Tears
Correvo, correvo e non sentivo i richiami delle infermiere, cercavo la stanza giusta.
Quella sera ero passato da Haight per prendere Julien, parcheggiando vicino al vialetto della casa dei suoi. Mi ero sistemato la maglietta, avevo dato una controllata generale allo specchietto retrovisore ed ero sceso.
Appena chiusa la portiera mi ero accorto che qualcosa non quadrava. La casa era buia, tutte le luci spente, anche quelle del giardino. Ma come?
Non mi ero subito preoccupato: ero arrivato alla porta ed avevo suonato il campanello. Una, due, tre volte.
Avevo tirato fuori il cellulare - forse mi aveva mandato un messaggio e non me n'ero accorto.
Nulla.
Rubrica, Julien, chiama.
Il telefono della persona da lei chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile...
Lui non lo spegneva mai, il telefono. Avevo iniziato a girare attorno alla villetta e sì: era vuota.
Stavo digitando un messaggio di scuse per Kelly - che odiava i ritardi- quando ricevetti una chiamata da Queenya.
«Pronto?»
«Julien.»
Non sento mai la radio in macchina, ascolto sempre i miei CD preferiti. Avevo ascoltato You're Beautiful invece delle notizie.
Non avevo sentito dell'incidente.
«E' al Memorial Hospital.»
Il mondo sembrava essersi fermato.
Stop.
Appoggiai il telefono ancora in chiamata sul tettuccio dell'auto e scivolai con la fronte sul finestrino. Lo sentivo quel dolore, un groppo alla gola ed il petto orrendamente costretto.
Stavo boccheggiando, mi mancava l'aria.
Julien. Incidente. Ospedale.
Tutto era così irreale, così lontano.
Potevo vedere Julien uscire dalla porta, regalarmi un sorriso e salire in macchina.
Incidente.
Ma non era in casa o qui con me.
Ospedale.
la realtà sembrava essersi frantumata in tante schegge affilate.
La mia mente era vuota e pulsava, la voce di Queenya che mi chiamava ancora.
Julien. Incidente. Ospedale.
Non m'importava della velocità folle, dovevo arrivare a Downtown subito. Non mi curai di parcheggiare bene, lasciai la macchina di sbieco, lanciandomi fuori.
Raggiunsi l'accoglienza mentre l'odore sintetico mi faceva pulsare la testa ancor più dolorosamente, mentre quelle pareti troppo bianche volevano soffocarmi, anche se lo stavo già facendo da solo.
«Julien Adams» lo stavo gridando, probabilmente «dov'è?»
«Tu sei?» La segretaria inarcò un sopracciglio, ma elaborai in fretta una risposta - mettendo in pratica il tipico trucchetto di tutti quei film che amavo.
«Mark, il fratello. Mark Adams» mentii mentre la disperazione iniziava a farsi sentire.
Avevo il terrore degli ospedali.
«Posso vedere un...» iniziò lei porgendomi la mano ma la interruppi sbattendo la mano sul bancone.
«E' in macchina. Julien, devo vederlo!» Stavo ancora gridando, sì.
Lei strinse appena le labbra prima di scrivere su un foglietto il numero della stanza e passarmelo.
Ed ora stavo correndo, sfuggendo da quell'aria che voleva inghiottirmi.
Fottiti, paura.
Julien era più importante.
Ero arrivato davanti alla porta scorrevole improvvisamente stanco.
Potevo benissimo crollare nel bel mezzo del corridoio, ma mi rifiutai di farlo.
Strinsi piano la maniglia, la sollevai ed accompagnai lo scorrere della porta mentre tutti i suoni che riuscivo a percepire venivano da dentro di me.
Quando entrai vidi due figure sedute sollevare il capo verso di me: erano i signori Adams.
Non parlai, richiusi la porta e presi una sedia nella semioscurità, portandola vicina al letto.
Non riuscivo a vedere nulla, sedei ed appoggiai una mano sulla coperta, alla ricerca di una qualsiasi parte del suo corpo, e quando riuscii a sentire la sua mano sotto la mia... non so.
Mi sentii molto meglio.
Avrebbe dovuto svegliarsi entro poco tempo: era questione di minuti.
Ero stato svegliato da Tony - mi ero dimenticato che quello era l'ospedale dove faceva da schiavetto tuttofare- che mi aveva permesso di rimanere lì oltre l'orario di visita, tutta la notte.
Mi aveva spiegato anche le condizioni di Julien, semplicemente sotto anestesia.
«Fratture multiple, emorragia non grave» mi aveva detto porgendomi il referto medico. «Insomma, gli è andata di lusso.»
Beh, Anthony vedeva le cose dal suo punto di vista.
Era uscito dandomi una pacca sulla spalla e raccomandandomi di stare buono e riferire in caso di conoscerlo. In quel momento lo avrei stritolato dalla gratitudine.
Avevo iniziato ad accarezzare i capelli di Julien che uscivano dalla benda, passando al viso. Aveva una gamba ingessata e - da quanto avevo letto- alcune costole incrinate.
Feci scivolare la mano sulla guancia e lo sentii sorridere piano.
«Julien» lo chiamai in un sussurro e lui aprì gli occhi, facendomi vedere quelle grandi iridi scure che adoravo.
«Chi sei?» chiese sgranandoli - e, lo ammetto, il mio cuore saltò un battito.
No no no, l'amnesia non era prevista.
«Stai scherzando, vero?» chiesi aggrottando le sopracciglia. Tony mi aveva detto chiaramente che non c'erano stati problemi, complicazioni o roba del genere.
«Ovviamente» soffiò lui chiudendo gli occhi. Stava sorridendo vittorioso, quel crudele imbecille.
Doveva davvero divertirlo raggiungere nuovi livelli di sadismo.
«Ti fa tanto male?» Ero tornato ad accarezzargli la guancia e stavo parlando incredibilmente piano. Quella stanza era opprimente, e quell'aria sintetica bruciava.
«Mm, un po'. Tu hai paura degli ospedali.» Guardò il soffitto, fissandone un punto imprecisato.
«Non importa.» Lui era più importante di uno stupido trauma che mi ero dimenticato.
«Sei venuto per me. Sai, ho fatto tanti sogni, anche se ricordo pochissimo.» Il suo sguardo incontrò il mio. «C'era una persona, la sentivo. Mi parlava, mi toccava il viso, mi baciava il naso.» Mentre raccontava questo non abbassava gli occhi, che rimasero nei miei fino alla fine.
«Ma non eri tu.»
Oh, Julien. Un capitolo un po' sofferto, anche perché ho cercato di renderlo espressivo evitando le smelensaggini. Haight è il "quartiere per bene", la frase del telefono è della Vodafone - lol- e You're Beautiful di James Blunt mi è venuta in mente mentre scrivevo il capitolo, durante una lezione su Caravaggio, il feticista dei piedi. Il ruolo di Anthony mi ha fatto dannare, a livello di documentazione, perché non può essere un tirocinante. Quindi fa lo schiavetto tuttofare data l'età. La fobia degli ospedali si chiama Nonsocomefobia. Un nome ridicolo, ma vi assicuro che è agghiacciante. Più di due minuti nel reparto geriatrico non ci resto. Il prossimo capitolo è già pronto, ha bisogno di un'ultima limatura. Spero vi piacciano i biondi, perchè io li amo dal profondo del cuore - e anche Chris.