*Part 01* “Aaaah!” Kei si alzò di scatto dal letto, rivoltando le coperte. “Sono in ritardo!” esclamò, correndo al bagno e fiondandosi dentro, senza neanche bussare.
“Kei!” lo rimproverò Hikaru. “Che fai? Esci!”
“Scusami, Hikka!” disse, rivolto al più piccolo che, davanti allo specchio, si faceva la barba, spogliandosi completamente, lasciando a terra il pigiama e infilandosi dentro la doccia.
“Mi dispiace, ma non ho sentito la sveglia, ho l’esame oggi e” tacque un istante e Hikaru lo sentì lavarsi il viso e fare dei gargarismi. “Aaah, dannazione! È tutta colpa di Kota. Ma se lo prendo!” iniziò a sproloquiare da solo.
“Oddio!” urlò poi.
“Che c’è?” si preoccupò Hikaru, fermando la mano con la quale si stava radendo. “Che hai?”
“Cos’è questo?” chiese, anche se Hikaru non lo poteva vedere. Dal riflesso dello specchio, vide la sagoma sbiadita del corpo di Kei oltre il vetro trasparente della doccia, compiere una torsione con il busto. “Ma dico io come cavolo ha fatto… aaah, questa me la paga, me la paga sul serio. Avevo detto niente segni!” si lamentò, chiudendo poi l’acqua e aprendo l’anta, allungando una mano verso l’asciugamano.
Hikaru lo osservò perplesso attraverso lo specchio, incrociando poi il suo sguardo implorante.
“Me lo passi, per favore?”
Hikaru sollevò gli occhi al cielo, togliendosi alla bene e meglio un po’ di schiuma bianca dal viso, prendendo il telo di Kei e tendendoglielo, cercando di non guardarlo.
“Grazie!” esclamò l’altro riconoscente, asciugandosi i piedi prima di mettersi le pantofole, legandosi la tovaglietta attorno ai fianchi.
“Grazie mille, Hikka!” continuò Kei, avvicinandosi a lui, poggiandogli una mano sulla spalla, tendendosi a dargli un bacio sulla guancia come segno di ringraziamento.
“Mh, che buon profumo questa spuma, la prossima volta me la presti!” commentò Kei e Hikaru lo fermò veloce per un braccio prima che si allontanasse.
Il più grande lo guardò confuso, prima di chiudere gli occhi quando la mano di Hikaru si posò sul suo naso a levargli la schiuma bianca.
“Vai, muoviti. In bocca al lupo!” disse Hikaru, lasciandolo andare e Kei sorrise, correndo in camera a cambiarsi.
“Buongiorno, Yuuyan!” salutò Kei, incontrando Yuya nel corridoio, diretto al bagno.
Takaki fece per entrare, notando però Hikaru.
“Esco subito, Kei ha fatto irruzione perché era in ritardo e ha fatto tardare anche me. Ma ho fatto, te lo lascio libero!” spiegò Hikaru, finendo di sciacquarsi il viso, asciugandosi poi, cedendo il posto a Yuya che era ancora mezzo addormentato e mezzo perplesso per tutta quella confusione mattutina.
Quando Kei uscì dalla facoltà, sulla strada di casa trovò Yabu che gli andava incontro e, quando Inoo lo vide, corse verso di lui, saltandogli al collo, allacciandogli le gambe attorno alla vita, prima di tornare a posare i piedi per terra e baciarlo con trasporto.
“Kei!” si stupì Yabu.
“Ho preso trenta!” esclamò felicissimo Kei. “Non ci credo, ero convinto di non passarlo, mi sono anche svegliato tardi stamani, per colpa di qualcuno e… trenta, Ko!” ripeté, stringendogli le braccia al collo, baciandolo ancora. “Sono felice!” continuò.
Yabu rise.
“Lo vedo, Kei-chan, sono contento anche io. Ieri eri piuttosto nervoso, per questo credevo avessi bisogno del mio sostegno. Anzi, sai che ti dico? Credo proprio che potremo fare diventare questi nostri incontri pre-esame una specie di rito di buon auspicio” mormorò al suo orecchio, prendendogli una mano e camminando per tornare a casa.
“Oh, sì, perché no? Se mi porta così bene e poi non dobbiamo dimenticarci di festeggiare. Mi piace festeggiare con te” disse suadente, facendogli passare l’indice sul dorso della mano.
Yabu lo guardò, avvicinando la testa a quella del più piccolo, parlando piano.
“Devo darti un premio per essere stato così bravo.”
“Oh, sì, mi piace” continuò Kei, con lo stesso tono, sentendo già l’eccitazione e l’aspettativa salire.
“Ti farò gridare, lo sai, vero?”
Kei lo guardò con occhi luminosi, fissandogli le labbra, passandosi la lingua sulla bocca.
“Dovrò trattenermi come al solito, ti ricordo che non siamo soli in casa” precisò con disappunto.
Yabu sorrise maliziosamente, cingendogli un fianco con un braccio, facendogli poggiare le spalle contro il portone, baciandolo piano.
“Devo darti una notizia, per questo sono venuto a prenderti! Oggi Yuuyan non torna a casa, è andato dalla madre per il fine settimana e Hikaru è stato preso in prova nel combini dove lavoro, tornerà tardi. Quindi, per qualche ora, abbiamo la casa solo per noi” mormorò impaziente Yabu, spingendo il bacino contro quello di Kei in modo allusivo.
Il più piccolo gli infilò una mano tra i capelli, attirandolo a sé per baciarlo, mordendogli le labbra.
“Cosa ci facciamo ancora qui, allora?” sussurrò con malizia.
*
La cosa che in quel momento un po’ lo tirava su di morale era il fatto che in casa sapeva che non ci sarebbe stato nessuno; e questo voleva dire niente sorrisi forzati, nessuna spiegazione da dare, nessun obbligo a socializzare. Si trovava bene in quella nuova casa, aveva ritrovato un vecchio amico, qualcuno che come lui sapesse la realtà dalla quale era arrivato, qualcuno che lo conoscesse e che non aveva bisogno di grandi spiegazioni ai suoi silenzi o ai suoi sguardi. E aveva trovato anche due nuovi amici, due splendide persone che l’avevano accolto nella loro casa e nella loro vita con simpatia.
Kei era decisamente un tipo particolare, lo affascinava in un certo qual modo, erano così diversi: Hikaru invidiava il modo che aveva Kei di portare avanti la sua vita, come se non vi fosse alcun tipo di problema a preoccuparlo, aveva dei bei voti, era bello e aveva un fidanzato che lo amava, se non l’avesse conosciuto di persona, sarebbe stata una di quelle persone che sei portato a odiare a prescindere, senza neanche averci mai scambiato due parole.
Yuya era gentile, un ragazzo in gamba, molto assennato e sempre disponibile. Hikaru si trovava bene con lui, parlavano molto, spesso, quando Yabu e Kei si chiudevano in camera a fare i fidanzatini, Yuya ospitava Hikaru nella sua stanza e insieme giocavano a carte sul letto del più grande o navigavano su internet alla ricerca di immagini o video divertenti.
Qualche volta avevano anche studiato insieme, in cucina, quando si erano ritrovati da soli, semplicemente tenendosi compagnia.
Si trovava bene a vivere con Yabu, Yuya e Kei. Anche se lui era l’ultimo arrivato, aveva trovato il suo posto in quella piccola famiglia e non poteva essere più felice di così; solo che, per carattere, a volte Hikaru tendeva a isolarsi, specie se le cose non andavano secondo il percorso che lui aveva deciso che avrebbe dovuto seguire, come quel giorno.
Quando si era seduto davanti al professore per sostenere l’esame, tutte le nozioni che aveva studiato si erano ingarbugliate, mescolate e poi erano sparite dalla sua mente. Ci aveva provato, ma fallendo le prime due domande si era tanto scoraggiato che non era riuscito a proseguire, aveva iniziato a balbettare ed era entrato nel panico, costretto poi a ritirarsi e alzarsi dalla sedia.
Si sentiva uno schifo.
Lui ci aveva provato, ma non era riuscito, forse era stata colpa del trasloco, dei giorni persi a cercare una nuova casa, del nuovo lavoro che aveva dovuto mettere al primo posto, togliendo ore allo studio. Di notte ci provava a rimettersi in pari, ma era talmente stanco che crollava sui libri e si risvegliava la mattina dopo senza rendersi conto neanche di dove si trovasse.
Aveva bisogno di tempo per riprendersi, per convincersi che, anche volendo, non sarebbe riuscito a fare di più, che si era impegnato ma aveva fallito.
Mise la chiave nella toppa e aprì, richiudendosela alle spalle e sentendo uno strano rumore in sottofondo.
Sbuffò, stizzito, accorgendosi che non era da solo, eppure Yabu doveva essere a lavoro già da un pezzo, Kei aveva detto che sarebbe andato in biblioteca a studiare e anche Yuya era fuori con il proprio gruppo di studio e aveva avvisato che non sarebbe rientrato prima dell’indomani per sfruttare al meglio il tempo a loro disposizione per quel difficilissimo esame che doveva sostenere.
Cercò di fare piano, se chiunque fosse in camera aveva la musica talmente alta che magari non l’avrebbe sentito e lui si sarebbe potuto rilassare; per andare nella propria stanza, però, doveva obbligatoriamente passare davanti a quella di Kei che il ragazzo aveva tenuto aperta. Decise di fingere di ignorarla, ma non poté fare a meno di restare fermo a fissare dentro quando si accorse con la cosa dell’occhio di quello che stava succedendo all’interno: la radio stava trasmettendo una di quelle musiche moderne che il popolo della notte ascolta in discoteca e Kei, in piedi sul letto, vestito solo con un paio di boxer grigi, i capelli leggermente umidi e un asciugamano attorno alle spalle, stava ballando, incurante di tutto.
A Hikaru scappò un sorriso, non poteva davvero credere ai propri occhi: il più piccolo sembrava abbastanza lanciato e molto preso dalla musica fino a che questa non sfumò e la voce della dj annunciò la pubblicità. Con un balzo, allora, Kei si avvicinò alla radio per cambiare stazione, trovando un canale di musica latino-americana che lo entusiasmò immediatamente, perché il più grande riprese a ballare attorno al letto, usando l’asciugamano come accessorio, facendolo muovere per aria, passandoselo sulle spalle e la schiena in modo provocante. Inoo muoveva i fianchi in modo sensuale, chinandosi sulle ginocchia, fino ad arrivare quasi a terra e risollevandosi in modo lento, arcuando la schiena e stirando le braccia. Teneva gli occhi socchiusi, la bocca leggermente aperta e la lingua che di tanto in tanto faceva capolino; chinava il volto di lato, muovendo ancora i fianchi e le spalle, accarezzandosi distrattamente con quelle sue belle mani.
Hikaru ne rimase affascinato, lo osservava muoversi in quel modo così sensuale ed erotico, avrebbe detto senza alcun dubbio. Era così diverso dal ragazzo con cui aveva a che fare ogni giorno, non aveva più quell’aria svagata e un po’ sciocca che l’aveva sempre caratterizzato: era bello Kei, era bello e altamente desiderabile.
Hikaru lo vide muoversi, sempre seguendo lo stesso ritmo lento e voltarsi, accorgendosi di lui.
“Hikka!” si spaventò e Hikaru vide le sue gote arrossarsi pericolosamente. “Che ci fai qui?” gli chiese, avvicinandosi alla porta; non aspettava nessuno e la sua sorpresa era palese.
Il più piccolo sorrise appena.
“Mi spiace non volevo spaventarti, né spiarti” mise in chiaro.
“No, no, non è per quello non mi hai… ecco… credevo di essere solo, mi… mi rilassavo un po’ e… non lo dirai a Kota, vero?” gli chiese, imbarazzato.
Hikaru sorrise.
“Certo che no! Anzi, sai cosa?” disse. “Ti lascio tranquillo, tu continua pure a rilassarti” lo citò. “Io vado in camera.”
Fece per allontanarsi, ma Kei lo prese per un gomito.
“Aspetta! Hikka, che hai?” chiese, vedendo l’espressione triste che l’altro non era riuscito a mascherare bene.
“Ah… niente, è che…” iniziò, non aveva voglia di parlarne, ma Kei lo precedette.
“Uh, vero! L’esame?” chiese e quando Hikaru scosse il capo mesto, anche Kei si incupì un po’.
“Mi spiace, Hikka!” cercò di tirarlo su. “Non devi abbatterti! Hai avuto tanto da fare, non sei stato abbastanza concentrato, ti rifarai la prossima volta!” cercò di tirarlo su.
Hikaru sorrise, sentendosi poi tirare dentro la camera, Kei abbassò appena il volume, ma senza spegnerlo, lasciando un leggero sottofondo.
“Vieni, balliamo!” lo spronò, levandogli la borsa a tracolla e lasciandola sull’uscio.
“Kei, non so se…” cercò di protestare.
“Dai, dai! Vedrai che ti rilassi!” lo incentivò ancora, prendendogli le mani e incalzandolo a muoversi, muovendogli le braccia, ridendo, cercando di far ridere anche Hikaru, vedendo un piccolo sorriso comparire sul suo volto; allora lo prese per i fianchi, ondeggiando insieme, facendogli fare un passo indietro, avanzando a sua volta e portando indietro un piede, vedendo che Hikaru lo assecondava.
“Bravissimo!” annuì, soddisfatto, lasciandolo andare e ballando vicino a lui, girandogli attorno, prendendo l’asciugamano, passandoglielo dietro il collo, avvicinandolo a sé, ridendo, vedendo che Hikaru si lasciava andare, prima che il più piccolo glielo rubasse, per coprirgli il capo e strofinargli i capelli, scompigliandoglieli.
Kei rise, sollevando le braccia e lanciando via la spugna; mise le mani sulle spalle di Hikaru, passandogli dietro e accarezzandogli la schiena, mentre tornava davanti a lui e la musica cambiava lentamente; le note si fecero più basse, soffuse, a loro volta sensuali, il suono del basso primeggiava tra gli altri strumenti e Kei iniziò a muoversi piano, di nuovo riprese a ondeggiare lentamente con i fianchi, posò le mani attorno alla vita di Hikaru, guidando anche lui nei movimenti, adeguandoli ai suoi, i bacini a stretto contatto.
Hikaru a sua volta posò le mani sotto le braccia di Kei, sul torace, scivolando dietro la schiena, intrecciando le mani tra di loro, attirando il corpo di Inoo contro il proprio.
Kei mosse le mani, infilando le dita oltre la maglia, sollevandone il bordo, arrotolandolo verso l’alto, lasciando che i palmi sfiorassero il petto di Hikaru, levandogliela completamente.
Yaotome sollevò le braccia, riportandole a stringere il corpo di Kei, dopo che anche le sue mani si furono posate di nuovo su di lui. Si guardarono negli occhi, continuando a muoversi lentamente, Hikaru posò completamente i palmi sulla schiena di Kei, lasciandoli scivolare in basso, sentendo il corpo dell’altro rabbrividire e guardarlo in modo ancora più penetrante.
E d’un tratto fu come se nella stanza non esistessero altro che loro, il calore dei loro corpi, i loro respiri leggermente più veloci, il colore dei loro occhi e il tocco morbido delle labbra di Hikaru su quelle di Kei e quelle di Kei sulle labbra di Hikaru.
Inoo chiuse gli occhi, schiudendo la bocca, assaporando piano quel contatto, si allontanarono solo per un brevissimo istante, confusi, prima di tornare a gettarsi l’uno verso l’altro.
Hikaru spinse Kei a indietreggiare, facendogli sbattere le spalle contro il muro, chiudendogli le mani a coppa sul viso, depredandogli la bocca, infilando prepotentemente la lingua, senza trovare comunque la minima resistenza da parte del più grande che, anzi, aveva sollevato le braccia, circondandogli il collo e infilandogli le dita tra i capelli.
Hikaru si spostò con le labbra sulla guancia e sulla mascella di Kei, alla ricerca di fiato, sentendo l’altro sospirare; gli lasciò scivolare le mani sulla schiena, sul sedere e Kei, con un piccolo balzo, gli avvolse le gambe attorno alla vita, rubandogli di nuovo le labbra, mordendole, succhiandole. Hikaru fece un passo indietro, verso il letto, dove lasciò cadere Kei che lo attirò a sé; Yaotome mise un ginocchio sul letto, tra le gambe di Kei, che ne piegò una, sentendo la mano di Hikaru accarezzarla lento, dal ginocchio alla coscia, mentre scendeva a baciargli il collo e il torace. Risalì sulle clavicole, con le labbra e con la lingua, facendo gemere Inoo ancora di più quando scese verso la pancia; le mani di Kei tra i capelli e la sua voce ansimante e roca chiamarlo.
“Hikaru!” gemette e nel sentire il proprio nome dalla bocca di Kei, il più piccolo si risvegliò da quell’incantesimo che sembrava averlo colpito.
Si sollevò di scatto, puntando le braccia sul materasso, ai lati della testa di Kei, osservandolo: il più grande aveva le guance rosse, le labbra gonfie e incredibilmente invitanti e sul suo corpo i segni dei suoi baci. Si alzò dal letto, spaventato da se stesso e si tirò indietro, raccolse la maglia e la borsa, chiudendosi in camera.
Kei, dal canto suo, non si mosse, rimase steso sul letto, immobile, l’unica cosa che fece fu muovere lentamente le braccia, guardarsi le mani che tremavano e portarsele sul viso.
*
“Kei, sono a casa!”
Yabu si annunciò, entrando nell’appartamento e affacciandosi in cucina, trovando Kei che gli dava le spalle e cucinava; quando l’altro non gli rispose, Yabu si avvicinò, posandogli le mani sui fianchi e il mento sulla spalla.
“Kei-chan?” mormorò, baciandolo sotto l’orecchio e sentendo il più giovane sussultare.
“Ko!” disse, voltandosi.
“Ehi, stai bene?” mormorò Yabu, guardandolo con apprensione, prendendogli il mento con una mano, attirandolo a sé.
Kei si sforzò di sorridere.
“Sì, sì, scusami, è che mi sono messo a preparare la cena e la cipolla mi ha infastidito un po’” spiegò, mostrando all’altro gli scarti.
Yabu sorrise, stringendolo in un abbraccio.
“Faccio io?” si propose.
“Non ti preoccupare, vai pure a cambiarti, tra pochi minuti sarà pronto, hai il tempo di farti la doccia se vuoi” gli disse, sorridendo con più convinzione.
“Sei solo?” domandò il più grande, allontanandosi.
“Yuuyan starà fuori stanotte, è con il suo gruppo di studio. Hikaru dovrebbe essere in camera, non ci siamo ancora incontrati” mentì e Yabu non gli chiese altro.
Quando finì poi di lavarsi, Yabu si accostò alla stanza di Hikaru, vedendo la luce da sotto la porta: bussò e Hikaru gli andò ad aprire.
“Kota” mormorò sorpreso.
Il più grande indossava una canotta e un paio di pantaloni del pigiama di colore celeste, l’asciugamano attorno al collo.
“Hikka, è quasi pronta la cena” gli disse, sorridendo.
“Ah… pensavo di non mangiare, oggi non mi sento tanto bene. Ho fallito l’esame e non sono molto dell’umore per stare in compagnia” spiegò, ma Yabu lo spronò a reagire.
“Ma Hikka, non puoi digiunare! Devi mangiare qualcosa. Kei ha preparato la cena anche per te, ti tirerà su di morale ne sono sicuro!” disse entusiasta e Hikaru si morse a disagio un labbro: non sapeva cosa dovesse fare, si sentiva colpevole, triste e svuotato di ogni cosa.
Come poteva cenare insieme a loro? Non c’era neanche Yuya quella sera e non aveva alcuna voglia di fingere. Non poteva guardare Kei negli occhi, non poteva guardare negli occhi Yabu. Non aveva fame, ma cosa doveva fare? Non voleva neanche destare sospetti, per cui annuì.
“Va bene, ma mi voglio ritirare presto, stasera, sono stanco” disse, spegnendo la luce e chiudendosi la porta della camera alle spalle.
E come si era aspettato, l’atmosfera in cucina era stata insostenibile, non riusciva a rivolgersi a Kei, non gli aveva detto una parola da quando si erano messi a tavola, aveva mangiato con nessuna voglia ed era stato di poca compagnia; d’altro canto, Kei si stava sforzando per entrambi di rallegrare l’atmosfera, di far sembrare che tutto fosse normale e dovette fare un buon lavoro, perché quando Hikaru si alzò da tavolo, rassettando le proprie scodelle, scusandosi se non stava ancora con loro, nessuno fece domande.
Yabu si alzò a sua volta, sparecchiando e lavando i piatti, poiché era il suo turno, vedendo Kei aiutarlo, asciugando le ciotole e le bacchette, sistemandole nella credenza.
“Grazie, Kei-chan!” sorrise Yabu, baciandolo sulle labbra, facendo per scostarsi, ma sentendo Kei aggrapparsi a lui, trattenendolo.
Chiuse gli occhi, stringendo il corpo del fidanzato, baciandolo con trasporto e con urgenza.
Kei si tese con le gambe e Yabu capì le sue intenzioni, lo prese per la vita, sollevandolo e facendosi avvolgere le gambe del più piccolo attorno ai fianchi, facendolo sedere sulla credenza della cucina. Gli passò le mani sulle cosce e il ginocchio, sentendolo sospirare e stringergli le spalle.
“Kota” lo chiamò il più piccolo, spostando la bocca sul suo orecchio, mordendo il lobo. “Andiamo a letto?” chiese.
“Kei sei sicuro di stare bene?” indagò Yabu, ancora dubbioso.
Kei si scostò da lui per guardarlo in viso.
“È tutta la sera che aspetto il tuo ritorno, Ko. Non immagini la voglia che ho di te, mi sono trattenuto anche troppo” mentì.
“È successo qualcosa, allora!” esclamò guardando il fidanzato. Kei era sempre stato un tipo passionale, Yabu lo sapeva bene, ma nei suoi gesti, nel modo in cui lo toccava e lo accarezzava c’era un’urgenza quasi ansiosa.
“Sì” mormorò Kei, scivolando con la lingua lungo la mascella e con le mani tra le gambe del più grande, accarezzandolo sensualmente. “È successo che quando mi sono fatto la doccia stasera, ho usato per sbaglio il tuo doccia schiuma e tu sai che effetto mi fa quel profumo. Sai come e quanto mi piace quando mi prendi sotto la doccia” sussurrò, sentendo il corpo di Yabu reagire finalmente alle sue carezze e alle sue parole.
“Adesso è tutto chiaro, Kei” mormorò Yabu di rimando, sorridendo malizioso, facendo tornare l’altro con i piedi per terra e prendendogli la mano, trascinandolo nella sua stanza.
Quando stava per aprirla, però, Kei lo interruppe: non voleva andare in quella camera, aveva paura a tornare là dentro anche se sapeva che sarebbe stata la scelta migliore: se avesse fatto sesso con Kota in quel letto avrebbe cancellato il ricordo di quello che quel pomeriggio era accaduto con Hikaru, ma allora anche l’odore della pelle del più grande sarebbe scomparso da quelle lenzuola e Kei non voleva che accadesse.
“Andiamo da te” gli disse, passando dall’altra parte del corridoio, entrando nella stanza del fidanzato. Yabu chiuse la porta e vi sbatté contro il corpo di Kei, il quale mugolò impaziente. Gli infilò le mani nei capelli, attirando a sé il suo viso, catturandogli le labbra, divorandogliele, depredandogli la bocca con urgenza. Non era la prima volta che Kei si lasciava andare in quel modo, non aveva mai fatto mistero di quali fossero i suoi desideri sessuali più nascosti e Yabu li aveva scoperti tutti uno a uno.
Kei ribaltò le posizioni, mandando Yabu contro la parete e si chinò su di lui, gli abbassò velocemente i pantaloni e i boxer e gli prese in bocca l’erezione, iniziando da subito a muoversi impaziente su di lui, la lingua che scivolava sulla pelle tesa e calda, le labbra che frizionavano e le mani che aiutavano quella stimolazione, costringendo Yabu a venirgli in gola.
Kei si lasciò andare a terra, sulle ginocchia, passandosi lascivamente la lingua sulle labbra, osservando Yabu che riprendeva fiato. Si alzò di nuovo in piedi, baciando il fidanzato, accarezzandogli le spalle, levandogli la maglia e, nel compiere quel movimento, un’altra immagine vi si sovrappose: rivide il volto di Hikaru, rivide il suo corpo, i suoi occhi e risentì il sapore delle sue labbra.
Strinse gli occhi, tuffandosi sulla bocca di Yabu, spingendo fuori la lingua cercando quella del proprio ragazzo, riscoprendo il suo di sapore, per sostituirlo, per cancellare quello di Hikaru.
Yabu afferrò la maglia del pigiama di Kei, togliendogliela, prendendo a baciargli il collo, lasciandogli dei segni rossi, sentendo Kei gemere e ansimare forte il suo nome. Il più piccolo sollevò prima una poi l’altra gamba, scalciando via i pantaloni, fermandosi a guardarsi. Kei sorrise, attirando a sé il corpo di Yabu, il quale si fermò solo un istante per osservarlo, lo prese per un braccio, facendolo voltare e costringendolo a chinarsi in avanti sopra la scrivania. Kei gemette per l’irruenza di quel movimento, mugolando di piacere e aspettativa quando con le mani Yabu gli scostò le natiche e percorse con la lingua il solco tra esse in un movimento dal basso verso l’alto, esasperatamente lento.
“Kota… Kota…”
Kei lo chiamava, impaziente, piegando le ginocchia e stringendo le mani alle gambe della scrivania, cercando di trattenersi dal gridare, anche se, in quel momento, urlare tutta la rabbia che provava verso se stesso e urlare tutta la sua eccitazione, azzerando le voci nel suo cervello, era tutto quello che avrebbe voluto fare.
Kota continuò a torturarlo in quel modo, giocando con la lingua nella sua apertura, infilando un primo dito, allargandolo per fare poi spazio a un secondo e a un terzo, fino a che Inoo, con un gemito più forte, le lacrime agli occhi per l’aspettativa non lo implorò, chiamandolo.
Yabu sorrise, sfilò le dita da lui, sollevandosi in piedi e affondando il suo sesso con urgenza nel calore di Kei.
Il più piccolo urlò, dimentico di ogni cosa, stringendo gli occhi, sentendo Yabu iniziare a spingere a ritmo serrato dentro di lui, sfilarsi quasi completamente e farlo suo di nuovo. La mano di Kota era corsa tra le gambe del più piccolo, sul suo sesso, iniziando a masturbarlo con forza, mentre continuava a entrare e uscire da lui, spingendosi sempre più a fondo, fino a che non lo sentì irrigidirsi e venire nella sua stretta. Yabu continuò a spingere, prima di uscire, prenderlo per le spalle e farlo voltare; Kei scivolò sulla schiena, aprendo le gambe: una Yabu se la portò sulla spalla, l’altra attorno al fianco, penetrandolo di nuovo in modo deciso. Si mosse dentro di lui, spingendo, inarcando la schiena e gemendo il nome del fidanzato quando raggiunse l’orgasmo.
Lasciò andare le gambe di Kei, facendosi cingere il collo con le braccia, per aiutarlo a raggiungere il letto, dove si stesero insieme.
Kei si raggomitolò su un fianco, nascondendo il volto contro il collo del più grande; aveva voglia di piangere, ma non poteva farlo, non riusciva, nonostante tutto, a mandare via quella sensazione di pesantezza e colpa che aveva nel cuore. Fare sesso con Yabu non gli aveva alleggerito la coscienza, non era servito a fargli dimenticare il proprio tradimento, anzi, se possibile, quel suo modo sconsiderato di voler aggiustare le cose, se mai fosse stato possibile, le aveva incasinate ancora di più.
Abbracciò Yabu con le braccia e con le gambe, perché nonostante tutto aveva bisogno di lui in quel momento, del suo corpo caldo stretto al proprio, del battito lento del suo cuore che lo tranquillizzava, della sua mano che dai capelli scivolava verso la schiena e dell’altra che stringeva la sua.
“Ti amo, Ko” confessò e non sapeva neanche lui perché l’avesse fatto, dato che quelle parole erano ormai vuote e non sapevano di niente, utili solo a sporcare di più quello che lo univa al fidanzato.
“Kei-chan” sentì Yabu sussurrare e spostare il viso per guardarlo, ma Inoo non si mosse. Sentì le labbra del più grande posarsi sulla fronte e sorridere teneramente. “Sei la persona più importante per me e volevo dirti che ti amo.”
E, dopo quello, non riuscì da trattenere una lacrima.
*
Hikaru si svegliò molto presto quella mattina. Anche se svegliarsi non era esattamente il verbo giusto da usare, contando che non aveva dormito affatto la notte passata.
Non riusciva a smettere di pensare a quello che era successo il pomeriggio precedente con Kei, perché era accaduto? Ciò che lo tormentava maggiormente, infatti, era non riuscire a dare una risposta a quella domanda.
Fino a quel momento non aveva mai visto Kei sotto quel punto di vista, gli piaceva, come amico, lo divertiva vederlo aggirarsi per casa con quell’espressione sempre un po’ persa, ma soprattutto, viveva con lui e Yabu ogni giorno, vedeva come si guardavano, toccava ogni volta con mano la profondità di quel loro legame che lui era riuscito a sporcare nel giro di pochi istanti. Cosa doveva fare? Non lo sapeva neanche lui.
Come mai il suo cervello avesse smesso di pensare quel pomeriggio non riusciva a capirlo. Non si capiva e quella domanda continuava a rimbombare sempre più forte.
Era scappato dalla cena, scappato da Kei e da Yabu richiudendosi nella propria stanza.
I rumori della cucina, ormai così familiari, erano come un pugno in pieno stomaco e facevano male, perché Hikaru si sentiva come un ospite sgradito, aveva finito per ricoprire un ruolo scomodo, ruolo che si era cucito addosso lui stesso con le proprie azioni.
E Kei perché si era comportato in quel modo? Perché aveva reagito alle sue carezze? Perché si era lasciato baciare e l’aveva baciato a sua volta. Hikaru aveva sentito le sue mani sul proprio corpo, la morbidezza delle sue labbra, quegli occhi di fuoco che l’avevano incatenato. Non si capiva, non capiva più niente.
Aveva solo voglia di dormire e svegliarsi l’indomani mattina, sperando che fosse tutto un brutto sogno, cosa che non era stata.
E, come se non fosse bastato, li aveva sentiti, quella notte aveva sentito Yabu e Kei fare sesso nella stanza del più grande; aveva sentito i suoni attutiti, le grida mal trattenute di Kei, i suoi gemiti, la sua voce che ansimante e goduriosa chiamava il nome del fidanzato. E aveva un suono così eccitante, la sua voce preda del piacere era così sensuale che Hikaru non aveva potuto fare a meno di ripensare al modo in cui aveva chiamato il suo di nome.
Era stato quello a fermarlo, sentire la voce di Kei spezzare quel silenzio carico di tensione sessuale e Hikaru non si capacitava neanche di come lui per primo fosse riuscito a fermarsi.
Tese le orecchie, sentendo la porta della stanza di Yabu aprirsi e poi un breve bisbigliare; guardò l’orologio, erano le sette e dieci del mattino. Attese che tutto tacesse di nuovo per alzarsi, andò in bagno, sciacquandosi il volto, osservandosi allo specchio, notando come il suo viso fosse decisamente troppo pallido. Aprì l’acqua della doccia, infilandosi sotto il getto ancora freddo, aspettando che si scaldasse pian piano e sospirò leggermente. Con la testa china, sentiva l’acqua scorrere tra i capelli, sulle guance come fossero lacrime artificiali, giacché non si era concesso di sfogarsi in alcun modo.
Si crogiolò sotto il getto per alcuni minuti, prima di chiudere la manopola, prendere l’accappatoio e posare i piedi sul tappeto; senza più guardarsi allo specchio, tirò sulla testa il cappuccio, frizionando i capelli, tornando nella propria camera.
“Buongiorno, Hikaru!” lo salutò Yabu, uscito in quel momento dalla sua camera, ancora in pigiama.
“Buongiorno, Kota…” mormorò di rimando, sforzandosi di sorridere, non era il caso continuare a portare in volto quella maschera funerea; fallire un esame non era poi così grave e Yabu lo conosceva da fin troppo tempo per non accorgersi, a lungo andare, che la sua fosse solo una scusa e non voleva che andasse a indagare più a fondo e si preoccupasse.
“Stai meglio?” si sentì chiedere infatti e Hikaru sorrise con più convinzione, ridendo appena.
“Massì, massì, già passato, lo sai come sono fatto, mi basta una bella dormita poi e sono pronto a ricominciare. Devo solo organizzarmi meglio con i tempi. La prossima volta prenderò il massimo” assicurò e vide Yabu sorridere.
“Così ti voglio!” gli disse, dandogli una pacca sulla spalla e superandolo per andare al bagno. “Facciamo colazione insieme?” chiese, prima di chiudersi la porta dopo che Hikaru annuì.
“Inizio a fare il caffè!” si offrì, sparendo un momento in camera per vestirsi e spostandosi in cucina.
Qui trovò Kei che sistemava le tazze per la colazione e, come lo vide, restò un attimo intimidito; l’altro, che gli dava le spalle, non l’aveva visto e Hikaru, in una frazione di secondo, prese la sua decisione: non poteva continuare a evitare l’altro, sarebbe stato impossibile dal momento che vivevano nella stessa casa e con altre persone e dal loro comportamento sarebbero potute nascere delle incomprensioni; non era il caso che parlassero dell’incidente, perché non c’era nulla da dire, nulla da spiegare, non voleva complicare le cose ancora di più; prese quindi un bel respiro ed entrò in cucina.
“Buongiorno” disse, a voce non troppo alta, ma abbastanza perché Kei lo sentisse.
Il più grande si voltò di scatto, guardando Hikaru con espressione stranita, fermandosi con il tovagliolo in mano; quando l’altro gli passò accanto, per prendere il caffè dalla credenza, spostandosi nell’angolo cottura, Hikaru mormorò: “Smettila di guardarmi così, dimentichiamo quello che è successo e andiamo avanti, è la cosa migliore per entrambi” disse, prendendo la macchinetta del caffè, versando qualche cucchiaino di polvere scura nel filtro, accendendo poi il fuoco.
Kei non rispose, rimase a osservare la schiena di Hikaru mentre prendeva le proprie cose, sistemandosi con loro al tavolo, senza più guardarlo. Riprese coscienza della realtà quando anche Yabu li raggiunse e iniziò a parlare con Hikaru: Kei rimase a osservare i due dialogare tranquillamente e l’espressione dapprima un po’ forzata di Hikaru, rilassarsi quando si sedettero tutti insieme.
Poteva sembrare una tranquilla mattina tipica, spesse volte si erano ritrovati tutti e quattro a fare colazione insieme e Kei era sempre stato felice di poter iniziare la giornata in quel modo, in quel clima rilassato e familiare, ridendo e scherzando con i suoi amici, ma anche se Hikaru gli aveva detto di dimenticare, lui non ci riusciva. Non comprendeva come l’altro potesse riuscire a farcela e da questo un po’ era stato infastidito, ma Hikaru aveva ragione, non poteva buttare al vento due anni di relazione con Yabu per un incidente, per un qualcosa che non sapeva neanche lui come definire, per qualcosa di incerto e senza alcuna base. Per il quieto vivere doveva fingere che niente fosse successo e sperare che, con il passare del tempo, sarebbe riuscito a dimenticare.
*
Hikaru aprì il portone d’ingresso, scontrandosi con Yuya che stava per aprire con la chiave.
“Yuuyan! Bentornato!” lo salutò.
“Dove stai andando?” domandò Takaki e Hikaru sollevò verso di lui il sacco nero della spazzatura.
“Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria e sono sceso, tu inizia a salire!” gli disse, tenendogli aperto il portone, ma Yuya scosse il capo.
“Ti faccio compagnia” si offrì. “Se vuoi” aggiunse.
“Certo, vieni, ma hai cenato?” gli chiese, data l’ora tarda in cui stava rincasando.
“Sì, abbiamo mangiato qualcosa insieme ai miei amici, loro sono rimasti ancora insieme, io volevo rientrare a casa, ultimamente non ci sono stato molto e avevo bisogno di rilassarmi” spiegò il più grande.
“Eh, stavi preparando l’esame. È domani?” si informò.
“Sì, inizia alle nove” spiegò Yuya, camminando con lui vicino ai cassonetti.
Premette il piede sulla leva per far sollevare il coperchio e Hikaru vi gettò il sacco con i rifiuti.
“Grazie!” gli disse. “Andiamo a sederci al parchetto?” propose il più piccolo e Yuya annuì.
A quell’ora della sera non c’era nessuno, solitamente quello spazio così colorato di voci di bambini che giocavano e di studenti che si riunivano per chiacchierare o studiare, era invece in quel momento così silenzioso e gli infondeva una discreta pace.
Hikaru sospirò, sedendosi su un’altalena, iniziando a dondolare.
Yuya andò dietro di lui, tirando il sedile, spingendolo, Hikaru si volse con il capo sorridendo.
“Grazie!” gli disse, imitando la voce di un bambino piccolo, ridendo, sentendo Yuya dietro di sé fare lo stesso.
“Si sta proprio bene qui!” esclamò il più grande, ricevendo in cambio da Hikaru un mormorio.
“Ci vengo spesso, mi fa rilassare” confessò il più piccolo.
“Non stai bene, Hikka?” domandò Takaki a bruciapelo, fermandosi dallo spingerlo e Hikaru puntò i piedi per terra, arrestando il proprio oscillare. Sentì la schiena aderire al petto di Yuya e sollevò il capo, vedendo che l’altro lo scrutava, le mani sulla treccia di metallo, poco sopra le sue.
“Eh?”
“È vero che sono stato poco a casa, ma è da un po’ che ho notato che sei strano. Perché non mi dici cos’hai?” gli chiese.
“Non ho niente, sono solo un po’ stanco ultimamente, sai, ho fallito l’esame, mi sono rimesso sui libri a studiare le stesse cose, il lavoro part-time, devo solo riprendere fiducia in me stesso. Mi dispiace averti fatto preoccupare, Yuuyan!” si scusò, guardandolo con un sorriso mesto.
L’altro lo fissò, scrutandolo attento, indeciso se credergli o meno. Si spostò appena da dietro di lui, reggendosi solo con una mano alla catena, scivolando distrattamente sopra quella di Hikaru.
Il più piccolo voltò il capo di poco, scoppiando a ridere per l’espressione seria assunta dall’altro.
“Davvero, Yuya, è tutto apposto. Prometto che non lo faccio più.”
“No, non è questo. È che… sappi che puoi contare su di me, sono bravo ad ascoltare, anche se può non sembrare e non vorrei neanche che con me ti sforzassi di fingere, non ti farebbe bene” gli disse e Hikaru sorrise, annuendo, fissandosi poi la punta delle scarpe, mentre il silenzio cadeva su di loro, ma non era qualcosa di pesante, anzi, era quasi rilassante per Hikaru trovarsi lì con Yuya. Molto più leggero di quando si fermava solo con i propri pensieri.
Mosse appena le dita, accorgendosi del fatto che Yuya vi avesse posato sopra la propria mano, stringendo a sua volta quella stessa serie di anelli; sollevò il capo, vedendo che l’altro lo stava fissando e Hikaru si domandò se da quando avessero smesso di parlare, non avesse fatto altro. Lasciò andare la corda con l’altra mano e sollevò il braccio, infilando le dita tra i capelli di Yuya, guardandolo negli occhi, spingendolo verso di sé, mentre si tendeva a sua volta con il collo verso di lui, fino a che non sentì le loro labbra entrare in contatto.
Fu un bacio semplice, uno sfiorarsi appena accennato a labbra leggermente dischiuse e, quando si separarono, nei loro sguardi non c’era alcun senso di smarrimento, nessun velo, nessuna colpa, nessun ripensamento. Hikaru sentiva il cuore battere appena più veloce, ma non di paura, non in torto, non faceva male come l’ultima volta. Abbassò il braccio e Yuya intercettò la sua mano stringendola nella propria, prima di spostarsi e sistemarsi davanti a lui, chinandosi di nuovo per baciarlo.
Quando rientrarono nel palazzo, Hikaru qualche passo avanti a Yuya iniziò a salire le scale a piedi, sentendo l’altro fermarsi per chiamare l’ascensore; non si voltò, per aspettarlo, né Yuya lo fermò per dirgli di salire insieme.
In fondo, cosa si aspettava?
Ultimamente non ne faceva una giusta, prima Kei, adesso Yuya. Ma cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva a controllare i propri istinti e perché la persona che aveva di fronte, si lasciava sempre andare?
Yuya, a differenza di Kei non aveva legami però, non che Hikaru sapesse, quindi, forse la cosa poteva risolversi un po’ meglio, doveva solo parlargli e dirgli che gli dispiaceva, che gli voleva bene come a un amico, che l’aveva sorpreso in un momento di debolezza e che in alcun modo avrebbe voluto rovinare la loro amicizia alla quale teneva tanto.
Sì, avrebbe dovuto parlargli subito, non poteva lasciare che le cose si complicassero ulteriormente anche con lui.
Attese di vedere la spia dell’ascensore spegnersi e le porte interne aprirsi, prima che Yuya uscisse al loro piano, il più grande lo guardò e Hikaru sorrise mesto.
“Ho scordato di prendere le chiavi, prima di uscire” disse, per sondare un po’ il terreno.
Yuya si avvicinò, prendendo le proprie, accostandosi alla porta; erano spalla a spalla, quello era il momento giusto di parlare. Stava davvero per farlo, quando, invece, fu Yuya ad agire per primo, nello stesso momento in cui infilò la chiave nella serratura dando un mezzo giro, si chinò su di lui, baciandolo ancora. E Hikaru si ritrovò di nuovo a rispondere a quel bacio, sollevò una mano, sfiorando il collo di Yuya, il quale si allontanò troppo presto, socchiudendo appena la porta.
“Sappi che è l’ultima volta che faccio io il primo passo. Non sono solito scappare, ma non starò neanche qui a farmi prendere in giro da te o ad aspettarti” mormorò, avanzando e lasciandogli aperta la porta.
*Part 03*