Titolo: Hakanai yubisaki
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Takaki Yuya x Chinen Yuri ; Yabu Kota x Inoo Kei ; Takaki Yuya x Yamada Ryosuke ; Yamada Ryosuke x Chinen Yuri.
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, NonCon!, Death!Fic, Violence, AU!, Under!Age
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Yuya è cambiato. Yuri lo percepisce in ogni suo movimento, eppure fidarsi dell'uomo che gli aveva rovinato la vita non era semplice.
Note: Sequel della storia di
vogue91 intitolata "Sanagi". Per ulteriori informazioni sul 'verse yakuza, clicca *
qua*
Note 2: Scritta per il
bigbangitalia.
Note 3: Scritta per la
500themes_ita“83. Contando gli anni.”
“158. Temi ciò che non puoi conoscere.”
“210. Fragile come un sogno.”
“454. Sognare l’impossibile.”
“435. Vivere un incubo.”
“66. Perché lo chiamano cadere.”
“34. Incubo.”
“412. Compagno di vita.”
WordCount: 35.141
fiumidiparole Lista capitoli precedenti:
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Prologo-
Capitolo 01-
Capitolo 02 -
Capitolo 03 - Capitolo 04
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Capitolo 04
Yabu tornò a casa stanco, più stanco delle altre giornate di lavoro. Aveva lavorato fino a tardi perché Yuya aveva avuto la felice idea di scomparire per l’intero pomeriggio, lasciandolo a lui tutto il suo lavoro che non era così poco, e la sola idea di non aver concluso tutto lo faceva innervosire.
Si chiuse la porta alle spalle, togliendosi a tentoni le scarpe e appendendo la giacca all’appendiabiti, rientrando così nell’abitazione totalmente immersa nell’oscurità: Kei doveva già essere a letto, pensò socchiudendo gli occhi.
Invece, appena entrò in salotto, lo trovò seduto sul divano che fumava, le gambe al petto e il mento appoggiato ad un ginocchio. Kota alzò un sopracciglio. Era raro vedere Kei fumare, e si innervosì perché non sapeva in che stato si trovasse il suo fidanzato.
« Kei - chan? » chiamò, rimanendo comunque a debita distanza, giusto per comprendere quando fosse scoppiata la bomba.
Accese la luce del salotto e il fidanzato sembrò riprendersi dallo stato di ipnosi in cui era caduto.
« Va tutto bene? » chiese ancora.
Kei alzò lo sguardo su di lui, sbattendo gli occhi un paio di volte prima di sorridergli dolcemente.
« Certo Ko. Ti stavo aspettando sveglio, non mi piace addormentarmi da solo. »
Il più grande ricambiò il sorriso.
« Scusa per il ritardo. Yuya non si è fatto vedere in ufficio e ho dovuto lavorare da solo. » si giustificò.
« E’ stato qui oggi, intorno all’ora di pranzo. L’ho incontrato al conbini. »
Il fidanzato lo guardò, ancora più perplesso di prima, osservandolo spegnere la sigaretta per accendersene un’altra.
« Yuya? E’ tanto che non viene qui. » commentò cauto lo yakuza, non sapendo che cosa passasse esattamente per la testa di Kei, che si limitò ad annuire e a rimanere in silenzio.
« Vi siete parlati? » continuò Yabu, come se stesse parlando da solo.
Kei scosse le spalle.
« Mi ha portato a casa l’acqua presa al conbini. Più un’altra che aveva comprato lui per te, sai… l’acqua frizzante. » buttò fuori un po’ di fumo « Ero a disagio, così abbiamo litigato. Poi se ne è andato. »
Kota si sedette accanto a lui, imitandolo e accendendosi una sigaretta. Guardò il pacchetto che ricambiò, rimanendo sconsolatamente vuoto. Kei si stese su di lui, appoggiando la testa sulle sue ginocchia e l’altro iniziò ad accarezzargli la testa, sapendo che era un gesto che lo tranquillizzava.
« Mi manca. » ammise piano il più piccolo.
« Lo so. » mormorò Yabu, altrettanto piano.
« Non posso perdonarlo per quello che ha fatto a Yuri, lui… non si meritava tutta quella sofferenza. » sussurrò.
« Lo so. » ripeté il più grande, senza smettere di accarezzargli i capelli.
Avrebbe voluto fare qualcosa per permettere ai due di tornare amici, ma non sapeva cosa. Anche lui era rimasto senza parole quando aveva saputo per che scopi avesse comprato il ragazzino e pur sapendo quale passato Yuya si portasse sulle spalle, con quale dolore dovesse continuamente fare i conti, non riusciva a giustificarlo, tanto più quando viveva con Kei una situazione così difficile.
Comprendeva, quasi, che nella testa di Yuya tutto quello fosse giusto, che facesse parte di una normalità scontata e cercava di annuire quando il più grande si giustificava dicendogli che era giusto così, che era la vita e che non si poteva fare nulla. Eppure non ci riusciva. Non riusciva a dire a Kei che le cose erano cambiate, che erano migliorate, perché quello non avrebbe cancellato i tre anni di torture che Yuri aveva dovuto subire.
Sospirò, non comprendendo nemmeno il più piccolo, non riuscendo a capire come e in quale modo avesse potuto innamorarsi di Yuya in mezzo a tutta la violenza che subiva.
Forse, si disse, era solo un meccanismo di difesa del suo cervello, un modo per evitare a sé stesso di non impazzire, per non raggiungere i livelli di depressione e forse di follia che aveva toccato Kei.
Sorrise comunque al fidanzato, ancora stretto a lui.
Si chinò per baciarlo, e dopo qualche istante di titubanza iniziale Kei ricambiò, lentamente.
Kota sorrise ancora. Aveva voglia di fare sesso, di toccarlo e di sentirlo intorno a sé, mentre lo prendeva e spingeva dentro di lui.
Aveva voglia di avere qualcosa di più, ma quella sera non aveva le forze per concludere un rapporto sessuale dentro al bagno, appoggiato alla porta mentre raggiungeva da solo l’orgasmo, un orgasmo insoddisfacente, per tornare poi in camera da letto e consolare un Kei in lacrime.
Si fece bastare quel bacio, come tante altre sere era già successo prima di quella, e poi spense la sigaretta nel posacenere accanto a lui, imitato dal più piccolo.
« Andiamo a letto, è tardi. » sussurrò alla fine, senza perdere il suo sorriso.
Kei annuì e si alzò in piedi, zampettando in camera e buttandosi sul letto, stringendo al petto il cuscino e guardandolo mentre si cambiava. Kota infilò il pigiama e, poco dopo essersi disteso, si addormentò stringendo la mano di Kei nella sua.
**
Kei strinse le dita intorno alla tazza del caffè, osservando di soppiatto Yuri che mangiava qualcosa per colazione. Era già qualche giorno che lo guardava, cercando di capire un po’ di più il suo rapporto con Yuya, di comprendere che cosa dovesse fare.
Sospirò e Yuri alzò lo sguardo dal suo panino.
« C’è qualcosa che non va Kei? » domandò il più piccolo.
Kei accennò un sorriso, scuotendo la testa.
« No, stanotte ho dormito poco e ho ancora un po’ di sonno. » rimase in silenzio per qualche minuto, poi riprese « Yuri, tu sei felice? »
Yuri alzò di nuovo la testa dal piatto, fissandolo, un po’ spiazzato. Ripensò alla discussione che aveva avuto con Yuya la settimana prima e sentiva ancora le ferite sui fianchi e sul petto. Ripensò a quanto si era sentito male quando Yuya gli aveva imposto il suo pensiero e i suoi desideri e sentì ancora un piccolo nodo allo stomaco.
In quella settimana erano ancora in stallo, come se Yuya stesse studiando chissà che manuale per renderlo felice.
Non sapeva se si sentisse felice come chiedeva Kei, ma non aveva voglia di lamentarsi con lui, dopo che li aveva visti entrare nella stessa casa e dopo che Yuya era scomparso per l’intero pomeriggio.
« Sì, perché questa domanda? » domandò, perplesso.
Kei scosse le spalle.
« Non lo so. Sono un po’ in pensiero per questa decisione di Yuya. Io non so che pensare di lui. »
« Dato che non vi parlate, direi che è difficile poter dire qualcosa di oggettivo su di lui, no? » replicò piccato il più piccolo, finendo in un paio di bocconi il panino che gli stava mangiando.
Kei arrossì dall’imbarazzo e dallo stupore, gonfiando le guance.
« Io sono oggettivo. Ed è proprio perché conosco Yuya che ti dico che non è normale tutto questo. »
« Le persone cambiano. E lui sta cercando di cambiare. Che male c’è in questo? »
Kei scosse le spalle, ancora titubante.
« E’ che ha fatto cose che da lui non mi sarei mai aspettato. » mormorò piano « Quando ti ha comprato io e Kota siamo rimasti spiazzati. Ti ha trattato come un animale. » concluse sprezzante.
Yuri iniziò ad agitarsi. Non voleva ripensarci, non voleva che i ricordi di quei mesi, specialmente i primi, tornassero ad invadergli il cervello.
Aveva faticato a lungo per permettere a sé stesso di dimenticare o, per lo meno, per cercare di non essere continuamente ossessionato da quei momenti. Ma nonostante tutti i suoi sacrifici, c’erano notti in cui era assillato dal suo passato, che si divertiva a fargli costantemente visita, ricordargli quelle prime notti da Yuya, le peggiori in assoluto.
Si alzò in piedi, irritato, sbattendo le mani sul tavolo e Kei si ritrasse istintivamente, allontanandosi di un paio di passi.
Il più piccolo socchiuse gli occhi, cercando di non spaventarlo. Era solo arrabbiato con sé stesso, perché continuava a permettere a qualunque insinuazione sul suo rapporto con Yuya di farlo vacillare, perché continuava a permettere ai suoi ricordi di rovinare quello che faticosamente tentando di costruire.
Ma Kei non sapeva quello che stava passando, quello che stava accadendo nella sua mente, che lo aveva spinto ad intraprendere quella relazione con Yuya, così maledettamente sul filo del rasoio da sentirsi costantemente male.
« Scusa. » mormorò lentamente e Kei si avvicinò di nuovo a lui, con la stessa lentezza, mettendosi al suo fianco « Non volevo spaventarti. E’ che io… io… ci sto provando… a far finta di niente, ma… »
Tirò su con il naso, serrando ancora di più gli occhi, serrando le mani a pugno, cercando le parole giuste da dire per far capire a Kei quello che sta pensando e quello che aveva passato negli ultimi mesi, ma era come se le parole gli morissero in gola, secondo dopo secondo.
« Tranquillo Yuri. » sussurrò il più grande appoggiandogli una mano sulla spalla, accarezzandola lievemente « Non devi tenerti tutto dentro, puoi parlarne con me. »
Yuri continuò a fissare il tavolo, le mani strette a pugno e gli occhi lucidi, mentre dentro di sé il suo senso di impotenza e la sensazione di aver appena fallito in qualcosa di veramente importante lo stavano lacerando.
L’unica cosa che Kei ottenne fu un abbraccio, seguito da un pianto a dirotto. Il più grande ricambiò titubante l’abbraccio e rimase in silenzio.
Nonostante tutto, sapeva che nessuna parola di conforto, di appoggio o di accusa verso lo yakuza avrebbe aiutato.
L’unica persona che poteva sconfiggere quei demoni del passato, era solo Yuri stesso.
**
Kei doveva ammettere a se stesso che fingere di essere un po’ più scemo e più femminile del normale era una cosa che gli era sempre piaciuta. Era una cosa che piaceva a Kota prima del suo stupro, e dopo qualche anno, quando Kei sembrava essersi ripreso, era tornato un po’ al suo vecchio atteggiamento.
Quando era ancora amico di Yuya gli piaceva assumere anche con lui quel tipo di portamento. Lo yakuza sembrava divertirsi e quando erano da soli sembrava che gli mostrasse quel briciolo di umanità e di sensibilità che il tempo, il suo passato e gli orrori del suo lavoro non avevano ancora distrutto.
Ci aveva creduto Kei. Ci aveva creduto in quell’amicizia, in quelle ore infinite passate insieme, anche senza fare nulla. Aveva creduto alle coccole e alle carezze, così come aveva creduto in ogni suo gesto, sempre teso a fargli del bene.
Invece all’improvviso Yuya aveva tolto la maschera, rivelando il vero sé stesso, il sadico, il pedofilo, il violento che cercava a tutti i costi di volersi vendicare del passato tramite un bambino.
Perché quello era ancora Yuri. Un bambino sbattuto nelle mani di un perverso assetato di vendetta e di rabbia.
E quello Kei non glielo avrebbe mai perdonato. O, se ci fosse riuscito, sarebbe dovuto passare ancora molto tempo.
In quei tre anni aveva sempre cercato di aiutare il più piccolo, assumendo anche con lui lo stesso atteggiamento che ormai gli calzava addosso come una seconda pelle.
E forse vedendo le sue condizioni, il suo necessario bisogno di indossare una maschera per sopravvivere ai suoi ricordi, a quella violenza passata, Yuri fosse diventato più forte, almeno quello che gli basava per poter sopportare ciò che gli faceva Yuya.
Kei non dubitava, non aveva mai dubitato nemmeno per un secondo, che Yuri stesso portasse addosso delle cicatrici invisibili, quelle cicatrici che sono le più difficili da ignorare.
Perché i tagli di Yuya, i suoi lividi e le sue bruciature poteva ignorarle. Quando si lavava o si vestiva poteva chiudere gli occhi e far finta di essere in un altro posto e quindi immaginare di non aver mai subito tutto quello.
Ma le cicatrici invisibili, quelle che portava nella sua anima, quelle non poteva ignorarle, perché erano là. Era lisce, sottili, e giorno dopo giorno non facevano altro che aumentare, e cercare di non pensarci era impossibile.
Perché ogni volta che avesse ripensato alla sua vita, Yuri le avrebbe viste. Ne avrebbe sentito il peso, ne avrebbe sentito l’umiliazione, avrebbe sentito il dolore e il sapore acre del sangue.
Dopo averlo accompagnato a casa, essersi assicurato che stesse meglio e che la sua crisi di pianto fosse conclusa e dopo essersi fatto finalmente spiegare quale fosse il problema, Kei era rimasto per qualche secondo immobile davanti al portone del palazzo, meditando sul da farsi.
Aveva sospirato e si era portato le mani sul volto, massaggiandosi la fronte con aria assorta. Poi aveva guardato l’orologio e, un po’ titubante, si era diretto verso la strada principale, verso gli uffici di Yuya.
Kei entrò dentro al grande palazzo posto praticamente al centro di Kabuki-chō. Era un po’ lontano dal loro piccolo quartiere, quasi interamente composto da altri yakuza e dalle loro famiglie.
Erano pochi gli abitanti del quartiere che non fossero legati in qualche modo alla famiglia di Kota e Yuya. Le attività commerciali gestite da cittadini con la fedina penale pulita erano altrettanto rari, ma l’unica nota positiva era che riuscivano a tenersi lontano dalla morsa letale della yakuza, dimostrandogli quindi più fedeltà di quella che nutrivano verso la polizia.
Gli abitanti del quartiere non si affidavano alle forze ufficiali dell’ordine. Per qualunque problema, si affidavano alla famiglia. La loro legge era dettata dalla yakuza, non dallo Stato.
Kei socchiuse gli occhi. Non gli piaceva stare lontano dal quartiere, lontano dalla sua piccola oasi di pace, da quel luogo che lo faceva sentire protetto da tutto il male del mondo.
Aprì la porta, quasi all’improvviso, stupendo anche sé stesso. Dentro l’ufficio non c’erano molte persone e Kei le conosceva quasi tutte.
C’erano Yuya, Kota e altri shatei, i più fidati. Kota si alzò di scatto in piedi quando lo vide, sul volto una espressione di pura ansia e preoccupazione, perché erano anni che non si faceva vedere agli uffici. Ma Kei per una volta non guardava il suo fidanzato e per una volta, dopo tanti anni, non aveva addosso quell’atteggiamento da bambino che per tutto quel tempo lo aveva protetto.
Era serio in volto, pronto a far vedere a Yuya che era stanco del suo modo di fare arrogante con Yuri. Perché la sua idea forse non poteva cambiare su di lui, ma non era giusto che nonostante tutti i suoi sacrifici Yuri continuasse a rimanere ferito da un uomo che non lo meritava.
Kota si avvicinò, lentamente, perché non sapeva mai come prendere quegli sbalzi di umore di Kei. Quest’ultimo si voltò verso di lui, sorridendogli teneramente e appoggiandosi a lui, senza smettere di sorridere. Si godette le sue carezze e la sua mano delicata, prima di scostarsi.
« Devo parlare con Yuya. » disse solo.
Il più grande annuì e, limitandosi a fare un cenno con la testa, lasciò l’ufficio seguito dagli shatei, non senza aver lanciato uno sguardo perplesso al suo aniki.
Quando Kota ebbe chiuso la porta dietro di sé, Yuya si alzò dalla sua scrivania, scostando la sedia. Si accese una sigaretta e Kei si avvicinò a lui, rubandogliela dalle labbra, fumandola al suo posto.
Yuya schioccò la lingua, seccato, ma non disse nulla, limitandosi ad accendersene un’altra.
« Sei qua per un motivo? » chiese nervoso « L’ultima volta hai detto che non avevi niente da dirmi, o sbaglio? »
« Non sbagli. Ma quello era prima che Yuri scoppiasse a piangere al bar perché ama un ipocrita figlio di puttana. » commentò Kei, perdendo improvvisamente il suo tono innocente e il sorriso tenero che aveva rivolto a Kota.
Yuya sembrò svegliarsi e gli prestò attenzione. Non tanto per essere stato insultato, ma per quello che aveva appena detto su Yuri.
« Yuri non piange per la strada. » si limitò a dire, incerto « Yuri non piange mai. » concluse poi.
« Senti Yuya, io non so che progetti hai tu con Yuri, non so che cosa ti sei messo in testa di fare e non so nemmeno come andrà a finire tutta questa storia, ma sappi che Yuri si merita di essere felice. »
« Lo so, cazzo! » esclamò a voce alta lo yakuza voltandosi verso di lui « Lo so non c’è bisogno che arrivi tu a darmi lezioni d’amore Kei! » esplose « Non accetto critiche proprio da te. » urlò nervoso.
Kei fece di nuovo un passo indietro, socchiudendo gli occhi. Sapeva che non doveva avere paura di lui, che nel bene o nel male Yuya non avrebbe mai permesso a nessuno di avvicinarsi, ma Kei odiava le urla. Odiava quando gli uomini si facevano troppo vicini e quando le loro mani si agitavano davanti a lui. Dopo tutti quegli anni, non era ancora stato in grado di superare quel trauma.
Prese un profondo respiro, tornando a guardarlo.
« E’ arrivata l’ora di smetterla, Yuya. Lascialo libero di farsi una vita, lascialo libero di vivere come un normale adolescente della sua età. Liberalo dalla tua presenza. E’ molesta per lui, non lo comprendi? Continua a reprimersi e a reprimersi e a reprimersi solo per fare un piacere a te, solo perché ha deciso di sacrificare ancora e ancora la sua felicità. » si fermò, scuotendo la testa « Non ti sei già preso abbastanza Yuya? Non lo hai già umiliato abbastanza in questi anni? Che altro vuoi che ti dia? Quale altra prova sconfinata vuoi che ti porti? Una cosa ti aveva chiesto e tu non sei stato in grado di dargli nemmeno quella. » urlò Kei.
Yuya era rimasto a bocca aperta. Il discorso di Kei usciva fluido dalle sue belle labbra, di solito arricciate a formare un broncio infantile, ma che in quel momento riuscivano a ferirlo peggio di una coltellata.
No. Non lo comprendeva. Perché lui non era in grado di comprendere quello che stava passando Yuri. Perché lui, quando era piccolo, non aveva mai intrecciato relazioni amorose con i suoi aguzzini e non aveva mai pensato che cose di quel genere potessero mai accadere.
Perché negli anni della sua adolescenza aveva solo covato rancore e odio per quegli aniki che faceva di lui quello che volevano, perché alla fine aveva trovato un po’ di pace solo quando aveva visto i loro cadaveri riversi nella sua camera, circondati dal loro stesso sangue che non voleva smettere di uscire dalle ferite e in quel momento aveva deciso di nascondere le origini della sua carriera, le origini della sua stessa vita, nascondendo quelle cicatrici e quelle bruciature con dei tatuaggi. Tatuaggi su tatuaggi, perché era la cosa migliore da fare, perché si vergognava e voleva solo dimenticare.
Ma dimenticare era impossibile, lui lo sapeva bene. Era stato un idiota a sperare e a credere che Yuri potesse essere diverso da lui.
Aveva subito torture terribili, simili alle sue per molti versi, e lui non poteva fare niente per spazzarle via. Schioccò la lingua passandosi le mani sul volto, reprimendo l’istinto di urlare e di mandare tutto il suo ufficio all’aria oppure di picchiare qualcuno, selvaggiamente, perché non riusciva nemmeno a pensare a quello che doveva fare.
Osservò Kei, sempre davanti a lui. Si sentiva giudicato e a Yuya non piaceva quella sensazione. Perché Kei aveva già sputato abbastanza sentenze su di lui e sulla sua vita, e vederlo per l’ennesima volta di fronte a lui con quell’aria da grande giudice lo irritava.
Eppure aveva ragione. Non poteva negarlo.
Aveva continuato a spremere Yuri, senza rendersi conto di come si sentisse, di come lo stesse realmente trattando.
Perché lui non lo capiva. Passava le notti a pensare a come mai Yuri stesse ancora al suo fianco, a pensare a come riuscisse a farsi toccare da lui, giorno dopo giorno. Pensava senza sosta, chiedendosi quando quel sogno si sarebbe infranto e quando avrebbe visto la schiena di Yuri abbandonare quella casa.
E la cosa che lo stava facendo sentire ancora peggio era che nella tua testa tutte le sue azioni erano solo rivolte alla sua felicità, ma nulla di quello che faceva riusciva a renderlo davvero felice.
Forse all’inizio era stato involontario. Forse voleva davvero una piccola puttanella per casa, qualcuno che lo soddisfacesse ad ogni ora del giorno e della notte e che svolgesse le normali mansioni di una donna di casa.
Quello non poteva negarlo. Non poteva negare la violenza eccessiva con la quale si era accanito contro Yuri, solo per vederlo piegato.
Perché Yuri gli ricordava sé stesso, piccolo e arrogante, e desiderava solo togliere dal suo volto quella smorfia di superiorità, perché non faceva altro che ricordargli di quando lui si era arreso alle molestie senza più riuscire ad alzare la testa.
Voleva spezzarlo, perché così avrebbe potuto convincersi del fatto che non aveva sbagliato nel lasciare carta bianca ai suoi aniki.
Perché se Yuri si fosse arreso, allora lui si sarebbe sentito meglio.
Eppure con il tempo aveva iniziato davvero a provare a renderlo un po’ più felice. Gli dava più responsabilità, cosicché si potesse sentire utile anche per altre cose. Lo lasciava libero di uscire quando voleva e cercava di prendergli le cose che più desiderava, anche se Yuri con lui non si era mai espresso o aperto più di tanto e Yuya non poteva fare altro che capirlo.
Anche quando lo aveva visto con Hikaru, si era detto che in fondo era giusto così. Anche quando lo aveva sentito godere con il suo shatei si era detto che andava bene così, che era giusto che Yuri tentasse in qualche maniera di costruirsi la sua felicità.
Ma poi Yuri aveva ribaltato le carte in tavola e Yuya si era sentito per la prima volta felice di essere nato. Perché non lo era mai stato, ma era sempre stato bravo a fingere che tutto fosse perfetto nella sua vita.
Avere Yuri accanto era la cosa giusta, perché stava bene con lui, e sapeva di dover ancora migliorare per diventare davvero una persona perfetta.
Lo sapeva e ci stava provando. Per lui, che era nato e cresciuto in un vortice esponenziale di violenza e abusi, era difficile cambiare e vedere finalmente la realtà che Kei gli aveva sbattuto in faccia, una realtà che faceva male.
Schioccò ancora la lingua. Ancora e ancora, fino a che non afferrò una sedia e la lanciò contro il muro. Kei si nascose istintivamente dietro la scrivania di Kota, stringendo fra le mani la sedia sulla quale era solito sedersi il fidanzato.
Si morse un labbro e indietreggiò quando Yuya si avvicinò a lui. Serrò gli occhi quando lo vide alzare una mano e poi li riaprì. Il più grande gliela batté un paio di volte sulla spalla.
« Grazie. » mormorò piano.
Kei annuì, lentamente.
« Mh. Non l’ho fatto per te. » borbottò incerto.
« Lo so. » mormorò allontanandosi « E’ per questo che ti ringrazio. » commentò, lasciandolo solo nell’ufficio.
Kei sentì la porta chiudersi dietro le spalle dello yakuza. Aveva voglia di piangere. Non sapeva bene perché, ma tornare a parlare con Yuya, anche se solo per insultarlo, lo aveva fatto sentire bene.
Odiava quel lato di sé. Gli mancava Yuya. Gli mancava la sua presenza a casa loro, gli mancavano le serate passate fra drama e gelato e Kota che si lamentava, sorridendo.
Eppure non poteva permettersi il lusso di cedere.
Kei gli aveva dato tutta la sua fiducia e Yuya l’aveva afferrata, calpestata, dilaniata. Ed era stanco Kei, di essere deluso.
**
Yuya entrò in casa, stringendo in una mano una pesante busta di plastica. Prese un profondo respiro per darsi coraggio. Si tolse le scarpe, mentre dalla cucina arrivava il rumore della televisione accesa e il frastuono familiare e accogliente delle pentole.
Stirò un sorriso, appoggiando all’ingresso la busta.
« Sono a casa. » esclamò a voce alta per farsi sentire, affacciandosi in cucina.
Yuri si voltò verso di lui sorridendogli, e ogni volta che vedeva quel sorriso Yuya si sentiva improvvisamente bene, capace di dimenticare quella vita che aveva sempre cercato di nascondere.
« Bentornato Yuya. » replicò l’altro.
Lo yakuza si avvicinò a lui, abbracciandolo da dietro e baciandogli una guancia e si sentì un po’ meglio nel vedere che da Yuri non traspariva nessuna preoccupazione.
Lo sentì adagiarsi nella sua stretta, appoggiarsi a lui e ricambiare il bacio.
« Sto cucinando la zuppa di miso. Poi ho preparato la carne e ho comprato del sushi, insieme alla frittura. Che ne dici? » chiese poi il più piccolo, indicando i piatti sul tavolo.
« Che ho una fame da lupi. » si lamentò poi, in tono scherzoso « E che senza di te sarei già morto di fame. »
Yuri ridacchiò e Yuya lo voltò verso di lui. Il più piccolo lo guardò, perplesso da quel comportamento, mentre lo yakuza gli accarezzava il volto. Yuri rimase immobile, ancora stupito, ma poi si ammorbidì.
« Yuya stai bene? Forse hai troppa fame. » lo prese ancora in giro il più piccolo.
Yuya accennò un sorriso, baciandolo ancora e sentì le braccia di Yuri circondargli il collo mentre spingeva il proprio corpo contro il suo.
« Sto bene, tranquillo. E’ che… mi sei mancato, tutto qua. » ammise imbarazzato allontanandosi.
Yuri sorrise ancora e poi si voltò, iniziando a sistemare il cibo sul tavolo, sedendosi poi al suo fianco.
Mangiarono commentando un drama che guardavano tutte le settimane. Quando finirono Yuri si alzò in piedi, porgendo a Yuya il posacenere e l’accendino e iniziando a sparecchiare.
Il più grande però lo prese per un polso, baciandolo ancora, questa volta con più passione di prima, stringendogli le mani intorno ai fianchi, attirandolo a sé. La pelle di Yuri era calda e il suo respiro era già affannato quando sentì le sue dita slacciargli lentamente la camicia, lasciandolo a petto nudo.
Yuya lo prese di peso e il più piccolo intrecciò le sue gambe intorno alla vita dello yakuza, riprendendo a baciarlo, senza capirci più niente. Aveva voglia di toccarlo e di farsi toccare, di sentire la loro pelle nuda e calda sfiorarsi, mentre in loro cresceva l’eccitazione.
Il più grande lo appoggiò sul letto e Yuri si spogliò, rapido, imitato subito da Yuya che si stese poi sopra di lui.
Riprese ancora a baciarlo, perché quelle labbra erano come una droga e non riusciva a farne a meno.
Lo toccò un po’ più bruscamente. Yuri gemette quando sentì le dita del più grande sfiorargli l’erezione, senza però stringerla. Il più piccolo però non aveva intenzione di far fare tutto allo yakuza, quindi sgusciò via da sotto di lui e, appoggiando le mani sul suo petto, lo spinse con la schiena contro il materasso. Si sedette sopra di lui, baciandogli il collo, mentre sentiva l’urgenza di Yuya nel suo respiro affannato e nei suoi occhi ardenti.
Scivolò lungo il suo petto, attardandosi sui capezzoli. Per una volta voleva fare le cose con calma, voleva sentire di riuscire davvero a farlo godere e voleva fare tesoro di quei gemiti di piacere che gli piacevano tanto.
Lentamente, sempre con la bocca impegnata sul suo petto, la mano di Yuri scese in mezzo alle proprie gambe, iniziando a masturbarsi. Yuya sentiva le loro erezioni sfiorarsi ogni volta che la mano di Yuri scivolava avanti e indietro e mosse i fianchi contro di lui, ottenendo solo uno spostamento di Yuri, calcolato, quel tanto che bastava perché Yuya continuasse ad eccitarsi senza però permettergli di soddisfarsi del tutto.
Yuya sospirò, frustrato, e riprese a baciarlo. Lo prese bruscamente per la testa, stringendo i capelli in una mano e portandolo su di sé. Le loro erezioni entrarono in contatto e Yuya smise di baciarlo.
La voglia lo stava lacerando e desiderava solo che, qualunque cosa Yuri avesse in mente, si sbrigasse a metterla in atto.
Yuri riprese a baciargli il collo, come se non avesse fretta, come se anche lui stesso non desiderasse altro che sentire il più grande dentro di sé.
Eppure continuò a muoversi lentamente, ascoltando i propri gemiti mischiati a quelli di Yuya, che si facevano più alti via via che si avvicinava al suo inguine.
Continuò a baciargli le cosce, sfiorando quasi accidentalmente la punta della sua erezione, toccandola lievemente con il volto solo per passare all’altra coscia e continuando a torturarlo.
Mosse la guancia contro l’erezione di Yuya, muovendo il volto, continuando a farsi desiderare sempre di più.
Aveva visto più di una volta la grande mano di Yuya avvicinarsi a lui con fare minaccioso, forse pronto ad afferrarlo ancora per i capelli e spingersi dentro la sua bocca, con violenza, come aveva sempre fatto, ma ogni volta la vedeva abbassarsi.
Yuri si lasciò andare, prendendo finalmente fra le labbra solo la punta, sogghignando quando udì l’altro emettere un verso di animalesco godimento.
Lasciò correre la lingua contro la pelle bollente e tesa, sentendo come solo leggermente le dita di Yuya si intrecciavano ai suoi capelli, senza spingere e senza comandarlo e allora il più piccolo lasciò scivolare la testa contro di lui, prendendoglielo del tutto in bocca, iniziando a leccare, a toccarlo, a succhiarlo, perché vedere Yuya perdere il controllo quando erano a letto, in quelle condizioni, lo faceva sentire bene.
Perché sentiva che non era solo sesso quello che voleva, che non era là solo per un mero bisogno fisiologico, ma perché c’era qualcosa di più. E, per quanto fosse difficile, cercava di convincersi che era sempre così, ora dopo ora.
Perché per Yuya il sesso era vitale come l’aria e lui ormai lo sapeva bene. Scosse lievemente la testa, eliminando i pensieri negativi, continuando a muoversi su di lui, fino a quando non riprese bruscamente aria perché Yuya lo aveva spostato. Yuri sorrise, un ghigno di superiorità, mentre ascoltava l’altro che riprendeva fiato.
Poi si appoggiò al letto, allargando lievemente le gambe, un chiaro invito per il più grande di prenderlo e fare quello che voleva, e Yuya non se lo fece ripetere più volte.
Gli aggredì ancora le labbra, il petto, l’erezione, in maniera più animalesca di Yuri, ma al più piccolo andava bene così, per quanto fosse irruento, perché quella era passione, non voglia di fargli del male.
Sentì le dita di Yuya prepararlo, spingersi dentro di lui, seguite lentamente dalla sua lingua, dimostrandogli così che sapeva fare sesso anche preoccupandosi per lui. Yuri spinse i fianchi contro quella bocca e quelle dita che lo stavano facendo impazzire, costringendolo a volerne sempre di più, senza sosta, e fu in quel momento che Yuya si allontanò, afferrandolo per i fianchi; lo vide sistemarsi fra le proprie gambe aperte e poi lo sentì spingere, deciso, dentro di lui.
Yuri inarcò la schiena, trattenendo dei gemiti di dolore e ricacciando le lacrime, stringendosi a lui, nascondendo il volto nel suo petto, mentre le sue orecchie erano solo piene degli ansiti di Yuya, resi rochi dall’eccitazione.
Lo sentì iniziare a spingere poco dopo e Yuri non impiegò molto ad abituarsi, ad iniziare a spingere a sua volta contro di lui, senza più ritegno, chiedendogli sempre di più, sempre più forza e velocità.
Yuya allora fece passare una mano fra i loro corpi, prendendo a masturbarlo velocemente. Lo voleva sentire venire, lo voleva sentire gemere e godere e si ritenne soddisfatto quando una manciata di minuti dopo lo sentì venirgli in una mano, e sentì i denti di Yuri penetrargli la pelle delle spalle per contenere i gemiti.
Lo lasciò andare, riprendendo a spingere, senza dargli un solo attimo di tregua e poco dopo si svuotò a sua volta dentro di lui, gemendo a voce alta.
Si accasciò al suo fianco, mentre nell’aria si sentivano solo i loro respiri affannati. Yuri si voltò verso di lui, sorridendogli, gli occhi lievemente lucidi.
« Ti amo. » sussurrò con voce rotta.
« Anche io. » ammise in una attimo il più grande stringendolo a sé « Va tutto bene Yu? » chiese poi.
L’altro annuì, ricambiando l’abbraccio.
« E’ solo sudore, non preoccuparti. Ora mi passa. »
Yuya sapeva che stava mentendo, sentiva le lacrime del più piccolo contro la sua pelle, ma non osava controbattere. Chissà quali pensieri si stavano alternando nella testa del fidanzato e si rese conto di dover agire subito, perché non voleva rischiare di perderlo.
« Ho una cosa per te. » gli disse « Vado a prendertela. »
Yuya si alzò in piedi, correndo al’ingresso, e afferrò la busta. Dalla cima prese una busta trasparente con dentro dei documenti e poi tornò nella stanza da letto.
Prese un profondo respiro, sentendo lo sguardo di Yuri su di sé, mentre una strana “ansia da prestazione” che non era da lui lo stava facendo innervosire sempre di più.
« Sai, ci ho pensato in questi giorni. Mi sono comportato male con te, continuando ad importi il mio pensiero. E’ che… so che sono discorsi già sentiti, ma io ho bisogno di tempo. E tu mi devi dire dove sbaglio, Yu. Perché chinare la testa e darmela sempre vinta non cambierà la cose. Credimi. »
Lo yakuza rimase in silenzio per qualche secondo, forse aspettando una replica da parte di Yuri che non arrivò, quindi porse al ragazzo quello che aveva in mano.
« Che cosa sono? » chiese il più piccolo.
« I documenti per la scuola. Ti ho iscritto oggi pomeriggio. Avrai il l’esame di ammissione fra due settimane e andrai alla scuola pubblica del quartiere. »
Yuri non disse una parola, limitandosi a stringere fra le mani quei fogli. Poi chinò lentamente la testa, iniziando improvvisamente a piangere.
Era strano, perché forse dentro di sé Yuri non aveva mai realmente sperato in un cambiamento di Yuya. Lo aveva desiderato, ma forse non ci aveva mai creduto fino in fondo.
Alla fine, forse, gli andava bene così. Eliminate le sevizie, le ferite, le bruciature, gettando uno sguardo indietro alla sua vita Yuri poteva comunque ritenersi soddisfatto. Quel pomeriggio, dopo essersi sfogato con Kei e aver tolto quel peso che gli gravava sul petto, aveva davvero iniziato a dirsi che non avrebbe dovuto desiderare altro.
A modo suo Yuya lo amava, e ormai Yuri si sentiva intrappolato in quella tela di ragno che lui stesso aveva involontariamente iniziato a tessere quel lontano pomeriggio di estate, concedendo ad Hikaru il suo corpo violato e spezzato che tanto odiava. Era stato in quel momento che forse le cose si erano fatte più complesse. Forse voleva che Yuya li scoprisse, indeciso comunque in quale reazione sperare.
Forse desiderava la morte e nel suo desiderio egoistico e vigliacco non aveva esitato due volte a mettere in mezzo Hikaru, vittima fondamentalmente innocente in quei giochi di potere, disperazione e tirannia. Invece ascoltare le parole di Yuya, così incredibilmente sincere dopo aver fatto sesso in una maniera dolce e irruenta allo stesso tempo, dopo aver visto come Yuya riuscisse a conciliare la bestia che graffiava nel suo petto, lo faceva sentire bene.
Non riuscì a smettere di piangere, stringendo al petto quei fogli così inutili che per lui rappresentavano tutto il suo mondo, tutte le sue speranze e le sue promesse.
Yuya si sedette accanto a lui, abbracciandolo e chiedendogli perché stesse piangendo, senza riuscire a nascondere il tono ansioso e preoccupato.
Yuri scosse la testa, cercando di trovare un modo per riprendersi e calmarsi.
« Sono felice. » ansimò fra le lacrime e i singhiozzi, alzando a malapena la testa dal petto caldo del più grande « Sono felice Yuya. Perché finalmente posso iniziare a credere alle tue promesse. »
« Mi dispiace essere così brusco a volte. E’ che… io a volte non capisco dove sbaglio. »
Yuri scosse la testa e poi si protese verso il più grande baciandolo, e Yuya sentì come potevano essere morbide e calde quelle labbra, anche se il proprietario stava ancora continuando a piangere.
Il più piccolo frugò nei libri che Yuya gli aveva comprato. Non erano quelli scritti sulla lista, alcuni erano usati, presi a caso dalla libreria.
« Ne ho presi alcuni perché alla segreteria non avevano ancora la lista. » si giustificò lo yakuza « E ho pensato che forse i libri che hai già non ti bastavano per l’esame di ammissione e quindi sono andato con Kota a comprarne qualcuno. Ma… uhm… devo aver esagerato. »
Yuri rise e poi tornò sul letto, abbracciandolo e nascondendosi fra le sue braccia.
« E’ difficile per me renderti felice Yu. Io… al posto tuo… non avrei avuto tutta la tua forza. »
L’altro scosse la testa.
« Ti amo. » disse « E’ questo che mi dà la forza di andare avanti. »
« Lo so, è proprio di questo di cui parlo. Io… » prese un profondo respiro, di nuovo il nervosismo che lo stava divorando « Lascia stare. L’importante è che da adesso riusciamo a parlarci di più. »
Yuri si allontanò leggermente, sistemandosi accanto a lui.
« Che cosa stavi dicendo? »
« Nulla. » replicò lo yakuza, agitato.
« Yuya, che stavi dicendo? Hai appena detto che dovremo parlarci di più, no? E… dovremmo sapere tutto l’uno dell’altro, per aiutarci di più. »
Yuya rimase in silenzio, indeciso. Non sapeva se voleva mettere al corrente Yuri del suo passato, mettersi a nudo in quella maniera, permettendo al più piccolo di conoscere ogni più oscuro segreto che aveva alimentato, nel corso degli anni, quella belva che lo aveva reso il mostro che aveva conosciuto tre anni prima.
Ma Yuri continuava a guardarlo con quegli occhi grandi e profondi, e Yuya capì che per far funzionare davvero quella storia avrebbe dovuto dirgli tutto, liberandosi di quei demoni che continuavano a tormentarlo dopo tanti anni.
« Il fatto Yuri è che io ci sono passato. » ammise « Avevo più o meno la tua età quando sono entrato nella famiglia e sai… » ridacchiò, nervoso « I miei aniki, in tutto erano quattro, mi chiudeva tutto il giorno in una stanza, non potevo uscire, era senza finestre. Non mangiavo, non bevevo nulla. Quando loro tornavo, dovevo fare tutto quello che volevano. E intendo davvero tutto. Se non gli andava bene o mi ribellavo… » il più grande socchiuse gli occhi, passando nervosamente una mano su una spalla, più tatuata del resto del corpo « Beh, diciamo che una volta sono stato senza mangiare per quattro giorni. » commentò poi, la voce roca.
« Perché allora mi hai fatto tutto questo, Yuya? Sapevi quello che avrei passato, no? Quanto… avrei sofferto. » mormorò piano Yuri, la voce flebile.
Yuya ridacchiò, con fare isterico.
« Non lo so. Per me è sempre stato normale, capisci? Anche prima di diventare uno yakuza. Sono scappato da un padre alcolista che non faceva altro che molestarmi. Mia madre, prima di abbandonarmi, si limitava a stare in un angolo, a piangere, ignorando quello che accadeva in casa. Ero stanco della povertà, stanco di mio padre, stanco di vivere. » scosse le spalle « Alla fine mi sono arreso Yuri. Ho deciso di vivere quell’incubo. Per anni ho fatto quello che voleva mio padre e per altrettanti anni ho accontentato i miei aniki. Ero arrabbiato quando ti ho visto perché ho visto in te quello che ero io. E volevo spezzarti, piegarti, perché così mi sarei sentito meno in colpa e meno sporco. Io… volevo liberarmi dei miei demoni, abbandonarli addosso a te, che neanche ti conoscevo. » scosse le spalle, ancora, rimanendo in silenzio.
Yuri lo fissò a bocca aperta, gli occhi lucidi e di nuovo in prossimità del pianto. Allungò lentamente una mano, sfiorandogli i tatuaggi delle braccia. Yuri aveva sempre notato che dal gomito fino sopra alle spalle, i disegni erano più fitti, i colori più accesi, le linee più accentuate, come se Yuya avesse disperatamente tentato di nascondere qualche cosa che gli marchiava la pelle.
« Come mai questi disegni sono più ricchi? » chiese piano, le lacrime sull’orlo degli occhi e la voce roca, quasi disperata, come se in realtà non volesse davvero conoscere la risposta.
« Perché ho i loro segni addosso. Ogni sera, quando finivano con me, mi facevano una linea sul braccio. Uno dopo l’altro, giorno dopo giorno. Quando li ho uccisi avevo la parte sopra del corpo quasi del tutto ricoperta da questi marchi. E non li sopportavo. Volevo strapparmi la pelle perché il solo vederli mi faceva stare male. Ecco perché sono ricoperto di tatuaggi. Con loro ho perso l’unica traccia di umanità che mi era rimasta e alla fine hanno vinto loro. Sono diventato un mostro, proprio come volevano. »
Ricordava che l’unica volta che Yuya gli aveva parlato di quei tatuaggi era stato qualche mese prima per raccontargli la leggenda della Nishikigoi, il giorno del suo disastroso compleanno, dove per la prima volta lui e Yuya si erano parlati veramente.
Fece scivolare le dita lungo la sua pelle, osservando ogni linea o tratto, ogni colore e ogni disegno.
« Ti sei sentito meglio dopo averli uccisi? » chiese poi osservando le proprie braccia, marchiate dalle cicatrici.
Yuya scosse le spalle, quasi indifferente.
« Sì, stavo bene. Stavo bene perché loro erano morti e io ero finalmente libero da loro. E’ per questo che mi chiedo come tu riesca a stare accanto a me, a non odiarmi come io odiavo loro. »
« Non paragonarti a loro Yuya. » sussurrò il più piccolo sfiorandogli il volto e baciandolo lentamente « Tu non mi hai mai trattato come loro. Mi hai dato una casa, dei vestiti, del cibo, senza mai privarmi di nulla. E’ vero, i primi tempi sono stati difficili, ma… » si interruppe, cercando le parole « Ma adesso stiamo insieme, no? Non c’è più bisogno di pensare a quei momenti e a quello che hai fatto, no? » ripeté, il tono di voce più alto del normale.
Yuya gli accarezzò il volto, dolcemente, mostrandogli un sorriso triste.
« No Yuri. Non sono diverso da loro, fidati. Volevano che diventassi così e non ho avuto le forze per ribellarmi. Quella per me era la normalità. Volevo sentirmi meglio, rovinando la tua vita come loro hanno fatto con me e come ha fatto mio padre prima di loro. Volevo smettere di soffrire e pensavo che fosse il metodo giusto. Mi dispiace. »
Il più piccolo scosse la testa. In fondo, loro due non erano più così diversi. Pur di sentirsi meglio, di lasciare quel mondo che li aveva fatti solo soffrire, lui e Yuya erano stati egoisti.
Per liberarsi di quella sofferenza che lo stava schiacciando giorno dopo giorno non avevano esitato a mettere in mezzo persone innocenti. Yuya aveva comprato lui, riversandogli addosso il peso di anni e anni di stupri e molestie, cicatrici, ferite, bruciature che comunque non avrebbe mai abbandonato nessuno dei due.
Yuri invece aveva ucciso Hikaru, dopo averlo involontariamente sedotto, dopo aver quasi accettato quella mano tesa verso di lui, che lo avrebbe finalmente reso libero. E invece l’aveva rifiutata e nel momento in cui lo shatei aveva incrinato il suo mondo accoltellando Yuya, si era accanito su di lui, brutalmente, fino a che l’altro non aveva smesso di respirare, colpo dopo colpo.
Lo abbracciò, baciandolo ancora. Si fece stringere, baciare e toccare ancora, gemette contro la sua bocca e il suo corpo, sentendolo di nuovo contro e dentro di sé. Lo sentiva spingere, lentamente, come se in quel modo tutto il loro passato si potesse riparare, forse dimenticare. Yuri ne voleva sempre di più, inarcò la schiena, mosse i fianchi contro Yuya, fino a che non lo sentì venire ancora dentro di sé.
Lo yakuza rimase sopra di lui, le braccia tese e tremanti per lo sforzo, ma non accennò a spostarsi. Si guardarono e si sorrisero e Yuri si alzò sui gomiti baciandolo.
« Ti amo. » sussurrò.
« Anche io. » ricambiò l’altro lasciandosi cadere accanto a lui.
Poi nascose il suo volto nel collo di Yuri, stringendolo a sé, e Yuri lo sentì piangere. Singhiozzava come un bambino e il più piccolo si limitò ad abbracciandolo, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene. Eppure sapevano entrambi che era solo una bugia, che nemmeno quella bugia avrebbe potuto mai eliminare il dolore che si portavano dentro, ormai inciso a fuoco nella loro anima.
La notte era ancora lunga e Yuya, che non aveva mai pianto da quando era scappato di casa, si liberò almeno in parte di quel peso che si portava dietro da quasi diciassette anni.