Titolo: Let’s make tomorrow a brighter and better day [Be the light - One Ok Rock-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yaotome Hikaru, Inoo Kei, Arioka Daiki, Yamada Ryosuke
Pairing: slight!Dainoo, Hikanoo, Ariyama
Rating/Genere: PG/romantico, malinconico, fluff
Warning: slash
Wordcount 21.611
fiumidiparoleNote: la storia è scritta per la
500themes_ita con i prompt ‘Dietro i sorrisi’.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
500themes_ita “Saisho wa guu janken pon!”
“Yatta!” Yamada si lasciò andare indietro sul letto, ridendo.
“Aaah, non è giusto!” si lamentò Kei, colpendogli il ginocchio ancora con il pugno chiuso, mentre l’altro gli mostrava il palmo aperto della mano.
“Ho vinto!” gongolò ancora il più piccolo.
Inoo mise su un broncio offeso, incrociando le braccia al petto, osservando l’altro con disappunto.
“Non è giusto! Hai sicuramente barato!” si lamentò, per l’ingiustizia dell’esito di quella sfida.
“Non è vero, tutto regolare, se sei troppo prevedibile non è colpa mia!” si difese il più piccolo, sedendosi all’indiana sul lenzuolo, sorridendo all’amico.
“Beh, non te la prendere Kei-chan, sai come si dice, no? Sfortunato in gioco, fortunato in amore!” recitò, ripensando un secondo più tardi a quello che aveva detto e pentendosene immediatamente, nel vedere il sorrisino amareggiato di Kei.
“Scusa…” gli disse, tornando a sporgere le gambe fuori dal letto.
“Non importa…” lo tranquillizzò Inoo. “Anzi, aspetta!” gli disse, quando l’altro scese nuovamente con i piedi sul pavimento.
“Mh?” Ryosuke lo guardò e restò in attesa.
“Volevo ringraziarti, Ryo-chan, perché queste giornate in tua compagnia mi sono volate. Hai evitato che mi annoiassi e mi hai tenuto molta compagnia! E… e anche per avermi ascoltato. Insomma, per tutto” lo ringraziò, guardandolo con un sorriso.
Yamada scosse il capo, prendendogli la mano, sorridendogli incoraggiante. “E io mi sono divertito a stare con te. E sono contento che siamo diventati amici. Ma se devo essere sincero sono felice che te ne vai” affermò, ridendo. “Non fraintendere, vuol dire che ti sei ripreso e non devi stare più ricoverato!” spiegò meglio e Inoo annuì.
Un discreto bussare alla porta li interruppe e poco dopo Daiki fece capolino con la testa.
“Si può?” chiese, sorridendo all’indirizzo del fidanzato il quale gli fece cenno con la mano di entrare.
“Dai-chan!” lo chiamò. “Sei venuto a prendermi!” sorrise.
Daiki ricambiò, avvicinandosi a lui e porgendogli una busta. “Te l’avevo promesso! Ho chiesto un permesso da lavoro e mi hanno concesso tutta la giornata, così possiamo fare con calma!”
“Cosa mi hai portato?” si entusiasmò Kei, osservando il contenuto del regalo e Yamada li guardò, sentendosi incredibilmente estraneo a quell’atmosfera e congedandosi.
“Io vi lascio da soli, allora” disse, guardando entrambi.
Kei notò il leggero cambiamento nello sguardo del più piccolo, il suo imbarazzo, e pensando fosse dovuto a quanto gli aveva confidato sulla sua vita, credendo di averlo messo a disagio, lo richiamò: “Ryo-chan…”
Yamada però lo precedette, sorridendo: “Ho dei giri di controllo da fare! Ho oziato anche troppo!” disse, facendo una smorfia divertita e rivolgendo poi ai due un saluto con il capo, uscendo dalla stanza.
Daiki si volse, seguendo con lo sguardo l’infermiere, riportando poi la sua attenzione su Kei, sorridendogli.
“Sei pronto?” gli chiese, avvicinandosi al letto.
“Sì, devo solo aspettare Hikaru… Yaotome-sensei” si corresse velocemente. “Ha detto che sarebbe passato per un ultimo controllo, poi devo solo ritirare il foglio per essere dimesso!” gli spiegò e non appena finì di parlare si sentì di nuovo bussare alla porta.
“È permesso?” domandò la voce di Hikaru. “Scusate” disse subito vedendo che Kei non era solo.
“Prego sensei!” lo invitò Daiki evitando che si facesse problemi di sorta data la sua presenza lì.
“Se volete ripasso dopo, ero venuto a visitare Kei” spiegò.
“Certo, ci mancherebbe. Esco io, Kei-chan” disse rivolto al fidanzato. “Ti precedo allo sportello per i documenti!” gli disse e Kei annuì. “Sensei” salutò Yaotome e uscì dalla camera.
“Allora, Kei, come ti senti?” domandò subito Hikaru, prendendogli un polso per fargli stendere il braccio per potergli misurare la pressione e Kei sorrise in modo convincente. “Benissimo, ti confesso che non vedo l’ora di tornare a casa. Sono stato benissimo qui, ma ho voglia di riprendere in mano le mie cose. Anche se sono andato avanti con il lavoro, non è la stessa cosa e mi voglio mettere in pari per bene!” gli spiegò, facendo poi silenzio, osservando la lancetta del misuratore, muoversi e poi Hikaru sorridere.
“Tutto apposto, meno male!” sospirò rincuorato il medico, come se si aspettasse un risultato diverso. “Mi spiace non essere potuto venire prima ma avevo altre medicazioni da fare e per alcune ci ho messo un po’!” si scusò, prendendo lo stetoscopio e chiedendo all’altro di sollevare la maglia.
Inoo scosse il capo e sollevò l’indumento, levandolo dalla testa, lasciando infilate solo le braccia dal gomito in giù.
Hikaru rise vedendolo e iniziò la misurazione, sfiorandogli con le dita una spalla.
“Respira” gli chiese e Kei dovette sforzarsi per riuscire a farlo, sentiva il calore delle sue dita su di sé, sensazione che aveva provato ogni volta che Hikaru doveva farlo per visitarlo.
“Scusa, è freddo!” ridacchiò il medico, riferendosi allo strumento di controllo e Kei lo guardò con la coda dell’occhio, dubbioso.
Yaotome gli fece cenno al proprio braccio dove una leggera pelle d’oca l’aveva increspato e Kei arrossì.
“Davanti” gli chiese Hikaru, posando la membrana della campana vicino al cuore, guardando poi Kei.
“Scusa…” gli disse l’altro. “Penso sia un po’ di… sto bene, credimi!” si affrettò ad aggiungere e Hikaru sorrise, sollevandosi, levandosi gli auricolari e annuendo.
“Sei solo emozionato e non vedi l’ora di andartene, ho capito!” gli disse, comprensivo. “Puoi rivestirti” suggerì.
Kei sollevò le braccia, posando la maglia sulla testa, ma ingarbugliandosi, senza trovare da che parte muoversi per far sbucare il capo e sentì Hikaru ridere.
“Ehi! Aiutami!” lo riprese.
“Sta’ fermo” lo ammonì il più piccolo, sollevando una gamba sul materasso, poggiandosi appena e trovando l’orlo della maglietta, tirandolo verso il basso. “Ecco qua!”
“Grazie!” mormorò Kei, rivolgendogli un sorriso e il medico gli pettinò i capelli che si erano leggermente scompigliati.
Kei lo guardò e gli rispose con un’espressione gentile, sollevando una mano, posandosela sulla testa, sfiorando le dita di Hikaru per un istante, prima che l’altro le allontanasse.
“Devo andare adesso!” gli ricordò, alzandosi dal letto e indietreggiando di un passo. “Riguardati, Kei, mi raccomando!”
“Lo farò!” assicurò il più grande. “Grazie di tutto!” annuì, sorridendogli e osservandolo mentre usciva e si chiudeva la porta alle spalle.
“Deve mettere una firma qui” l’infermiera consegnò a Daiki una penna indicandogli una riga sulla quale scrivere.
Arioka la ringraziò, prendendo la cartella con i risultati effettuati da Kei in quei giorni di degenza, voltandosi per tornare in camera dal fidanzato, quando vide Yamada camminare svelto verso l’ascensore, infilandosi in quello di servizio. Osservò la direzione e sorrise, salendo le scale intenzionato a seguirlo.
Una volta messo piede sul terrazzo, Yamada sospirò: non ne poteva più di andare avanti e indietro per l’ospedale, a volte il suo lavoro, per quanto gli piacesse, era fin troppo pesante. Era sempre riuscito a separare ciò che accadeva a lavoro, da quella che era la sua vita privata, l’unica eccezione era Hikaru, con il quale lavorava insieme e divideva la quotidianità. Mai gli era successo di lasciarsi coinvolgere in modo tanto intenso dalla situazione di uno dei suoi pazienti o da uno di questi in particolare: avrebbe dovuto prevedere che diventando amico intimo di Kei e rapportarsi al suo fidanzato in modo informale non avrebbe portato a niente di buono.
Si era affezionato a Kei e si era innamorato di Daiki, non l’aveva scelto, non l’aveva cercato, ma in qualche maniera, di cui ignorava le modalità, era successo.
E oltre a sentirsi in colpa per il fatto che fosse successo, per essersi innamorato di una persona impegnata, che era per di più il fidanzato del suo amico, si sentiva in colpa perché dentro di sé ci aveva sperato e fantasticato a lungo.
Perché Kei si era confidato con lui, parlandogli di come il rapporto con Daiki fosse ormai logoro ed entrambi a quanto pareva non provavano più nulla l’uno nei confronti dell’altro. Si limitavano a vivere una relazione di facciata, nascondendosi dietro falsi sorrisi quando si trovavano davanti ad altre persone, mascherando quella che era la verità, senza avere il coraggio di affrontarla loro stessi.
Per quel motivo, si diceva si era concesso di sperare che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato e avrebbe potuto approfittarne. Non aveva ricevuto nessun particolare segnale da Daiki, tanto da giustificare le proprie speranze, il ragazzo si limitava a essere educato e gentile con lui. Ogni tanto, quando Kei veniva visitato e Arioka doveva uscire dalla stanza, Ryosuke gli teneva compagnia e scambiava con lui quattro chiacchiere, nulla che implicasse però un particolare coinvolgimento da parte dell’altro.
Era tutto frutto della sua testa. E per questo faceva ancora più male.
“Uno yen per i tuoi pensieri” una voce gentile e divertita lo fece sobbalzare e quando si voltò, Yamada sentì qualcosa di fresco sfiorargli la fronte.
“Ah, Daiki!” si sorprese, sorridendo poi e prendendo la lattina che l’altro gli aveva posato sul viso. “Grazie” disse, ridendo appena e sedendosi per terra. “Ho bisogno di una pausa!” sospirò, guardando l’altro che era rimasto in piedi.
“L’avevo immaginato!” concordò con lui Arioka, piegandosi sulla ginocchia, al suo fianco.
Ryosuke lo guardò e sentì il proprio cuore accelerare i battiti, sentiva la spalla del più grande poggiare sulla sua e si allontanò, cercando di fare sembrare quel movimento come qualcosa di casuale.
“Dì la verità” esordì Daiki, riempiendo il silenzio che era calato tra loro. “Sei un po’ triste che Kei-chan, vada via, vero?”
Yamada lo guardò e annuì: “A dire il vero sì… cioè, sono felice perché vuol dire che sta meglio e si è rimesso, ma ci siamo uniti tanto che penso mi sentirò un po’ solo!” affermò, aprendo la lattina e prendendo un sorso di caffè freddo.
“L’ho visto, Kei ti è molto affezionato, me l’ha detto!”
“È facile affezionarsi agli stupidi!” si schernì Yamada e Daiki lo spinse per una spalla.
“Adesso non fare il modesto, gli sei stato di molto supporto durante questa settimana, molto più di quanto possa esserlo stato io di sicuro. Mi sentivo tranquillo a saperlo in tua compagnia!” affermò.
“Allora… grazie!” gli rispose Ryosuke, non riuscendo però a sforzarsi di essere naturale, aveva pensato tanto e a lungo e adesso oltre a sentirsi incredibilmente a terra, si sentiva privato di qualsiasi forza.
Arioka lo osservò, notando come quello sguardo solitamente allegro si fosse adombrato quasi completamente e piegò il braccio, posandogli la propria lattina sulla guancia con fare scherzoso.
Yamada rise, voltandosi verso di lui, restando senza fiato nell’accorgersi che Daiki si era sporto completamente in avanti: poteva specchiarsi nei suoi occhi, poteva sentire il suo respiro contro il viso e non capì più nulla. Neanche quando sentì il braccio di Daiki spostarsi e cingergli il collo, avvicinandolo maggiormente a sé, posando le labbra sulle sue. Quando l’infermiere si rese conto di quello che stava succedendo, stava già ricambiando il suo bacio: lo fece per pochi istanti, prima di separare le loro labbra, sentendo uno schiocco riecheggiare nella propria mente come fosse lo scoppio di una bomba, guardando l’altro sconvolto.
“Ryosuke, io volevo dirti…” Daiki iniziò a parlare, ma non riuscì a proseguire perché il cercapersone di Yamada prese a suonare e come fosse un comando imposto, il più piccolo si alzò in piedi di scatto, infilando una mano in tasca, prendendo la scatolina scura.
Arioka si sollevò a sua volta in piedi, volendo parlargli di nuovo, ma l’altro non gliene diede il tempo, troppo sconvolto e spaventato da quanto appena successo: non se l’aspettava e per quanto il proprio cuore non volesse saperne di smettere di battere così forte, il suo cervello continuava a chiedersi il motivo di quel bacio, il perché Daiki l’aveva fatto e per quale motivo lui non si era mai reso conto di niente. Mai, mai una singola volta in quei pochi momenti che aveva passato con il fidanzato del suo amico avrebbe pensato che una cosa del genere potesse succedere.
E fu proprio il pensiero di Kei che spaventò maggiormente Yamada e che lo fece desistere dal voler sapere quello che l’altro voleva dirgli.
“Mi dispiace, io adesso devo andare!” riuscì solo a dire, senza neanche riuscire a guardare l’altro negli occhi, correndo in tutta fretta di nuovo dentro l’ospedale.