Sei una stella cadente
sei una macchina che va via
sei la linea nella sabbia quando vado troppo lontano
sei una piscina in un giorno di Agosto
e sei la cosa perfetta da vedere.
La notte era fresca ed umida, le cicale frinivano insistenti, nascoste tra l’erba smossa dal vento leggero ed il cielo era limpido, minacciato da qualche nuvola scura all’orizzonte. Teddy si chiuse la porta di casa Potter alle spalle, attutendo la cacofonia di voci allegre che veniva dal soggiorno. Avrebbe potuto usare la Metropolvere per tornare a casa, ma mancava ancora qualcuno da salutare.
Infatti James era lì, vicino al garage, con i fianchi poggiati contro la vecchia moto volante di Sirius Black, che il padre gli aveva recentemente ceduto. Una sigaretta babbana in mano, il busto avvolto in una giacca di denim e la bacchetta inguainata in una fondina alla coscia. La brezza spezzava i riccioli di fumo e scompigliava maggiormente i suoi capelli arruffati, gettandogli sugli occhi i ciuffi più lunghi.
La ghiaia del vialetto scricchiolò sotto i piedi del giovane Lupin, quando lo raggiunse e Jamie lo accolse con un sorriso malandrino, illuminando un po’ di più la notte buia.
«Volevo salutarti prima di andare» esordì Ted, fermandosi davanti a lui, con le mani infilate nelle tasche dei jeans. L’osservò gettare la sigaretta e schiacciarla sotto il tacco di uno degli aggressivi anfibi neri; sapeva che era una premura nei suoi riguardi e, come tutte le piccole-grandi attenzioni di James nei suoi confronti, gli scaldò piacevolmente il petto.
«Non ti fermi a dormire?» chiese perplesso il più giovane.
D’estate spesso Ted trascorreva qualche giorno lì, come quand’era ancora adolescente. Divideva la camera con il maggiore dei Potter e restavano a parlare per ore, finché la stanchezza non li tramortiva o Albus bussava al muro, intimandogli di smetterla di fare casino o di Silenziare la stanza.
«No, domani devo alzarmi presto per andare a lavoro e avrò bisogno di un cambio d’abiti» spiegò con un sospiro malinconico.
«Vuoi un passaggio?» propose allora James, dandogli un leggero pugno sulla spalla per tirarlo su di morale.
«Guido io, però» accettò il Metamorfomagus.
«Col cavolo!» replicò subito il maggiore dei Potter. «Sali dietro, ti porto a fare un giro, tanto è ancora presto» aggiunse, inforcando quel mostro di metallo.
Con uno sbuffò oltraggiato, l’amico seguì le sue direttive, sedendosi alle sue spalle e poggiandogli le mani sui fianchi. «So guidarla sai? Zio Harry mi ha portato sulla moto fin da quando ero piccolo e, a differenza tua, io ho la patente» puntualizzò.
«La tua guida è una palla» ribatté James, avviando il motore che rombò con gioia. Fece qualche metro sul vialetto, poi azionò il dispositivo di volo.
«Devi proprio salire così in alto?» si lamentò Ted quando vide casa Potter e le luci del villaggio vicino assumere le dimensioni di un presepe.
«Sì, a meno che tu non voglia che i babbani ci notino. Zio Sirius non l’ha mai dotata degli Incantesimi di Disillusione» spiegò, voltandosi leggermente verso di lui e apprezzando la visione dei suoi capelli blu elettrico scompigliati dal vento.
«Potresti farlo fare a tuo nonno, la sua vecchia Ford Anglia li aveva, no?» gli fece notare Lupin.
«Manco morto, nessuno metterà le manacce su questa bella Bambina» rispose quietamente Potter, concedendo una carezza alla carrozzeria nera, prima di dare una brusca accelerata.
«Sei esibizionista quanto zio Sirius» lo rimbrottò con un sorriso rassegnato.
«E ne vado fiero!» esclamò il suo migliore amico, inclinandosi leggermente in avanti, mentre prendeva velocità. Dopo qualche minuto prese un’andatura costante, rapida ma rilassata, decisamente insolita per lui che era fin troppo spericolato.
«Puoi andare più veloce, eh» gli fece presente Teddy.
«Hai davvero tutta questa fretta?» gli domandò l’altro, in tono un po’ infastidito.
«No, ma la velocità non è un problema. Non sono un bacchettone, Jam, mi piace volare. Ti faccio presente che ero il Capitano della squadra di Quidditch della mia Casa» gli ricordò fieramente e quasi se n’è pentì quando il più giovane si voltò di nuovo.
«L’hai voluto tu» lo avvisò, infatti, con un sorriso che prometteva guai. Un attimo dopo impennò, salendo ancora più in alto e accelerando sempre di più, finché l’aria non gli fischiò nelle orecchie ed il rombo della vecchia Harley Davidson divenne assordante.
Teddy strillò un insulto irripetibile e si strinse saldamente al suo torace, salvandosi per un soffio dal precipitare nel vuoto. Dopo i prevedibili attimi di panico, era sul punto di arrabbiarsi sul serio e fargli una lavata di capo epica, quando venne preso in contropiede dalla risata scrosciante del Grifondoro. Suonava così felice e libera, che qualunque rimostranza gli morì in gola.
«Coglione» lo apostrofò blandamente e la risata di James si fece più sommessa, più intima, tutta racchiusa nel petto che lui stringeva tra le braccia.
Il fisico di James era asciutto, ma atletico e scattante, non era più quello di un bambino. Ormai era alto quanto lui, anche se più magro, e le braccia che teneva distese per afferrare il manubrio erano forti e muscolose. Lupin si chiese quando, di preciso, era cresciuto così tanto. Lui tendeva a considerarlo sempre un ragazzino pestifero, ma ormai era un giovane uomo, sveglio e sicuro di sé.
«Hai tutto questo tempo da perdere? Non dovresti essere a casa a studiare?» lo stuzzicò, pizzicandogli un fianco.
«E dai Teddy, non fare il Prefetto Perfetto, sono settimane che sto su quei cazzo di libri per prepararmi all’esame, se non mi svago un po’ scoppierò per lo stress»* rispose - anzi, urlò - stizzito, cercando di contrastare il vento.
Lui sorrise sotto i baffi, senza dar peso a quel nomignolo fastidioso. Sapeva che James si stava impegnando tanto, diventare Auror era il suo sogno e ci stava mettendo anima e corpo per riuscire ad entrare in Accademia. Gli posò una mano sul ventre, percependo i lievi dossi degli addominali sotto il palmo, comunicandogli silenziosamente tutta la sua fiducia.
Per qualche minuto rimasero in silenzio, godendosi il semplice brivido della velocità, del vento e della reciproca presenza.
«Ehi, Ted» si sentì chiamare dopo un po’, in tono esitante «Se passo l’esame… uscirai con me?»
«Certo,» gli assicurò «ti porterò a festeggiare dove preferisci. Tutto a mie spese, ovviamente» continuò allegro.
Si sorprese di sentirlo irrigidirsi contro il proprio petto. «No, intendevo tipo… sai… un appuntamento» chiarì in tono quasi troppo basso per essere udito sopra il frastuono del vento ed il rombo della moto.
Lupin rimase zitto, troppo sorpreso per ribattere, ed un pesante silenzio scandì quei secondi, tramutandoli in intere ere geologiche.
Un appuntamento? Jamie - il suo piccolo, monello, impossibile, sciocco Jamie - voleva uscire con lui in quel senso? Perché?! Doveva essere uno scherzo… o no? Non poteva dire sul serio!
D’accordo sapeva che usciva un po’ con chiunque, uomini e donne indiscriminatamente, ma lui non era uno qualunque. Era il suo migliore amico, erano cresciuti insieme come fratelli! Lo stava prendendo in giro, sicuramente; ora si sarebbe voltato e avrebbe riso per la sua faccia da tonno.
Ma James non si voltò e non rise affatto. Anzi, Ted lo vide contrarre la mascella ed aggredire il manubrio nella propria presa, poi lo sentì sbottare: «Senti, lascia stare, è stata una sciocchezza, avrei dovuto stare zitto» e sembrava così arrabbiato - frustrato - e deluso, che la serietà di quelle parole lo colpì all’improvviso mozzandogli il fiato, come un calcio ai polmoni.
Potter diede una brusca virata, invertendo quasi la rotta e scese di quota. «Ti porto a casa» aggiunse secco e Lupin si sentì prendere dal panico.
Lo vedeva, lo percepiva - come se il dolore si spandesse ad ondate dal suo corpo e gli riverberasse addosso - quanto il proprio silenzio l’aveva ferito. Lo sentiva a pelle, perché era sempre stato così fra loro: vibravano in sincrono come le due estremità di un diapason. E non riusciva a sopportarlo, non poteva credere di essere stato proprio lui a fargli male. Non era mai riuscito a negargli niente e mai ne sarebbe stato capace, perché James gli aveva sempre dato tutto e sempre avrebbe continuato.
«Va bene» soffiò con urgenza al suo orecchio, premendo il petto contro la sua schiena.
«Siamo quasi arrivati» replicò l’amico, a mo’ di rassicurazione.
«No, intendo, va bene. Uscirò con te… se ti promuovo» chiarì esitando sull’ultima parte, sentendosi improvvisamente invadere dall’imbarazzo, ma non ebbe il tempo d’indugiare su quella sensazione, perché Jamie frenò così di colpo da far stridere le gomme, spezzandogli il fiato.
Rimasero lì a mezz’aria per quelli che parvero attimi interminabili, poi lentamente - molto lentamente - il più giovane si voltò a guardarlo e c’era tanta disarmante incredulità sul suo volto, che Ted sentì una strana morsa alla bocca dello stomaco.
«Cos’hai detto?» mormorò con voce rauca e flebile, come se qualcosa gli si fosse incastrato in gola.
«Ho… ho detto che lo farò, se passi l’esame» e anche lui si sentì le parole grattare nella gola, chiusa da un nodo grande quanto un pugno. Era il cuore quello che gli si era bloccato nella trachea e pulsava tanto forte d’assordarlo?
Il labbro inferiore di James tremò e venne catturato dai suoi denti bianchi, poi le sue ciglia sbatterono più volte, rapidamente, come per schiarire la vista e, infine, un sorriso esitante, dolcissimo - del tutto diverso da quelli che aveva conosciuto fino a quel momento - gli stirò le bocca, tingendo di rosa le sue guance. Teddy perse un manciata di battiti cardiaci, ma l’amico si era già girato ed aveva rimesso in moto la sua Bambina.
*°*°*°*°*
La Tana era ingombra del consueto turbinio di voci, luci e colori che contraddistingueva ogni festa Weasley. Harry, George e Bill erano accasciati sul divino, tanto sazi dei manicaretti di Molly da non riuscire più a muoversi. Ron e Hermione battibeccavano in cucina, ma nessuno ormai ci faceva più caso, tutti sapevano che era il loro modo di amarsi. Fred Jr. mostrava a Lily, Albus e gli altri cugini i nuovi scherzi dei Tiri Vispi, e Percy stava stordendo il padre con le proprie chiacchiere sulla sua nuova promozione. Sul soffitto campeggiava uno striscione di uno squillante verde acido, che strillava in sgargianti lettere scarlatte: “Congratulazioni, James!”, e strillava letteralmente.
In un angolo della sala, sorseggiando una tazza di tè per sciogliere il mattone che aveva nello stomaco, Teddy osservava l’intera scena con un sorriso placido dipinto sulle labbra. Gli piaceva quell’atmosfera, l’aveva sempre fatto sentire a casa, come se facesse davvero parte di quella grande famiglia.
«Ehi» lo salutò il festeggiato, accucciandosi sul tappeto, ai piedi della sua poltrona.
«Ehi» contraccambiò lui, lasciando che s’impossessasse della sua tazza e gli rubasse qualche sorso della bevanda calda. Era talmente abituato a condividere ogni cosa con James che non ci fece nemmeno caso.
«Allora…» esordì questi, infilando l’indice in un buco del tappeto e sfilacciandolo ancora di più «hai impegni sabato sera?»
Lupin, preso alla sprovvista, quasi si soffocò con un nuovo sorso di tè.
Erano passate due settimane dalla sera in cui il maggiore dei Potter l’aveva riaccompagnato a casa in moto, e i loro rapporti non erano affatto cambiati, tanto che si era quasi dimenticato di quella promessa - be’, quasi, perché era impossibile non pensarci mai. Ed ora James aveva passato l’esame a pieni voti ed era lì ai suoi piedi con un’espressione indifferente che cercava di nascondere la tensione. Ma Teddy la sentiva comunque irradiarsi da lui, attraverso il flebile contatto della propria caviglia con il suo fianco.
Un appuntamento, si era detto, solo uno per dimostrare a James che lo prendeva sul serio. In fondo erano usciti da soli milioni di volte e questa non sarebbe stata differente.
«No, nessuno» rispose, tossicchiando con gli occhi lucidi.
«Quindi… posso invitarti fuori a cena?» propose la neo-Recluta Auror e il Metamorfomagus si stupì nello scoprire che il mattone creato dal cibo della Signora Weasley si era improvvisamente trasfigurato in una colonia di farfalle.
Una cena… davvero voleva portarlo fuori a cena? Cioè seriamente, tipo un ristorante o roba così? Era sempre più allibito, non sapeva più cosa aspettarsi da quel nuovo lato di James che non aveva mai visto prima d’ora. Però il suo migliore amico era lì e lo osservava pieno di malcelato terrore ed aspettativa.
«Ehm…» biascicò - seriamente, a volte rimpiangeva di aver avuto Harry come unico modello paterno - poi ammutolì e si risolse ad annuire e basta, sentendosi arrossire come una stupida adolescente. Dannazione, aveva ventiquattro anni, mica tredici, un po’ di dignità per Merlino! Sua nonna avrebbe riso di lui, vedendolo, ne era certo.
«Perfetto, allora passo a prenderti alle otto!» esclamò il più giovane e, sì, valeva la pena di affrontare tutto quell’imbarazzo per vederlo sorridere così.
FINE PROLOGO.
*“Prefetto Perfetto” è il soprannome con il quale Fred e George prendevano in giro Percy.
Capitoli sucessivi:
-
1. Primo Appuntamento.
-
2. Secondo Appuntamento.
-
3. Terzo Appuntamento.
Potete trovarla anche su:
EFP;
Nocturne Alley;