[Teen Wolf] Io ti salverò 5/7

May 18, 2014 18:19

Beta: Evany Thyla
Masterpost: \o/
Wordcount: 2727 (fdp)
Note: Uh, mi sembrava crudele lasciarvi per due settimane con un capitolo che aveva detto poco e niente, con nemmeno un briciolo d’azione, sang- *coff* e romanticismo, sì.
Quindi… godetevelo \o/ finché potete.

Ps. D'ora in poi la storia dispone di una colonna sonora u-u fino ad ordine contrario questa è l'atmosfera giusta. Vi lascio il video con solo il testo, altrimenti se passa di qui la mia beta e ci clicca su mi muore dallo spavento u-u
Ah, il titolo è una gentile concessione di Paul Jones (tratto poi da I Love Radio Rock, film che se amate il citato genere musicale DOVETE vedere).

Ps. Il riferimento alla Body Art è inteso nel senso ampio del termine correlato alla corrente artistica di inizio anni novanta, se non la conoscete in tutte le sue forme e variabili o se non avete letto “Niente di vero tranne gli occhi” di Falletti dubito che potete capire la battuta. Forse, anche soddisfacendo i prequesiti non la capireste neppure, a volte ne faccio di astruse XD

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5. I've been a bad bad boy

« Sì, sì, adesso funziona! » Scott sobbalzò, l’istinto gli chiese d’avvicinarsi alla jeep dell’amico, ma il penetrante odore che la circondava lo trattenne. « Danny ti adoro, sei la mia salvezza » confessò Stiles, il cellulare fra la spalla e l’orecchio, le mani leste sul portatile. Al suo fianco Allison ridacchiò lasciandosi andare sulla seduta dell’auto, una parte della tensione scivolata via. « sì, lo so, ti devo un enorme favore e… uh, magari te lo spiego più tardi perché il tuo nebulizzatore ha uno strano odore, okay? Cosa?! Assolutamente no! » di un bel rosa si tinsero le sue orecchie e la sua vicina rimpianse di non avere l’udito di Scott: era raro poter assistere a un fenomeno del genere su Stiles. « Come ti vengono in mente certe idee, eh? Oh… uh… davvero? Ripetimi come si chiama? Body art? Okay, quando torno a ca- »
« Stiles! » La brutta faccia di Jackson gli apparve al fianco, la voce alterata dalla mano premuta sul naso. « Piantala di sparare stronzate e datti da fare, non ho tutta la notte. » Indietreggiò non riuscendo più a sopportare il tanfo.
« E io di certo non ho intenzione di dover sopportare oltre il tuo brutto muso. » s’illuminò d’un ampio ghigno nel vederlo arretrare. « Cavolo, funziona davvero! Allison ti ho già detto che sei un genio? Perché sei davvero un genio, fattelo dire, uno di quelli che nasce solo una volta in cent’anni. »
« Sì, me l’hai già detto Stiles » sorrise, riempiendosi dell’orgoglio d’averli aiutati con una buona idea.
Quella mattina, quando Scott le aveva raccontato la storia dietro alla ferita e all’imminente riunione, seppe di volerli sostenere, di ricambiare la dedizione di Stiles alla loro amicizia e per quanto si fosse prodigato nel periodo clandestino della sua relazione, standogli vicino. Forse, si era detta, loro che erano compagni, amici di licantropi ed unici umani in quel gruppo ora finalmente abbastanza simile ad un vero branco, potevano capirsi fino in fondo, condividere l’angoscia di poter fare ben poco con la loro umanità e cercare di dare ciò che potevano per aiutare chi amavano.
Aveva ascoltato attentamente, la mano stretta in quella di Scott, il piano ben congeniato di Stiles e silenziosamente l’aveva soppesato nella mente accorgendosi d’una falla di cui nessuno in quella stanza pareva essersene reso conto. Il ragazzo sarebbe rimasto da solo, nella sua macchina, ma pur sempre solo. Stiles l’incarnazione dell’iperattività. Fermo, seduto e con il solo compito di guardare uno schermo a torturarsi all’idea del fallimento, della perdita di uno di loro e del lupo che pian piano aveva addomesticato, lasciandosi chetare a sua volta. Poche volte aveva assistito agli allenamenti - Derek dubitava ancora del suo cognome e lei comprendeva -, ma forse era proprio per questo che era riuscita a scorgere particolari, piccoli e quasi insignificanti, che ad altri erano sfuggiti, inequivocabili segni d’un affetto, d’una amicizia agli albori.
Quando, alla fine di quello che era sembrato un consiglio di guerra, aveva raggiunto Stiles non si era sorpresa di trovarsi al fianco Lydia. Per quanto il branco fosse formato da ragazzi capaci ed intelligenti, nel perdere l'umanità avevano rinunciato, lentamente, al ricordarsi cosa significasse essere deboli. Fortunatamente - come aveva commentato successivamente Lydia - c’erano loro a fermare le malsane idee di Stiles. Il cosiddetto piano B, il successivo per antonomasia al principale, quello delle emergenze e quello - come insegna Hollywood - che andava a finire sempre male e a cui il protagonista faceva immancabilmente ricorso era un disastro.
« Sono contenta che mi hai dato retta. » Soffiò dalla sua mano un bacio a Scott, guardandolo poi farsi inghiottire dalla riserva. Stinse le mani, fredde e agitate. Il piano era iniziato.
Aveva combattuto non poco per convincere Scott che lì, in quella scatola per le sardine - testuali parole di Jackson - sarebbe stata al sicuro dopo che lei e Stiles - con la mistura preparata dall’acuta mente di Lydia e con l’aconito da lei recuperato, per modo di dire, da casa - avrebbero riverniciato la jeep; quell’adorabile testardo del suo ragazzo si convinse solo quando cocciutamente, nel tentativo di dimostrargli che non era comunque sicuro, svenne spiaccicandosi sul finestrino sbavando sull’adorata bambina di Stiles.
« Anche per avermi lasciata venire con te. » aggiunse, ridacchiando al sono contento anch’io d’averti dato retta dell’altro.
Stiles si protese verso di lei, si guardò dietro per controllare quanto erano lontani i lupi, bisbigliandogli che si sentiva un po’ più tranquillo sapendo che c’era anche lei, solo poteva evitare di dirlo agli altri, gentilmente? Doveva pur mantenere una certa reputazione.
Fece segno di chiudersi le labbra con un zip, ma duro ben poco: scoppiò a ridere riempiendo, assieme a Stiles, l’aere di quel teso pomeriggio.

Una lama sottile e ricurva rimaneva della luna, pochi respiri e l’astro sarebbe scomparso. Erika ne percorse la forma, nervosa, incedendo agilmente nella boscaglia al fianco di Byod. Calò lo sguardo sulla sua figura, massiccia e monumentale, e la sola sicurezza di cui era pregna l’aria attorno a lui la seppe acquietare.
« Andrà tutto bene » gli disse il lupo « è un buon piano. »
« Non ne sei mai stato convinto, perfino adesso non ci credi. » Conficcò le unghie nel legno, scheggiandolo, stizzita. Sarebbero morti, tutti loro, solo per uno stupido capriccio.
« È l’unico piano che abbiamo e anche se non lo reputo infallibile è buono. Infondo si tratta di una strategia di base di caccia che applica in natura un qualsiasi branco di carnivori. »
« Non siamo animali, Boyd. » Ringhiò, mordendosi poi le labbra nel percepire l’odore di Scott a un migliaio di metri da lei. Non voleva che la sentisse.
« No, non lo siamo. Siamo un branco, un branco che sta rischiando di perdere il proprio Alpha perché questi ha deciso di anteporre il bene del branco al suo e il minimo che possiamo fare è evitargli di morire uccidendo innocenti. » Si bloccò, prendendola per un polso. « Calmati. » Mutò la stretta in una carezza, fino a raggiungere le spalle lasciando vagare le iridi negli occhi irrequieti della ragazza fin quando percepì il distendersi delle spalle. « Andiamo. »
Non pensava esattamente tutto quello che le aveva detto per tranquillizzarla, dubitava che un tipo come Derek - per quanto in quei ultimi mesi si fosse dimostrato meno egoista e coglione del solito - avesse messo a rischio la sua vita unicamente per loro. Doveva esserci un motivo più profondo, una preoccupazione o un affetto talmente determinante e essenziale da strapparlo dalla sicurezza del suo potere per ricercarne uno maggiore. Qualsiasi cosa (o chiunque) fosse sarebbe stato, d’ora in avanti, allo stesso tempo il suo punto di forza e la sua debolezza.

« Non fatevi mordere il culo. » Ghignò Jackson accomiatandosi, seguendo le indicazioni di Allison sul cellulare. Il fissare l’apparecchio, seguirne le istruzioni e fiutare umani era il suo compito. Impegno impostagli, ovviamente, mai si sarebbe offerto per una cosa così… umiliante.
Al pensiero di come tutti fossero stati concordi nell’affidargli il degradante ruolo di pedinatore del padre di Argent e dei suoi compari cacciatori, sciorinandogli oltre tutto i perché - dalla sua recente nascita come licantropo alle sue capacità ancora da affilare -, assottigliava la bocca in una linea tesa accarezzando l’idea di mollarli. Ma senza di lui, si era detto, quei idioti non sarebbero sopravvissuti e in fondo gli faceva comodo poterli picchiarli due volte alla settimana per rafforzare la sua strabiliante forza.
Scott e Isaac nel ricambiargli quella sotto specie di saluto gli regalarono la medesima espressione, desiderando entrambi d’avere a portata di mano un ago per sgonfiarlo.
« Certo che ogni volta che apre la bocca è una lagna. » Commentò Isaac, cercando l’odore di Derek nell’aria, primo passo del piano ideato.
« È una rottura anche quando non parla. » si massaggiò il braccio, con l’urgenza di scoprirlo per ficcarci dentro le unghie e placare il fastidioso prurito, ma la voce cheta e autoritaria di Deaton rimbombò nella sua mente con le precise istruzioni di non toccarlo.
« Ti fa male? » si avvicinò poggiandogli gentilmente la mano sul braccio tentato dal prurito. Scott negò, sorridendogli e dicendogli che stava benissimo. L’amico - sì, infondo credeva di poterlo considerare tale - gli era rimasto affianco per tutta la lunga procedura attuata dal veterinario, e Scott si era reso conto di quanto il suo solo odore lo tranquillizzasse, di come l’altro avesse preso in sé tutto il dolore che aveva potuto e dell’attenzione con cui l’aveva aiutato anche quando non sarebbe servito.
« Isaac, io… »
Un ululato s’infranse sulla foresta.
Derek era stato trovato.

Sbatté un ginocchio sul volante, le mani corsero alla tasca da dove proveniva la vibrazione che l’aveva violentemente riportato al presente.
« Hanno trovato Derek. » Fissò il portatile sul grembo di Allison, in salvo dai suoi ampi e frenetici movimenti, dove cinque punti lampeggianti segnavano sulla mappa le posizioni di altrettanti licantropi. Per meglio dire dei loro cellulari. Era certo che quelle ore passate con Danny ad hackerare prima o poi sarebbero diventate utili.
Un altro messaggio raggiunse il cellulare.
« È stata Erika a trovarlo. Okay, allora adesso dobbiamo aiutarli a formare il cordone di sicurezza attorno a Derek. » S’incollò la faccia sullo schermo avvertendo i lupi quando si trovavano troppo vicini gli uni dagli altri e ben preso - e con un poco di meraviglia - vide il realizzarsi del piano: quattro punti rossi si erano allineati formando un quadrato. Entro il quale, come aveva spiegato, Derek non avrebbe mai dovuto mettere piede - zampa - fuori.
Ora dovevano solo catturare l’attenzione dell’Alpha, evitare che sbranasse uno di loro, ideare un qualche modo per riportarlo alla ragione e aspettare il calare dell’eclissi totale.
Si mordicchiò la morbida carne dell’interno della guancia, nervoso. Non aveva la minima idea di come liberare la mente di Derek dalla sinistra influenza della luna.

Una sottile linea vermiglia s’aprì sulla guancia di Scott, un piccolo guaito lasciò la sua bocca per lo schiaffo datogli da quel basso ramo, ma non diminuì l’andatura, il divorare dell’aria e l’allerta dei suoi sensi. Lì, qualche metro dietro alle sue spalle, la carne, le ossa e gli occhi che erano appartenute a Derek lo stavano inseguendo impregnate del tanfo della follia, dominate dall’irrazionalità della luna.
Gli era parso davanti, un incubo di pece e avorio, Isaac ormai lontano a formare il cerchio da cui la belva non doveva uscire e si chiese perché era giunto fino a lui, quando poco prima era vicino ad Erika.
Scattò a lato violentemente, brividi e sensazioni acuiti in quei mesi l’avevano informato che la cieca collera impadronitasi dell’alpha l’aveva reso impulsivo e scoordinato - lui stesso aveva provato cosa la soppressione della ragione compromettesse - e il secco lamento della corteccia dell’albero confermò il racconto dei suoi sensi. Irrigidì un poco le dita ammantate d’artigli, il roco suono di dolore e rabbia che si riprendeva dietro a lui, e scattò su un alto albero ferendogli il corpo e poggiandosi sul suo più lontano braccio.
Un ispiro e ululò.
La tasca gli vibrò insistentemente, non gli serviva controllare per sapere chi lo stava cercando, tese le orecchie e un acuto suono, una lama nella tesa e delicata membrana del suo timpano, riempì l’inscurita veste del cielo.
Ai piedi di colui che lo ospitava, il ringhiare della bestia s’attutì.
Dilatò le pupille acuendone le capacità, pregando qualsiasi cosa ci fosse al di sopra della loro volontà che quella parte essenziale del piano di Stiles funzionasse.
Un altro fischio, lungo, spezzò la tesa quiete.
La nera pazzia scattò diretta a divorare ciò che aveva leso le sue orecchie.
Imprigionò una manciata di sentimenti, ormoni e sudore assieme all’aria nel naso, separò la follia di Derek, la sua personale adrenalina, tolse la lieve traccia del profumo di Allison sulla sua camicia, e trovò il dolce odore di Isaac a mezzo miglio da lui, esattamente da dove era provenuto il fischio.
Catturò il cellulare, ormai muto, dalla tasca richiamando Stiles, le dita agitate e preoccupate per il lupo suo amico. Respirò affondo - un vecchio ricordo di come faceva per aiutarsi con l’asma - dicendosi che Isaac era forte, che se lui era riuscito ad evitare di finire nelle fauci del lupo anche l’altro c’è l’avrebbe fatta.
« Dimmi che ha funzionato, dimmi che ha funzionato, dimmi che ha funzionato e che non sto parlando con il primo sconosciuto che ha trovato il cadavere del mio migliore amico sparso in giro in mille pezzi. » lo travolse Stiles appena aprì la comunicazione.
« Stiles calmati. » infuse nel suo tono ogni grammo di fiducia e calma che possedeva aggiungendoci una manciata d’assurdo e non sentito ottimismo « se ne è andato, il fischietto per cani l’ha attirato come avevate immaginato. » Sentì la tensione allentarsi dalle frasi di Stiles su quanto era bella e intelligente Lydia, su quanto i suoi piani fossero geniali a differenza di altri fatti da gente il cui nome non avrebbe fatto per preservare quel poco di dignità che avevano ancora e su come avrebbe riempito di strozzalupo la stupida boccaccia di Derek appena tutto sarebbe finito.
« Scott » la voce acuta e tesa di Allison gli arrivò chiara, nonostante la lontananza dall’apparecchio « sei troppo lontano da Isaac, il cerchio rischia di rompersi. »
Riagganciò.

Le vibrò il cellulare - silenziato per l’occasione - e ne lesse il messaggio, il respiro alterato dalla corsa eretta con cui stava mantenendo in linea la formazione.
Isaac era riuscito ad attirare Derek.
Annusò l’aria calcolando la distanza che la separava dal cucciolo - con quei occhioni e l’indole sottomessa le sembrava il più debole e vulnerabile del branco -, recuperando dalla tasca dei jeans il fischietto.
Sogghignò pregustando i ringhi e la violenza con cui il suo alpha avrebbe devastato Stiles appena avrebbe scoperto con che cosa lo stavano tenendo a bada, e acuì i sensi, li fece viaggiare tra il fresco profumo d’erba, l’intossicante aroma dei fiori  ed il secco odore delle cortecce fino a giungere alla pelle intrisa d’una lieve colonia di pino di Boyd. Superò la pelle, i muscoli, lo sterno e seguì il contrarsi del cuore, decifrò il suo ritmo e con i distinti odori degli ormoni sulla sua pelle era come se stesse correndo al suo fianco, con il rumore dei loro respiri intrecciati e i fugaci sguardi con cui si dicevano sì, sono ancora qui, al tuo fianco. Ed era questo a innervosirla, poteva vedere la tensione sul volto di Boyd, lo scattare delle sue gambe e il loro saltare - spezzava il ritmo, con un piccolo e veloce ispiro in più, un attimo prima di farlo -, attraverso l’odore, ma a Erika non bastava, la lupa che aveva squarciato la sua anima per condividerne lo spazio e viverci ululava nervosamente e chiedeva, pretendeva di mandare a puttane il piano e di correre al fianco di Boyd: quello era il suo posto, solamente quello.
Si morse un morbido labbro, il metallo ora tiepido del fischietto nel pugno rigido.
Riusciva a leggere nell’aria il timore di Boyd, lieve, strisciante, una pellicola trasparente e fine sulla pelle scura al di sotto dell’adrenalina e della determinazione, poteva capire che le aveva mentito - non credeva alla possibilità di poterlo salvare - e s’accorse di poterne decifrare l’aroma unicamente grazie ai rigidi allenamenti di Derek. Poteva seguire Boyd ovunque andasse, abbracciarne il profumo e assaporarne ogni sfumatura, assetarsi della sua quiete e questo, decise, era un motivo più che valido per strattonare il suo istinto e intimargli di zittirsi.
L’Alpha aveva bisogno di lei, di loro.
Boyd tardava a lanciare il segnale.
Perché farlo? Che fosse perché dopo di lui sarebbe toccato a lei distrarre Derek?
Le corde vocali fremettero e un ringhio le raschiò la gola: non credeva in lei? Boyd la reputava troppo debole per poter partecipare a quel stupido gioco al gatto e al topo? Come poteva, dopo tutto quello che aveva passato, dopo…
Conficcò le ricurve unghie nei palmi, il metallo si contorse e un verso d’astio lasciò la sua bocca. Sangue pianse dalle sue mani; arricciò il naso infastidita e allentò la stretta.
Serrò gli occhi imponendosi di incatenare quei pensieri in una segreta, lontano dal presente, per lasciarli uscire unicamente alla fine di tutto, quando lei e l’altro avrebbero avuto il tempo di discuterne. E di ringhiargli contro.
Respirò boccate d’aria fresca e quiete, aumentò il passo lasciando che ad ognuno si scaricasse sul terreno la rabbia, ritornando a focalizzarsi sulla scia del ragazzo, ripercorrendone i passi.
Boyd s’era fermato.
L’intenso, inequivocabile odore del suo sangue le schiaffeggiò il volto.

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N.a: Okay, ora le cose si incasinano, già. E non sapete quanto *inserire risata compiaciuta*.

pairing: derek/stiles, fandom: teen wolf

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