[Ariyama] Kokoro no dokoka de wa aitai to ka kitai shitetanda (2/4)

Mar 10, 2013 09:43

Part. 01

“Allora, ci vediamo…”
“Non credo ricapiterà l’occasione.”
“Peccato… Mi sono divertito stasera, molto più del solito.”
Daiki non capiva Ryosuke.
Daiki non capiva se stesso.
Aveva detto al ragazzo che quella chiamata era stata solo frutto della noia, di un momento di svago e che non si sarebbe ripetuta tanto presto.
“Ho altre cose a cui pensare” gli aveva detto mentendo e lo sapevano entrambi.
Per quello Ryosuke gli aveva sorriso.
Per quello lui quel sorriso l’aveva odiato.
Si alzò dal letto, stanco più di quando era andato a dormire, nei quali sogni non aveva trovato pace; aveva pensato a lui, per tutto il tempo, rivivendo nei ricordi dell’inconscio le emozioni che aveva provato nello stare con il più piccolo. Erano così vive quelle proiezioni della sua mente, così forte il suono dei suoi sospiri, così palpabile il tocco delle sue mani su di sé, così vivo il profumo della sua pelle e il sapore delle sue labbra; era stato frustrante risvegliarsi e scoprirsi solo in quel letto.
Dopo aver fatto sesso con lui, Daiki si era sentito completo e allo stesso tempo svuotato, come se quello che avevano appena condiviso fosse la cosa più giusta che avesse fatto in tutti quegli anni, ma anche la più sbagliata.
Si era infuriato con se stesso per aver ceduto a quei bassi istinti e per essersi fatto coinvolgere così tanto: perché gli era piaciuto fare sesso con Ryosuke, con quel ragazzo dal sorriso spontaneo e sincero, troppe volte sfruttato, troppe volte stampato a fuoco sul suo volto. Chissà a quanti altri prima di lui aveva sorriso a quel modo, chissà a quanti altri estranei -come lui- avrebbe mostrato quel sorriso, a quanti altri uomini, a quanti altri corpi si sarebbe concesso in quel modo.
E quanti pochi avrebbero avuto accortezza con lui; l’aveva capito Daiki che lui era un eccezione, l’aveva capito dal modo di rapportarsi di Ryosuke, dal modo in cui parlava di se stesso, dal modo in cui si prendeva cura di lui. E forse non avrebbe dovuto lasciar trasparire così tanto di sé Daiki, non avrebbe dovuto avere in quel modo cura di lui, non avrebbe dovuto, forse, trattarlo come un ragazzo qualunque.
Perché Ryosuke non era un ragazzo qualunque, quello che faceva lo rendeva diverso da qualsiasi altro ragazzo che avrebbe potuto portarsi a casa dopo una serata in discoteca, diverso da una storia da una botta e via.
Ryosuke era un accompagnatore.
Ryosuke era un host.
Ryosuke era una prostituta che vendeva il proprio corpo in cambio di un piacere effimero che si esauriva nella frazione di un battito di ciglia e che lasciava entrambi, cliente e accompagnatore, vuoti di qualsiasi cosa.
Andò in cucina, tormentato da quei pensieri sconclusionati e si versò del latte in una scodella, sorseggiandolo senza neanche premurarsi di scaldarlo; si sedette sullo sgabello della cucina a isola e osservò l’ingresso della sala, puntando gli occhi sulla poltrona che era stata testimone di quella sua scorsa notte di passione. Finì tutto d’un fiato la sua colazione e andò in bagno, infilandosi sotto la doccia, sperando di mandare via quei pensieri; sentì il proprio corpo rabbrividire e poi scaldarsi lentamente avvolto dal calore del vapore, lasciando scorrere le mani sul proprio corpo in carezze che dapprima erano solo accennate, ma che ben presto si fecero più intense, mentre la mente gli giocava di nuovo brutti scherzi.
Abbassò il capo, schiudendo gli occhi, scoprendosi eccitato, si morse un labbro, mugolando frustrato, ma non potendo fare a meno di scendere con le dita e iniziare a toccarsi, immaginando non la propria mano a circondarlo, ma una bocca calda e sensuale a dargli piacere. Non le proprie dita a graffiare la pelle tesa, ma una lingua umida e sfacciata a portarlo verso l’oblio.
Chiuse gli occhi e abbassò la manopola dell’acqua, poggiandosi con le spalle contro le piastrelle, cercando di ritrovare la lucidità; con il fiato corto, prese l’asciugamano e si circondò i fianchi, spostandosi di nuovo nella camera da letto e prendendo il cellulare dal comodino, aprendo la pagina dei preferiti e componendo di nuovo quel numero.
Di nuovo, dopo appena un’ora dalla chiamata, il campanello di casa sua suonò, stavolta senza bisogno di annunciarsi al citofono, stavolta senza che Daiki avesse permesso che qualcun altro scegliesse per lui.
Aprì la porta di casa e di nuovo quel sorriso e quel volto bellissimo gli riempirono gli occhi.
“Buongiorno, Dai-chan!” lo salutò allegro il più piccolo e Daiki non si spiegò come mai, tra i due, lui fosse quello più riposato, perché, Daiki lo sospettava, lui aveva sicuramente fatto le ore più piccole delle sue.
“Avevi detto che non…”
“Sei qui per farmi la predica o per lavorare?” gli chiese Arioka, interrompendolo, tirandolo dentro per un braccio, facendogli poggiare malamente la schiena contro il muro, catturandogli le labbra in un bacio invadente e prepotente.
Ryosuke però non si scompose più di tanto, non parve avere neanche dato alcun segno di sorpresa e aveva già infilato le mani tra i suoi capelli, schiudendo le gambe, permettendo a Daiki di incastrare un ginocchio tra esse divaricandogliele.
Arioka si sentì spingere un istante per le spalle e il più piccolo staccarsi da lui per riprendere fiato e guardarlo con un sorriso canzonatorio. Le mani di Ryosuke scivolarono dai suoi capelli al collo, sulle spalle, scendendo velocemente ad afferrargli il bordo della maglietta e levargliela con un movimento fluido, socchiudendo gli occhi quando sentì le sue labbra morbide posarsi sul collo e schiudersi, iniziando a mordere piano e succhiare.
Daiki lo prese per i fianchi, sbattendolo contro il muro, spingendo il bacino in avanti, contro quello dell’accompagnatore, sollevandolo appena da terra; ma ancora una volta Ryosuke non parve preoccuparsi di quell’irruenza e continuò a torturarlo con le labbra, mentre le mani scendevano sempre più in basso, infilandosi nei pantaloni della tuta, cercando il suo sesso. Daiki però si allontanò, non lasciandogli modo di avere tutta quell’intraprendenza come aveva fatto la prima volta, volendo essere lui per primo partecipe di quei momenti: scivolò su di lui, sfilandogli la camicia, facendone saltare due bottoni, chinandosi a baciargli il petto, succhiò i capezzoli, prima uno poi l’altro, slacciandogli i pantaloni, lasciandoli cadere e arrotolarsi attorno alle caviglie che Ryosuke calciò via, lontano da loro.
Lo sentì fremere e sospirare più forte quando prese in mano il suo sesso e gemere quando infilò due dita dentro la sua bocca, chiedendogli tacitamente di inumidirle, mentre ancora stringeva il suo sesso.
“Daiki…” lo chiamò il più piccolo con tono roco e urgente. “Daiki, non devi…” gli disse di nuovo e Arioka si allontanò da lui, strattonandolo per un braccio e premendogli la mano dietro la nuca, chiedendogli di inginocchiarsi.
“Sono io che pago e a me piace così, per cui smettila di preoccuparti di te e preoccupati di me” gli disse, spingendolo verso di sé, contro la propria erezione che Ryosuke prese immediatamente in bocca, muovendosi su di lui, stringendogli le cosce e accarezzandogli le gambe, dietro le ginocchia, mentre si spingeva verso di lui, mentre Daiki muoveva i fianchi in modo lento e calcolato, per protrarre più a lungo quel piacere che quella bocca gli faceva provare, tirandogli i capelli per allontanarlo da sé prima di venire.
Ryosuke lo osservò senza comprendere quella decisione, lo guardava dal basso verso l’alto, gli occhi lucidi e le gote arrossate, con il fiato accelerato e la fronte leggermente sudata. Daiki si morse un labbro, spingendolo contro il pavimento e indicandogli la pedana dell’ingresso.
Il ragazzo si volse e comprese, gattonando di qualche passo e poggiando le mani sul gradino: Daiki lo raggiunse,inginocchiandosi e infilando due dita dentro di lui, trovando un facile accesso; Ryosuke gridò, più per il piacere che per reale dolore e Daiki non perse molto tempo a prepararlo, trovandolo quasi subito pronto per lui, sostituendo alle dita il suo sesso, aprendolo con forza, spingendo completamente fino in fondo, tenendolo fermo per la vita.
Ryosuke inarcò la schiena, schiudendo la bocca e gemendo, piegandosi verso il basso, reggendosi sui gomiti e Daiki attese, dentro di lui: gli piaceva sentire quella carne stretta attorno al proprio corpo, gli piaceva il calore che emanava e la sensazione che gli dava il trovarsi immobile dentro di lui, una sensuale tortura che non si sarebbe risparmiato.
“Daiki…”
Quando sentì Ryosuke chiamarlo in un lamento, iniziò a muoversi, ondeggiò piano i fianchi, sfilandosi di pochi centimetri, prima di spingersi di nuovo, dando il via a una danza di corpi sensuale ed erotica e Ryosuke gli andava incontro, assecondandone i movimenti, rilassando la schiena, sentendo la mano del più grande scivolare lungo la colonna, stringendogli la nuca e giocando con le dita con i suoi capelli. Daiki si tese, chinandosi in avanti, baciandogli la schiena e le spalle, osservando come l’altro avesse iniziato a fare da sé per raggiungere a sua volta il piacere, precipitandosi a sostituire la sua mano con la propria, anzi, muovendo insieme le dita, sentendo Ryosuke cedere dopo alcuni istanti, sporcando le mani di entrambi.
Si risollevò, afferrando il più piccolo per le spalle, facendo in modo che si mettesse dritto e circondandogli la vita con un braccio, in modo da tenerlo stretto a sé, e Daiki continuò a entrare e uscire da lui, spingendosi un’ultima volta con forza e venendo dentro di lui.
Senza alcuna delicatezza uscì da lui, sedendosi senza forze sul pavimento dell’ingresso, vedendo Ryosuke accasciarsi in avanti, semidisteso sul gradino, il volto nascosto dal braccio piegato che respirava pesantemente, cercando a sua volta di riaversi.
Daiki sollevò lo sguardo quando sentì l’altro ragazzo muoversi e sedersi incrociando le gambe, sorridendo come suo solito.
“Come dire, è stato…”
“Vuoi farti una doccia?” domandò Arioka, prima che potesse finire di parlare; si alzò e a si avvicinò a lui, tendendogli una mano.
Ryosuke lo guardò un attimo disorientato e annuì.
“Posso? Se vuoi andare…?”
“No, non importa, vieni da questa parte” gli disse, scortandolo nel bagno, con ancora la mano stretta nella sua.
Prese l’accappatoio, coprendo il proprio corpo nudo, prendendone uno pulito per il suo ospite.
“Puoi usare i prodotti che ci sono lì” gli disse e vide Ryosuke sorridergli riconoscente.
“Grazie!”
Ryosuke aprì l’acqua della doccia e Arioka si voltò per uscire quando si sentì richiamare.
“Vuoi guardare?” chiese il più piccolo, ma Daiki scosse il capo, uscendo dal bagno e chiudendosi la porta alle spalle senza dire una parola.
Si poggiò contro l’uscio, restando in ascolto della pioggia d’acqua che cadeva, sentendo Ryosuke canticchiare qualcosa a labbra socchiuse e sorrise, sentendo parte di quel vuoto colmarsi un poco; non riusciva a capire perché stare con quel ragazzo gli facesse quell’effetto, perché stare con lui dopo aver fatto sesso o aspettare il suo arrivo lo facesse sentire così triste e gli infondesse una sensazione di solitudine assoluta.
Si spostò dal bagno, andando a recuperare i loro vestiti sparsi all’ingresso e si sistemò in camera da letto, buttandosi sul letto, sospirando piano, fissando il soffitto fino all’arrivo del suo ospite.
“Dai-chan, se vuoi puoi andare. Grazie. Non sono abituato a queste gentilezze” si lasciò sfuggire, ma dal suo tono non voleva sottintendere nulla di più di una semplice affermazione.
Individuò i suoi vestiti, prendendo la camicia con l’intento di rivestirsi, quando la voce di Daiki lo fermò.
“Aspetta” gli disse, sollevandosi sui gomiti, reggendosi con le braccia piegate sul materasso.
Ryosuke si volse, camminando verso di lui e Daiki si mise a sedere, facendo cenno all’altro di prendere posto accanto a lui sul letto.
“Come funziona la cosa?” chiese Arioka.
Ryosuke lo guardò confuso.
“In che senso?”
“Adesso… come funziona? Come l’altra volta, vai via o…”
“Vuoi che resti?” gli sorrise il più piccolo andando in suo aiuto.
“Se volessi che tu restassi? Potrei farlo?”
“Dovresti chiamare. Dovresti richiedermi di nuovo” gli spiegò.
“Quante volte posso richiederti?” si informò ancora e Ryosuke rise.
“Se hai abbastanza soldi, quanto ti pare, ma sei sicuro che ti vada bene spendere il tuo stipendio in questo modo?” domandò sempre ironico, come se non credesse davvero possibile che una cosa del genere potesse essere possibile.
“Tu resteresti? Ti farebbe piacere restare?” gli domandò Daiki, guardandolo negli occhi e Ryosuke rimase colpito da quel quesito, nessuno, da che aveva iniziato quella vita, si era mai preoccupato di quello che lui pensasse. Era lui il solo a dover rendere conto agli altri dei bisogni egoistici di ognuno, non dei propri. Nessuno gli aveva mai permesso di usare il bagno, di coprirsi con indumenti personali, non era rimasto così tanto tempo seduto su un letto accanto a qualcuno solo per parlare.
Sorrise, leggermente imbarazzato dal comportamento di quello strano cliente, e si sporse verso di lui, baciandolo sulle labbra in un gesto naturale e che mai si sarebbe sognato di fare, prima di rispondere: “A me piacerebbe restare” ammise, allontanandosi da lui e vedendo il suo volto rilassarsi maggiormente, come se per tutto quel tempo in cui lui aveva riflettuto su una possibile risposta, Daiki avesse trattenuto il fiato, come se fosse seriamente importante il suo pensiero, quello che lui voleva, come se fosse qualcuno e non qualcosa.
Se gli avesse detto di no, l’avrebbe lasciato davvero andare? Ryosuke credeva di sì.
“Aspetta un momento allora, vado a chiamare in agenzia” gli disse, allontanandosi.
Quando tornò nella camera, Daiki aveva portato due lattine, una di birra e una di tè per il suo ospite, posò le bevande sul comodino, ma quando salì sul letto trovò il ragazzo rannicchiato su se stesso che dormiva beatamente, steso di traverso sul materasso.
Lo osservò dormire, trovandolo tenero e indifeso, un’immagine che contrastava enormemente con quella maschera che Ryosuke portava quando era vigile e Daiki si scoprì a desiderare di conoscere di più, si sentì di desiderare di levargliela totalmente quella maschera e abbattere le sue difese come, senza esserne cosciente, Ryosuke aveva fatto con lui. Si stese al suo fianco, coprendolo con una coperta e accarezzandogli i capelli ancora umidi per la doccia; era stato uno sciocco ad addormentarsi in quel modo e lui lo era ancora di più se gli permetteva di continuare a riposare tra le sue braccia.

Part. 03

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