[Originale] La Segretaria [Original Fest @fanfic_italia]

Apr 26, 2008 19:56

Autore: juliettesaito/sophie_tentacle
Genere: Steampunk, comico
Rating: PG-13 per linguaggio allusivo e qualche tetta accennata ma non mostrata
Prompt: Steampunk, Generale - [Donna pesce o Sirena] - Razzismo @fanfic_italia

La Segretaria



Plop.
Bartholdus Schwartz fissa la capsula bronzea della posta pneumatica corrugando il folto sopracciglio, diviso in due da una sottile cicatrice.
Prende la capsula e la svita infastidito. Aveva ben detto a Sofonisba di non passargli posta se non quella al massimo livello di priorità, il che vuol dire una capsula rossa, non di bronzo.
Sospira, e pensa che dovrà andare a dirne quattro a quella stupidina tutta boccoli e tentacoli.
Non che ne valga la pena: Sofonisba entrerà in maternità fra pochi giorni, e quindi ha la mente ovunque tranne che sulle direttive del capo.
A Schwartz importa ben poco del calamaro tentacoloso ornato di fiocchetti rosa che la ragazza disegna su tutte le circolari - gli importa anche meno del calamaretto tentacoloso che un giorno verrà alla luce - e il fatto che presto Sofonisba levi le tende non lo rassicura.
Dopotutto una segretaria bionda e boccolosa che passa la maggior parte del suo tempo a lavorare a maglia tutine con 10 braccia è un male conosciuto... una volta scomparsa lei, solo l'Occhio sa cosa potrà piombargli in ufficio.
Il comunicato all'interno della capsula pneumatica non è altro che l'ennesimo avviso di un incombente colloquio.
Un'altra aspirante segretaria, e mi butto dalla finestra.
Non è una minaccia priva di senso, quella con cui Schwartz si ammonisce.
Il suo ufficio sorge al diciassettesimo piano di un edificio lungo l'Arteria principale, in questo palazzo alto e stretto conosciuto come la Lama.
Il rivestimento esterno in sottili pannelli metallici ha preso il colore caldo e scabro della ruggine e il riflesso verdastro del verderame. I vecchi tubi del vapore e dell'aria si arrampicano rappezzati per tutta l'altezza dell'edificio, a mo' di ingombrante edera.
Quasi ogni giorno un tubo cede o una valvola salta, e dal marciapiede in strada si può osservare lo spruzzo sibilante del vapore.
Schwartz smette di guardare dalla finestra ricoperta da un sottile strato di condensa: fuori piove forte, lunghe stringhe di pioggia come fili soffiati di vetro grigio a perpendicolo sulla strada ugualmente grigia.
Non c'è niente di straordinario, non smette mai di piovere.
Il comunicato è ovviamente un'ennesima richiesta di colloquio, da parte di una certa signorina Sanjula Chatterjee.
Schwartz si chiede se sia il nome di una di quelle signorine dai costumi alquanto rilassati, di cui a volte osserva le riproduzioni in bianco e nero nella libreria sotto il ponte A3, quella con lo scaffale vietato a donne e bambini.
A volte stampe ancora più antiche e usurate emergono dal bancone dei libri usati, gremito di volumi dalle rilegature spampanate, dalle pagine macchiate o strappate, che sfarfallano libere dalla colla e dal filo, finendo a fare da provvisorio tappeto sul pavimento.
In genere Schwartz le nasconde in un volume più grande e quando va a pagare ammicca coscienzioso al commesso, da uomo a uomo.
"Si tratta sempre di arte, no?"
Schwartz firma il comunicato e lo inonda di ceralacca sanguinosa, alla quale infligge un timbro crudele con sadica pregustazione.
Poi arrotola il foglio, lo infila di malagrazia nella capsula e ficca la stessa nel tubo della pneumatica, impicciandosi per la troppa fretta le dita nello sportelletto risucchiato dall'aria compressa.
Esaminare possibili future segretarie è sempre uno strazio. Alcune sono 'belline', qualsiasi cosa voglia dire il termine rapportato con la possibile combinazione di colore della pelle, numero di arti, occhi e chiostre di denti. Alcune sono belline e 'letali'. Letteralmente.
Schwartz pensa che non dimenticherà mai la terzultima segretaria, una creatura alta due metri con più curve di un aerodotto, immancabilmente inguainata in una tutina sottilissima, stivali a mezza coscia e guanti sopra il gomito.
Non dimenticherà mai il viola acceso dell'infezione che gli causò l'aver innocentemente toccato il francobollo da lei incollato a una busta.
Altre ancora sono belline e relativamente innocue, ma con meno acume di un colino da tè.
Schwartz sospira, giocherellando con una matita.
Esistono delle segretarie intelligenti. Il problema è che non durano a lungo nell'incarico, e spesso finiscono a soffiare il posto ai loro superiori. É matematico che restino soltanto le gallinelle.
Come 5-5 (Go-Go).
Una cosetta alta un metro e un micron, con occhi inquisitori dietro due mostruose lenti scure.
Difficilmente Schwartz dimenticherà il giorno in cui l’ha conosciuta.
Non dopo averle chiesto in tono zuccheroso dove fosse la mamma, piccina.
Go-Go gli ha scoccato un sorrisino altrettanto melenso, prima di inchiodarlo al tavolo sotto il peso di trentacinque citazioni dal Codice Legale Unificato in materia di discriminazione.
Né potrà mai dimenticare la storia delle tendine.
Le tende dell’ufficio di Schwartz riflettono con suo estremo cordoglio il vero stato delle cose all’interno del suo ufficio. Chi è il vero capo, insomma.
Le tendine che ora fluttuano vaporose fino a terra in un fluire di fiori delicati sono opera di Sofonisba.
Schwartz rabbrividisce nel ricordare le impensabili acrobazie della minuscola Go-Go, imbracata e sospesa al soffitto, che con aria da killer prezzolato misurava, contava, livellava e tagliuzzava un orrendo ma funzionale set di tendine da ufficio - quelle a listarelle verticali, per intenderci.
E le giornate trascorse a catalogare per colore, data e intestazione le pratiche dell’archivio? No, Schwartz sente ancora dei brividi sudaticci risalirgli lungo la schiena ogni volta che l’etichetta blu o verde di un fascicolo occhieggia dimenticata tra i faldoni.
Una raffica di schiocchi alla porta l’avverte dell’arrivo di Sofonisba, presumibilmente seguita dall’ennesima candidata.
Strappato di forza ai terrificanti ricordi, non si sente certo meno spaventato di fronte al pericolo imminente e sconosciuto.
“Avanti!” Esclama, sedendosi di nuovo dietro la scrivania, non tanto per intimidire quanto per proteggersi.
Fai che non sia una Mantis, per favore, fai che non sia una Mantis…
Pessime segretarie, le donne Mantis.
Schwartz non è particolarmente edotto in materia religiosa, ma la setta Mantis finisce sui giornali un giorno sì e l’altro anche, è impossibile non saperne niente.
…belle sono belle ma non capisco come un uomo sano di mente possa mettersi con una di loro sapendo che fine farà…
Il brivido inconsapevole è interrotto dallo schiocco di un tentacolo sul piano della scrivania.
“Signor Schwartz,” trilla la segretaria, scuotendo i boccoli biondi, “la signorina Chatterjee è qui. Può riceverla, vero?”
Frastornato Schwartz osserva il tentacolo appiccicato alla scrivania, gli altri quattro che lavorano a maglia una tutina decapode, uno che aggiusta il vestitino stile impero sul ventre prominente. Le braccia - due, umane - sono conserte invece, e sul bel visino di Sofonisba aleggia un sorriso zuccheroso.
“Signor Schwartz, si svegli. Faccio entrare la signorina Chatterjee. Ah, ho proprio bisogno di sedermi…” si lamenta un po’ svenevole, strisciando con un suono viscido nell’anticamera.
Non ha ancora smesso di piovere, e in un primo momento Schwartz scambia il sordo brontolio per il rimbombo del tuono.
Poi vede la vasca, un parallelepipedo in porcellana e bronzo, avvolto nelle spire serpentine e fumanti di lunghe tubature cupree, semovente grazie al sistema di cinghie, ingranaggi e pulegge.
Nell'acqua impossibilmente calda, Sanjula Chatterjee reclina il meraviglioso corpo, appoggiata sui gomiti al bordo bianco della vasca, mentre agita la lunga coda di pesce con indolenza, spruzzando goccioline di qua e di là.
Schwartz fa tanto d'occhi.
Una sirena.
Una sirena in carne, ossa e scaglie nel suo ufficio.
“Buongiorno,” annuncia squillante la nuova arrivata, “sono Sanjula Chatterjee, la sua futura nuova segretaria.” Un bel sorriso a trentadue dentini appuntiti rischiara il gradevole colorito scuro della sirena.
Schwartz compie uno sforzo fisico nel costringersi a fissarla in viso, impedendo allo sguardo di vagare verso più confortevoli e accoglienti zone.
“Benvenuta, signorina Chatterjee… se, ehm, si accomoda, possiamo iniziare il colloquio.”
Per tutta risposta Sanjula si assesta nella vasca, sposta leggermente la coda e ne approfitta per scuotere la lunga chioma color platino dietro le spalle ben tornite.
…guarda come saltellano…
Schwartz intanto ha perso la battaglia con se stesso e il suo sguardo è scivolato dolcemente sulle due piccole conchiglie bianche che sole preservano alla sirena un pizzico di decenza.
“Signor Schwartz? Io sono comodissima, possiamo iniziare quando vuole.”
Staccare gli occhi dalle conchigliette gli costa una fatica immane, concentrarsi sul colloquio è ancora più difficile: l’intensa ammirazione dell’insolito capo di vestiario e di ciò che le due piccole valve tentano invano di coprire gli ha svuotato il cranio del cervello ormai inservibile - un po’ come quando si gusta un riccio marino appena pescato raschiandone la polpa con un cucchiaio.
Schwartz si schiarisce la gola due o tre volte guardando qualsiasi cosa gli capiti a tiro - una cromatura della vasca, una capsula della pneumatica, una circolare con lo sgorbietto tentacoloso disegnato da Sofonisba.
“Allora… signorina, lei sa battere” - una pausa perplessa sulla parola che rischia di strozzarlo - “sa battere a macchina? Con tastiera cieca?”
La pinna grigio-azzurra translucida e merlettosa freme con un moto leggermente ironico.
“Certo, signor Schwartz.”
“Sa come funziona la pneumatica?”
Sanjula sorride ancora, giocherellando con una trecciolina nascosta nel folto dei capelli sciolti.
“Sono laureata in pneumatica, signor Schwartz, so tutto di ogni genere di tubo,” sentenzia tranquilla.
“Capisco,” replica Schwartz con voce soffocata, mentre con dita vischiose allenta la cravatta che sembra intenzionata a strangolarlo.
Ma le sirene depongono le uova?
No, devo concentrarmi sul colloquio. Professionalità, ci vuole.
“Ehm… signorina Chatterjee, suppongo che lei abbia letto fino in fondo il bando di assunzione? Comprese le regole comportamentali che tutti i nostri impiegati devono rispettare?”
La coda di Sanjula ha uno scatto nervoso.
“Ovviamente sì, signore, anche se non sono d’accordo con un punto in particolare.”
Se ha a che fare col colore delle mie tende, stasera mangio frittura di pesce, giuro.
“La ascolto.”
Da uno scompartimento laterale della vasca Sanjula estrae una piccola capsula impermeabile e ne apre il meccanismo di chiusura con le lunghe unghie appuntite. All’interno non vi è altro che il regolamento di cui parlava Schwartz.
“Ecco… il vostro codice di abbigliamento…”
“Cosa ha che non va, signorina Chatterjee? Permettiamo la massima libertà in fatto di vestiario ai nostri impiegati, nei limiti di un concetto di decenza estremamente flessibile - a causa del grande numero di razze diverse e delle specifiche esigenze fisiologiche, quindi…”
“Sì, ma qui c’è scritto che ognuno deve come minimo indossare indumenti che coprano dal cinque al dieci per cento della superficie corporea, proprio per coprire certe zone…”
“Sì, è così. E allora?”
Sanjula sospira stizzita, poi riparte all’attacco, schizzando acqua ovunque mentre si contorce nella vasca per l’irritazione.
“Non posso seguire questa regola!” esclama immusonita, gli occhi colmi di dispetto, “noi sirene respiriamo anche tramite la pelle, qualsiasi indumento ci toglie il respiro. Ho già fatto uno sforzo, oggi,” termina, indicando le conchigliette in bilico.
Schwartz tentenna perplesso tra il comprensibile desiderio di accordarle una totale e piacevole nudità e quel poco che resta della sua integrità d’uomo d’affari, ma dopo una breve e feroce lotta è la ragione a trionfare, schiacciando sotto il piede gli ormoni imbufaliti.
“Mi dispiace, ma temo di non poterla accontentare, signorina… se anche le permettessi di venire in ufficio come è sv… vestita oggi, commetterei un’infrazione.”
Sanjula sbuffa e si mordicchia il labbro, poi rialza la testa cercando di incrociare gli occhi con quelli dell’uomo e quando ci riesce aumenta al massimo il languore - nonostante sia un po’ piccata per la mancata necessità di recuperare lo sguardo di Schwartz dai recessi delle sue curve.
“Signor Schwartz, lei deve credermi, desidero veramente questo lavoro. Ho provato tutto, ho lavorato in un circo, in un ristorante, ho fatto la modella per una ditta che produce canne da pesca ma ora non mi basta più, voglio dare una svolta alla mia vita…”
Sarà scappata dal ristorante perché volevano friggerla?
“Signorina, non insista. Sono io che prendo le decisioni qui, e non posso proprio assumerla.”
L’ultima carta giocata da Sanjula è quella della rabbia.
“Ah è così?” stride, mentre l’acqua nella vasca si trasforma in un pauroso maelström schiumoso, “la verità, signor Schwartz, è che deve avere un sordido motivo per non assumermi! Puzzo di pesce? Non le piaccio abbastanza? Mi dica la verità, avrebbe preferito un sirenotto? Si può tenere il suo stupido lavoro, ma badi bene, nessuno verrà a lavorare qui, se si sparge la voce del suo razzismo!”
Sotto lo sguardo sconvolto di Schwartz, Sanjula stacca con ferocia le conchigliette e le scaglia contro di lui, facendo poi inversione di marcia con straordinaria velocità e uscendo di scena in pompa magna.
Schwartz fissa esterrefatto il pavimento trasformato in pantano, su cui traballano e rotolano le due valve - che l’hanno colpito in fronte.
“…Sofonisba…” chiama, con un filo di voce.
Imperturbabile, la sciocchina decapode giunge abbracciata ad un enorme polpo di pezza, due tentacoli a terminare finalmente la tutina iniziata quello stesso giorno.
“Sì, signor Schwartz?”
Schwartz casca in ginocchio e si prostra senza vergogna.
“Ti prego, ti scongiuro, non andartene! Non fa niente se devi portarti il calamaro qui a lavoro, uno schizzo o due di inchiostro non faranno mai male quanto tutte quelle invasate. Ti prego! Puoi anche ridipingere tutto l’ufficio in rosa, ma evitami di dover sostenere un altro colloquio!”
Sofonisba si illumina e per la gioia fa scoppiare anzitempo il palloncino di gomma da masticare alla frutta che stava gonfiando. La gomma rosa shocking le si appiccica al viso e ai capelli, ma lei sembra non darsene peso.
“Davvero davvero signor Schwartz?”
“Davvero,” replica l’uomo, quasi in lacrime.
Sofonisba l’abbraccia di slancio con un sentito “grazie signor Schwartz!” e si avvia pian pianino a recuperare uno strofinaccio per asciugare a terra.
Incredulo di fronte allo scampato pericolo, Schwartz sprofonda nella sedia presidenziale con un sospiro, appoggia i piedi sulla scrivania e tenta di calmare il tremore delle mani mentre si versa qualcosa di forte.
Fuori piove ancora, e le tendine a fiori hanno un'aria insensata contro il grigiore esterno. Schwartz, magnanimo, decide che per oggi non mediterà cento modi diversi di metterle a fuoco accidentalmente.
Inizia appena a rilassarsi quando l'interfono gracchia a spoposito, facendolo sobbalzare.
“Sofonisba, ti avevo detto di non passarmi nessun altro oggi,” sibila, più esausto che irritato.
“No, signor Schwartz, ecco...”
“Cosa? Il posto non è più vacante, bisogna togliere tutti gli avvisi, ricordatelo.”
“Sì, signor Schwartz, ma ecco...”
“Me lo dici o no?"
“HO LE DOGLIE, SIGNOR SCHWARTZ,” urla Sofonisba, in preda al panico.
Schwartz ha ancora una volta da decidere tra una morte rapida e dolorosa - gettarsi dalla finestra - e una lenta e disgustosa - andare a soccorrere la segretaria.
“Chiama un'ambulanza!” le urla, prima di sbattere giù il ricevitore, recitare un requiem per le sue scarpe cucite a mano e precipitarsi nell'anticamera.

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