[Ariyama] Kokoro no dokoka de wa aitai to ka kitai shitetanda (3/4)

Mar 10, 2013 09:43

Part. 02

Daiki continuava a fissare il soffitto, perso nelle proprie congetture, mentre passava distrattamente una mano sulla schiena nuda di Ryosuke, abbandonato di fianco a lui, dopo l’ennesima notte di sesso.
Se l’era ripetuto tante volte Daiki che non avrebbe dovuto rivederlo mai più, che non voleva diventare come uno di quegli uomini di mezza età frustrati e insoddisfatti della vita che ricercano un affetto effimero e bugiardo. Si era detto che quel gioco, anzi, quell’esperimento era durato abbastanza, che non poteva continuare a richiamarlo una volta alla settimana - o anche di più, come le ultime volte- per avere i suoi servigi, se non fosse stato lui sarebbe stato qualcun altro. Daiki era sicuro che Ryosuke non si sarebbe accorto della sua assenza, era certo che non gli sarebbe mancato, come invece, si rendeva conto ma senza volerlo ammettere definitivamente a se stesso, il più piccolo mancava a lui.
Aveva sviluppato una sorta di dipendenza da Ryosuke, Daiki, una dipendenza che andava al di là del sesso e non avrebbe dovuto permetterlo: doveva liberarsi di quelle catene, prima che diventassero troppo dolorose e troppo pesanti.
“A che pensi, Dai-chan?” la voce divertita di Ryosuke lo riportò al presente e Daiki si volse verso di lui, facendo salire una mano tra i suoi capelli, accarezzandolo, vedendolo schiudere gli occhi e sorridere in modo rilassato; aveva notato che era un gesto che piaceva al più piccolo, a volte, nell’incoscienza del sonno, quando si ritrovava a guardarlo e ad accarezzarlo, Daiki lo vedeva stringersi di più contro di lui e mugolare soddisfatto: gli piaceva cogliere Ryosuke in quei momenti, gli scaldava il cuore e lo faceva sentire bene, lo faceva sentire completo tanto che aveva paura lui stesso di quello che riusciva a fargli provare.
“Posso chiederti una cosa?” mormorò il più grande e Ryosuke sollevò il busto, annuendo.
“Puoi anche non rispondermi” mise in chiaro Daiki e il più piccolo ridacchiò.
“Andiamo, hai pagato, no?” gli ricordò e Daiki odiava quando lo faceva, perché i soldi non avevano importanza in quei momenti, niente aveva importanza se non loro e quelle ore spese, fin troppo in fretta, insieme. “Sono obbligato a rispondere di qualsiasi cosa!” gli disse e Daiki lo odiò ancora di più.
Lo colpì dietro la testa con una mano, smettendo di accarezzarlo, quel suo comportamento lo faceva innervosire come nessuno riusciva a fare.
“Non sei obbligato a fare niente. Non ti obbligherei…” si interruppe, aggiustando la frase. “Non sono il tipo di persona che obbligherebbe nessuno a fare qualcosa contro la sua volontà, non è nel mio carattere” mise in chiaro.
Ryosuke si sollevò a sedere e annuì: “Lo so, ho capito che sei diverso” gli disse. “Scusami…” fece ammenda, chinando appena il capo. “Cosa mi volevi chiedere?” domandò poi, tornando a stendersi accanto a lui, sentendo Daiki titubare un istante, prima di stringerlo.
“Come sei finito a fare questa vita?” volle sapere.
Ryosuke sorrise, abbassando lo sguardo e sorridendo malinconicamente.
“Stavo insieme a un ragazzo un anno fa. Avevo preso una sbandata pazzesca e sono stato cieco. O solo incredibilmente stupido che non ho mai capito come fosse fatto realmente, cosa nascondesse. Mi sono fidato talmente tanto che non mi sono mai reso conto delle sue bugie. Sono stato venduto” disse e Daiki spalancò gli occhi.
“Come venduto?” gli chiese, interrompendolo.
“Beh… non me lo spiego in altro modo, se mi chiedi come sia successo io non te lo so dire. So solo che da un giorno all’altro è sparito dalla mia vita, consegnandomi nelle mani dei miei datori di lavoro che mi dissero che io ero la sua cauzione, per pagare il debito di non so quanti yen aveva contratto con loro. Non posso andarmene. Non ho idea di quanto ammontasse la somma, non so quando e se tutto questo finirà mai.”
“Perché non hai provato a chiedere aiuto? Perché non sei…”
“Scappato? Ci ho provato, ma mi hanno ritrovato e, credimi, quello che è successo dopo mi è bastato a farmi capire che dovevo stare al mio posto. Sono stupido e anche un po’ codardo” rise ancora, una risata che a Daiki apparve forzata, apparve piena di tristezza, una risata che nascondeva lacrime, che nascondeva dolore.
Si volse su un fianco, accarezzandogli un braccio e cercandogli le labbra in modo dolce, un contatto che aveva qualcosa di incredibilmente tenero, come se in quel modo volesse chiedergli scusa per avergli fatto ricordare cose così tristi, per averlo in qualche modo costretto a parlare e rivivere momenti difficili.
Ryosuke si stese di schiena, circondandogli il collo con le braccia, sollevando il capo, muovendosi per sistemarsi meglio sotto di lui, puntandogli le unghie sulle spalle. Quando si separarono, poi, Daiki lasciò scorrere le mani sul suo corpo, prendendogli i fianchi e chiedendogli di sollevarsi.
“Siediti” gli chiese, mormorando con voce roca e il più piccolo obbedì, seppure confuso da quella richiesta, poggiando la schiena contro il muro dietro di sé, rabbrividendo e inarcando il busto in avanti per l’improvviso gelo della parete.
Daiki ridacchiò, sollevandosi a sua volta, prendendo un cuscino e avvicinandosi a lui, circondandolo con le braccia, mentre sistemava il guanciale tra la schiena del ragazzo e il muro.
“Così è meglio” mormorò ancora, divertito dall’arricciarsi confuso delle labbra dell’accompagnatore, scivolando di nuovo tra le sue gambe, abbassandosi tra esse, dopo avergliele fatte schiudere.
Gli accarezzò le cosce salendo verso l’inguine, vedendo come il corpo del ragazzo reagisse immediatamente a quelle attenzioni, iniziando ad accarezzarlo con entrambe le mani, sentendolo crescere tra i propri palmi, chinandosi poi a baciarne la punta.
Ryosuke fremette, trattenendo un gemito e afferrando con le dita il lenzuolo, stringendolo a mano a mano che Daiki scendeva su di lui inglobandolo, iniziando a muoversi sul suo sesso, spostandosi con la lingua in un movimento verticale, prendendolo di nuovo completamente, sentendo la punta sfiorargli la gola, scivolare sul palato, mentre Ryosuke non riusciva più a controllarsi, iniziando a gemere a voce alta, spingendo il bacino verso la sua bocca e Arioka sentì poi entrambe le mani tra i capelli, premere per imporre il ritmo al quale lui stesso si contrastava divertito, solo per osservarlo da quella prospettiva, solo per sentirlo ansimare e godere.
Ryosuke reclinò il capo all’indietro, battendo la testa contro il muro dietro di sé, quasi sul punto di perdere il controllo; se ne avvide appena in tempo per cercare di avvertire il suo cliente di smetterla, di fermarsi, ma le sue parole sussurrate erano rimaste inascoltate, sebbene sapesse che Daiki l’avesse sentito.
“Daiki…. Daiki, per favore” gli chiese con voce roca, preoccupato di non riuscire più a trattenersi, fino a che, stanco e desideroso nonostante tutto di lasciarsi andare per una volta, venne nella bocca del più grande, vedendolo poi deglutire, così come aveva fatto lui la prima sera in cui si erano incontrati.
“Daiki…” lo chiamò con un tono di voce che voleva essere di rimprovero quando questi si sedette accanto a lui. “Perché hai fatto una cosa del genere?” gli chiese, quando si riebbe.
“Mi andava” rispose semplicemente Daiki, stringendosi nelle spalle e Ryosuke sospirò.
“Ok” esordì, spostandosi appena in modo di trovarsi con lui faccia a faccia. “Allora riformulo: perché sei così gentile e premuroso con me?” gli chiese e Daiki spalancò gli occhi. “Senti, non mi sto lamentando, ma vorrei solo capire. Tu sei diverso da qualsiasi altra persona con cui sono stato e questo un po’ mi spiazza, non vorrei che ti facessi un’idea sbagliata, io non voglio farti pena. Non ho bisogno di essere protetto, ho accettato il mio destino e, anche se ci ho messo un po’ a convincermene, mi sta bene così. Ho imparato a conviverci!” disse, leggermente nervoso per il modo in cui l’altro era riuscito a scoprirsi. “Per cui non capisco perché darsi tanta pena per uno come me” gli disse e forse non era neanche riuscito a far capire all’altro totalmente quello che voleva dire, ma doveva in qualche modo tutelarsi, perché il comportamento di Daiki era davvero strano. Gli piaceva quel ragazzo e aveva paura che gli piacesse già troppo stare con lui, aveva ricevuto diversi richiami dall’agenzia perché con altri clienti non si era ‘comportato bene’ così gli avevano detto e Ryosuke sapeva dove stava sbagliando, sapeva che non doveva aspettarsi niente da nessuno, che non doveva confrontare gli altri incarichi con Daiki, ma non riusciva più a essere quello che era qualche settimana prima, prima di incontrare Arioka.
“Io dopotutto non sono che una puttana, non devi avere cura di me” concluse.
Daiki lo ascoltò parlare e come al solito molte delle cose che aveva detto non gli erano piaciute: perché non riusciva a capire il motivo per cui lo faceva? Perché pensava di lui quelle cose?
“Non hai capito niente” gli disse, in risposta. “Dici che non vuoi essere compatito e allora smetti di fare la vittima!” gli disse brusco. “Smetti di considerare te stesso alla stregua di un oggetto, di qualcosa senza valore!” lo rimproverò.
“Ma è quello che sono!” rispose Ryosuke, sullo stesso tono.
“Non devi parlare di te in questi termini. È triste!”
“Ma è la verità, perché illudersi che sia diverso?” gli chiese, ma non voleva da lui una risposta.
“Perché non è giusto!”
“Beh, non sarà giusto, però anche tu paghi per portarmi a letto, no?” gli domandò retorico e Daiki si sentì ferito da quell’affermazione che non poteva negare, ma che non era neanche totalmente vera.
Si indispettì e strinse i pugni sulle lenzuola.
“Sai cosa?” cambiò il tono e l’atteggiamento nei suoi confronti. “In fondo hai ragione anche tu, no?” affermò sarcastico senza più guardarlo. “Se è così, allora, per oggi hai finito. Te ne puoi anche andare!” gli disse, muovendo un braccio e indicandogli la porta.

*

“Arioka?”
Daiki sollevò lo sguardo verso il collaboratore che stava tornado da lui con dei fogli.
“Posso sapere cosa ti succede?” gli aveva chiesto il collega a cui faceva riferimento per il proprio lavoro, mettendogli davanti un elenco di dati, scarabocchiati a bordo pagina.
“Mi dispiace…” riuscì solo a dire, prendendo in mano gli schemi che aveva consegnato quella mattina. “Non so come sia successo, mi scuso per la mia disattenzione!” chinò il capo, scusandosi, non sapendo cos’altro dire.
“Sei distratto, Arioka-san, forse hai bisogno di qualche giorno di riposo, prima che dei semplici errori possano trasformarsi in qualcosa di più grave e irreparabile” gli disse il senpai.
“Mi dispiace, davvero” disse, alzandosi dalla sedia quando questi si allontanò.
“Prendi questi giorni per sistemare qualsiasi problema personale tu abbia in sospeso e ci vediamo a inizio settimana!” gli accordò, sorridendogli appena, chiarendo che quello non fosse un congedo definitivo.
“Grazie!” esclamò Daiki, chinandosi maggiormente.
Rimise a posto le proprie cose e prese la giacca, uscendo dall’edificio, osservando il cielo scurirsi velocemente, portatore di pioggia. Si affrettò a salire in macchina e ad arrivare a casa, sentendosi quasi al sicuro una volta chiusosi la porta alle spalle.
Si cambiò velocemente, indossando una comoda tuta, accendendo il riscaldamento: l’aria si era improvvisamente fatta secca e fredda, di quel gelo che da la sensazione di riuscire a penetrare fin nelle ossa. Prese una birra dal frigo e si sedette sul divano, distendendosi e chiudendo gli occhi, sospirando stanco; erano solo le sei e mezzo del pomeriggio e la casa era avvolta in quell’inconsistente silenzio che lo opprimeva, quel silenzio carico di ricordi e parole sospese che per giorni l’avevano tormentato.
‘Sistema qualsiasi problema personale tu abbia in sospeso’ gli aveva detto il collega, ma Daiki non era sicuro di poter far fronte a quel consiglio. A pensarci bene non aveva nessun affare personale irrisolto.
Non di quelli comunemente definiti tali, per lo meno.
Perché Ryosuke non era qualcosa di personale. Non era qualcosa di suo. Era solo un ragazzo che vendeva il proprio corpo per denaro. Era solo un oggetto. Niente per cui valeva la pena preoccuparsi, no? Era questo che gli aveva detto Ryosuke. Non li legava niente di più che un legame di affari.
Si mise a sedere sul divano, bevendo una lunga sorsata di birra, prendendosi poi la testa tra le mani, infuriato con se stesso: non doveva lasciarsi coinvolgere così tanto, non era sano portare avanti rapporti così complessi, era da questo che si era sempre tenuto alla larga e quella volta se l’era andata a cercare, consapevolmente.
Non l’avrebbe chiamato. Non era affar suo cosa stesse facendo o meno Ryosuke in quel momento. Non gli interessava, perché gli affari di una puttana non dovevano interessargli. Non gli poteva mancare, perché non ti può mancare qualcosa che non hai mai avuto, no? Non è normale stare così male, lasciarsi distrarre dal proprio lavoro per quell’assenza continua. Si alzò, frustrato da quei pensieri, andando in camera da letto, buttandosi stanco sul materasso; aveva solo voglia di chiudere gli occhi e dimenticare, dimenticare tutti i suoi problemi. Cosa, quella, che si rivelò per l’ennesima volta pressoché impossibile, perché il profumo della pelle di Ryosuke era ancora lì nelle sue lenzuola, che Daiki aveva scordato di lavare dopo il loro ultimo incontro. Scordato o semplicemente non aveva voluto farlo.
Si mise a sedere, prendendo il telefono dal comodino e digitando a memoria quel numero, accostandolo all’orecchio.
“Ariok-san? Da quanto tempo” lo salutò la voce di una segretaria, cordiale.
“Avrei bisogno di richiedere un ragazzo…” esordì, arrivando dritto al punto.
“Certo. Chi?”
“Il numero ottantacinque” pronunciò, maledicendosi, come ogni volta che doveva richiedere Ryosuke in quel modo assolutamente impersonale.
“Mi dispiace, ma questo accompagnatore al momento non è disponibile” si sentì negare dalla voce e ne rimase confuso.
Non era mai capitato che Ryosuke non potesse andare da lui.
“Ho capito. Allora…”
“Preferisce che le mandiamo qualcun altro?” lo precedette la segretaria e Daiki fu tentato di rifiutare, perché non aveva voglia quella sera, non era per quello che aveva cercato il ragazzo. Poi però la propria voce rispose calma.
“Sì…”
“Vuole scegliere o…?”
“Fate voi” disse, sentendo la ragazza ringraziarlo e mettere giù, assicurandogli che entro un’ora, come al solito, il campanello della propria porta avrebbe suonato.
Daiki lasciò il telefono sul letto e tornò in cucina.
Andava bene anche così, in fondo, questa era la prova che di Ryosuke poteva fare a meno, era la prova che non aveva bisogno di lui in quanto Ryosuke, ma un corpo valeva l’altro.
In fondo, Ryosuke era solo un oggetto, no? Quello che Daiki doveva fare era solo pagare e ogni suo desiderio sarebbe stato esaudito.
Puntuale come sempre, il campanello suonò e Daiki si avviò all’ingresso, scostando l’uscio, trovando sulla porta un ragazzo giovane, dalla pelle chiara e i capelli scuri che sorrideva affabile, un sorriso diverso da quello al quale Daiki era abituato e che lo lasciò turbato.
“Arioka-san?” volle conferma e quando Daiki annuì, fece un piccolo passo verso di lui, presentandosi: “Mi chiamo Kei” esordì. “E questa sera sono qui per servirti” recitò, così come la prima volta aveva fatto Ryosuke.
“Accomodati!” Daiki lo fece entrare in casa ospitale cedendogli il passo e l’altro gli sorrise, chinando leggermente la testa.
“Permesso!” chiese, togliendosi le scarpe e spostandole da una parte per non disturbare.
Daiki gli fece strada, scortandolo in salone, chiedendogli se gradisse qualcosa da bere e, così come era successo tempo addietro, la risposta che ottenne fu negativa.
“No, ti ringrazio” gli disse, inginocchiandosi sulla poltrona e guardandolo con le braccia incrociate sullo schienale. “Non posso bere quando lavoro!” spiegò, accentuando quel sorriso disarmante e voltandosi verso di lui, quando gli fu di fronte.
Daiki aprì la lattina di birra e ne bevve un lungo sorso, sedendosi sul bracciolo accanto a Kei che gli posò distrattamente una mano sulla coscia, sentendolo sussultare.
“Non essere così teso… è la prima esperienza per te?” chiese, ridacchiando leggermente, prima di farlo un po’ più forte, correggendosi. “Scusami, non volevo dire… intendevo è la prima volta che chiami da noi?”
Daiki chinò leggermente il capo di lato.
“No… ho già usufruito dei vostri servizi” spiegò in tono neutro.
“Ah… ho capito. Sai, anche tra noi host vige il segreto professionale” gli illustrò. “Sai, per la privacy!” spiegò meglio, sollevandosi e chinandosi su di lui, iniziando a far scorrere le labbra sul suo collo.
“Rilassati, Arioka-san. Ci penso io a te, adesso” promise, mentre infilava una mano tra le sue gambe e la faceva scivolare verso l’alto.
Daiki sospirò, un momento disorientato da quel tocco sensuale, lasciando cadere la lattina di birra vuota sul pavimento e abbandonandosi alle cure di Kei.
Il ragazzo si alzò dalla poltrona, facendo in modo che Daiki si sedesse, inginocchiandosi a sua volta sul pavimento, mentre con le mani gli allentava l’elastico dei pantaloni, liberando il suo sesso, iniziando ad accarezzarlo con le mani e posando poi le labbra su di lui.
Daiki si lasciò andare a un lungo ansimo, mentre quella bocca si chiudeva su di lui e portò una mano alla testa di Kei, spingendolo contro di sé, guardandolo, mentre si spingeva contro la sua carne, mentre lasciava scorrere la lingua per tutta la lunghezza e lo stuzzicava.
Arioka cercò di rilassarsi, cercò di abbandonarsi completamente al piacere, ma era difficile per lui farlo se alle immagini che aveva davanti agli occhi si sostituivano altre scene, era difficile se la mente era lucida e occupata da altri pensieri: non che Kei non fosse bravo, tutt’altro, era solamente lui che non riusciva a lasciarsi andare completamente. Un altro volto si sovrapponeva a quello del ragazzo che era con lui quella sera, era un altro sorriso che voleva guardare, era di un altro odore che voleva inebriarsi, era di un altro tocco che voleva godere.
“Kei… Kei, aspetta, fermati!” gli chiese, posandogli una mano alla base della nuca, accarezzandogli i capelli più corti, spingendolo per una spalla, facendo in modo che si scostasse.
“Che c’è?” mormorò l’altro, il volto rosso e la voce arrochita. “Non ti piace? Vuoi che rallenti?” chiese, immaginando che fosse per la sua tecnica che era stato fermato.
“No…” Daiki scosse il capo. “No, non è questo, tu sei bravissimo e io… mi piaceva, davvero, ma mi dispiace, non posso. Sono io” chiarì.
“Cosa?”
Kei era rimasto fuorviato da quel comportamento, non gli era mai capitata una cosa del genere; vide Daiki sollevarsi e rivestirsi, incurante del proprio stato fisico e aiutarlo ad alzarsi tendendogli una mano.
“Mi dispiace… sarà meglio che tu vada adesso. Ti chiamo un taxi!” gli disse, senza più guardarlo, prendendo il cellulare e scambiando qualche parola. “Sarà qui tra cinque minuti!”
“Ma Arioka-san?” Kei era sempre più confuso.
“Mi dispiace, davvero. Prendi questi!” gli disse, poggiandogli una banconota di grande taglio nella mano. “Per il taxi e pagherò il prezzo intero, però adesso ho bisogno di stare da solo” gli chiese, aprendogli la porta di casa e continuando a scusarsi, fino a che Kei non fu fuori dall’appartamento.
Daiki allora si lasciò andare seduto sul pavimento dell’ingresso e infilò una mano dentro i pantaloni, prendendo il proprio sesso, stringendolo e muovendo la mano velocemente, raggiungendo un piacere inappagante e solitario.

Part. 04

comm: 500themes_ita, genere: angst, hey! say! jump: yamada ryosuke, genere: romantico, fanfiction: hey! say! jump, pairing: ariyama, genere: epic, hey! say! jump: arioka daiki, genere: erotico, comm: think_angst, tabella: 500themes, tabella: au, genere: au, rpf, warning: slash

Previous post Next post
Up