[Hey!Say!Jump] Hakanai yubisaki [04/08]

Nov 23, 2012 21:06

Titolo: Hakanai yubisaki
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Takaki Yuya x Chinen Yuri ; Yabu Kota x Inoo Kei ; Takaki Yuya x Yamada Ryosuke ; Yamada Ryosuke x Chinen Yuri.
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, NonCon!, Death!Fic, Violence, AU!, Under!Age
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Yuya è cambiato. Yuri lo percepisce in ogni suo movimento, eppure fidarsi dell'uomo che gli aveva rovinato la vita non era semplice.
Note: Sequel della storia di vogue91 intitolata "Sanagi". Per ulteriori informazioni sul 'verse yakuza, clicca * qua*
Note 2: Scritta per il bigbangitalia.
Note 3: Scritta per la 500themes_ita
“83. Contando gli anni.”
“158. Temi ciò che non puoi conoscere.”
“210. Fragile come un sogno.”
“454. Sognare l’impossibile.”
“435. Vivere un incubo.”
“66. Perché lo chiamano cadere.”
“34. Incubo.”
“412. Compagno di vita.”
WordCount: 35.141 fiumidiparole

Lista capitoli precedenti: 
Prologo
Capitolo 01
- Capitolo 02 
- Capitolo 03

**



Capitolo 03

Kei si alzò abbastanza presto. Si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi. La notte prima era andato a dormire piuttosto tardi, perché voleva rimanere sveglio con Kota a guardare un film.
Era tanto che non stavano un po’ insieme e aveva promesso a sé stesso di impegnarsi nel migliorare la loro relazione.
Sapeva che, in fondo in fondo, Kota non era mai stato realmente felice negli ultimi otto anni e quel pensiero lo faceva stare male, perché fin da quando lo aveva conosciuto aveva sempre desiderato che il fidanzato fosse felice.
A volte sognava di quando andavano ancora a scuola, di quando la loro vita era ancora una vita tranquilla, serena, senza che fosse segnata dal lavoro di Kota, dalle sue medicine e dalle visite all’ospedale.
Anche quella notte aveva sognato quei momenti. E il risveglio non era di certo stato dei migliori, anzi. Si alzò in piedi, andando a farsi una doccia veloce.
Doveva fare molte cose, come fare la spesa, le pulizie e guardare qualche drama. Forse avrebbe mandato una mail a Yuri e gli avrebbe chiesto se gli andava di vedersi quella mattina.
Dopo essersi lavato tirò fuori un po’ di riso dal bollitore. Era freddo, chissà a che ora lo aveva preparato Kota quella mattina. E dire che, in fondo, non si era nemmeno svegliato così tanto tardi.
Mangiò svogliatamente. Non aveva particolarmente fame, ma sapeva che se non avesse mangiato adeguatamente poi si sarebbe sentito male.
E di vedere di nuovo quello sguardo preoccupato negli occhi di Kota, decisamente non gli andava.
Infilò un jeans e una felpa, e poi prese un cappello, tirandolo quasi fino agli occhiali da vista, poi afferrò la sua borsa per uscire.
Entrò velocemente dentro al conbini. Grazie alle medicine che tenevano sotto controllo l’ansia, riusciva per la maggior parte delle giornate a vivere una vita quasi normale.
Il problema si presentava nelle giornate “no”. Quando si svegliava urlando nel cuore della notte, quando chiunque gli sembrava una minaccia, forse persino sé stesso.
Quando gli incubi lo torturavano a tal punto che nemmeno Kota riusciva a farlo stare meglio.
Ma fortunatamente era già qualche settimana che andava tutto bene. Si guardò intorno e vide solo le solite vecchiette con cui parlava a volte. Iniziò a parlare con una di loro, quella che aveva un tabaccaio in fondo alla strada.
Era divertente chiacchierare con loro, forse perché non gli sembravano una minaccia. E poi gli era sempre piaciuto spettegolare un po’ sui fatti del quartiere. Scelse accuratamente ogni pezzo di verdura e ogni pezzo di carne, continuando a chiacchierare con le signore che trovava al supermercato.
Decise di prendere anche una cassa d’acqua, sperando di riuscire a portarla fino a casa. Non era molto lontana, sì e no un chilometro, ma non aveva mai avuto così tanta forza nelle braccia.
Sospirò, dirigendosi verso la cassa, trascinando contemporaneamente l’acqua e il carrello.
Ad un certo punto, mentre stava imbustando la spesa, vide Yuya che entrava nel conbini, gli occhiali da sole calati sul naso e le mani in tasca, abbastanza annoiato. Si guardò intorno, per poi notare la sua presenza.
Kei lo sentì schioccare la lingua e poi ignorarlo. Il più piccolo alzò gli occhi al cielo, innervosito, continuando a sistemare la spesa.
Dopo nemmeno un minuto Yuya lo raggiunse in cassa, gettando malamente una tavoletta di cioccolato sulla nastro mobile e una confezione da sei bottiglie d’acqua. Il più grande continuò a guardarsi intorno, sempre disinteressato e apparentemente poco intenzionato a parlare con il ragazzo.
Kei s’indispettì, e senza dire nulla afferrò le buste e l’acqua, lasciando il negozio. Yuya lo fissò per qualche minuto, con un sorriso divertito sulle labbra, mentre l’altro arrancava malamente lungo la strada.
Strinse in una mano la sua cassa d’acqua e lo raggiunse. Senza dire nulla gli prese la sua, avviandosi verso casa.
« Ehi! » esclamò Kei raggiungendolo « Che fai? Dammi la mia acqua, idiota! » lo riprese aspro accelerando il passo, cercando di recuperare la sua acqua.
Yuya però si scansò, sbuffando platealmente.
« Quanto rompi le palle! Ti sto dando una mano, no? » sbottò « Hai qualche problema anche se ti porto l’acqua? » domandò irritato.
Kei si zittì, fissandolo per qualche secondo, poi strinse le mani sulle buste della spesa e riprese a camminare.
« Ovviamente potevo farcela anche da solo. » si lamentò.
« Certo. Con quelle braccia scheletriche che ti ritrovi. » borbottò Yuya « Non riesci nemmeno a portare la spesa, figurati due casse d’acqua. »
« Io ne ho una sola, non sai nemmeno contare? »
« E questa di chi è secondo te? » replicò Yuya alzando la cassa d’acqua che aveva comprato lui « Ti risulta che io beva acqua frizzante? »
« Non ho bisogno di tutto questo trattamento speciale da parte tua. »
« Vorrei che ti sentisse Kota. L’ho sempre detto che ci marci troppo sopra con la tua aria da finto cerebroleso. » borbottò il più grande riprendendo a camminare.
Kei rimase in silenzio, poi chinò la testa e senza aggiungere altro riprese a camminare. Non si dissero una parola fino a che non raggiunsero il suo portone del condominio. Kei prese le chiavi e poi salirono quattro rampe di scale, fino ad arrivare a casa dei due ragazzi.
« Stamattina non ho sistemato. » borbottò Kei senza girarsi, togliendosi distrattamente le scarpe e dirigendosi in cucina.
Yuya scosse le spalle, poco interessato alla condizione della sua casa. Andò direttamente verso lo sgabuzzino, sistemando le due confezioni d’acqua a terra.
Ritornò in salotto, dove Kei stava finendo di sistemare il cibo appena comprato.
« Ehi, dammi qualcosa da bere, sto morendo di sete. » esclamò lasciandosi cadere sul divano.
Kei alzò lo sguardo verso lo yakuza, arricciando le labbra in un verso sprezzante.
« Prendi la bottiglia, un bicchiere e bevi se proprio lo vuoi. » borbottò senza prestargli mai troppa attenzione.
Yuya lo fissò in silenzio per qualche secondo prima di afferrarlo bruscamente per la camicia che indossava, strattonandolo verso di sé.
« Questo tuo atteggiamento mi ha stancato Kei. Se hai qualcosa da dirmi, dilla chiaramente. »
L'altro si limitò a sorridere, sprezzante.
« Quello che dovevo dirti te l'ho già detto tre anni fa Yuya. » sibilò e fu in quel momento che Yuya lo lasciò, come se scottasse.
« Quindi per te le cose non sono cambiate. » constatò con tono di voce piatto.
« Come posso perdonare uno stupratore come te? » ringhiò il più piccolo, guardandolo con odio « Sei esattamente come tutti gli altri Yuya. Hai voluto giocare a fare l’amico perfetto con me, ma alla fine ti sei rivelato per la bestia che sei sempre stato. Per Yuri era molto meglio morire che essere comprato da te. » spuntò velenoso.
Yuya rimase in silenzio, la mente vuota. Gli mancava il suo vecchio rapporto con Kei. Gli mancava andare a casa sua quando Kota magari era a lavoro e passare la giornata sdraiato sul divano, a guardare drama o film insieme, ingozzandosi di patatine e gelato e gli mancava coalizzarsi con lui per prendere in giro il suo fidanzato.
Aveva sempre saputo che Kei non avrebbe mai digerito la sua decisione di prendersi un ragazzino per usarlo come meglio credeva, ma di certo non immaginava, tre anni prima, di sentirsi rivolgere parole così pesanti e di dover convivere con il suo odio per così tanto tempo.
Gli diede le spalle, si infilò di corsa le scarpe e senza voltarsi indietro lasciò la casa. Avrebbe voluto sentire la voce di Kei che lo fermava, che gli diceva che era arrivato finalmente il momento di chiarirsi, ma Yuya non aveva mai creduto nei miracoli. Infatti si ritrovò in strada, con il sole troppo forte e un macigno sul petto che non era abituato a sentire, e di Kei al suo fianco nemmeno l'ombra.

**

Yuri rimase un attimo fermo in mezzo alla strada, sul volto un'espressione di dubbio misto a perplessità. Era appena uscito dal tabaccaio con ancora le stecche di sigarette in mano quando aveva visto Yuya dirigersi verso il conbini. Era raro per lo yakuza entrare là dentro dato che non aveva la più pallida idea di come si facesse la spesa. Si stava apprestando ad attraversare la strada per raggiungerlo quando lo vide uscire con due confezioni d'acqua, velocemente seguito da un Kei piuttosto irritato.
Di fronte a quella scena rimase ancora più spiazzato: in tre anni che li conosceva, poteva tranquillamente contare sulle dita delle mani le volte in cui si erano parlati. Li osservò discutere per qualche minuto, prima di dirigersi verso la casa del più piccolo.
Avrebbe voluto fare qualcosa, ma sentiva le gambe immobilizzate e si chiese perché stesse provando quelle emozioni contrastanti.
Si fidava di Yuya, sapeva che non provava nessun istinto sessuale nei confronti di Kei, ma al tempo stesso sentiva un nodo allo stomaco e una sensazione di nausea immediata.
Rientrando velocemente a casa, si chiese se quella che stava provando non fosse effettivamente una punta di gelosia.
Si chiuse la porta alle spalle, socchiudendo gli occhi. Gettò una rapida occhiata all’orologio, osservandolo come se potesse improvvisamente illuminargli la giornata o rivelargli chissà quali segreti.
Avrebbe voluto chiamarlo al cellulare in quel preciso istante, dirgli di tornare perché stava male e sapeva che si sarebbe tranquillizzato nell’esatto momento in cui lo avresse visto varcare la soglia di casa.
Eppure rimase immobile, senza sapere che cosa fare, dire o pensare. Sentiva il fiato pesante, mentre il tarlo della gelosia e immagini poco felici di Kei e Yuya nudi fra le lenzuolo lo disgustavano, sia perché entrambi si sarebbe amputati le gambe piuttosto che finire a letto insieme, sia perché non aveva voglia di pensare a certi tipi di scenari.
Si sedette sul divano, accendendosi una sigaretta. Rimase fermo ad osservare il muro davanti a lui per qualche minuto, prima di decidersi a prendere il telecomando e iniziare a guardare qualcosa.
Era pomeriggio e non c’era assolutamente nulla di interessante. In momenti come quelli di solito avrebbe chiamato Kei, ma questa volta rimase a fissare il display del cellulare, come se temesse da un momento all’altro di sentire la voce di Yuya mentre gli diceva che preferiva stare con l’altro ragazzo invece che con lui.
Si diede degli schiaffi sulle guance per cercare di tirarsi su. Una cosa del genere era assolutamente impossibile.
Yuya odiava Kei, con tutto sé stesso. Ogni volta che lo aveva intorno sbuffava innervosito, come se anche la sua sola presenza disturbasse un chissà quale piano superiore di cui solo lui poteva far parte.
Kota, dopo le lamentele iniziali, aveva velocemente lasciato perdere. Yuri si ricordava bene un litigio che lo yakuza e il suo capo avevano avuto, poco dopo il suo arrivo.
Yuri era raggomitolato sul letto, sanguinante e Kota era arrivato senza preavviso. Il ragazzo lo aveva visto e il più piccolo si era immediatamente coperto con il lenzuolo, vergognandosi troppo di farsi vedere in quelle condizioni.
Kota aveva sbuffato, si era spostato i capelli dal volto ed era tornato a fissare Yuya, nervoso. Lo aveva afferrato per un polso e poi erano usciti fuori di casa. Non era riuscito a sentire molto, ma ricordava bene come l’argomento della discussione fosse incentrato su Kei.
Il ragazzino cercò di distogliere la propria mente da quei pensieri. Continuare a rinvangare i ricordi non lo avrebbe aiutato.
Sospirò, osservando l’ora. Yuya mancava da quasi due ore ormai. Gettò una rapida occhiata al cellulare, trovandolo prive di chiamate senza risposta, esattamente come si aspettava.
Buttò la testa all’indietro, osservando il soffitto. Sperava solo in un ritorno veloce di Yuya a casa.

**

Yuya strinse il coltello fra le dita e socchiuse gli occhi. Si concentrò sul respiro affannato del ragazzo sotto di lui, sentendosi di nuovo bene.
Poteva percepire il suo terrore e lo fece sentire potente, come era sempre successo, come era giusto che fosse prima di tutto quel periodo in cui aveva cercato di essere diverso, forse migliore di quello che era stato in passato.
Ma Kei aveva ragione. Lui era una bestia senza cuore e senza anima e quello non sarebbe mai cambiato. Avrebbe potuto fare tutte le scenette che voleva, ma alla fine quello che gli dava davvero piacere era avere un corpo nudo legato al letto, mentre faceva scivolare la lama del coltello sulla pelle, osservando il sangue che scorreva su di essa.
Appoggiò la lama contro le scapole, osservandole e rimirandole. Erano lattee e candide, nonostante su quella pelle ci fossero già dei segni, delle cicatrici, che risalivano a quando il ragazzino aveva otto anni.
Ricordava quel periodo. Ricordava chi gliele aveva fatte, ma era passato troppo tempo e la pelle del ragazzino necessitava di altro sangue.
E Yuya si sentiva bene, si sentiva forte, perché forse finalmente avrebbe vinto lui, a differenza di come era andata con Yuri. Forse finalmente si sarebbe spezzato e lui avrebbe ritrovato la tanto ricercata vendetta e la tanto cercata pace. Sì. Lui era sicuramente quello giusto e marchiarlo era altrettanto giusto.
Come se fosse una sua proprietà.
Osservò gli spasmi di terrore del giovane e lo osservò mentre tentava di allentare le corde che lo tenevano immobilizzato alla testiera del letto.
Il sorriso sul volto dello yakuza si fece leggermente più ampio e la lama fece più pressione, fino a che non vide le prime gocce di sangue.
La mano scivolò lungo il fianco, lasciando un primo taglio che iniziò a sanguinare copiosamente. Yuya osservò la pelle che si lacerava sotto il suo passaggio e si morse un labbro, come se non riuscisse a credere ai suoi occhi.
Allontanò la lama dal corpo, guardandolo soddisfatto
Sì, Kei aveva fottutamente ragione. Era una belva e nemmeno quella sua nuova parvenza da bravo fidanzato era riuscito a domare l’animale che scalpitava nel suo petto.
Sentì il proprio battito cardiaco accelerare e allora tagliò di nuovo. Fu rapido e improvviso e il ragazzo sotto di lui gridò, tendendo il corpo per il dolore.
Yuya lo voltò, quel tanto che le corde gli permettevano e alzò una mano, lasciandola ricadere sul suo volto. Gli diede un primo, poi un secondo e poi un terzo schiaffo, fino a che la sua faccia non fu quasi completamente ricoperta di sangue.
« Non mi piacciono i lamenti. » mormorò irritato.
Il ragazzo si morse un labbro, annuendo istericamente, cercando di fermare le lacrime e allora Yuya riprese a ferirlo e a picchiarlo quando i suoi gemiti di dolore lo disturbavano troppo.
Si disgustò di sé stesso quando vide che era eccitato. Girò di nuovo il ragazzo, premendo la sua testa contro il materasso, sicuro che sarebbe riuscito a raggiungere l’orgasmo se non lo avesse guardato in faccia.
Osservò la schiena sanguinante e si abbassò i pantaloni, iniziando a toccare la schiena del ragazzo con una mano e a toccare sé stesso con quella libera.
Mosse la propria mano con più velocità, stringendo e affondando le dita nella carne ferita della sua vittima, che aveva ripreso silenziosamente a singhiozzare, eccitandosi sempre di nuovo ad ogni nuovo gemito.
Chiuse gli occhi, perché così sarebbe stato tutto più semplice e si sistemò meglio fra le gambe divaricate del ragazzo. Gli venne sulla schiena, già sporca di sangue, gemendo il nome di Yuri.
Rimase fermo, cercando di stabilizzare il proprio respiro e di reprimere l’odio e il disgusto che provava verso sé stesso. Liberò velocemente il ragazzo dalle corde e poi si rivestì. Lasciò i soldi sul letto e senza dire nulla uscì dal palazzo.

**

Yuri si svegliò di soprassalto quando udì la porta di casa aprirsi. L’ora di cena era passata da un pezzo e lui, stanco di aspettare Yuya, aveva già cenato e poi alla fine si era addormentato sul divano, troppo irritato anche solo per stendersi nel letto.
Osservò Yuya rientrare, cercando di scorgere qualche indizio sul suo umore. Non aveva voglia di dire inavvertitamente qualcosa che lo avrebbe fatto innervosire ancora di più.
« Sono a casa. » lo sentì borbottare, mentre si toglieva le scarpe e le lasciava in disordine in ingresso.
Il più piccolo lo raggiunse, mostrandogli un sorriso incerto che probabilmente Yuya scambiò per addormentato.
« Bentornato. » mormorò.
Yuya gli dedicò poche attenzioni, giusto un bacio veloce prima di dirigersi velocemente in cucina, passando subito ad ispezionare il frigorifero.
« C’è solo cibo freddo. » si lamentò Yuya.
« Ovvio, sono le undici passate. » replicò il più piccolo infastidito.
L’altro non si voltò nemmeno, continuando a guardare l’interno dell’elettrodomestico come se potesse improvvisamente preparargli qualcosa di caldo.
« Cucinami qualcosa allora. Sono affamato. » ordinò alla fine sbattendo leggermente la porta del frigo.
Yuri sbuffò di nuovo, ma senza aggiungere altro o rispondere si mise di nuovo a cucinare, cercando di preparare il più in fretta possibile. Era stanco ed irritato e sembrava che Yuya non si fosse accorto di nessuno dei due suoi stati d’animo.
« Vado a farmi una doccia. » continuò lo yakuza.
Il ragazzino lo vide spogliarsi di fronte alla porta del bagno, abbandonando poi i vestiti sporchi a terra, davanti alla porta. Yuri socchiuse gli occhi, ingoiando un’imprecazione. Aveva pulito e lavato tutto il santo giorno, possibile che Yuya non riuscisse a capire che i panni sporchi andavano nell’apposito cesto, dentro il bagno?
Girò lo sguardo verso l’acqua sul fuoco, aspettò qualche minuto e poi abbassò la fiamma, per darsi un po’ di tempo per raccogliere le cose di Yuya. Le appoggiò sullo schienale della poltrona, per ricordarsi poi di metterle al loro posto. Stese i pantaloni e poi afferrò la camicia e notò che un polsino era sporco di sangue.
Yuri alzò un sopracciglio, perplesso. Teoricamente, Yuya doveva lavorare tutto il giorno in ufficio, quindi non riusciva a capire come avesse potuto sporcarsi.
Si morse un labbro, ritrovandosi di nuovo senza sapere che cosa pensare. Tornò comunque a cucinare, decidendo che ci avrebbe riflettuto più tardi.
Se in breve tempo Yuya non avesse trovato il cibo in tavola, sarebbe diventato ancora più insopportabile, e lui non era dell’umore giusto per poterlo sopportare civilmente come le altre volte.
Mise il cibo in tavola nell’esatto momento in cui Yuya uscì dalla doccia e quando si avvicinò il suo occhio cadde immediatamente sul polso destro. Non vide segni di graffi o altro ancora. Socchiuse gli occhi per un secondo e poi, sempre con il suo solito sorriso stanco, iniziò a mangiare, in silenzio.

Dopo aver cenato Yuya si sedette sul divano mentre, di nuovo, Yuri si mise a lavare i piatti e le pentole. Finì di raccogliere i vestiti, mettendoli nel cesto dei panni sporchi e non riuscì a fare a meno di guardare un’altra volta le macchie di sangue.
Si sentiva improvvisamente stanco e privo di energie per fare o pensare a qualsiasi cosa.
A differenza delle altre sere si sedette sulla poltrona, abbastanza lontano da Yuya, che continuò comunque a non notare nessuna anomalia. Incrociò le braccia al petto, guardando svogliatamente la televisione, sbuffando di tanto in tanto. Quando arrivò finalmente per Yuya l’ora di andare a dormire, si stesero nel letto senza dirsi una parola più di quelle di rito.
Yuri rimase comunque sveglio, perché dormire ormai gli risultava praticamente impossibile tanti erano i pensieri nella sua testa. Quando fu sicuro che Yuya stesse dormendo profondamente si alzò dal letto, si sedette sul divano portandosi le gambe al petto e iniziò a fumare nel salotto, nel silenzio della notte.
Aveva voglia di piangere, di sfogarsi, ma non ci riusciva. Si odiava a morte. Nascose il volto fra le ginocchia, prendendo profondi respiri per cercare di calmarsi.
Rimase da solo giusto per una manciata di minuti, perché poi sentì di nuovo Yuya avvicinarsi a lui e appoggiarsi allo stipite della porta della stanza da letto, quasi di fronte a lui e guardarlo assonnato.
« Perché non sei a letto? » gli chiese sbadigliando.
« Non avevo sonno. » si limitò a dirgli, scuotendo le spalle.
Yuya sbadigliò ancora, sedendosi al suo fianco.
« C’è qualcosa che ti preoccupa? »
« No. Dovrei essere preoccupato da qualcosa? » domandò nervoso Chinen.
« Boh. E’ qualche giorno che mi sembri fuori dal mondo. »
« Sto pensando… a un po’ di cose. » cercò di dirgli il più piccolo, senza sapere esattamente a che cosa si stesse riferendo.
Fra i due, meditava Yuri, quello che sembrava strano era più Yuya.
« Tipo? » continuò l’altro.
« Alla scuola. » mormorò il più piccolo rivelando il primo argomento che gli venne in mente, anche se in quel momento non aveva proprio voglia di parlare della scuola.
Sapeva che Yuya non avrebbe approvato, ma meglio quello di ciò a cui stava realmente pensando.
« Scuola? In che senso? Perché ti interessa così tanto? » chiese, improvvisamente sveglio.
Yuri scosse ancora le spalle.
« Beh, ormai è più di tre anni che manco da scuola e fra poco ci sono i test di ammissione per entrare direttamente al secondo anno. Pensavo che, non so, magari avrei potuto provarci. Ho messo da parte qualcosa per i libri, dato che pensavo di andare alla scuola pubblica del quartiere. » rivelò tutto d’un fiato, sperando solo che Yuya non lo interrompesse.
Yuya lo guardò allibito per qualche secondo, prima di scoppiare sguaiatamente a ridere e appoggiarsi le mani sullo stomaco, cercando di contenersi. Poi si alzò in piedi e accese la luce, tornando seduto accanto a lui, sempre senza smettere di ridere.
Il più piccolo lo guardò, irritato, e si accese un’altra sigaretta, ignorandolo.
« Perché questa idea folle proprio ora? Non hai bisogno della scuola. Puoi fare quello che vuoi, basta che io lo ordini a qualcuno della zona. »
« Io non voglio che tu lo faccia. Voglio un diploma e voglio cercarmi un lavoro per conto mio, fuori da qua. Non mi piace Kabuki-chō, lo hai sempre saputo. »
« E’ praticamente qua che sei cresciuto, lo sai? Dovresti mostrare un minimo di riconoscenza, almeno. » sputò acido Yuya smettendo di ridere.
Yuri si morse la lingua a sangue per evitare di rispondergli. Lui non era cresciuto a Kabuki-chō, lui era cresciuto a Meguro, con dei genitori che avevano sempre abilmente finto di volergli bene.
Era cresciuto andando in una bella scuola privata, con i suoi amici più intimi, con i suoi vizi e tutto il resto.
Si era ritrovato a San’ya prima e in quella casa dopo per puro sbaglio. Solo perché all’epoca Yuya era un sadico pedofilo che desiderava avere in casa una bella statuina che gli facesse le pulizie e che potesse stuprare ogni volta che desiderava.
Socchiuse gli occhi, ingoiando ogni singola parola che gli venisse in mente. A Yuya non piaceva quando parlavano del loro vecchio rapporto e non voleva vederlo di cattivo umore.
« Io voglio andare a scuola Yuya. Per favore, è l’unica cosa che ti chiedo. » mormorò con tono quasi implorante, alzando lo sguardo su di lui.
« Assolutamente no. Se tu vai a scuola, chi penserà alla casa? Chi cucinerà? »
« Sempre io. Non mi serve il doposcuola, non mi dovrò trattenere più delle ore di studio necessarie. Io ci tengo davvero tanto. »
« Per me è una stupidaggine. Non serve che tu ci vada. » si impuntò ancora.
Yuri sospirò, massaggiandosi le tempie. Perché Yuya non cambiava? Perché doveva prendere tutto come una continua offesa personale e non riusciva mai a concentrarsi, anche solo per dieci minuti, su quello che desiderava lui?
« Ci andrò Yuya, che tu lo voglia o meno. » ringhiò Yuri voltandosi verso di lui.
Il più grande lo afferrò per il colletto, avvicinandolo a sé, seccato.
« Se io ti dico che tu non ci andrai, stai tranquillo Yuri che non metterai mai piede in una scuola. Decido io. »
« Da quando? » esclamò Yuri liberandosi e alzandosi in piedi « Pensavo che avessimo raggiunto un equilibrio, che tu avessi smesso di considerarmi solo come un tuo oggetto o una tua proprietà. »
« Infatti è così, dico solo che tu non puoi andarci. »
« Perché? Perché devi sempre impedirmi di vivere la mia vita e di costruirmi il mio futuro? Sono stanco della tua bella facciata, Yuya. » urlò entrando in camera da letto e infilandosi sotto le coperte, dandogli immediatamente le spalle.
« Quindi che cosa vorresti fare? Vuoi gettare tutto al vento? » urlò il più grande, raggiungendolo a grandi passi.
Il più piccolo si alzò a sedere, osservandolo. Si morse un labbro, mentre Yuya non distoglieva lo sguardo dal suo.
Era terrorizzato, non aveva nessuna paura ad ammetterlo. Aveva paura di tornare a come era prima, ma almeno avrebbe smesso di sentirsi continuamente tradito da una sensibilità che in Yuya non c’era e che non avrebbe mai avuto.
Avrebbe smesso di sperare in qualcosa di più, avrebbe smesso di credere che forse un giorno il più grande avrebbe iniziato a considerarlo come qualcosa di realmente importante, a comportarsi davvero come suo fidanzato e meno come suo padrone.
E avrebbe sofferto di meno. Avrebbe ripreso a dormire, perché se fosse tornato tutto come prima allora non avrebbe più avuto pensieri che lo avrebbero tenuto sveglio la notte.
E tutto il resto sarebbe finalmente passato in secondo piano e adesso che aveva vissuto e provato quella vita sulla propria pelle, avrebbe smesso così di sognare l’impossibile.
« Va bene. » sibilò « Va bene se torna tutto come prima. »
Yuya lo afferrò per il mento, stringendo così forte che gli fece subito male, ma si morse la lingua perché lo sapeva bene, a Yuya non piacciono i lamenti.
Il più grande lo afferrò per il collo e lo spinse al centro del letto, strappandogli il pigiama da dosso, afferrandolo per i fianchi e penetrandolo con le unghie, graffiandolo e facendolo immediatamente sanguinare.
Yuri serrò gli occhi, stringendo le mani sul lenzuolo, mordendosi le labbra.
Andava bene così. Era l’unico modo in cui poteva andare, lo aveva sempre saputo. Ci aveva sperato che le cose potessero davvero migliorare, perché lo amava così tanto che temeva che il cuore potesse esplodergli nel petto da un momento all’altro.
Le unghie di Yuya passarono lungo il suo petto, massacrandolo come solo lui riusciva a fare. Gemette lievemente, mentre sentiva il sangue uscire dalle ferite e Yuya allora lo voltò, schiacciandogli la faccia contro il cuscino e Yuri morse la federa, perché non voleva lasciarsi scappare nemmeno un sussulto o a quel punto la follia di Yuya si sarebbe scatenata. Lo sentì accarezzargli la schiena, lievemente e serrò gli occhi con ancora più forza, perché non sapeva quello a cui stava andando incontro, non sapeva quello che avrebbe potuto subire, non sapeva fino a che livelli Yuya fosse arrabbiato con lui.
I polpastrelli dello yakuza gli sfiorarono le ferite, asciugandogli lentamente il sangue, che in alcuni punti andava già a seccarsi, fino a che non scesero ad accarezzargli la linea del sedere e le cosce, già nude.
Lo udì chinarsi lievemente, appoggiandosi contro di lui, e poi sentì la sua fronte contro la propria testa.
« Perché mi fai questo, Yu? » lo udì sussurrare, talmente piano che Chinen era quasi convinto di esserselo sognato.
« Perché va bene così. Perché sono stanco di essere deluso dalle persone che amo. » mormorò in risposta, mentre piangeva silenziosamente.
Le grandi mani di Yuya si strinsero dolcemente sulle sue spalle e Yuri socchiuse gli occhi.
« Imparerò. Ho bisogno di tempo. » lo voltò, delicatamente e poi lo abbracciò « Io non voglio più farti del male Yu. » ammise senza guardarlo « E’ questo che tu non riesci a capire. Tu sei convinto che io non stia facendo sacrifici, quando non è così. » sospirò, osservando Yuri, con il volto ancora nascosto nel suo collo.
Rimase in silenzio e Yuya si sentì schiacciato da quel silenzio.
« Voglio la tua felicità Yuri. E la voglio veramente, quindi te lo dico di nuovo: devi andare con qualcuno che è in grado di renderti felice. »
Le sue braccia si strinsero con ancora più forza intorno al corpo piccolo e nudo del ragazzino e Yuya poté sentire come ancora l’abbraccio di Yuri si fece più forte, mentre scuoteva la testa.
« Nel bene e nel male io starò con te. E se per farlo devo rinunciare a qualcosa, non mi interessa. I miei sono capricci inutili. » si allontanò leggermente, sorridendogli e asciugandosi gli occhi e le guance « Ti prometto che non li farò più. » promise.
Yuya ricambiò a stento quel sorriso. Stava male. Perché lui non si era mai innamorato e non aveva mai avuto qualcuno che ricambiasse quell’affetto, che gli volesse così bene, indistintamente.
Non sapeva come comportarsi, cosa poteva dire e quando poteva dirla perché a quel punto non si trovava più da solo con un conoscente in casa, ma con quello che lui considerava il suo fidanzato.
Ed era la prima volta che si trovava in difficoltà, non riuscendo a capire in che cosa stesse sbagliando.
Annuì leggermente, stringendolo ancora.
Chinò la testa contro le sue labbra, baciandolo dolcemente e si sentì meglio quando sentì la morbidezza e la tenerezza di quella bocca ricambiare con la sua stessa intensità e passione.
Si sentì bene quando sentì le piccole mani di Yuri accarezzargli la schiena e quando sentì il suo corpo spingersi contro il proprio, desideroso di altre attenzioni, più dolci questa volta, e sapeva che era giusto così, che era quella la cosa giusta da fare.
Continuò a baciarlo e a toccarlo, sfiorandolo leggermente, fino a che non sentì i gemiti del ragazzino farsi più urgenti e allora scivolò con la bocca lungo il petto, cercando di ignorare i segni del proprio passaggio, iniziando a succhiargli lentamente l’erezione già dura.
Yuri ansimava, stringendo debolmente le dita fra i capelli di Yuya e muovendosi dentro la sua bocca tanto calda che sentiva quasi che sarebbe venuto in pochi minuti, mentre le dita dello yakuza si spingevano dentro di lui sempre più velocemente per prepararlo.
A Yuya piaceva fare sesso con Yuri guardandolo in faccia. Negli ultimi tempi aveva scoperto che osservare il suo volto distorto dal piacere era rilassante, e lo faceva sentire a posto, quasi bene, riusciva ad ignorare quel macigno che continuava a pesargli sul petto giorno dopo giorno.
Si spinse dentro di lui lentamente, perché non voleva fargli ancora del male, e si concentrò sulle sue espressioni e sui suoi gemiti, iniziando a spingere, uscendo del tutto dal suo corpo per tornare poi di nuovo dentro di lui.
Gli afferrò l’erezione in una mano, muovendola quasi allo stesso ritmo delle sue spinte dentro quel corpo che adorava e che non riusciva a comprendere, fino a che non lo sentì venirgli in mano e non vide la testa del più piccolo gettata all’indietro, fino a che non udì il suo verso di piacere, incredibilmente roco ed eccitante.
Lo afferrò per i fianchi, stringendoli piano, sentendo le gambe di Yuri intrecciate dietro la sua schiena mentre si reggeva a lui.
Continuò a spingersi sempre più velocemente, fino a che non si svuotò dentro di lui, con un verso quasi animalesco.
Rimase con le mani ai lati della sua testa per qualche secondo, mentre riprendeva fiato e mentre anche Yuri stabilizzava il proprio respiro. Si stese al suo fianco e il più piccolo si strinse a lui.
« Ti amo. » udì piano lo yakuza.
Yuya sentì il fiato mozzarsglisi nel petto e lo strinse a sé, senza guardarlo. Osservò il soffitto, ascoltando il respiro di Yuri.
« Anche io ti amo. » rispose dopo qualche minuto di silenzio.
Poteva sentire Yuri sorridere e poteva immaginarsi il suo sorriso. Gli vennero gli occhi lucidi al pensiero di quello che in realtà nascondeva, di quello che aveva fatto quel pomeriggio e di quello che forse avrebbe continuato a fare.
Perché Yuri non voleva più essere deluso dalle persone che amava e Yuya non avrebbe mai voluto deluderlo.
Ma quello era un lato della sua vita che esisteva e che c’era e che spingeva per uscire. Yuya era solo felice che avesse smesso di emergere con Yuri.
E, sperando che non sarebbe più capitato, si addormentò con il più ragazzino stretto a lui.
Coprì entrambi con un lenzuolo e, finalmente, si addormentò.

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