[Hey!Say!Jump] Beast soul

Oct 18, 2012 13:54

Titolo: Beast Soul
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Takaki Yuya x Chinen Yuri ; Yaku Kota
Rating: NC17 (Per i temi trattati)
Avvertenze: Slash, Underage, Violence, AU! ('verse yakuza. vai a * questo* link per ulteriori informazioni)
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Quando se ne era andato, il suo aguzzino si era premurato di lasciargli qualche ricordo addosso da poter medicare, così da non dimenticarsi chi era e quale ruolo rivestiva in quella casa.
Note: Scritta per la think_angst con il prompt “Criminali!AU” e per la 500themes_ita con il prompt “301. Piegato a faccia in giù”
Note 2: Allora, dobbiamo spiegare un secondo un paio di cose. Questa storia è uno spinf off di una storia che vogue91 ha scritto per il bigbangitalia, di cui io poi, per la stessa challenge, ci ho scritto un seguito. In realtà la storia di vogue91 si rifà ad una mia one shot ( questa, per la precisione xD). Tutto questo per dire che questa storia si può leggere tranquillamente leggendo la prima one shot che ho scritto.
Ok. La smetto, lo giuro xD
WordCount: 6155 fiumidiparole

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Yuri era da solo in casa dello yakuza da un paio di giorni. Quando se ne era andato, il suo aguzzino si era premurato di lasciargli qualche ricordo addosso da poter medicare, così da non dimenticarsi chi era e quale ruolo rivestiva in quella casa.
Il ragazzino non gli aveva dato la soddisfazione di vederlo piangere, nemmeno quando si era aggrappato ai fianchi di Yuya per cercare di respirare in ogni modo possibile, mentre l’uomo si spingeva dentro la sua bocca e non aveva pianto nemmeno quando l’altro lo aveva legato al letto e aveva iniziato a picchiarlo o a ferirlo.
Yuya se ne era andato un po’ indisposto, promettendogli che al ritorno lo avrebbe sicuramente fatto piangere, come mai aveva fatto in vita.
Yuri, sentendo quelle parole, aveva aspettato di sentire la porta chiudersi bruscamente dietro di lui prima di lasciarsi accasciare contro il materasso. Era rimasto immobile per qualche ora, il tempo di permettere al proprio corpo di riprendere da quegli ultimi abusi e poi aveva iniziato a lavorare.
Quella mattina, dopo due giorni di pace più totale, Yuri infilò in una enorme busta le lenzuola, sporche di sangue, sudore e sperma. Al più piccolo faceva schifo dormire in quelle lenzuola, ma di solito non osava mai aprire bocca quando c’era Yuya nei dintorni. Preferiva dormire in quel sudiciume, che alzarsi dopo l’ennesimo stupro per cambiare lenzuola.
Afferrò distrattamente le chiavi di casa, uscendo per dirigersi verso la lavanderia. Mentre aspettava il lavaggio e l’asciugatura dei panni, si diresse verso il supermercato più grande. Aveva deciso che avrebbe fatto la spesa al conbini solo in casi di necessità estrema. Da quando fumava, i suoi risparmi erano calati drasticamente e non aveva intenzione chiedere qualcosa a Yuya, il quale era già abbastanza chiaro sul fatto che non gli avrebbe aumentato la paga settimanale che già gli dava.
Tirandosi dietro il carrello che aveva sempre visto alle signore anziane, Yuri entrò dentro al supermercato. Era un paio di isoliti di distanza dal centro di Kabuki-cho, quindi non erano in molto quelli che lo conoscevano, anche se solo di vista e Yuri ringraziò quell’indifferenza con cui commessi e clienti lo stavano trattando.
Non gli piaceva quando rimaneva dentro al quartiere, quando chiunque era a conoscenza della sua storia, di quello che gli accadeva, del perché era stato comprato da uno yakuza sadico e senza cervello e lui odiava quegli sguardi di pietà e di disgusto con il quale lo guardavano.
Yuri rimase fermo davanti al reparto dove si trovavano le bibite, indeciso. Stava con Yuya solo da pochi mesi, a suo giudizio i mesi più terribili della sua breve vita, ma aveva già avuto modo di trovarsi di fronte al carattere incredibilmente contraddittorio dello yakuza.
Ad esempio, quando a casa finivano le scorte d’acqua, secondo Yuya lui era troppo piccolo per portare un paio di confezioni d’acqua da solo, ma poi la sera diventava improvvisamente abbastanza grande perché soddisfacesse tutte le sue più sadiche perversioni.
Yuri scosse le spalle, dirigendosi verso il banco dei surgelati. Come ogni volta che entrava in un conbini o in un supermercato, ciò che gli serviva era nel reparto più in alto e a differenza dei negozio del quartiere non vide nessun commesso o cassiere a cui chiedere aiuto.
Montò quindi su quello che gli sembrava un poggiapiedi che percorreva il perimetro del banco frigo e aprì lo sportello che gli interessava, allungando il braccio e il proprio corpo più che poteva, sentendo le dita sfiorare la busta di plastica senza tuttavia riuscire ad afferrarla.
Aveva appena preso il sacchetto che il poggiapiedi di plastica su cui era appoggiato si ruppe e lui perse l’equilibrio, trascinando dietro di sé cinque o sei buste riposte male nello scaffale.
A quel frastuono il commesso accorse nel giro di pochi secondi, sul volto un’espressione non proprio amichevole.
Yuri non fece nemmeno in tempo ad alzarsi che l’uomo lo afferrò per il maglione, alzandolo in piedi.
« Cosa pensavi di fare? » esclamò quello a voce alta, attirando su di sé anche l’attenzione degli altri clienti.
« Io… non arrivavo agli sportelli e ho pensato… » balbettò Yuri, atterrito, prima di essere interrotto.
« Siete tutti dei vandali, non c’è nessuna scusa. » esclamò il commesso, trascinandolo fino alla cassa « Dimmi il numero dei tuoi genitori. Qualcuno dovrà pur pagare il tuo danno, no? »
Yuri iniziò a farsi rosso dall’imbarazzo e rimase a bocca chiusa, fissando il pavimento. Sentiva le voci di alcune signore più anziane parlare di lui e indicarlo, sussurrare che era “quello che viveva con lo yakuza” e le vide scappare via con la coda dell’occhio, quasi scontrandosi all’ingresso con un gruppetto di shatei di Yuya che conosceva abbastanza bene dato che erano sempre a casa dell’uomo che lo aveva comprato.
Distogliere velocemente lo sguardo però, non fu abbastanza per passare inosservato, dato che fu velocemente circondato dai ragazzi, che spintonarono via il commesso.
« Ehi, la puttanella dell’aniki. «
« Senti la sua mancanza? » continuò un altro mettendogli in disordine i capelli.
« Tranquillo, l’aniki torna oggi, non manca molto al suo rientro. »
« Lo so. » sibilò Yuri scostandosi, cercando di allontanarsi di un paio di passi, senza riuscirci.
Uno di loro, quello più grande, lo afferrò per un braccio, riportandolo al centro del cerchio.
« E se ne approfittassimo? Tanto di solito le puttane non parlano. » propose.
Yuri alzò lo sguardo verso di lui, inorridito.
« Sei pazzo? Se Yuya lo viene a sapere siamo morti. » sussurrò uno di loro, guardandosi intorno come se anche i muri potessero sentirli.
« Non accadrà. » lo tranquillizzò l’altro afferrando Yuri per il mento e alzandosi il volto, in modo da guardarlo meglio, toccandogli le labbra « E comunque vada, Yuya crederà a noi, che siamo i suoi uomini più fidati. »
Un coro entusiastico si levò nel supermercato e Yuri iniziò a temere seriamente il peggio. Un ragazzo lo afferrò per i capelli, trascinandolo fuori dal negozio e allora il più piccolo iniziò a difendersi, dimenandosi e urlando di lasciarlo stare. Ad un certo punto afferrò il braccio di quello che lo teneva fermo e lo morse con tutta la forza che aveva.
Il ferito urlò, spingendolo via e Yuri barcollò all’indietro, non abbastanza lontano per evitare un violento schiaffo che lo fece ribaltare verso terra. Yuri sentiva di avere gli occhi lucidi e il labbro gli faceva un male tremendo. Strinse i pugni a terra, prendendo profondi respiri. Non aveva dato la soddisfazione a Yuya di sentirlo piangere e implorare e di certo non l’avrebbe data a loro. Ne andava della sua poca dignità rimasta.
Un terzo shatei si avvicinò, iniziando a prenderlo a calci nello stomaco così forte che il ragazzo iniziò a sputare sangue, mentre le lacrime gli rigavano il viso. Poco importava quando lo avesse fatto arrabbiare, Yuya non lo aveva mai preso a calci.
Stava per rialzarsi quando si sentì di nuovo afferrare per il maglione e fu sbattuto a terra in un vicolo poco lontano dal supermercato e Yuri sentì sopra di sé il corpo di uno di loro, ma era troppo stordito per fare o pensare qualsiasi cosa per scappare.
Si mosse in maniera scomposta, serrando gli occhi appena sentì la pioggia cadere e si maledisse per essere stato così incurante. Yuya glielo aveva sempre detto in quei mesi di non avventarsi per Kabuki-cho da solo.
E adesso che non gli aveva dato ascolto, ne stava pagando amaramente le conseguenze. Le voci degli shatei gli penetravano nelle orecchie, quasi assordandolo, mentre Yuri sentiva le loro mani toccarlo dappertutto. Uno di loro gli tolse la maglietta e di nuovo provò a ribellarsi con tutte le energie che riusciva a trovare, ma invano.
Un altro si era già spogliato e gli aveva tolto anche i pantaloni, iniziando a toccarlo dove fino a quel momento lo aveva toccato solo Yuya e si sentì ancora più disgustoso del solito. Alzò lentamente una gamba, prima di piantarla con tutta la forza nello stomaco dell’uomo sopra di lui.
Ansimò, riprendendo fiato, giusto il tempo per sentire la testa che gli veniva sbattuta contro il cemento.
Si accasciò a terra, il respiro così pesante e lento che tentare di stabilizzarlo era inutile e rimase a faccia in giù, mentre tutto si muoveva troppo velocemente perché potesse accadere realmente.
Di nuovo quelle mani lo toccarono e si sentì togliere anche l’ultimo indumento che indossava, ma nessuno fece in tempo a fare nulla che nell’aria si udì il rumore di un colpo di pistola.
Gli shatei voltarono immediatamente la testa verso l’imbocco del viale e Yuri udì qualcuno di loro trattenere il respiro. Aprì a fatica gli occhi, tirandosi debolmente sulle braccia, voltandosi anche lui.
Spalancò gli occhi, terrorizzato, quando riconobbe la sagoma di Yuya. Arretrò, spingendosi contro un cassonetto, coprendosi con le proprie braccia, cercando di proteggersi come se fosse lui il colpevole, ma Yuya lo stava ignorando.
« Aniki, non è come sembra. » iniziò uno.
« Già, la tua puttanella ci ha supplicato. » ansimò un altro.
« Ci ha detto che tu non eri abbastanza, quindi… » l’uomo che aveva proposto lo stupro di gruppo lasciò la frase a metà, sicuro che avrebbe punto Yuya nell’orgoglio.
Yuri li guardava, incredulo, convinto alla fine che quella mera strategia avrebbe funzionato davvero. Yuya gli avrebbe creduto e tutti i suoi sforzi per sopravvivere alla convivenza forzata con lo yakuza sarebbero stati vani.
Nonostante i suoi pensieri, Yuri udì un altro colpo di pistola, coperto lievemente dal frastuono della pioggia che nel tempo si era fatta via via sempre più intensa. Lo shatei più vicino a lui urlò, accasciandosi a terra e portandosi una mano sulla coscia, tentando di fermare l’uscita del sangue.
« Aniki, ascoltaci. » urlò uno di loro, ma inutilmente.
Yuya era come una bestia inferocita, che non bisogno di esprimersi quando si è fissata su una preda. Il ragazzino si appiattì ancora di più contro il muro, senza nemmeno avere il coraggio di muovere una mano per scostarsi i capelli fradici da davanti agli occhi. Fissò ammutolito la scena che si svolgeva sotto i suoi occhi, cercando di isolare dal suo cervello le urla di paura e di dolore degli shatei.
Avrebbe voluto, ma non riusciva a provare pena per loro, non più di quanta ne provava per Yuya.
I suoi vestiti erano bagnati dall’acqua e sporcati dal sangue, così come la lama del coltello che aveva usato per tagliare qualche mano e così come la pistola, che aveva sparato un paio di colpi da distanza ravvicinata.
Ma fu quando Yuya posò gli occhi su di lui che ebbe davvero paura, così come non ne aveva mai avuta in vita sua. Si strinse ancora di più le gambe al petto, alzando la testa quando lo yakuza fu in piedi davanti a lui, strizzando lievemente gli occhi a causa della pioggia.
« Io non volevo. Devi credermi. » mormorò con la voce che tremava per il freddo e per la paura.
Lo yakuza rimase in silenzio, poi gli tese la mano.
« Lo so bene Yuri. » disse solo in attesa.
Yuri annuì, afferrando la grande mano incredibilmente calda di Yuya, stringendola per alzarsi in piedi, stringendo a sé i vestiti che non aveva avuto il coraggio di indossare.
« Sei stato nudo tutto il tempo sotto la pioggia? » domandò il più grande, con voce acuta.
« Io… penso di sì. » balbettò confuso Yuri « Io… avevo troppa paura anche solo per muovermi. » ammise osservando la scena intorno a lui « Sono tutti morti? »
« Solo un paio. Ma è stata colpa loro che si sono ribellati. » scosse le spalle, con indifferenza.
« Peccato. Come te, anche loro meriterebbero la morte. » sussurrò Yuri lapidario.
« Vuoi che muoiano? » chiese solo Yuya.
Yuri si morse un labbro, indeciso, poi scosse la testa e al più piccolo non sfuggì il sorrisetto divertito sulle labbra di Yuya.
« Comunque. » sospirò lo yakuza « Kami, sei veramente idiota. Potevi rivestirti. » sbuffò di nuovo, togliendosi la giacca e posandola sulle spalle di Yuri. « Andiamo la macchina è qua davanti. »
Yuri annuì e, stando attento a dove metteva i piedi, si lasciò guidare dal più grande verso casa.

**

Lui e Yuya non parlarono. Né durante il tragitto in macchina, né durante il bagno bollente che fecero insieme nell’enorme vasca idromassaggio dello yakuza, né tanto meno quando si trovavano in stanza per mettersi dei vestiti asciutti o mentre Yuya gli medicava le numerose escoriazioni.
Yuri voleva rimanere da solo il più possibile, perciò si sedette al tavolo della cucina, stringendo fra le dita una tazza di tè calda, sospirando fra sé e sé.
Yuya lo guardò dal divano e si accese una sigaretta, prima di sedersi davanti a lui.
« Cosa ci facevi così lontano? » domandò « Lo sai che non devi allontanarti dal quartiere, te l’ho detto mille volte. »
Il più piccolo strinse con più forza le mani intorno alla tazza, mordendosi un labbro.
« Era solo un isolato, non pensavo che… »
« Che cosa sarebbe successo se non fossi arrivato io? » urlò Yuya all’improvviso, sbattendo le mani sul tavolo, sporgendosi verso di lui.
Yuri sussultò, serrando gli occhi, prima di riaprirli e di fissarlo negli occhi.
« Niente di diverso da quello che mi fai te di solito, Yuya. » sibilò freddamente.
Lo yakuza lo afferrò per il mento, ignorando il suo gemito di dolore.
« E allora non dovevi ribellarti e lasciare che ti stuprassero senza fare tutte quelle storie. »
« La prossima volta che i tuoi cani da guardia mi faranno la posta mentre non ci sei, me lo ricorderò, grazie. » sputò Yuri divincolandosi dalla sua stretta, indietreggiando, pentendosi quasi immediatamente di avergli risposto a tono.
Non era al massimo della forma fisica e Yuya non era famoso per la sua generosità o comprensione. Infatti il più grande fece velocemente il giro del tavolo, voltandolo e spingendolo bruscamente contro il tavolo, divaricandogli le gambe.
Le sue lunghe dita si strinsero intorno al collo di Yuri, ma lo yakuza si fermò quando lo sentì ansimare pesantemente per il dolore e lo vide piangere silenziosamente. Non aveva senso tutto quello, Yuya lo sapeva bene. Salvarlo da uno stupro per poi rendergli pan per focaccia quasi subito dopo, no, non aveva senso.
E poi aveva la fronte che ancora sanguinava, le mani graffiate, forse una rotta e svariati lividi su tutto il corpo, insieme ad un occhio che iniziava minacciosamente a tendere verso il viola e il labbro spaccato.
Il più piccolo piangeva a faccia, a causa del dolore incontrollabile che lo aveva travolto quando Yuya lo aveva sbattuto contro il tavolo. Stringeva i bordi del tavolo fino a farsi venire le nocche bianche e Yuya era sicuro che se avesse continuato in quel modo si sarebbe felice i palmi.
Non era abituato a vedere Yuri piangere. Per niente. Era una visione che una parte di lui ambiva, che la necessitava per poter dormire meglio la notte, ma c’era un altro lato, quello che teneva nascosto, che non avrebbe voluto fargli del male, ma l’animale che ruggiva nel suo petto pretendeva sangue e il sangue che chiedeva era quello di Yuri.
Non era colpa sua, non direttamente, almeno. Lui ne aveva bisogno per sopravvivere e il più piccolo si era solo trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con una famiglia sbagliato.
Di certo non era colpa di Yuya. No. Per niente, continuò a dirsi, come se dovesse mettere a tacere chissà quale coscienza.
Si allontanò, osservandolo scivolare a terra, tenendosi una mano su una costola, piegato su sé stesso.
« Direi che è ora di andare a letto. » annunciò dandogli le spalle e allontanandosi dalla cucina.
Yuri si rialzò in piedi, starnutendo, prima di tornare seduto al tavolo e bere sempre il silenzio la sua tazza di tè.
Quando raggiunse il letto, sentì Yuya già russare e sospirò di sollievo. Si tolse le ciabatte, scoprendo la propria parte di lenzuola, stendendosi faticosamente e coprendosi con altrettanta fatica. Diede le spalle allo yakuza, socchiudendo gli occhi, ma già sapeva che cercare di dormire era impossibile.
Sentiva ancora le loro voci nell’orecchie e le loro mani addosso a lui. Si faceva schifo e nemmeno passare violentemente la spugna sulla pelle avrebbe eliminato quella sensazione di sporco che aleggiava addosso a lui. Gli era capitato solo una volta di sentirsi in quella maniera, cioè il giorno in cui Yuya lo aveva stuprato per la prima volta, ripetutamente.
Poi si era abituato a quella violenza, a quelle mani, a quella voce che gli gemeva nell’orecchio e che lo umiliava e derideva.
Ma quelle mani erano diverse da quelle di Yuya. Lo yakuza voleva godere, quello di ferirlo era solo un mezzo per raggiungere il suo agognato orgasmo, tanto da comprarsi uno schiavetto da tenere sempre con sé, un po’ come un cane da compagnia. Quegli shatei invece lo avevano puntato per il solo gusto di fargli del male, di dimostrargli che Yuya non era tutta la protezione di cui in realtà aveva bisogno.
Purtroppo avevano fatto male i conti e adesso alcuni erano morti e altri in condizioni critiche. Non che gli importasse poi così tanto, comunque.
L’importante era che in quel momento si trovasse più o meno al sicuro, nel letto, al caldo, con la consapevolezza di essere riuscito a scappare dall’inferno che non avrebbe sopportato.
« Non devi andare in giro da solo lontano dal quartiere. » esordì all’improvviso Yuya, facendolo sussultare.
« Mi dispiace. » mormorò Yuri, rimanendo immobile « Pensavo tu stessi dormendo. » aggiunse piano.
« Cosa c’eri andato a fare fino a là? » domandò lo yakuza ignorando la sua domanda.
« C’è la lavanderia e il supermercato. Io… » si morse un labbro « Volevo risparmiare un po’. »
« Non ci sono abbastanza soldi per le spese settimanali? » domandò incredulo Yuya e il più piccolo lo sentì voltarsi sotto le coperte, forse per fissarlo in faccia, ma Yuri si vergognava troppo per girarsi a sua volta.
« Sì, ci sono ma… » si morse il labbro con più forza, ignorando il dolore « Non volevo chiederti i soldi per le sigarette. » ammise in un soffio.
« Sigarette? » ripeté lo yakuza senza comprendere « Cioè… quelle che fumi tu? » chiese poi.
Yuri annuì, lentamente.
« E perché non me li hai chiesti? » esclamò allibito lo yakuza, mente il tono della sua voce si faceva di parola in parola sempre più alto.
« Boh… pensavo che non me li avresti dati. Io… non conto così tanto per nessuno e quelli sono soldi tuoi. »
Lo sentì ricadere pesantemente sul materasso.
« Kami, sei veramente imbecille quando ti ci impegni Yuri. Ho abbastanza soldi per farti comprare tutto ciò che desideri, sappilo. »
« Quindi non devo più andare laggiù per la lavanderia? » mormorò « O per fare la spesa? »
« Ovvio che no. Non voglio che tu esca dal quartiere, mi hai capito? »
Yuri annuì, più rilassato. La mano di Yuya gli accarezzò goffamente la testa, ma per il più piccolo era il più bel gesto di consolazione che avesse mai ricevuto.
Chiuse gli occhi, sentendosi finalmente sereno, come se quel pomeriggio non fosse accaduto niente di più brutto dell’acquazzone.

**

Yuya si sentiva un po’ stranito. Quella mattina era andato a prenderlo Kota, perché non aveva per niente voglia di mettersi a guidare sotto la pioggia. Fumava, il finestrino leggermente aperto, un piede conto il cruscotto. Il padrone della macchina avrebbe voluto dirgli qualcosa, qualunque cosa, ma ormai ci aveva perso le speranze.
E poi l’aniki sembrava abbastanza di cattivo umore e dato che dovevano lavorare tutto il giorno in ufficio, non aveva alcuna voglia di farlo innervosire ancora di più.
Arrivati davanti al palazzo, distante a dire il vero meno di un chilometro da casa di Yuya, i due yakuza entrarono dentro al loro ufficio, nei piani più alti e trovarono con una certa sorpresa, almeno per lo shatei di Yuya, il capofamiglia.
Yuya schioccò la lingua, distogliendo lo sguardo. Avrebbe dovuto immaginare che non sarebbe andata tutta liscia dopo il piccolo “problema” del pomeriggio precedente.
« Yuya, hai sempre fatto come volevi da quando sei entrato nella famiglia. » iniziò l’uomo, ignorando lo sguardo dubbioso del ragazzo « Ieri che cosa pensavi, esattamente? »
« Cosa è successo? » domandò titubante Kota, osservando Yuya.
« Niente di che. » borbottò con indifferenza l’aniki « Ho fatto fuori due shatei e mandati altri tre all’ospedale. Così ora è ben chiaro il concetto che la roba di Takaki Yuya non si tocca. » ghignò malignamente.
« Hanno… fatto qualcosa a Yuri? » domandò con voce strozzata lo yakuza.
« No, sono intervenuto prima che lo facessero. » poi si voltò di nuovo verso il capofamiglia tornando improvvisamente serio « Comunque, il problema è loro. Qualcuno si è mai lamentato dei miei modi fino adesso? » domandò poi e l’unica risposta che ricevette fu il silenzio.
Il capofamiglia sospirò.
« Fai ben attenzione a come tratti i tuoi oggetti Yuya. A volte sanno essere imprevedibili. » concluse prima di lasciare la stanza, seguito dalle sue guardie del corpo.
Yuya schioccò di nuovo la lingua, irritato, sedendosi alla sua scrivania.
« Lui e le sue perle di saggezza che si trovano nei cereali. » ringhiò a denti stretti accendendo il computer e ignorando lo sguardo perplesso di Kota « Cosa guardi? Inizia a lavorare, non vieni pagato per guardarmi. »
L’altro sospirò e, preannunciando una giornata molto difficile, rimase in silenzio e si mise a lavoro.

**

All’ora di pranzo Kota si stiracchiò, afferrando il pacchetto di sigaretta accanto al computer e stropicciandosi gli occhi. Si stirò per qualche secondo, per poi alzarsi in piedi e lasciare la stanza.
Per tutta la mattina Yuya non aveva aperto bocca, cosa abbastanza insolita per lui dato che era praticamente insofferente a qualunque lavoro d’ufficio, sia che questo andasse svolto su carta che al computer.
Ma ancora non aveva chiesto nulla. Da un lato non sentirlo lamentarsi era abbastanza produttivo. Almeno aveva lavorato.
Scese in strada, entrando nel ristorante di ramen dove di solito pranzava. Aveva lo stomaco che gli borbottava già da un po’, ma aveva cercato di resistere il più possibile.
Si sedette al bancone, ordinando il solito piatto e poi, all’improvviso, si trovò accanto Yuya, sempre in silenzio.
Ad un certo punto però, Kota fu irritato da quel suo modo di fare e ignorando stoicamente il cibo davanti a lui si voltò verso l’aniki.
« Allora, cos’è successo ieri? » domandò « Il tuo intuito e istinto aveva ragione in fondo. » aggiunse ricordandosi come il giorno prima, subito dopo pranzo, erano dovuto tornare di corsa a Tokyo, a causa di un “presentimento” del più grande.
Yuya scosse le spalle.
« Semplicemente ho visto degli shatei che stavano per violentare Yuri. » rispose Yuya a voce bassa, non avendo la stessa premura dell’amico e iniziando a mangiare « Ho dovuto fare qualcosa, non credi? » domandò poi concentrandosi sul ramen.
« Penso di sì. » rispose Kota mantenendosi sul vago, evitando accuratamente di dire che non erano stati poi tanto diversi da lui.
« Non comprendo che cosa ci sia di sbagliato. Yuri è mio. Solo io posso toccarlo. Non è così Kota? »
« …lo hai comprato per questo, no? » commentò sempre disinteressato.
« Sì. Infatti. » si accalorò lo yakuza « C’è qualcosa di sbagliato in questo? »
« Ti direi che il commercio di bambini e dei loro organi è illegale, ma detto da uno yakuza risulterebbe ipocrita, no? » si limitò a dire Kota, scuotendo le spalle.
Yuya lo fissò per qualche secondo, indeciso su che cosa rispondergli, prima di optare per un lungo silenzio.
« Senti Yuya. » iniziò Kota spazientito « Io non ho idea di quello che ti passa per il cervello e sinceramente non lo voglio nemmeno sapere. Sei tu che hai comprato Yuya, quindi solo tu sai se è giusto o meno incazzarti perché un gruppo di idioti ha cercato di toccare la tua preziosa merce. Lo sai come la penso, è inutile che provi a farmi cambiare idea. »
Yuya arricciò le labbra, seccato, tornando a concentrarsi sulla ciotola di ramen, prima di sbattere le bacchette sul tavolo.
« Hai intenzione di tornare a lavoro nel pomeriggio? » urlò Kota alle spalle dello yakuza.
« Fottiti! » esclamò l’altro, rosso per il nervosismo, lasciando furiosamente il locale.
Lo shatei sospirò, osservando la ciotola di cibo ormai fredda. Appoggiò la testa sul bancone, lasciando poi le banconote sul tavolo.
A forza di parlare di quelle cose, gli era passata la fame.

**

Yuya tornò a casa, troppo irritato con quell’imbecille di uno shatei per rientrare a lavoro come avrebbe dovuto. Per punizione lo avrebbe finito Kota tutto il lavoro di quel giorno, così avrebbe imparato a tenere la bocca chiusa.
Si accese una sigaretta, ignorando il fatto di essere lungo le scale del corridoio e afferrò le chiavi di casa. Entrò borbottando un veloce saluto, togliendosi le scarpe e poi si immobilizzò nell’ingresso.
C’era qualcosa che non tornava, se ne era reso conto subito. Di solito Yuri lavava e puliva la casa durante la mattina e ormai si era abituato a sentire quell’odore di pulito che lo accoglieva tutti i pomeriggi. Al suo rientro, quasi sempre alle cinque del pomeriggio, salvo riunioni, problemi improvvisi o sparatorie fra spacciatori, trovava sempre Yuri che mangiava qualcosa per merenda o che stava lavando i piatti.
Era una routine a cui, non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ci aveva fatto velocemente l’abitudine.
In quel momento, per quanto fosse l’ora di pranzo e forse Yuri era uscito a mangiare, non sentiva nulla. Né il profumo di chi ha pulito, né la televisione accesa, né tanto meno la presenza del ragazzo.
Fece un paio di passi all’interno della casa, dirigendosi quasi con circospezione in cucina, dove trovò tutto esattamente come aveva lasciato quella mattina. Le tazze e il cibo erano ancora sul tavolo, insieme alla brocca di latte freddo che beveva Yuri ogni mattina.
Nel lavello c’erano ancora le stoviglie del giorno prima e alzò un sopracciglio, irritato. Odiava il disordine, lo aveva sempre detestato. Vedere qualcosa fuori posto gli ricordava quando suo padre lo picchiava e lo molestava, accusandolo di essere un figlio ingrato e di non fare mai nulla per loro, quei genitori amorevoli che avevano dato di tutto per lui.
Yuya schioccò la lingua, irritato. Ormai ci era abituato. Qualunque cosa facesse, c’era sempre un qualcosa che lo rimandava con la testa a quei tredici anni passati con la famiglia, con un padre alcolista e pedofilo e una madre che aveva saggiamente deciso di darsela a gambe quando aveva sei anni.
Entrò nel salotto, ma anche là tutto sembrava come la mattina. Infine si decise ad entrare in camera da letto e sentì l’irritazione montargli fino al cervello.
In barba ai suoi doveri di domestica se era rimasto tutto il giorno a dormire, non solo prendendo il piumino singolo che usava Yuya, in più aveva avuto il coraggio di tirare fuori altre due coperte invernali dall’armadio, accendendo il riscaldamento della stanza fino ai limiti sopportabili da un essere umano.
Montò sul letto, senza nemmeno togliersi le ciabatte e scostò con un gesto irritati gli strati e strati di coperte, scoprendo il ragazzino. Yuri non sembrava essersene nemmeno accorto della sua presenza e continuava a stare piegato su un fianco con le braccia che penzolavano oltre la linea del materasso.
Yuya alzò un sopracciglio. Aveva compreso fin da subito che tipo di tempra aveva Yuri, un tipetto che non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di pianti o suppliche e Yuya in alcuni giorni non desiderava altro che portarlo al livello di massima sopportazione, perché così, se Yuri si fosse spezzato, avrebbe riscattato un po’ sé stesso.
Ma di certo, di tutto si poteva dire di quel ragazzino, ma non che fosse scemo. Yuri sapeva bene che farlo irritare più del dovuto non era mai piacevole per lui, e poi ormai lo yakuza aveva ben constatato quanto leggero fosse il sonno del ragazzino, forse ancora abituato ai rumori molesti e poco rassicuranti di San’ya. Dalla sua Yuya aveva che il suo appartamento era ad un piano abbastanza elevato del grattacielo che solo i rumori più forti arrivavano a disturbarli.
Ma questa parvenza di serenità non aveva ancora convinto il ragazzino che continuava inconsciamente a dormire con un occhio aperto e uno chiuso.
Quindi, il non svegliarsi di Yuri era sospetto. Lo fissò, un po’ più da vicino, e udì il respiro più pesante del normale, il sudore lungo la tempia e iniziò lievemente a preoccuparsi.
Che Yuri stesse morendo e lui non se ne fosse accorto?
Si lasciò cadere sulle ginocchia, appoggiandosi forse poco gentilmente alle gambe di Yuri che, indispettito, si voltò nel sonno, rigirandosi sulla schiena, come un corpo abbandonato a sé stesso, le braccia piegate all’indietro contro il materasso.
Yuya inghiottì rumorosamente. Si era bloccato di fronte a quella visione, rimanendo sopra il bambino, nonostante le coperte. Yuri aveva la bocca semi aperta e il viso ancora infantile, con quei tratti un po’ effeminati che avevano portato la sua quota di mercato, fra i clienti abituali di Yuya, a livelli quasi impronunciabili se si considerava che molti di quei ricchi e facoltosi clienti si divertivano a cambiare schiavo almeno tre o quattro volte all’anno.
Yuya non aveva mai fatto domande sulla fine di chi vendeva, né nel suo lavoro era richiesta tale curiosità. Lui era là per vendere un corpo, quello che il compratore ci faceva non era affar suo.
Lo yakuza aveva visto Yuri due giorni dopo che era stato portato al capannone. Kota lo aveva avvisato svogliatamente di un paio di arrivi, mormorando a denti stretti e contro voglia che uno di loro probabilmente avrebbe fatto guadagnare parecchio la famiglia. Era sano, in buona salute e con quell’aspetto da bambino effeminato che piaceva tanto ai loro clienti.
Yuya aveva riso, lo ricordava bene. Aveva riso dicendo che quelle erano solo fandonie e che l’importante era che fossero venduti.
Poi lo aveva visto. Quello sguardo arrogante e sprezzante, quello di chi è convinto di non avere paura di nulla, che il peggio era già passato. Quei lineamenti sottili, quel corpicino così piccolo che gli faceva venire solo voglia di passargli le mani e la lingua addosso.
Aveva provato a non farci caso ogni volta che andava al capannone, ma era stato più forte di lui. Non avrebbe mai ammesso il reale costo di Yuri, ma di certo gli aveva alleggerito il conto in banca.
E in quel momento, nonostante tutti i problemi che aveva riscontrato nel vivere con un’altra persona, si disse che li era valsi tutti quei milioni di yen che aveva sborsato.
Allungò una mano, sfiorando il viso e toccandogli quella pelle morbida di cui non sapeva fare a meno. La sua mano era talmente grande che quasi gli prendeva l’intero petto per quanto Yuri era piccolo.
La pelle sui fianchi era ancora più morbida e Yuya si azzardò a stringerlo con forza in vita, piegandosi per annusare l’odore della sua pelle, così incredibilmente infantile, che non poteva fare a meno di eccitarsi terribilmente.
Mordicchiò lentamente la pelle del collo, ignorando il respiro di Yuri che, ancora addormentato si faceva ancora più pesante. Leccò la sua pelle, togliendo del tutto le coperte che lo separavano dal premere il proprio corpo contro quello di Yuri.
Yuya strusciò la propria erezione conto l’inguine del ragazzino, nascondendo un gemito di piacere contro la pelle del petto del ragazzo.
Ad un certo punto sfiorò con la propria fronte quella di Yuri e si allontanò di scatto, prima di poggiarci malamente la mano. Yuya schioccò la lingua. Non era mai stato bravo a stabilire la temperatura corporea tramite le fronti o le mani, ma di una cosa era certo. Yuri aveva la febbre e anche abbastanza alta.
Scivolò al suo fianco, coprendolo fino alla vita e poi lo scosse, bruscamente. L’altro aprì debolmente gli occhi, fissandolo con un sorriso ebete.
« Sei tornato. » mormorò piano.
« Ovvio, dove avrei dovuto essere, spiegami. »
Yuri scosse le spalle, non che in realtà gli importasse molto.
« Non mi sento molto bene Yuya. » ansimò ancora, accasciandosi contro lo yakuza. Doveva sicuramente era un delirio datogli dalla febbre, pensò Yuya mentre osservava il più piccolo accoccolato contro il suo petto, in mezzo alle sue gambe, nemmeno fosse un gatto da compagnia.
« Sei caldo Yuya. » sussurrò poi il ragazzino, tirandosi una coperta fin sulle spalle.
« Mh. » si limitò a dire, cercando di ignorare l’erezione che continuava a premergli in mezzo alle gambe, mentre una parte di sé cercava di urlargli che non gliene doveva fregare nulla della febbre di Yuri e scoparselo seduta stante.
Ma Yuya mise a tacere quella parte del suo corpo e, a disagio da quel contatto inaspettatamente delicato, si sistemò molto contro il muro, coprendo meglio Yuri.
Poi afferrò il proprio telefono e, sicuro che sarebbe stata una lunga attesa, iniziò a lavorare in quel modo.

**

Il giorno dopo Yuri si svegliò che si sentiva più o meno meravigliosamente. Aveva dei vaghi ricordi dello yakuza che ad un certo punto lo aveva trascinato in salotto e gli aveva fatto bere del brodo, nemmeno troppo buono in verità, e che gli aveva dato delle medicine per sentirsi meno.
In quel momento, dopo aver dormito per più di ventiquattro ore, si sentiva un po’ meglio.
Si alzò dal letto e non vedendo Yuya accanto a lui nemmeno si preoccupò, anzi, forse era meglio così. Mentre delirava e sentiva brividi di freddo lungo tutto il corpo, si ricordava vagamente di essersi addormentato contro di lui e se all’inizio temeva di essere scacciato via, Yuya lo aveva stupito, stringendolo a sé e cercando di fargli caldo il più possibile.
Gli aveva fatto piacere in un certo senso. Odiava Yuya con tutto sé stesso per quello che gli faceva, ma mentre era malato aveva mostrato una sensibilità che non pensava potesse possedere.
Addormentarsi contro di lui, stretto fra le sue braccia, gli aveva fatto pesare molto di meno quella notte di malattia.
Vide lo yakuza addormentato sul divano, forse perché ad un certo punto della notte aveva trovato soffocanti le quattro coperte che c’erano sul letto e il riscaldamento al massimo delle sue potenzialità.
Un po’ traballante, ancora stordito dal sonno e dalla febbre che non era ancora passata del tutto, iniziò a preparare la colazione. Appena entrato nella stanza però, i suoi occhi notarono immediatamente la mancanza del forno a microonde, buttato poco gentilmente in un angolo, vicino al frigorifero.
Yuri alzò un sopracciglio, ma avrebbe chiesto più tardi le spiegazioni. Preparò il caffè, riscaldò, a questo punto nel forno, la torta che aveva comprato qualche giorno prima per la colazione così pretenziosa del più grande e poggiò tutto sul tavolino in vetro in salotto.
Scosse leggermente lo yakuza per una spalla. Yuya non dormiva mai troppo profondamente, come lui del resto, e svegliarlo fu abbastanza semplice. Lo vide sbadigliare e stiracchiarsi, scalciando via il lenzuolo che aveva usato per dormire.
« Mh. Ho fame. » mugugnò solo, osservandolo con gli occhi ancora semichiusi.
« Ho già preparato la colazione. » Yuri sorrise, buttandosi sul divano accanto a lui « C’è il caffè e la torta. »
« Mh. Tu? » domandò ancora a disagio, mentre si ingozzava di torta inzuppata nella tazza di caffè.
« Non ho molta fame. » ammise « Sono… ancora pieno del brodo di ieri sera. » si limitò a dire, ricordandosi che in quel brodo, oltre ad esserci della soba, c’era ancora un uovo, della verdura e un po’ di carne e Yuya lo guardava in maniera così piena di aspettativa che aveva finito per finire tutto il piatto, nonostante al primo pezzo di uovo stesse quasi per sentirsi male.
« A proposito Yuya. » riprese poi, senza dargli modo di fargli altri domande « Che cosa è successo al forno a microonde? » domandò.
« Uhm… beh, è difficile da spiegare. » iniziò il più grande, continuando a mangiare e a bere « Stavo facendo il brodo, come lo fai te. Ho messo l’acqua sul fuoco, con il dado e il sale. Però l’acqua non bolliva. Quindi l’ho messo in una tazza e l’ho infilata nel microonde, mentre facendo le uova e la carne. »
« Mh. » annuì Yuri, rubacchiandogli dal piatto un pezzo di torta.
« Solo che poi l’olio della pentola è schizzato ovunque e stava per andare a fuoco il rotolo di carta assorbente. Quindi ho gettato dell’acqua sul fuoco, rischiando di ustionarmi. Nel frattempo mi ero dimenticato del forno a microonde. Devo aver messo dentro qualcosa che non andava bene perché ad un certo punto ho sentito uno scoppio terribile e ho visto che quell’aggeggio infernale fumava. » scosse le spalle « Quindi, boh. Suppongo che ne serva uno nuovo. »
Allibito, Yuri continuò a fissarlo per qualche manciata di secondi in silenzio, prima di scoppiare sonoramente a ridere. Rischiò quasi di strozzarsi con il petto di torta, ma non riuscì a smettere di ridere.
Yuya dal canto suo, avvampò dall’imbarazzo. Era la prima volta da che aveva fatto carriera nella famiglia che qualcuno osava ridergli in faccia con tutta quell’avventatezza, ma dall’altro lato era più o meno felice di vederlo ristabilito.
Ripensò alla voglia che aveva avuto il giorno prima di scoparselo così come stava e una parte di lui era felice di non averlo fatto.
Sotto sotto, aveva comprato Yuri per un altro motivo. Non era solo perché necessitava di una domestica per casa, né perché aveva voglia di riscattare il bambino che era stato e che non era stato in grado di difendersi, ma perché fondamentalmente si sentiva solo.
Ed in momenti come quello che era felice di stare con Yuri. Non era più solo in quella grande casa, ma c’era Yuri che gli faceva compagnia, nel bene e nel male.

challenge: 500themes ita, challenge: think angst {au!}, pg: yabu kota, fandom: hey!say!jump, pairing: takaki x chinen

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