Titolo: Caleidoscopio
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: GerIta (LudwigxFeliciano), Spamano (AntonioxLovino); altri personaggi e alter coppie compariranno nei capitoli a seguire.
Rating: Arancione
Parte: 4/?
Avvertimenti: AU (Alternative Universe); Tematiche Delicate; Yaoi e Lemon (nei capitoli successivi)
Riassunto: L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Per questo quando nacquero i gemelli del signor Vargas vi fu grande timore: era risaputo che i gemelli erano uno spirito diviso in due corpi, e un ragazzo con lo spirito a metà non avrebbe mai potuto reggere il destino della Confederazione. E, per un bene maggiore, occorreva affrontare dei sacrifici: il più turbolento dei gemelli venne abbandonato a morire su un pianeta desertico.
Ma nessuno aveva considerato il legame profondo che incatenava i due fratelli.
Entrambi avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
Dal quarto capitolo:«La Confederazione sta andando incontro alla sua distruzione. Il Figlio del Cielo è stato detronizzato, gli Sparvieri sono prossimi al risveglio, e nella famiglia Vargas sono nati dei gemelli.[…] il marcio che la Confederazione si è sforzata di nascondere la sta corrodendo nelle fondamenta. È questione di tempo prima che tracolli. Per cui, è meglio rinnovarla con le nostre stesse mani prima che si corrompa del tutto.»
[…]
«Continuo a sperare di riuscire a distrarti dalla tua unica meta, Lovino. Non voglio distoglierti totalmente. Ma una deviazione momentanea sarebbe gradita.»
Note: I banner della storia sono opera di Calu-tan<3
Capitolo Quattro: il Custode dei Cancelli
La vedetta sentì la gola attorcigliarsi quando avvistarono la sagoma della dimora del Custode.
Un’enorme piattaforma reggeva un castello le cui pareti erano formate da meccanismi dall’aria estremamente complessa, e le cui torrette sbuffavano fumo a intervalli precisi. Ogni cosa nel castello era regolata in modo da perpetrare il moto della Fortezza: non vi era porta, finestra o parete che non fosse ricoperta da ingranaggi in movimento; il castello era un unico muscolo pulsante.
Quattro enormi pinne si allungavano e si muovevano pigre come quelle delle testuggini marine, orientando la direzione della Fortezza.
«Obiettivo avvistato» avvisò con un urlo. «Siete pronti?»
Dalla scialuppa, sei teste risposero con un cenno affermativo.
«In bocca al lupo, capitano» augurò il marinaio. «Vice» aggiunse, chinando la testa con umiltà. «Tornate vittoriosi.»
Lovino, Antonio e i quattro mozzi armeggiarono con le corde per calare la scialuppa; i razzi rombarono potenti, facendo librare l’imbarcazione verso la Fortezza.
«Chiediamo il permesso di atterrare» gridò un mozzo, sporgendosi dal parapetto ma senza uscire dall’atmosfera artificiale. «Non veniamo con intenzioni bellicose.»
Lo spazio rimase silenzioso e fermo attorno a loro.
«Dite che non mi hanno sentito?» balbettò, impaurito da quella stasi innaturale.
«Torniamo» decise Antonio. «Adesso.»
Lovino avrebbe voluto fermarlo, ma l’espressione livida del capitano lo ammutolì. Se Antonio aveva motivo di temere quel castello fluttuante, lo avrebbero seguito nella sua ritirata.
Il marinaio addetto si piazzò nella postazione di controllo per girare la scialuppa, ma fu interrotto dal grido terrorizzato di un suo collega.
«Che diavolo è quello?»
Lovino si sporse dalla barca, e il sangue gli si raggelò nelle vene.
Un uomo, circondato da una sfera di atmosfera artificiale, avanzava verso di loro con la spietatezza di un lupo siberiano. Il pesante cappotto e la sciarpa volteggiavano intorno a lui come drappi funebri, e le mani guantate erano strattonate all’indietro dalla pesante mazza ferrata che reggevano.
«I comandi non rispondono, capitano!» sberciò il marinaio, preda del panico.
Antonio impugnò l’ascia e Lovino congiunse le mani per richiamare Roma, mentre il gigante d’uomo divorava lo spazio con la sua corsa animalesca.
La scialuppa quasi si rovesciò quando il Custode atterrò al suo interno con un pesante balzo; Antonio si parò davanti a Lovino e intercettò il primo colpo di mazza ferrata con la sua ascia.
Uno strano ghigno si dipinse negli occhi dell’uomo, semi nascosti dalla sciarpa.
«Antonio Fernandez Carriedo» lo riconobbe il gigante. Fece pressione sull’arma, costringendo il capitano a piegarsi sulle ginocchia. «La Mano Destra del Diavolo. E dite venire in pace?»
Un marinaio estrasse il pugnale dallo stivale e tentò di colpire il Custode. Il gigante risolse la questione con due movimenti di polso: la mazza ferrata precipitò sulla testa del mozzo, facendola esplodere come un melograno maturo, per poi tornare a bloccare l’ascia del capitano. Lo stomaco di Antonio si rivoltò quando il sangue misto a materia cerebrale del suo sottoposto gli colò sul viso dagli spuntoni dell’arma dell’uomo.
«Non mi sembrate pacifici» notò il gigante.
«Non muovetevi!» comandò Antonio, bloccando i suoi uomini pronti ad aiutarlo: non avrebbero fatto che suicidarsi contro quella mazza ferrata implacabile.
Roma si sollevò dalle spalle di Lovino e si lanciò contro il Custode con un ringhio. L’uomo evitò la fiera spostandosi di lato di un passo, e abbatté la sua arma anche su di lei. Roma si dissolse sotto l’impatto con la mazza ferrata, e si riformò di fianco al suo padrone.
«Sei un mago?» si sorprese con calma il gigante, avvicinandosi al ragazzo.
Lovino poggiò una mano sul collo di Roma, pronto a incitarlo all’attacco, ma uno scudo migliore del lupo si parò davanti a lui: la figura del capitano si stagliò davanti ai suoi occhi, l’ascia spianata contro il Custode.
Il gigante non si fece scoraggiare da quell’imprevisto: roteò la mazza, costringendo il capitano a pararla con l’ascia, e lo colpì crudelmente alla caviglia con il pesante stivale. Il rumore dell’osso spezzato schioccò tremendo all’interno dell’atmosfera artificiale, e Antonio cadde a terra con un grido di dolore, aggrappato alla sua arma.
«Prima ordinate ai vostri uomini di stare fermi e poi mi attaccate» lo biasimò l’uomo, dall’alto della sua statura imponente. La reazione del capitano lo colse di sprovvista: il manico dell’ascia si allungò improvvisamente, e la lama si espanse fino a tagliargli la sciarpa e la guancia. L’uomo si abbassò un secondo prima che quell’arma potesse dividergli la testa a metà.
«Non voglio che i miei uomini muoiano inutilmente» decretò Antonio, un velo di lacrime nell’angolo degli occhi per la caviglia spezzata. «Ma anche io ho delle cose che voglio proteggere.»
La mazza ferrata dell’uomo svettò nel cielo, e gli astri circostanti gettarono una luce macabra sulle chiazze scure incrostate su quell’arma.
«Dunque sarete disposto a morire, per difenderle.»
L’uomo caricò il braccio all’indietro; Antonio si preparò a parare il colpo con l’ascia; Lovino si gettò in avanti, cercando inutilmente di frenare quella degenerazione di eventi.
Il tempo sembrò cristallizzarsi in quell’unico istante in cui il gigante si fermò come se lo avessero ibernato, e inclinò il capo di lato per ascoltare un sussurro udibile solo a lui.
L’uomo depose la mazza sulla propria spalla e proclamò, rivolto a Lovino:
«Pare che tu sia prezioso. Sei autorizzato a scendere nella Fortezza Errante. Ma tu solamente.»
Lo sgomento atrofizzò l’anima dei marinai, e lasciò Lovino completamente attonito. Con chi aveva parlato il gigante, per cambiare idea in modo così repentino?
«Vuoi scendere?» lo incalzò l’uomo.
Lovino si riscosse con un tremito. Era terrorizzato dalla forza spaventosa di quell’uomo, e non osava pensare cosa sarebbe stato capace di fare una volta raggiunto il suo castello. Ma era l’unico modo per liberare l’Hellsing, e per avvicinarsi di un passo alla liberazione del fratello.
Antonio non gli permise di scendere dalla barca da solo: lo afferrò in vita con un braccio e lo strattonò violentemente contro di sé.
«Che accidenti fai?» si ribellò Lovino, prima che il capitano contrattasse:
«Questo ragazzo è prezioso anche per noi. Non possiamo lasciarlo andare da solo. Capisco che tu non voglia intrusi nel tuo castello, ma dovrai accettare perlomeno la mia presenza, se vuoi che lui ti segua.»
Gli occhi del gigante lo fissarono dall’alto, con una sicurezza venata di disprezzo.
«Come preferite. Vi avrei sconfitto mentre eravate al pieno delle forze. Dubito che possiate infastidirmi, ora che siete azzoppato.»
«Capitano…» cercarono di dissuaderlo i suoi uomini, ma Antonio fu irremovibile:
«Aspettateci sull’Aereonave. Torneremo sicuramente. Entrambi.»
E i quattro marinai non poterono fare altro che osservare impotenti, mentre Lovino si autopromuoveva a stampella di Antonio e insieme seguivano il gigante nella sua tana.
***
Feliciano osservò annoiato il disegno sulla lavagna di fronte a lui.
I vertici di due triangoli stesi in orizzontale si toccavano al centro di una forma a cristallo, il tutto inscritto in un cerchio. Era il simbolo della Confederazione Siderale, e un buon Asse doveva conoscerne l’esatta simbologia.
«Cosa rappresenta questo triangolo?» lo interrogò Ludwig, puntando il dito sulla figura di sinistra.
«Sono le Tre Spade» recitò Lovino e procedette a elencare: «Il Mago dell’Ovest, il Samurai e il Guardiano. L’altro triangolo, invece, rappresenta i Tre Scudi: il Custode dei Cancelli, il Figlio del Cielo e l’Asse» indicò il punto in cui le due figure si congiungevano al centro del cristallo e terminò: «In questo punto i due triangoli si incontrano poiché il Guardiano e l’Asse sono indivisibili all’interno del Palazzo di Quarzo.»
«Molto bene» si complimentò Ludwig. «E ti ricordi la provenienza di queste persone?»
«Il Mago dell’Ovest protegge la Compagnia di Britannia, il Samurai difende il Sistema Asean assieme al Figlio del Cielo, e il Custode dei Cancelli vaga per la Confederazione sulla sua Fortezza Errante» salmodiò flemmatico Feliciano.
«E i sei punti in cui i triangoli e i vertici del cristallo toccano il cerchio?»
«Rappresentano le sei Fortezze. Tre prigioni, un tribunale e due avamposti di polizia.»
Il volto di Feliciano cambiò bruscamente espressione quando Ludwig pose la domanda finale:
«Quali sono le forze non presenti in questo schema?»
Anche suo fratello era tra i ripudiati da una gerarchia che non aveva pietà per i diversi. Feliciano pettinò all’indietro la frangia ramata e mormorò, il ricordo del gemello conficcato come una spina nel cuore:
«Sono i Tre Sparvieri. La Mano Destra del Diavolo, il Marauder e l’Hellsing. La Mano Destra del Diavolo è ancora in circolazione, il Marauder è scomparso misteriosamente e l’Hellsing è rinchiuso nella Prigione Caina…» l’Asse si fermò, sbigottito dall’espressione di Ludwig: non aveva mosso un muscolo ma all’improvviso tutto, in lui, era diventato l’emblema della sofferenza.
«Ludwig?» lo chiamò Feliciano, e il Guardiano si riappropriò in un secondo della sua compostezza.
«Non è nulla» cercò di sorvolare, ma Feliciano non gli permise di fuggire:
«Conoscevi l’Hellsing?»
Ludwig si asserragliò in un mutismo cupo. Feliciano si sentì quasi ferito dal riserbo del giovane e protestò:
«Sai che non lo dirò a nessuno. Abbiamo stretto un patto: uscire da qui insieme. E sai che non lo tradirò. Però tu conosci i miei motivi, ma io non conosco i tuoi. Non è giusto.»
Gli occhi azzurri si posarono su di lui e Feliciano vi lesse tutta la spietata bellezza delle lande gelide in cui era cresciuto il giovane.
«Non lo dico perché non mi fido di te. Ma è qualcosa che… brucia, ancora» Ludwig aggrottò le sopracciglia e ammise in un ruggito stanco: «Gli devo la vita. Gli devo tutto. E non l’ho mai ricambiato.»
«È tuo fratello?»
Prima delle parole lo raggiunse il tocco gentile della mano dell’Asse, che si adagiò delicata sul suo bicipite. Ludwig fissò quelle dita, così piccole in confronto al suo braccio. Un tempo, quella mano era stata la sua, e il braccio quello dell’Hellsing. Si chiedeva se anche allo sterminatore di demoni quelle dita fossero sembrate così minuscole e fragili.
«Era tutto quello che avevo» rispose Ludwig, con una tetra malinconia ad appesantirgli la voce.
Feliciano abbassò gli occhi, troppo vergognoso per pronunciare quell’invito fissando il volto del suo Guardiano.
«Puoi abbracciarmi, se vuoi.»
La pendola scandì qualche rintocco prima che Ludwig spezzasse quella stasi avvolgendo con le braccia muscolose il corpo minuto di Feliciano. Non era un fisico adatto a sostenere un intero Universo: quella schiena esile si sarebbe spezzata, e le spalle strette sarebbero state polverizzate dal peso della Confederazione.
L’affermazione dell’Asse scivolò sulla divisa e lo accarezzò sulla guancia con la dolcezza di una carezza materna.
«Non sei solo, Ludwig.»
Il Guardiano cinse più forte quel fisico di giunco, e le vaporose maniche dell’Asse calarono sulla sua schiena quando il giovane alzò le braccia per ricambiare la stretta. Lo tenne avvinto a sé nel ricordargli la loro promessa:
«Nemmeno tu sei solo.»
E le braccia sottili dell’Asse si strinsero con più forza attorno al suo dorso.
***
Antonio era seduto su una poltrona ricavata dall’incastro di complessi marchingegni, e Lovino stava appollaiato sul bracciolo, le braccia che circondavano il capo di Antonio. Quello stupido si era fatto azzoppare, quindi era suo compito proteggerlo.
Lanciò un’occhiata in tralice al gigante in piedi in fondo alla sala dalle pareti meccaniche piene di stantuffi, pompe e ingranaggi in movimento.
Il cappotto che indossava scendeva dritto e pesante fino a scoprire gli stivali rinforzati di metallo, e i guanti sembravano ricavati da pelle di drago tanto il loro tessuto era spesso. L’unico dettaglio leggero del suo abbigliamento era la sciarpa color crema, su cui spiccavano i grandi occhi violacei dell’omone. Le ciglia che contornavano quelle iridi distaccate erano color paglia delle steppe, come la corta chioma dell’uomo. Non aveva abbandonato la mazza ferrata, che pendeva leziosa dalla sua spalla, con il sangue del loro compagno che pian piano si raggrumava sulla sua superficie.
«Qual è il tuo nome, ragazzo?» domandò il gigante, con la placidità di chi sa di essere obbedito.
«Lovino» rispose l’interpellato, con voce ferma.
«Il tuo nome completo» esigette l’uomo.
Antonio sentì le mani del giovane fremere per uno scatto nervoso nel pronunciare il suo odiato cognome.
«Lovino Vargas.»
Le sopracciglia del gigante si alzarono appena, esprimendo una moderata meraviglia.
«Vargas è il nome della famiglia Vaticana che offre i suoi primogeniti al Palazzo di Quarzo» recitò l’uomo. «Come mai un Vaticano fa parte della ciurma di Carriedo?»
«Non sono più un Vaticano» eruppe Lovino, e sollevò i capelli mostrando la nuca al gigante. La ferita si era rimarginata, ma la cicatrice a forma di croce era ancora ben visibile sul suo collo. «I miei poteri erano immorali, e dovevo restituire la mia metà di anima a mio fratello. Per questo mi hanno gettato su un pianeta desertico a morire.»
«Non sapevo che il ragazzo destinato a diventare Asse avesse un fratello.»
«Non siete il primo a dirmelo.»
Il gigante appoggiò la mazza ferrata al muro, abbastanza vicino da poterla recuperare semplicemente stendendo il braccio, e seguitò:
«Perché siete venuti qui?»
«Abbiamo bisogno del vostro aiuto per arrivare alla Prigione Caina. Solo per arrivare. Il resto spetta a noi» affermò Antonio, trattenendo a stento un gemito per la caviglia sconquassata.
Gli occhi dell’uomo rimasero freddi come gli inverni del pianeta Siberia mentre li interrogava:
«Avete intenzione di risvegliare lo Sparviero vostro compare?»
«Esattamente» avvalorò Antonio.
«A quale scopo?»
«È necessario per infrangere le barriere del Palazzo di Quarzo e liberare mio fratello» s’infervorò Lovino.
«Avete intenzione di attaccare il Vaticano e lo ammettete con tanta leggerezza?»
«Non ci servirebbero a molto le menzogne, contro di voi» sogghignò amaro Antonio.
Ivan annuì, tuffando il viso nella sciarpa.
«Cosa ne pensi?» chiese, rivolto apparentemente al nulla.
Due grosse ruote dentate emisero un rantolo metallico, permettendo a una porta nascosta di aprirsi.
Antonio sentì Lovino trasalire per lo stupore, e la cosa non lo sorprese: perfino lui aveva sentito il sangue gridare per la sorpresa, alla vista del nuovo arrivato.
La nascita nella parte orientale della Confederazione aveva modellato i suoi occhi scuri nella particolare forma a mandorla delle popolazioni del Sistema Asean, allo stesso modo in cui anche il fisico e i lineamenti del viso ricalcavano l’ideale asiatico. Una lunga coda di capelli mogano scendeva sinuosa sulla tunica orientale dalle tinte infuocate, stretta in vita da una fascia dorata e completata da un paio di larghi pantaloni bianchi.
Ma non furono tutti quei dettagli esotici a far sussultare i due pirati: entrambi riconobbero il medaglione di rubino a forma di drago che pendeva dal collo del giovane.
«Yao Wang, il Figlio del Cielo!» esclamò Lovino. «Cosa ci fate qui?»
«È una storia lunga quanto la vostra. E temo che dovrà aspettare» l’orientale nascose i polsi nelle ampie maniche della tunica e si rivolse al gigante: «È come ti ho detto, Ivan: noi siamo il terremoto che scuoterà la Confederazione.»
«Siete stato voi a fermarlo, prima?» indagò Antonio.
L’orientale chinò il capo in un assenso, portando i suoi occhi dal taglio obliquo su di lui.
«Perché? Non potevate lasciare che ci ammazzasse, come ha fatto con il nostro collega?» il ricordo dell’esplosione della testa del suo sottoposto gli incendiò le parole sulla lingua, che si conficcarono come dardi di fuoco nel petto del Figlio del Cielo.
«Sono spiacente per la vostra perdita» si rammaricò Yao. «Ma è il nostro modo di difenderci, per quanto brutale. Anche voi avete ucciso numerose persone sul vostro cammino, ed eravate disposto ad attaccare Ivan, se avesse cercato di rubarvi quel ragazzo.»
Antonio conosceva la dura legge del più forte, così a fondo che non poté replicare. E nel suo silenzio si inserì Ivan:
«La Confederazione sta andando incontro alla sua distruzione. Il Figlio del Cielo è stato detronizzato, gli Sparvieri sono prossimi al risveglio, e nella famiglia Vargas sono nati dei gemelli.»
«Come potete sapere che gli Sparvieri sono prossimi al risveglio?»
«Come sapevate che sono un Vaticano?» domandarono in sincrono Antonio e Lovino.
Yao rispose ai loro quesiti con eleganza e tranquillità:
«Se anche voi non risvegliaste l’Hellsing, il Mago dell’Ovest cercherà il Marauder, prima o poi. L’ho visto nella sua aura, durante l’ultimo incontro ufficiale. E non sapevo che voi foste un Vaticano: ho semplicemente avvertito l’energia Yang particolarmente forte dentro di voi.»
«Yang?» gli fece eco Lovino.
« La forza dell’opposto» Yao optò per una spiegazione più elementare: «In questo mondo esistono varie forze: la luce, la gentilezza, il fuoco e così via. Ognuna di queste cose ha il suo contrario e, senza di esso, nulla esisterebbe. Non si può conoscere il caldo se prima non si sperimenta il freddo.»
«In altre parole, io sono qualcosa di malvagio.»
L’orientale gli si accostò lentamente, in modo che le sue parole potessero raggiungerlo meglio:
«Voi avete semplicemente il potere del contrario. E non sottovalutatelo, è una risorsa enorme. Se ben sfruttato, potreste annullare i poteri dei vostri nemici attaccandoli con il loro opposto. Se un nemico vi attaccasse con il fuoco, potreste subito opporvi l’acqua e così via.»
Il corpo di Lovino si irrigidì per la sorpresa, e la replica si trascinò a fatica sulla sua lingua intorpidita:
«Mi hanno sempre detto che il mio potere era l’ombra…»
«Questo unicamente perché il vostro gemello ha ereditato i poteri di luce, e voi, per riflesso, avete ereditato l’opposto. Ma in realtà, il vostro potenziale è molto più vasto, così come lo è quello del vostro gemello. E vi rivelerò un altro segreto: nella massima ombra, esiste sempre una punta di luce così come nella massima luce sopravvive uno spicchio d’ombra.»
Lasciò il ragazzo a squagliarsi in quella rivelazione sconvolgente e raccontò, rivolto al capitano:
«Vi è anche un altro motivo per cui riteniamo che la Confederazione sia prossima allo sfacelo. Sono nato sotto la benedizione dell’astro del Fuoco. E un regnante sotto questo segno compare solo quando è necessario bruciare il mondo e farne partire uno nuovo dalle ceneri.»
«E voi basate le vostre azioni su auspici e predizioni?» li screditò Antonio.
Gli occhi dell’orientale si assottigliarono in una calma che affondava le sue radici nella spietatezza, e non nella seraficità mostrata fino a quel momento dal giovane.
«È bastata una superstizione perché un padre abbandonasse un figlio, una diceria per imprigionare l’Hellsing e una maledizione per scagliarmi lontano dal mio trono» Yao ricostruì velocemente la sua facciata aristocratica e terminò: «Se preferite una motivazione più razionale, posso fornirvela: il marcio che la Confederazione si è sforzata di nascondere la sta corrodendo nelle fondamenta. È questione di tempo prima che tracolli. Per cui, è meglio rinnovarla con le nostre stesse mani prima che si corrompa del tutto.»
Il gigante si portò alle spalle di Yao e tuonò:
«Vi accompagneremo alla Prigione Caina. Partiremo domani mattina. Potete tornare dal vostro equipaggio.»
I due pirati restarono mineralizzati dall’incredulità, e non si mossero finché Ivan non ripeté il suo invito.
Lovino si appostò di nuovo al fianco di Antonio per aiutarlo a camminare con la sua caviglia fracassata, e uscirono prima che quel gigante capriccioso cambiasse di nuovo opinione.
«Perché ti sei messo in mezzo?» lo incalzò Lovino, quando furono soli.
«Potevi morire. È normale» limitò Antonio.
«Perché hai insistito per venire fin qui?» il giovane gli pizzicò il fianco, come sostituto della testata che non poteva dargli per pietà dal suo claudicare.
«Non volevo lasciarti da solo.»
«Ma perché?»
Le dita del capitano lo solleticarono sotto il mento, e Antonio ammise:
«Perché continuo a sperare di riuscire a distrarti dalla tua unica meta, Lovino. Non voglio distoglierti totalmente. Ma una deviazione momentanea sarebbe gradita.»
Le guance del ragazzo diventarono rosse, ma il suo tono di voce fu scarlatto:
«E ti saresti quasi fatto ammazzare per…»
«Per proteggerti. Ti sembra un motivo così deprecabile?»
Lovino capì di aver perso vedendo l’espressione deliziata del capitano e cambiò argomento, rimbrottando:
«Il Figlio del Cielo ha detto che anche in me… c’è un po’ di luce.»
«Onestamente, Lovino… credo che tu sia l’unico a non aver visto la luce dentro di te.»
«Come fai a dirlo?»
Antonio lasciò che fossero i fatti a parlare: raggiunsero la porta, e un boato di esclamazioni gioiose li investì.
«Guardali» lo incitò il capitano. «Credi che sarebbero così contenti di rivederti, se non avessero scorto qualcosa di buono in te?»
«Sono contenti perché ci sei tu con me…»
«Lovino» si impose Antonio. «Cerca di fidarti delle persone, qualche volta.»
La scialuppa si accostò al bordo della Fortezza Errante, e i mozzi aiutarono Lovino a caricare il capitano ferito a bordo.
Il ragazzo si sedette di fianco al capitano e lo fissò di sottecchi, mentre i marinai cominciavano le manovre per risalire sull’Aereonave.
Fidarsi degli altri. Erano anni che non lo faceva.
Forse, una persona pronta a rischiare la vita per proteggerlo meritava un’opportunità. Anche se trovava tremendamente irritante che il primo individuo a meritarsi la possibilità di ottenere la sua fiducia fosse quel capitano.
***
Yao si alzò sulle punte dei piedi e Ivan fletté lievemente le ginocchia per permettergli di controllare le condizioni della sua sciarpa.
«È solo un taglietto. Si può ricucire facilmente» decretò, stendendo la striscia di tessuto sul letto con la cura con cui avrebbe fatto adagiare un malato. Fu così che la frecciata di Ivan lo colpì alle spalle:
«Loro si occuperanno di far crollare il Vaticano. Sarai davvero pronto a uccidere Kiku, quando verrà il momento?»
«Hai promesso di aiutarmi» minimizzò Yao, concentrandosi con fin troppa convinzione sullo sfregio della sciarpa.
Il corpo dell’uomo calò con delicatezza sul suo, piegato sul materasso a valutare i danni della stoffa, e la domanda successiva di Ivan gli pugnalò direttamente l’orecchio:
«Sei ancora affezionato a Kiku, nonostante tutto quello che ti ha fatto?»
Lo schiaffo fu tremendamente veloce e centrò la sua guancia con tanta forza da fargli voltare la faccia.
«Non pronunciare il suo nome davanti a me» impose Yao, con il tono che usava per farsi obbedire nel Tempio del Cielo. Tuttavia, Ivan non era uno dei suoi servitori di allora: lo scaraventò senza troppa gentilezza sul letto, e lo bloccò sul materasso premendogli una mano di acciaio sulla spalla.
«Se provi ancora dei sentimenti, devi reprimerli prima di trovarti di fronte a lui, o esiterai nel momento meno opportuno, e tutti i nostri sforzi saranno vani» gli ricordò brutale, accentuando la presa fino a che non divenne dolorosa. «Se vuoi rovesciare la Confederazione, è l’unica via.»
Anche se la sua forza fisica era inutile contro Ivan, come un gatto che cerca di vincere contro un orso, Yao conficcò le unghie nella giacca spessa del compagno, e sbottò:
«Non mi sottovalutare! Ho vissuto molti più anni di te, so su quali regole gira questo Universo malato! Solo…» l’orientale prese fiato per gettare contro l’uomo la sua invettiva: «Ho visto crescere quel ragazzo dal giorno in cui è venuto al mondo. Per cui non ho intenzione di ucciderlo come farei con un estraneo.»
Yao tolse le dita dal polso dell’uomo e concluse, voltando la testa:
«Il risultato non cambia, è questo l’importante.»
La mano di Ivan smise di inchiodarlo al materasso, e la voce stessa dell’uomo suonò indistintamente più delicata nell’avvertirlo:
«Io non ricordo come sia uccidere provando dei sentimenti. Ma immagino che sia come attraversare l’Inferno mille volte.»
Yao non aveva intenzione di protrarre quella discussione, lo comprese nel momento in cui le iridi dell’orientale dirottarono sulla sua gota gonfia, visibile nonostante il collo alto del cappotto.
«Non farmi arrabbiare di nuovo. Non mi piace schiaffeggiarti» lo redarguì Yao.
La mano affusolata del cinese salì cauta a slacciare la cerniera del cappotto, quel tanto che bastava per vedere la bocca di Ivan emergere dai bordi rialzati del colletto.
A volte, Ivan era sorprendentemente facile da prevedere, come un bambino troppo cresciuto e troppo viziato. Anche allora, non indugiò ulteriormente per congiungere le labbra a quelle dell’orientale disteso sotto di lui. La lingua di Yao era calda, al contrario della sua, e il corpo dell’Asean rabbrividì sotto le sue dita gelide, spogliate dei guanti.
«Sei ancora freddo…» soffiò Yao nella sua bocca.
Non si ribellò quando il petto artico dell’uomo si appoggiò sul suo; allargò le braccia e lo strinse a sé finché parte del suo calore non trasmigrò sulla pelle del compagno.
Ivan poggiò una guancia sullo sterno bollente dell’orientale, una mano appoggiata al suo petto e gli occhi chiusi come un bambino per gustare interamente il tepore dell’amante.
Erano passati tanti anni dalla prima volta in cui aveva visto il Figlio del Cielo. E, ancora più degli anni, mille avvenimenti avevano diviso quel lontano passato dal presente.
Accarezzò la pelle morbida di Yao, respirando il suo profumo esotico.
Quando lo aveva visto la prima volta, era rimasto stregato dal Figlio del Cielo. E non avrebbe mai immaginato che gli eventi lo avrebbero portato a precipitare nella sua Fortezza.
Anche su: EFP
Capitoli precedenti:
Capitolo Uno:
Uno Scettro in mezzo al CieloCapitolo Due:
Sangue sull’ArgentoCapitolo Tre:
L’Auspicio Successivo:
Capitolo Cinque: Cuore d’Inverno