Titolo: Esp 2 (il fu "Capitolo Extra" -___-)
Gruppi: Arashi, un NewS, un Kattuno, un Tokio, un HSJ, gente a caso... altri gruppi a seguire xD
Rating: manteniamoci sul PG-13 con picchi di NC-17 *ebbene sì... cough*
Pairing: Sakumoto, Aimiya... altri a seguire *coooouuugh*
Consigli per gli acquisti: Se non avete letto Esp 1... che aspettate a farlo? *minacc minacc*
Disclaimers: L'ultima volta che ho controllato tutti 'sti bei fioli non erano miei, ecco... >__> Però so di per certo che la storia originale è di Jinny, quindi tutti i credit a lei! *e se non vi piace, è pure colpa sua xD*
Note: tutto è iniziato quando ho letto Esp e mi è venuta la malsana idea di scrivere un capitolo extra per soddisfare la mia anima sakumoto... poi ci ho preso la mano, le mie due aguzzine mi hanno costretta ed eccomi qui con una intera seconda serie çOç *chi è causa del suo mal, pianga se stesso*
Special thanks: alle mie due amate aguzzine Vampiretta e Jinny, l'una perché è mia moglie e l'altra perché... sì *coccol coccol*
Già postati:
Cap1 Quello stesso pomeriggio, dopo l’ennesima, lunga udienza dei nuovi arrivati dal preside, il terzetto si presentò nella stanza adibita al potenziamento e all’allenamento.
Era una stanza quadrata, grande quasi come un campo da calcio e dal soffitto molto alto, di modo tale che fiamme, scariche e altri tipi di attacchi potessero prendersi più spazio possibile; ci si allenavano gli esp più grandi, i quali ormai sapevano perfettamente controllare i propri poteri, ma spesso Nagase sensei vi portava gli elementi più pericolosi, quando capiva che avevano bisogno di sfogo. Non era un vero e proprio isolamento, ma Masaki capiva sempre benissimo che situazione potesse richiedere una stanza del genere: dopotutto, ci era passato. E ancora vagava, ogni tanto, per le aule e i dormitori dei più piccoli: andava a trovare Nagase, oppure a perdersi nei ricordi quando Nino aveva da studiare per l’università. La situazione, dopotutto, non era cambiata poi così tanto: di orfani e di bambini con dei passati orribili ne arrivavano ancora tantissimi. Uno di essi, Chinen, era diventato il preferito di Satoshi: come lui, infatti, spostava gli oggetti con il solo pensiero. Non era raro che lo trovassero ad esercitarsi con Nagase sensei proprio in quella stanza, chiamata “del tempo”: e anche quella volta, non fu da meno.
-Ohno sempai!- esclamò il ragazzino, lasciando andare il banco che stava mantenendo in equilibrio perfetto in aria, tanto che quello si schiantò al suolo con un forte tonfo. -Yuri! Stai più attento!- lo riprese Nagase.
Entrarono tutti nella stanza e ai più piccoli fu chiesto di uscire, ma Chinen si avvicinò quatto quatto a Satoshi e restò: sapeva essere un ragazzino piuttosto sveglio e furbo, sotto quel visino da timido tredicenne. Doveva essere la vicinanza a Nino, ma nessuno si era mai curato di dividerli, fino ad allora.
-E’ sicuro di volerci vedere tutti assieme? Potrebbe essere pericoloso, e siamo in tanti, qui dentro…- domandò Jun al direttore. Nagase sensei si fece avanti e spiegò che, se si fosse reso necessario, sarebbe intervenuto.
-Anche Masaki e Sho possono intervenire, siamo abbastanza difesi. Potete cominciare- sorrise Satoshi.
Ryo e Jin guardarono il loro leader, poi con un cenno del capo Ryo aprì una bottiglietta d’acqua e prese a farla levitare in aria, mentre Jun la circondava senza troppa difficoltà con delle violente scariche di elettricità. Jin intervenne e un getto di acido fece precipitare l’acqua. Jun richiamò l’elettricità, tenendosi la mano destra con la sinistra.
-Ora, voglio vedervi in un attacco. Prego, Nagase sensei- chiese il direttore.
-Mi permetta di insistere, non vorremmo creare pericoli…- esordì Jun, ma subito il professore rise e si fece avanti, dicendo: -Avanti, Jun! Non mi fai mica paura. Ti bloccavo che ancora non avevi perso tutti i denti da latte- in tono quasi di sfida.
Fece cenno a Jin e Ryo di stare indietro e diede inizio all’attacco.
L’esercitazione durò tutto il pomeriggio e ci fu più volte il rischio che qualche scarica troppo violenta o qualche getto di acqua o acido colpisse gli astanti, ma Masaki restò vigile e attento.
Per quanto riguardava lui, Sho… rimase, senza volerlo, incantato dalla lotta di Jun e se ne risvegliò solo a scontro concluso. Era migliorato tanto da poter battere chiunque ad occhi chiusi. E ancora nessuno aveva rivelato quale fosse la missione delle tre spie.
Uscito dalla doccia, prese a frizionarsi i capelli con l’asciugamano mentre osservava il notiziario alla tv. La sua camera era rivolta verso il lato interno ed era all’ultimo piano, tanto che dalla finestra poteva vedere sia la terrazza dell’edificio principale sia tutto il giardino. Il sole stava scomparendo. Fece per tornare in bagno per lasciare l’asciugamano quando qualcosa, proprio fuori dalla finestra, catturò la sua attenzione: una figura sul tetto, un’immagine nitida.
Era Jun.
Se ne stava seduto sul bordo della terrazza, con le gambe a penzoloni nel vuoto, tanto che se si fosse sporto ancora un po’ avrebbe rischiato seriamente di cadere: ma non si reggeva a nulla. Guardava nella direzione in cui il sole era scomparso, verso il bosco che circondava gli edifici dell’istituto, ma sembrava che non guardasse, non pensasse; gli occhi erano opachi, grigi e grandi come quando sferrava i suoi attacchi e stava raccogliendo in sé l’elettricità della sera, che illuminava l’aria attorno a Jun.
Come se fosse immerso in un fluido, i suoi vestiti e i suoi lunghi capelli neri si muovevano sinuosi nell’aria elettrica.
Sho rimase estasiato a fissarlo, non sapeva neanche per quanto tempo, ma Jun sembrò accorgersene e spostare lo sguardo nella sua direzione, sorridergli con quei suoi occhi grigi, pieni di potere.
E, anche a quella distanza, gli giunse la sua voce nella mente: “Buonasera…”.
Rispose come meglio poté.
“Non sforzarti di pensare cose precise, in questo momento potrei leggere persino il tuo subconscio” disse Jun e sembrava sorridere. Si chiese se fosse merito dell’energia che stava ricavando dalla natura.
“Il momento appena prima del buio è il più carico di elettricità della giornata. Ci hanno insegnato che ritrovarci nel nostro ambiente è importante e ci rigenera”. Chi? Chi ve l’ha insegnato? “I nostri istruttori in Canada. Ma ne abbiamo avuti molti altri, ovunque siamo stati. C’è voluto molto tempo prima di diventare spie professioniste” spiegò Jun, calmo. Fecero silenzio, ma poteva quasi sentire Jun dentro di sé.
“Hai pensato tanto a me…” sentì poi. Arrossì, perché anche se poteva sembrarlo, non era affatto una domanda. Jun spostò di nuovo lo sguardo verso il cielo. “Raggiungimi. Ma prima mettiti una maglietta” concluse il più piccolo. Non se lo fece ripetere due volte.
Si infilò la prima cosa che trovò nell’armadio e i capelli presero a sgocciolarci sopra, uscì dalla sua stanza e si ritrovò ben presto sulla terrazza, a guardare la schiena di Jun. Indossava una camicia nera e dei jeans chiari.
-Avrei davvero… davvero preferito che mi avessi completamente dimenticato- lo sentì dire, triste.
Si avvicinò e sorrise, amaro.
-Io invece avrei preferito che tu non fossi mai partito. Sono stato in pensiero. E non me ne sono mai fatto una ragione- spiegò.
Jun ritirò l’energia e si girò a guardarlo, serio: gli occhi erano tornati neri e il suo viso era normale, bello come sempre.
-Sarebbe finita- disse soltanto.
Sho strinse i pugni: -E tu come fai a saperlo??? Ora hai anche la preveggenza???- sbottò.
Jun scese dalla terrazza e gli si fece più vicino, non disse niente.
Aggiunse: -Io ti amavo davvero, eri tu che tentavi di fuggire-.
-Ti sbagli- lo corresse Jun.
Quel suo tono altezzoso lo faceva imbestialire.
-E ti spiego il perché: era solo una cotta. Eravamo troppo piccoli per saperlo, eppure… già ce lo sentivamo, entrambi. Ma forse tu non te ne sei mai accorto veramente-.
-Io mi sono accorto del male che mi hai fatto partendo. E del fatto che i miei sentimenti per te non siano cambiati neanche dopo 7 anni, durante i quali ho tentato di pensare a te il meno possibile, senza successo- riprese Sho.
Jun sorrise imbarazzato per l’improvvisa dichiarazione. “E’ così… è stato così anche per me” gli disse nella mente. Da sempre troppo, troppo timido per parlare con la propria voce.
-E allora perché te ne sei andato?- chiese Sho, senza capire. Tornava a provare il dolore cieco che aveva provato, in silenzio, 7 anni prima.
-Il sentimento che provavamo l’uno nei confronti dell’altro, quando eravamo piccoli, non era vero amore. Addirittura io, che sono stato il primo dei due ad avere una cotta per te, non ero davvero innamorato. Quando si è piccoli queste cose non le si capisce, per questo ti ho ferito. Ma adesso… ti assicuro, anche se io sono sempre io, il tuo sentimento, col tempo, è cambiato- spiegò il più piccolo: -Non poteva che essere altrimenti. Io dovevo partire-.
Sho si rilassò, incapace di guardarlo negli occhi. Poteva anche darsi che fosse vero, tutto quello che stava dicendo, ma lui aveva sofferto lo stesso… tantissimo.
“Non credi che ne abbia sofferto anche io?”
Sho scosse la testa e gridò: -Non credi che chiedere semplicemente scusa possa andare bene lo stesso???-.
Jun lo guardò, stupito.
-Ho capito le tue ragioni. Mi permetti di non essere d’accordo? Ad ogni modo questo ora non importa più, quindi… smettiamola di pensare al passato- disse, deciso.
Jun rise e annuì.
-Allora scusami, Sakurai Sho- disse.
-Non ti scuso. Non adesso- borbottò.
Jun lo vide ancora arrabbiato e rise. Era splendido. Nel buio della sera, splendeva la sua risata così cristallina e lo faceva rabbrividire. I loro sguardi si incontrarono di nuovo.
-E se provassimo a parlare al presente… che cosa ne sarebbe di noi?- chiese, allora.
-Dobbiamo deciderlo. Credi di essere abbastanza maturo da potermi accettare come amante oppure no?- chiese Sho.
“E’ questo il punto… io non lo so”. Sho si morse il labbro, ancora più confuso di prima.
“Però ora puoi… baciarmi, se davvero lo desideri”.
Lo avvicinò con un gesto brusco e si baciarono, senza lasciarsi un attimo di respiro, abbracciandosi stretti come se non dovessero lasciarsi più.