{Queer bitch! Capitolo 5

Jun 18, 2011 16:09


TwinkLa mia mano era scivolata via dal suo viso, ma lui non mi aveva fermato.
Mi ero alzato dalla sedia e non aveva detto nulla.
«E chi era?» non capivo. Chi poteva aver sognato? Nessuno, giusto?
«David.»
Crack
«David?» Quello non era uno dei suoi soliti giochetti, respirare faceva male.
Avevo bisogno di una risposta, dovevo sapere chi fosse, volevo lo urlasse, rinfacciandomi qualsiasi cosa, ed invece lo bisbigliò senza abbassare lo sguardo.
«Il mio capo.»
Da quanto, avrei voluto chiedergli. Mi rispose: «Da più di un anno.»
Lo conoscevo da soli cinque mesi.
Uscii dalla stanza con i polmoni costretti da quel bianco assurdo, senza correre. Non so perché ma quando capitano queste cose sono tranquillissimo.
Non voglio pensare, ecco forse perché.
Incontrai Tony all'accoglienza, ma parlare era l'ultima cosa che potevo fare. Gli scoccai un'occhiata che non saprei definire - ma capì e tornò ai suoi moduli mentre io uscivo ed inspiravo profondamente.
L'aria non era fresca, non era pulita, era solo meno soffocante.
Salito in macchina accesi la radio - credo di averlo fatto solo un altro paio di volte nella mia vita- e la sparai al massimo volume, solo per non sentire il silenzio.
Non volevo riflettere e non m'abbandonai ai ricordi, ma con la stessa velocità folle con cui ero arrivato mi diressi in palestra.
Guidare è una delle mie attività preferite per svuotare la mente, ma anche in quel momento conservavo un briciolo di buonsenso: volevo evitare un altro incidente - oddio, magari mi avrebbero assegnato nella sua stessa stanza...
Prima sollevamento pesi, sdraiato, fino a che le braccia non tremarono troppo per stringere la sbarra metallica, poi corsa, anche se avevo i jeans e non mi facevo una doccia dal giorno prima.
Avevo già i capelli appiccicati al viso, ma non me ne fregava niente di sembrare un disadattato, sentivo i muscoli appesantirsi e mi concentravo ancor di più sui numerini sullo schermo del tapisroulant finché non crollai, letteralmente.
Non bere né mangiare nulla dalla sera priva stava sortendo i suoi effetti: ansimavo stringendo la plancia dell'attrezzo, stanco morto e vuoto.
Puff! Tutto quello che provavo sembrava essersi temporaneamente dissolto, almeno fino a quando non arrancai fino alla macchinetta nell'ingresso e non mi presi un Dew, che scolai sulla poltroncina vicina.
Prima di uscire tastai la tasca dei jeans per cercare il cellulare - dovevo puzzare come un animale, immagino- e controllare l'ora quando mi accorsi di non averlo con me.
Realizzai che cazzo, l'avevo lasciato sul tettuccio dell'auto la sera prima. Ed ero partito.
A quel punto tutta la furia che avevo scaricato nel movimento si materializzò di nuovo, prepotente.
Ero incazzato, prima con me stesso, perché ero solo un idiota, non avevo saputo capire, e poi con Julien, soprattutto con lui.
Mi aveva illuso ed usato, fissandomi con quegli occhi impossibili mentre me ne andavo.
David, il suo capo.
Ero davvero una distrazione allora, un qualcuno con cui giocare e basta. Era a lui che pensava quando lo baciavo? Magari da lui si faceva toccare. E io che pensavo... no, non dovevo farlo.
Inspirai, espirai, inspirai, ma ormai avevo già gettato a terra la bottiglietta schiacciata e mi ero alzato.

Il cellulare era ancora nell'erba del vialetto della casa di Julien, e rimasi un po' sorpreso nel ritrovarlo: ci ero andato giusto per controllare, ma in effetti quella era pur sempre la zona perbene di Haight.
Forse lui era già tornato a casa... non lo volevo sapere. Avevo bisogno di una pausa, o probabilmente non sarei riuscito a contenere le mie azioni.
Mi chinai per raccattare il cellulare, lo sbloccai e rimasi di sasso: una sessantina di chiamate e tredici messaggi.
Queenya, Kelly, Sadie, Tony e persino John... lo strinsi con forza, ficcandomelo in tasca. Sì, mi ero commosso, ero emozionalmente sovraccarico.
Tornai alla macchina giusto per trovarmi davanti un biondino mai visto. Lì per lì non gli prestai particolare attenzione, e fu questo probabilmente che lo spinse a rivolgermi la parola.
«Ciao Chris.» Si girò per sorridermi.
Ovviamente lo paragonai a Julien - gli assomigliava pure un po'.
I capelli biondi - naturali- gli arrivavano quasi fino alle spalle, il viso pulito ed un sorriso vagamente strafottente, anche se furono gli occhi a catturare la mia attenzione.
Erano grandi, grigi e sornioni, e scorrevano su di me come per analizzarmi. Beh, non feci lo stesso, limitandomi a chiedergli: «E tu chi sei?»
«Oliver, piacere.» Si appoggiò alla mia auto senza smettere di sorridere e non mi porse la mano come mi sarei aspettato. Tutta quella confidenza m'insospettì - e non mi piaceva che ragazzini qualsiasi s'appoggiassero al mio Chevy.
«E come conosci il mio nome?»
«Julien mi ha detto di darti queste.» Armeggiò un attimo nella tasca per tirare fuori il mazzetto di chiavi che avevo dato a Julien tempo prima, quello che gli permetteva di raggiungermi a casa la sera tardi, quando finiva di lavorare al locale.
Era finita. Era lui a dettare le condizioni, allora. Prendere quelle chiavi - nemmeno dalle sue mani- era dannatamente irreale. Non capivo il perché di tutto quello, così improvviso.
Puff! Di nuovo vuoto, calmissimo. Presi le chiavi dalle mani di Oliver.
«Grazie, immagino.» Dopotutto si era scomodato per quel compito ingrato, per me.
Lui continuava a far vagare gli occhi sul mio viso e mi mise a disagio, diavolo.
«Ho il tuo numero» iniziò ammiccando e feci una faccia parecchio perplessa.
Oh, così Julien si era messo a distribuirlo ai suoi amichetti? Doveva proprio dirmelo?
«Ecco il mio.» Sempre dai jeans tirò fuori un pennarello e mi prese un braccio - e lo lasciai fare. Non avevo voglia di oppormi, non ne avevo nemmeno la forza, credo.
Così mi scrisse il suo numero sul braccio in caratteri cubitali, blu, senza nemmeno chiedermi il permesso. Correva, il piccoletto.
Quando però mi guardò dal basso e il suo sorriso si fece ancora più ampio mi rifiutai di stare al gioco.
Intuii quello che voleva fare quando si alzò sulle punte dei piedi, ma gli tappai la bocca con la mano per impedire quel contatto non richiesto e si ritrovò a baciare il mio palmo - sudato probabilmente, non voglio indagare.
Lui sgranò gli occhi ed arretrò di un passo, confuso.
Non dava l'aria di essere uno tanto abituato ai rifiuti - ed il mio era stato davvero eloquente.
«Ti chiamerò.» Recuperò in fretta il sorriso, se possibile ancora più sicuro di quello di prima, e mentre si allontanò verso la strada salii in macchina per andare via, lontano da lì.

Appena sceso vidi una macchia rosa sfrecciare verso di me e Queenya m'intrappolò in un abbraccio-polipo.
«Come va come stai oddio perché non hai risposto ai messaggi tutto bene?» chiese tutto in un fiato - beh, ha dei polmoni niente male.
«Aveva solo un paio di fratture, nulla di grave.» Sciolsi l'abbraccio e m'incamminai verso la porta di casa.
«Questo lo so, ho chiesto come stai tu» puntualizzò lei con enfasi.
Inspirare.
«Mi ha mollato.»
Espirare.
«Quel brutto stronzo!» inveì subito lei prima di fermarsi con le mani ancora sollevate in aria.
Queenya sapeva sempre cosa fare, a differenza di me: sapeva che Sadie aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno in quelle situazioni, sapeva che io preferivo darmi alla palestra.
Fu per questo che limitò ad un buffetto comprensivo sulla testa prima di bisbigliare
«Quando vorrai parlarne. E comunque, fatti una doccia» terminò annuendo.
Grazie Queenya.

Ero davvero indeciso sul film di quel lunedì sera. Potevo distrarmi con un horror, o con uno d'azione, per un folle istante pensai pure al caro Brent Everett prima di tirare fuori rassegnato un The Tourist visto solo una volta.
Lo infilai nel lettore DVD prima di accomodarmi sul divano vicino a Queenya, lei con un hawaiana, io con una margherita filante.
Dato che non avevo ancora imparato le battute risultava piuttosto interessante, ma proprio mentre Angelina stava per baciare Johnny Depp iniziò a vibrare il cellulare sul tavolo, una chiamata da un numero mai visto.
«Rispondi» mormorò Queenya mentre si chinava in avanti, tutta presa dalla scena, e con un sospiro l'accontentai, alzandomi ed andando in camera.
«Pronto?» chiesi sedendomi sul letto e sentii un ridacchiare sconosciuto.
«Hai risposto!»
Sbattei gli occhi un paio di volte, prima di borbottare: «Mi stavi chiamando.»
«Non credevo l'avresti fatto. Ti ricordi chi sono?»
Beh, sì - anche se avevo cancellato la scritta sul braccio ed ora era ancora rosso, grazie per il pennarello...
«Oliver, no?»
«Wow, sei bravo. Nessuno si ricorda il mio nome al primo colpo, di solito.»
Cos'era quella, adulazione spicciola? Mi ricordo sempre i nomi delle persone. Poi non li so abbinare ai visi, ma è già qualcosa, no?
Rimasi in silenzio aspettando che dicesse qualcosa - dato che era stato lui a chiamarmi, e stava pagando.
«Come va?» chiese dopo una manciata di secondi, e la risposta fu un automatico: «Bene» anche se era ovvio che mi sentissi tutto meno che bene.
«Non è vero.»
Mugugnai qualcosa in risposta.
«Posso aiutarti, sai?» propose con tono accativante, ma sembrava quasi una minaccia.
Chi lo conosceva, perché mai avrei dovuto dargli retta - bella domanda.
Magari poteva dirmi qualcosa in più su questo David, poteva rendermi partecipe finalmente della vera vita di Julien.
Era surreale quella chiamata.
«Notte» mi limitai a dirgli buttando giù. Stavo infierendo e basta.
Mi arrivò subito un messaggio, un “Notte!!” condito da diverse faccine felici.
...avevo guadagnato uno stalker liceale e perso qualcuno che non potevo dire mi amasse, decisamente un bel bilancio.
Oliver ha una genesi un po' strana: all'inizio si chiamava Corey. Poi mi sono accorta che ci sono già troppe Y in giro e mi sono messa alla ricerca di un bel nome. Ho trovato Oliver Twink, una storia breve di Dennis Cooper - che amo dal profondo del mio cuore - e come si chiamava il protagonista? Chris. Così ho deciso di dare al mio piccolo twink biondo il nome Oliver. Oliver Twink è anche il nome di un film porno - o una serie di film, non ho controllato - ma vi consiglio Cooper. Come per lo scorso capitolo ho cercato di non rendere le cose smelense. Chris si sfoga, ma non piange. E non ha intenzione di dare corda al piccoletto - per ora. Brent Everett... Chris ha i suoi bisogni, insomma.
Mi vergogno un po', ma come sempre ho dato una controparte visiva alla storia. Dato che non modello i personaggi su foto particolari e sono incontentabile - vedi il povero My-kee dell'altra, rimasto senza fino alla fine - ho creato una specie di bannerino con un po' di personaggi. Quelli che mancano non erano venuti abbastanza bene per poterli diffondere in giro - e faccio abbastanza schifo a disegnare. Lo potete trovare qui!

pairing: slash, pairing: het, pg: oc, pairing: femslash

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