Titolo: Ima sugu ni wa chikazukenai (Ora come ora dobbiamo tenere le distanze) [TORN - Ohkura Tadayoshi&Ryo Nishikido-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Genere/Rating: Triste/PG
Wordcount: 2.055
fiumidiparoleWarning: slash
Note: la storia è scritta per la community
500themes_ita con il prompt 'Appello disperato'
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, non li conosco personalmente, nulla di quanto raccontato vuole avere fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
500themes Il cellulare vibrò ancora una volta sopra la scrivania e Yamada gli rivolse uno sguardo triste: non aveva bisogno di aprire il messaggio per sapere chi gli stava scrivendo e soprattutto per sapere quale fosse il suo contenuto. Lo ignorò, così come aveva ignorato in quell’ultima ora da quando era rientrato a casa tutti i precedenti messaggi di testo, quelli vocali nella segreteria e le chiamate che aveva lasciato restassero senza risposta. La sua forza di volontà stava venendo messa a dura prova: ma perché non capiva? Perché non si rassegnava e non lo lasciava in pace? Perché doveva rendere le cose ancora più difficili?
Il telefono tacque improvvisamente, ma quel silenzio non durò a lungo subito spezzato dal suono del telefono di casa, ancora più assordante, ancora più fastidioso e pressante.
Si spostò in cucina e staccò il filo, ma non ebbe la forza per spegnere anche il cellulare, paradossalmente non voleva farlo perché in qualche modo aveva bisogno di sentirlo suonare, in modo egoistico aveva bisogno di sentire che almeno lui non si era arreso, anche se faceva troppo male. Troppo.
All’ennesima chiamata non resistette più e rispose, non sapeva cosa dirgli, non sapeva cosa l’altro gli avrebbe detto, non sapeva se avrebbe o meno trovato la forza per parlargli, per restare fermo nelle sue decisioni anche dopo aver sentito la sua voce, eppure in modo nuovamente egoista sentiva di averne bisogno, perché voleva sentirlo, aveva bisogno della sua voce.
“Ryosuke” il tono di Daiki apparve quasi sorpreso, quasi stesse perdendo le speranze di sentirlo aprire la conversazione. “Ryosuke, dannazione!” si riprese subito. “Ti ho mandato un numero infinito di messaggi, ho provato a chiamarti al cellulare e a casa e non mi hai mai risposto!” riassunse, consapevole che l’altro lo sapesse fin troppo bene. “Ryosuke, cosa significa? Cosa significa tutto questo?” gli chiese abbassando la voce.
Yamada fece un profondo respiro prima di rispondere.
“È finita, Daiki” mormorò, ma senza convinzione alcuna nella voce.
Dall’altra parte ottenne solo silenzio in risposta, prima che di nuovo la sua voce gli accarezzasse l’orecchio.
“Sto venendo a casa tua!”
“No! Daiki, no, è finita ho detto. Non venire qui!”
“No che non è finita! E se anche lo fosse voglio che me lo dica in faccia, voglio che mi guardi negli occhi e mi dici che per noi non c’è un futuro, che mi dica perché hai preso questa decisione da solo. Penso di meritarmelo, almeno” gli rispose, certo che quelle parole lo avrebbero scosso, perché non riusciva a capacitarsi del fatto che Yamada lo stesse lasciando così all’improvviso. Non aveva avuto alcun segnale riguardo un possibile cambiamento di sentimenti da parte del più piccolo e quello che c’era tra loro non era certo qualcosa che finisce così, da un giorno all’altro.
“Non venire a casa mia, ti prego! Se ti presenti qui non ti apro, ti avverto!” gli disse con un tono che voleva sembrare perentorio, ma che a Daiki fece sorridere, perché le sue parole dicevano una cosa, ma mascheravano tutt’altro, la sua paura, la sua poca forza di volontà e Daiki proprio su questo aveva deciso di puntare; aveva capito che Ryosuke stava facendo di tutto per lasciarselo alle spalle pur senza volerlo fare realmente.
“Mi sta bene” gli rispose di contro Daiki. “Ma sappi che se tu non mi aprirai, passerò tutta la notte a urlare fuori dalla tua porta fino a che i vicini non saranno costretti a chiamare qualcuno. Sai che lo farei” gli disse, lasciando Yamada incapace di opporsi ancora. “Sto arrivando” gli disse, mettendo giù.
E non passarono che una manciata di minuti, prima che Daiki salisse al secondo piano della palazzina dove abitava il fidanzato, quella che era stata la sua casa fino a pochi mesi prima e che Yamada aveva deciso comunque di tenere, nonostante da diversi mesi avesse deciso di andare a convivere con il più grande nel suo appartamento. Daiki trovò la porta d’ingresso socchiusa, forse l’aveva visto arrivare, forse l’aveva aperta subito dopo aver chiuso con lui la chiamata, ma non era importante, importante era che lui potesse entrare e vederlo e parlargli.
“Ryo…” mormorò entrando nella camera da letto del padrone di casa.
“Ti avevo detto di non venire!” lo attaccò subito Yamada, dandogli le spalle, osservando ostinatamente fuori dal vetro della finestra.
Daiki sorrise, trovandolo quasi tenero e indifeso, con le braccia conserte che creava un muro sia fisico che mentale con lui, ma non si lasciò scoraggiare, non si tirò indietro, non ci aveva pensato neanche per un istante: mantenne una assoluta calma perché non era consigliabile perdere la testa, Daiki non sapeva perché Yamada si stesse comportando così, lo vedeva, lo sentiva che era combattuto e non voleva che lo escludesse totalmente dai propri pensieri.
Si avvicinò a lui e iniziò a parlare piano: “Quando mi sono svegliato le tue cose non c’erano più” affermò, cercando di scrutare l’espressione del suo viso, trovandolo che si mordeva un labbro e si stringeva le mani sulle braccia, ma Ryosuke non gli rispose.
“Sei proprio sicuro che sia finita? Non ci vuoi ripensare?” cercò di spronarlo Daiki, usando un tono leggero, chinando il capo per cercare di guardarlo e farsi guardare, ma Ryosuke non ne aveva intenzione.
“Non mi stai prendendo sul serio, Daiki. Ho detto che non voglio più stare con te!” affermò per l’ennesima volta voltando il viso verso di lui, ma sfuggendo ai suoi occhi.
“Come posso crederti se non ne sei convinto tu per primo?”
“Invece io lo sono. Ho portato via le mie cose da casa tua e sono tornato qui” gli disse, anche se quella sua tesi non era una spiegazione sufficiente per Daiki. “Non sto più bene con te ed è finita” ripeté, come se continuando a farlo, continuando a dirlo potesse riuscire a convincere se stesso.
Daiki lo guardò, lo prese per le spalle facendo in modo che si girasse verso di lui e lo strattonò: “Dannazione, Ryosuke, non dirmi balle! Abbiamo fatto l’amore non meno di due ore fa a casa nostra! Non ci credo che tu l’abbia fatto pur non provando niente per me!”
“E invece è così!” gli rispose d’impulso il più piccolo sollevando a sua volta la voce, incontrando finalmente i suoi occhi per la prima volta da quando era entrato in casa, e Daiki allora si ricompose, leggendo in quello sguardo e sorrise, calmandosi, prendendogli una mano, posando la propria sulla sua guancia sentendo Ryosuke sussultare: lasciò scivolare le dita dietro la nuca, tra i capelli, tendendosi verso le sue labbra.
“Bugiardo” soffiò su di esse, azzerando completamente la distanza, posandovi sopra le proprie, fregandole insieme in modo dolce, cercando di crearsi un piccolo spazio tra quelle socchiuse di Yamada, sentendo la sua forza di volontà cedere e poi schiuderle, baciandolo a sua volta, cercando le sue e allora Daiki approfondì quel bacio, lasciando che la propria lingua cercasse la gemella, a lungo.
“Non puoi davvero voler rinunciare a tutto questo” mormorò Daiki sorridendo, accarezzandogli nuovamente il volto.
“Perché devi essere sempre così testardo?” lo rimproverò Yamada con la voce che appena gli tremava e una lacrima sfuggiva al suo controllo.
“Perché ti amo, Ryo” gli rispose semplicemente, asciugandogli lo zigomo con il pollice. “E io senza di te non sono nessuno, non potrei vivere.”
“Non dire queste cose, ti prego” gli chiese il più piccolo, chiudendo gli occhi, stringendogli la maglietta.
“Ma è la verità, amore mio” gli disse Daiki, circondandogli le spalle con un braccio e attirandolo contro di sé, abbracciandolo, perché di questo Ryosuke aveva bisogno, ma il più piccolo non rimase a lungo in quel rifugio fatto apposta per lui, posandogli i pugni sul petto e allontanandolo da sé, scivolando via dal suo abbraccio.
“È finita, Daiki. Deve finire qui” gli ripeté ancora, nonostante ogni singola parola di quell’affermazione gli distruggesse il cuore.
“Non deve finire proprio niente! Dimmi almeno perché lo stai facendo? Dimmi cosa ti stai tenendo dentro e non vuoi dirmi. Io l’ho capito, Ryo. Ho capito che lo stai facendo perché non vuoi che io soffra o chissà quale altro pensiero hai fatto, ma sappi che non sta funzionando per niente, perché io non ti lascerò andare via così facilmente per cui farai meglio a parlare o…”
“Me ne devo andare, Daiki!” lo interruppe Yamada il quale non ce la faceva più a tenersi tutto dentro.
“Cosa? Dove?”
“Via…” disse il più piccolo. “L’ho saputo due giorni fa, io devo lasciare il Giappone, devo lasciare te e tutti voi.”
Daiki non capiva cosa l’altro stesse dicendo.
“Io non ti seguo” ammise, lasciando scivolare una mano dal suo viso alla spalla, al braccio, prendendogli le mani tra le sue, sentendo Yamada sospirare e incurvarsi nelle spalle. “Sediamoci” gli chiese con la voce che appena gli tremava, sedendosi sul materasso ai piedi del letto. “Ryo” lo chiamò.
Ryosuke lo guardò e si passò una mano sugli occhi, cercando di non piangere: aveva resistito fino a quel momento e a quel punto l’ultima cosa che doveva fare era lasciarsi travolgere dalle sue stesse emozioni.
“Vogliono che inizi a lavorare da solo, vogliono che lasci il gruppo e che vada a studiare all’estero sotto un’altra agenzia” iniziò a spiegare, torturandosi le dita, torturando anche quelle di Daiki, gliele stringeva, le intrecciava con le sue e premeva il palmo della propria mano sul suo dorso, imprimendosi bene sull propria pelle il calore di quel tocco.
“Ancora non mi hanno detto tutti i dettagli, ma ormai la decisione è stata presa. Mi è stato detto di non dire niente, ma io non potevo tenertelo nascosto, non sarei stato in grado di fingere così a lungo. Così ho deciso di iniziare a staccarmi da te…”
“Ryo” lo chiamò Daiki, stringendogli a sua volta la mano. “Ryo, sei stato uno scemo a non parlarmene, perché ti sei tenuto dentro tutto quanto? Come hai fatto?” gli chiese, ricordando i sorrisi che aveva rivolto a tutti loro in quei due giorni, come aveva potuto fingere così bene che tutto fosse normale? E lui come aveva fatto a non accorgersene, lui che avrebbe dovuto conoscerlo meglio di chiunque altro e capire subito che ci fosse qualcosa che non andasse.
“Non è colpa tua, Daiki” gli disse Yamada scrutando nei suoi pensieri.
Daiki lo guardò e si sedette più vicino a lui, prendendogli meglio le mani nelle sue.
“Noi non siamo così deboli, Ryo, non importa se saremo lontani, troveremo il modo di vederci e stare insieme, non può davvero finire così!”
“E come, Daiki?” gli disse Yamada, lasciandosi andare a uno sbuffo sarcastico. “Lo sai come vanno queste cose? Dove troveremo il tempo? Anche così… guardaci? Lavoriamo insieme, ma non riusciamo mai a vederci, anche vivendo insieme ci vediamo solo la sera e dobbiamo continuamente nasconderci anche quando abbiamo del tempo libero” riassunse. “Come pensi che potremo fare quando saremo ai due lati opposti del mondo?” lo mise di fronte a quella realtà, ma Daiki non la voleva accettare, sapeva che aveva ragione, sapeva anche lui come fosse la loro vita, ma non si voleva arrendere perché l’importante era che loro fossero insieme, quando la sera tornava a casa Daiki sapeva che non sarebbe stato solo che ci sarebbe stato Ryosuke con lui a condividere la stanchezza della giornata passata e il suo sorriso, la sua sola presenza rendeva Daiki felice, per questo non voleva che tutto finisse in quel modo.
“Ripensaci, ti prego! Possiamo superare qualsiasi cosa, insieme, Ryo. Io lo so!” lo supplicò in un ultimo, disperato, appello, posandogli la mano sulla guancia per fare in modo che lo guardasse e gli parlasse, ma ricevendo in risposta solo silenzio. “Per te è davvero meglio se non ci sentiamo più?” si arrese infine. “Non vuoi neanche provare?” gli domandò.
‘No, sarebbe troppo doloroso’ Yamada lo pensò soltanto, limitandosi a scuotere la testa, perché non sapeva se avrebbe trovato ancora la forza di negare.
“Pensi che lasciarci e non vederci più sia la cosa migliore? Riusciresti a essere felice?” domandò ancora Daiki.
‘No. No, perché senza di te la mia vita non è niente’ questo avrebbe voluto dirgli, invece, pur senza sapere neanche lui da dove trovò la forza per sollevare lo sguardo e guardarlo negli occhi, rispose: “Sì, penso che sia la cosa migliore per entrambi” parlò con tono fermo, mentre il proprio cuore si spezzava a ogni parola e allora Daiki non poté fare altro che annuire, lasciandogli andare le mani, soddisfacendo il suo desiderio.
“Allora così sia.”