino che pensa al suo dovere.»
Filippo molla la presa. «I bravi soldatini non vanno da nessuna parte.»
«Sarà. Però sono i cattivoni a fare le scommesse clandestine sui giocatori.»
Zlatan si becca l’ennesima occhiataccia, uscendo dal portone, ma non può fare a meno di pensare che, per una volta, l’ha spuntata lui. Reprime un brivido leggero, ignorandone la natura, e comincia a ripercorrere la strada che porta al parcheggio; Filippo quasi gli sbatte contro quando si ferma di scatto davanti a una vetrina sfavillante, restando a guardare qualcosa per un bel po’.
«Be’, andiamo?»
«Mi presti dei soldi?»
«Scusa?» È incredibile come la voce di Filippo possa passare dall’incazzato al divertito con tanta facilità.
«Ti ho chiesto se mi presti dei soldi. Te li ridò la prossima settimana, ma devo comprare quello.»
«Carino» rimarca ironicamente, seguendo la direzione del dito premuto contro il vetro. «Sembra uno di quei collari per gatti.»
Zlatan sbuffa d’impazienza. «Allora, me li dai o no?»
«Lo compri per la donna in arrivo? Per Helena?»
«No» ridacchia. «È da uomo. So che il tuo occhio attento non può notare questi particolari.»
«È per il tuo fidanzatino?»
«E se fosse per te?»
«Te lo strapperei di mano e te lo infilerei in quel posto. Lentamente» sibila con fare omicida. Zlatan ridacchia ancora più forte, e torna serio soltanto quando Filippo gli passa un paio di banconote con una stretta di mano. Non resta molto in gioielleria: ne esce con un pacchettino abbastanza compatto che si ficca in tasca con noncuranza, prima di arrivare davanti all’Alfa.
«Che intendevi con “in arrivo”, prima?»
Filippo controlla che la macchina sia a posto, prima di rispondere. «Ho organizzato il suo trasferimento. Una settimana, dieci giorni al massimo, e verrà qui scortata da due dei nostri.»
Se non rischiasse un pestaggio in piena regola, Zlatan lo abbraccerebbe volentieri.

«Ti posso chiedere una cosa?» gli chiede, massaggiandosi lo stomaco con aria indolente, quando lo vede tornare dal bagno con una maglia scura e quasi anonima al posto di camicia e cravatta - dieci punti per lui, per una volta: in una versione meno formale, potrebbe diventare quasi simpatico. Filippo gli volta le spalle per chinarsi e aprire gli sportelli inferiori della cucina, mugugnando qualcosa in segno di assenso.
«Com’è che fai il carabiniere?»
«Sei sicuro che ti basti chiedermi una cosa sola?» commenta, aprendo il frigo con noncuranza. «Sei il ragazzo più impiccione che sia mai finito nelle grinfie di Mourinho.»
«È una brutta cosa?» ridacchia in risposta, e può sentire il ghigno di Filippo anche solo fissandogli la nuca: è facile come tentare di capire José, ed è difficile come capire davvero José.
«Finché non tenti di nuovo di infilarmi la lingua in bocca, non è una brutta cosa. Anzi, è una bella cosa» sbuffa, prendendo una serie di pacchettini e disponendoli a casaccio sul piano accanto al lavello. Zlatan ride più convinto, ormai conscio che i tre quarti delle cose che dice il carabiniere sono solo punzecchiature di varia natura, e che quelle per lui se le è cercate di proposito.
«Non c’è un vero motivo, in realtà» borbotta, tagliando due panini di traverso con una certa attenzione. «Mio padre è stato un grande poliziotto. Mio nonno è stato un grande soldato. Suppongo di averli delusi entrambi, ma sono morti tutti e due e quindi non conta davvero.»
«Mi dispiace.»
«A me no» ribatte, terminando di spargere briciole che scaglia in fretta nella vasca del lavello. «Non sono un carabiniere modello, mi servirebbero cinquanta ore al giorno per vivere sul serio, ma la mia coscienza è in attivo. È tutto quello che mi serve sapere. Le scommesse vincenti su un calciatore frocio sono dettagli irrilevanti - finché segni, non mi interessa con chi vai. Basta che tieni le mani a posto.»
«Ho due figli» ribatte acido, e tuttavia fissa con avidità i panini formato caserma - no, formato esercito - in cui Filippo sta mettendo insalata, pomodoro e qualche altra cosa bianca e tagliata a fette.
«Non ti ho chiesto niente. E comunque lo so già, ricordi?» gli chiede divertito; Zlatan annuisce. «Non sono così scemo, sai. Non chiedi a un estraneo di organizzare il viaggio di un’estranea. Ma la figa non ha la stessa influenza, su di te.»
«… no» deve ammettere con circospezione. Filippo ridacchia, porgendogli uno dei due panini.
«Comunque è andata così. Non me ne sono ancora pentito. E poi lavoro con Rosa, è una brava ragazza.»
«La ami.»
Non è una domanda. Filippo lo guarda con aria accigliata, dimenticandosi di masticare il grosso boccone che ha fatto e mandandolo giù con una certa fatica.
«Vi ho sentito quando avete litigato di brutto, l’altra volta. Non l’ho fatto apposta» si affretta ad aggiungere, abbassando gli occhi sul panino.
«Ti ho già detto che non sono così scemo» risponde, senza accennare ad abbassare le sopracciglia e fissandolo con curiosità. «L’avevo intuito.»
«E ti ho visto dalla vetrata, quando mi hai chiuso la porta in faccia. Ho fatto due più due.»
Se possibile, le sopracciglia di Filippo si inarcano ancora di più; il suo volto si fa davvero serio, come neanche quando era a rapporto da José o si è presentato alla squadra. «Non ha tutta questa importanza, quello che penso- no, quello che provo io.»
«Ne ha.»
Lui ghigna di nuovo. «Il ragazzetto che viene a farmi la morale?»
«Il soldatino è troppo scemo per capirci qualcosa» risponde pronto, e Filippo scoppia a ridere - sinceramente, stavolta, senza doppi fini o altro, ride e gli dà un colpetto sul braccio, e Zlatan può godersi l’effetto che gli ha fatto e che lui a sua volta gli fa.
«Suppongo sia una conseguenza del vivere in simbiosi.»
«Simb-»
«Sempre insieme» specifica. «Lavoriamo fianco a fianco da quattro anni, da quando l’hanno mandata da Palermo fresca di recluta. Non è una città adatta a una come lei, è come imporre una gabbia a un’aquila. È brava, fa carriera in fretta. Tra i due è quella che fa bene il mestiere.»
«Ed è una bella donna.»
«Ed è una bella ragazza» è tutto quello che Filippo gli concede, terminando di sbocconcellare il panino. «È ancora giovane.»
«Non mi dire, il soldatino si sente vecchio» ride, distendendo le gambe sotto il tavolo e toccando per sbaglio quelle di Filippo, che si ritraggono di scatto. Lui guarda fuori dalla finestra per qualche istante, prima di rispondere.
«Quando sto con lei, no» sussurra, quasi pentendosi di doverlo ammettere a se stesso prima che a un estraneo. «Ma ha ragione, se vuole infilarsi nel letto di tutti quanti voi non è un mio problema. E le ho già chiesto scusa, per questo.»
Zlatan riflette per qualche istante. «Posso chiederti con chi-»
«No, non puoi» sospira. «Be’, in teoria sì. Ma cambierebbe qualcosa sapere che è Adriano?»
Il suo sguardo si incupisce a sentire quel nome. «No» mente, e Filippo non indaga ulteriormente sulla faccenda.
«Potresti dirglielo, semplicemente» butta lì Zlatan. «Non le sei indifferente, credo.» Filippo gli risponde scrollando le spalle e raccogliendo in fretta le briciole sul tavolo nel palmo della mano. «Sul serio» insiste.
«Non credo mi veda come qualcosa di più che un collega, o un amico» commenta amaramente. «E forse è più giusto così. Faccio già abbastanza schifo come carabiniere, non mi serve tentare di infilarmi nel letto di Rosalia e rischiare pure che mi dia un calcio nelle palle.»
Zlatan sgrana tanto d’occhi. «Okay, non sei così scemo. Lo sei molto di più. Non vedi come ti guarda?»
«In modo diverso da come la guardo io, credo.»
«Ti sbagli di grosso.»
«E Zlatan Ibr-Ibrahimović sa cose che gli altri non sanno. Che culo.»
«Già» ride di gusto. «Cose che in due sono incapaci di vedere, tanto sono evidenti.»
«Andrà a finire che dovrò venire a letto con te, se hai ragione» dice, scoppiando a ridere a sua volta, senza fermarsi per parecchi minuti e fino a quando non arriva Rosalia, che lo saluta con un bacio sulla fronte e ricorda a Zlatan che deve tornare al centro nel pomeriggio, se non vuole che mister Mourinho sbatta fuori squadra lui, stavolta.

* * *

Come previsto, trova José in camera, appoggiato a quello schifo di brandina che nessuno osa chiamare letto - sono pieni di fottuti soldi, da quando hanno cominciato a vincere: perché si ostina a costringerli tutti a dormire ancora in quell’edificio pieno di spifferi proprio accanto al campo in cui si allenano? Perché non andare in un fottuto albergo, per dire? - che guarda il vuoto con aria assorta. Zlatan ghigna con un certo compiacimento, agganciando un dito al collarino che ha indossato per l’occasione e richiamando la sua attenzione con un paio di colpi di tosse.
«Hai parlato con Mister Ranieri?» si sente chiedere, e il sorriso si allarga. Rosalia non ha perso tempo a riferire i fatti della giornata appresi a pranzo; da un lato quasi spera che gli abbia raccontato tutto, almeno sarebbe più divertente.
«Aha» annuisce, sedendosi al suo fianco e cercando i suoi occhi, «E ho rifiutato tutte le sue proposte, ovviamente.»
José non risponde. Gli solleva addosso un’occhiata dubbiosa e lascia poi scorrere lo sguardo sul collare, prima di concedersi un sorriso soddisfatto.
«Bugiardo.»
«È bello illudere i nemici. E poi ho già un padrone, in fondo, no?»
«Sì» sussurra José - non che sia completamente comprensibile. Gliel’ha sussurrato sulle labbra, dopotutto. «Avrei comunque trovato un modo per farti restare» lo avverte quindi, stendendolo sulla brandina ed andando alla ricerca della sua pelle calda sotto la maglietta.
Zlatan sospira pesantemente, roteando gli occhi in un gesto teatrale e sollevando il mento perché José possa ricordarsi dell’esistenza del collare.
«È proprio questo, quello che sto cercando di farti capire» sbuffa, gli occhi scuri dell’uomo che si fanno se possibile ancora più scuri - di desiderio e voglia - quando il suo ginocchio s’introduce con falsa distrazione fra le sue gambe. «Non ne hai bisogno.»

TBC…

Nota dell'autore maschio: "Sotto Roma è tutta Africa, sopra Milano è tutta Norvegia" è una delle uniche due o tre cose "mie" scivolate in Filippo XD dove l'altra è, palesemente, sedersi di traverso sulle poltrone XDXD

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