I just want you to know who I am - Parte 1

Apr 11, 2011 09:39

Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean.
Altri Personaggi: Sam Winchester, Ellen e Jo Harvelle, Anna Milton, Balthazar.
Rating: NC17.
Charapter: 1/2.
Beta:koorime_yu .
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: AU, Sesso descrittivo, Slash, Spin-off.
Words: 5428/9600 (fiumidiparole ).
Summary: [Spin-off di “When Everything Feels Like the Movies”, può essere considerata una AU, se letta a sé] Dean è un vigile del fuoco, una sera - dopo un turno pesante - esce sbronzo da un pub e rischia di essere investito, a salvarlo è Castiel Novak, professore di teologia. L’inizio della loro storia nella dimensione del Djinn.
Note: Scritta per l’ ottava - e ultima, sigh - settimana della COW-T di fiumidiparole  e maridichallenge , Team Maghi - Missione 3: “Impegnarsi vuol dire soprattutto rischiare. Non solo la vita, ma la propria serenità.” (di Roberto Saviano); il prompt fa da introduzione alla fic
Il titolo è un verso di “Iris” dei Go Go Dolls, colonna sonora di City of Angels..
Dedica: A koorime_yu , come regalo di compleanno in oltraggioso ritardo. La succitata pulzella non si è limitata a chiedere questa storia, l’ha pretesa XD e mi ha accompagnata per tutta l’avventura la stesura, non solo di questa fic, ma anche di quella da cui ha origine, incaricandosi di betare entrambe. Insomma, questa roba è anche un po’ sua ♥


DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

I just want you to know who I am
Parte 1

Impegnarsi vuol dire soprattutto rischiare.
Non solo la vita, ma la propria serenità.

Ci sono giorni in cui ti alzi e ti fai il culo per arrivare a fine serata sano e salvo, possibilmente assicurandoti che sia lo stesso per tutti coloro che incrociano il tuo cammino, e ci sono giorni in cui concludi il tuo turno di lavoro e senti che, malgrado tu ti sia fatto un culo così, non hai fatto ancora abbastanza.
Questo pensava Dean Winchester - ventotto anni, vigile del fuoco - schiaffando il bicchiere vuoto sul bancone, mentre buttava giù una bruciante sorsata di liquore. Nel locale vigeva un’atmosfera allegra e rumorosa, ma lui nemmeno la sentiva, gli scivolava addosso come lo sguardo ammiccante di decine di belle donne che, quella sera, per lui non avevano alcuna attrattiva. Sul bancone del pub giaceva un cimitero di bicchieri vuoti, simili a quello che aveva appena consumato ed il barman aveva ormai lasciato lì anche la bottiglia, conoscendolo a sufficienza da capire l’antifona.
L’orologio al suo polso dichiarava che era ormai un’ora sufficientemente tarda e lui si sentiva abbastanza stordito da riuscire a sperare di arrivare a casa e crollare a letto senza ulteriori pensieri. Si alzò, puntellando i palmi contro la superficie di legno, e sentì per un attimo la testa girare piacevolmente. Lasciò accanto al fondo della bottiglia quel che doveva, poi si diresse verso l’uscita, sollevandosi il collo della giacca in pelle per proteggersi dal vento freddo.
Fuori cadeva una pioggia fitta e sottile, copiosa a sufficienza da essere seccante senza poterla chiamare davvero acquazzone. Sbuffò una nuvoletta di condensa nell’aria umida ed individuò, in mezzo a quello scenario grigio, il profilo scuro della sua bambina: una Chevy Impala del ’67, ereditata da suo padre.
Attraversò la strada per raggiungerla, frugandosi nelle tasche alla ricerca delle chiavi, senza in realtà badare a dove metteva i piedi. Il mazzo gli sfuggì nella presa malferma e si chinò a raccoglierlo; allora accaddero una serie di cose maledettamente troppo in fretta perché potesse evitarle: i fari di un grosso mezzo di trasporto - un camion o forse l’ultimo autobus della sera - spuntarono dall’angolo della strada accecandolo come un alce sorpresa dai fanali, le sue gambe vacillarono a causa dell’alcool che aveva trangugiato e percepì il cuore schizzargli in gola, quando si rese conto che era troppo tardi.
Poi due mani forti, emerse dalla nebbia o dalla pioggia come in un fottuto film di Hitchcock, gli ghermirono le spalle e lui scivolò indietro sbilanciato, rotolando sull’asfalto umido e portando con sé un altro corpo nella caduta. Il camion gli sfrecciò accanto, proprio dove lui si trovava fino ad un attimo prima, suonando furiosamente il clacson.
Stordito, Dean continuò a fissare quello stesso punto, assordato dal proprio battito cardiaco e da un respiro pesante giusto accanto all’orecchio, che faceva eco al suo.
«Stai bene?» esclamò una voce bassa e preoccupata sopra di lui, e solo allora il ragazzo alzò lo sguardo per incontrare quello dell’uomo che lo stava schiacciando.
La prima cosa che vide, perfino nella poca luce di quella via buia, furono un paio d’occhi di un blu così intenso da lasciare ipnotizzati, poi due labbra carnose e pallide che si muovevano senza che riuscisse a percepirne il suono, incastonate in un viso dai lineamenti regolari e delicati.
Porca puttana, non aveva mai visto niente di più bello. Continuò a scrutare quegli occhi come se non esistesse altro al mondo, sordo ad ogni altro rumore, finché non si rese finalmente conto che quella bocca si stava muovendo per comporre qualcosa d’intellegibile.
«Come?» ansò sopraffatto.
«Ti ho chiesto se stai bene» ripeté lo sconosciuto, ancora steso su di lui.
Gli aveva appena salvato la vita, realizzò Dean. «Sei un angelo?» replicò molto acutamente. Oh Cristo, sì, era davvero sbronzo.
L’interpellato gli rivolse uno sguardo perplesso, inclinando il viso a destra, forse preoccupato che nella caduta lui avesse sbattuto la testa da qualche parte, poi gettò indietro il capo e rise; un suono frizzante e caldo che sembrò scacciare un po’ delle ombre di quella notte.
«No, ma tu sei ubriaco» gli fece notare, tirandosi su e porgendogli una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. Lo trascinò via da mezzo alla strada, riconducendolo sul marciapiede, poi si spolverò con gesti secchi gli abiti bagnati ed impolverati.
Dean non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, troppo occupato ad assorbire altri dettagli: era un po’ più basso di lui, vestito di un completo scuro ed anonimo, sotto un lungo impermeabile beige, ed i corti riccioli scuri gli si erano appiccicati alla fronte chiara a causa della pioggia.
«Dove abiti?» lo interrogò l’uomo, probabilmente ancora più preoccupato dal suo comportamento.
«A tre isolati da qui» rispose lui, guardandosi attorno come per ricordare esattamente dove si trovasse. «Io… uhm… ti pagherò il conto della lavanderia» promise perché, cazzo, doveva pur dire qualcosa.
Stringeva ancora in mano le chiavi della macchina e l’altro gli fece cenno di consegnargliele. «Dammi qua, non posso permetterti di guidare in queste condizioni» asserì.
«Cosa? Nessuno, oltre me, guida la mia bambina!» sbottò Dean riprendendo improvvisamente un briciolo di coscienza tra i fumi dell’alcool.
«Be’, le cose dovranno cambiare, amico, o tue e la tua “bambina” farete una brutta fine» gli fece notare lo sconosciuto. «Qual è?» domandò poi.
Contrariato, ma ragionevole pur nella sua sbronza, lui gli indicò l’Impala. L’altro fischiò in segno d’apprezzamento. «Hai buon gusto» riconobbe, come se non se lo fosse affatto aspettato, facendolo accigliare, poi gli mostrò di nuovo un palmo in attesa delle chiavi. «Dammele» ordinò.
«Non so nemmeno il tuo nome» borbottò Dean, sul chi va là. «Ce l’hai la patente, vero?»
Il suo salvatore sorrise divertito. «Per essere ubriaco sei davvero diffidente» commentò. «Mi chiamo Castiel Novak» si presentò, voltando la mano di profilo per tendergliela e non più per chiedergli il mazzo.
«Hai perfino il nome di un angelo» sbuffò tra il serio ed il faceto. Non aveva mai creduto in Dio, ma - con una logica che nella sua mente annacquata funzionava alla perfezione - per la prima volta pensò che, forse, qualcuno dall’alto aveva mandato quell’uomo lì per lui. «Io sono Dean Winchester» ricambiò, stringendogli la mano.
«Oh, lo so chi sei: Mr. Gennaio sul calendario dei vigili del fuoco, giusto?» ironizzò il suo angelo. «Faccio beneficenza tutti gli anni» aggiunse poi facendogli l’occhiolino.
«Uh, sì, sono venuto particolarmente bene in quella foto» considerò Dean con un ghignò soddisfatto dall’aspetto poco intelligente.
«Già, la schiuma e la tuta ignifuga sul petto nudo ti donano» riconobbe Castiel, strappandogli uno sguardo perplesso.
“Non sarà che sia…?” pensò il ragazzo, senza riuscire a completare quella considerazione nemmeno nella propria testa. Fece penzolare le chiavi davanti al suo viso e, quando l’uomo fece per prenderle, lui le ritirò assumendo un’espressione concentrata. «Aspetta, aspetta, aspetta…» esitò. «Se mi accompagni a casa, poi come te ne vai?» riuscì a pensare con un certo sforzo.
«Non lo so, male che vada chiamerò un taxi. Devo assicurarmi che tu arrivi sano e salvo fino al letto» rispose il suo nuovo e bellissimo - no, lui non l’aveva pensato, assolutamente no! - amico.
Dean allungò un braccio e gli mise - o meglio: gli schiaffò - una mano sulla spalla. «Tu… sei un bravo ragazzo» asserì per il divertimento del suo salvatore.
«E tu sei un ubriaco davvero sexy. Andiamo» concluse, afferrandogli il polso e portandosi quello stesso braccio attorno alle spalle per aiutarlo a camminare.
«Ce la faccio da solo!» si indispettì il ragazzo, cercando di scansarlo.
«Sicuro, è solo che voglio approfittarne per abbracciarti» lo blandì Castiel, cingendogli la vita.
«Lo so, sono irresistibile» concesse Dean compiaciuto.
L’uomo soffocò un’altra risata e lo aiutò a salire in auto, dal lato del passeggero, prima di mettersi alla guida. «Allora, dove abiti esattamente?» lo interrogò.
Il ragazzo gli diede indicazioni e lo osservò mettere in moto ed incamminarsi con un’andatura discreta e rilassante. «Sei noioso» borbottò, sentendo le palpebre calare per il sonno.
«Ehi, puoi dormire mentre guido, ma sii cosciente che non sarò gentile nello svegliarti» lo ammonì.
«Credevo che gli angeli fossero compassionevoli» sbuffò Dean.
«Dovresti leggere meglio la Bibbia, gli angeli sono i soldati di Dio» lo corresse l’altro.
«Vedi come sei esperto? Ho ragione io, sei venuto dritto giù dal Cielo» sostenne il vigile del fuoco.
«Per salvarti da un Inferno molto piovoso, a quanto pare» gli diede corda Castiel. All’improvviso, però, un motivetto ben riconoscibile ruppe il silenzio dell’abitacolo. «L’Esorcista?» chiese conferma, quando Dean trasse un cellulare dal proprio giubbotto.
«È la suoneria personalizzata per il mio fratellino» spiegò questi, controllando il nome sul display con aria poco felice.«Carino» ironizzò lo sconosciuto.
«Oh, conoscendolo capiresti: è un neo-avvocato alto due metri, con due occhioni da cucciolo e l’indole da crocerossina. Il Diavolo» gli spiegò, prima di accettare la chiamata. «Ehi, Sammy!» lo saluto con finto entusiasmo. «No, non ho bevuto… sì, sto rientrando a casa… no, non sono solo… sì, sto bene, Samantha. Buonanotte!» concluse seccato, chiudendogli il telefono in faccia. «Come dicevo: insopportabile».
Castiel scosse il capo e ridacchiò divertito, senza scollare gli occhi dalla strada. Dean non ne era certo per via delle orecchie che gli ronzavano, ma gli parve di averlo sentito borbottare qualcosa che somigliava a: «Sexy».
Dieci minuti dopo parcheggiarono davanti al suo palazzo e l’uomo lo aiutò a scendere dalla macchina. «Dimmi che c’è l’ascensore» lo supplicò, dopo essersi passato di nuovo il suo braccio attorno alle spalle, mentre osservava l’edificio di cinque piani.
«Ehm… c’è l’ascensore» lo assecondò il ragazzo avendo pietà di lui. «Quindi sta tranquillo, posso farcela da solo».
Quei grandi occhi blu si puntarono nei suoi, ad un soffio dal suo viso e lui… oh, si sentì completamente nudo.
«Stai mentendo» indovinò subito il suo nuovo amico. «Questa è la chiave dell’ingresso?» aggiunse, scegliendo dal mazzo quella più piccola.
«Già» si arrese Dean. «Hai chiuso la macchina?» gli ricordò.
«Sì, e ho controllato due volte» lo rassicurò Castiel con una pazienza divina. Dopo qualche difficoltà, riuscì ad aprire il portoncino e poi s’imbarcarono nell’impresa di salire le scale. «A che piano hai detto che abiti?» gli domandò, fermandosi al terzo pianerottolo per riprendere fiato.
«All’ultimo…?» rispose dando alla frase una certa inflessione interrogativa, temendo che ora quell’angelo l’avrebbe buttato giù, facendolo ruzzolare per tutte le rampe appena scalate, e tanti saluti alla sua bontà.
«Ovviamente» concluse questi laconico, prima di prendere un altro bel respiro e sospingerlo sui prossimi gradini.
Una volta arrivati davanti alla porta del suo appartamento - più un loft, a giudicare dal tetto spiovente - lo fece poggiare contro il muro, mentre apriva la serratura, e poi lo prese di nuovo sottobraccio per aiutarlo a camminare. Non era difficile indovinare quale fosse la porta della camera da letto, visto che il primo ambiente era composto insieme da ingresso e cucina e c’erano solo altre due porte. La prima aveva un vetro satinato al centro, quindi doveva essere quella del bagno; l’altra, invece, era semplice e liscia, perciò suppose subito che fosse quella che stava cercando.
«Andiamo, cowboy» incitò il ragazzo sbronzo a stendersi, una volta che fu riuscito a varcare anche quella soglia.
Questi si lasciò crollare sul letto e scalciò via le scarpe, prima di disfarsi a fatica della giacca e della camicia. «Rimani?» propose ingenuo e Castiel lo osservò stralunato, cercando di non fissargli troppo sfacciatamente il petto nudo.
«Dubito che domattina saresti felice di svegliarti accanto ad un altro uomo» gli fece notare, scostando le coperte ed aiutandolo ad infilarsi sotto.
«Non lo so, potrebbe anche piacermi» replicò Dean con malizia alcolica. «Prometto che non russerò» aggiunse con un sorriso beota.
«Sì, è quello che dicono tutti» sbuffò l’altro, prima di spegnere la luce. «Buonanotte».
«Aspetta!» cercò di richiamarlo lui, finendo solo per attorcigliarsi tra le lenzuola. «Lascia almeno che ti paghi il taxi».
«Non è necessario. A buon rendere, no?» concluse, richiudendosi la porta della camera alle spalle.
Dopo qualche minuto accadde lo stesso con quella dell’ingresso, ma Dean lo percepì come un rumore ovattato, ormai quasi del tutto assopito.

*°*°*°*°*

La mattina, Dean si svegliò con una discreta emicrania ad incendiargli le tempie, la bocca asciutta ed una bestemmia già sulle labbra a causa delle tende che non erano tirate ed avevano permesso alla luce del sole di accecarlo.
Si mise in piedi anche se non ne aveva alcuna voglia, perché malgrado i postumi della sbornia quello era il suo unico giorno libero e, vivendo da solo, c’erano panni da lavare e spese da fare. E poi aveva bisogno di un dannatissimo caffè.
Quando mise piede in cucina, la prima cosa che vide sul tavolo fu un flacone di pastiglie accanto ad un biglietto. Non ricordando di avere lasciato lì nulla del genere, lo aprì per controllare di che si trattasse e sgranò gli occhi quando lesse la semplice nota:

La caffettiera è già pronta, devi solo accendere il fornello.
Ti lascio le chiavi nella casetta della posta.

Castiel

«È proprio un angelo» borbottò mentre le sue labbra si distendevano nel primo vero sorriso della giornata.
Ingoiò due pastiglie di antidolorifico - un angelo, un angelo, un angelo… - mentre accendeva il fornello e poco dopo l’odore del caffè invase l’aria. Mezz’ora più tardi si sentiva come nuovo e, infilando i panni nella lavatrice, si rese conto che avrebbe dovuto ringraziarlo in qualche modo.
Diamine, non aveva nemmeno il suo numero. Tutto ciò che sapeva era il suo nome e non era molto, ma forse sarebbe bastato. Ritrovando il cellulare nella tasca dei jeans cercò il nome di un tizio - un informatore della polizia - che gli doveva un favore.
«Ehi, Ash!» esclamò non appena il tipo in questione rispose. «Senti un po’, mi devi trovare l’indirizzo di un ragazzo. Si chiama Castiel Novak… C-A-S-T-I-E-L. N-O-V-A-K. Sì, perfetto. No, tranquillo, non è nulla di illegale. A-ah, aspetta, prendo carta e penna…» riuscì trovare dei post-it in un cassetto, insieme ad una matita mezzo-spuntata e si segnò l’indirizzo indicatogli. «Grazie, sei un amico!» lo saluto, chiudendo la chiamata soddisfatto.
Per qualche assurdo motivo si sentiva incredibilmente di buon umore, sarebbe voluto andare a cercare il suo salvatore in quel momento stesso.
Riuscì ad aspettare che si facesse sera, poi prese la macchina e raggiunse la zona indicatagli da Ash. Era un quartiere popolare in periferia, su cui erano edificati diversi condomini risalenti alla metà degli anni ottanta. Castiel Novak abitava all’interno 4D.
Tentennò per qualche minuto, senza avere il coraggio di suonare il campanello, chiedendosi se stesse esagerando. Forse quel ragazzo pensava di essersi liberato di lui e non voleva affatto rivederlo, magari era un buon samaritano che non aveva alcun interesse ad intrattenere rapporti con tutti gli idioti sbronzi a cui salvava il culo. Alla fine prese un respiro profondo e schiacciò quel dannato tastino di plastica, sentendo risuonare all’interno il tipico “dlin-don” . Il cuore gli batté incredibilmente veloce durante quella manciata di secondi che servirono al padrone di casa per guardare dallo spioncino ed aprire la porta.
«Ehi…» lo salutò flebile Dean, schiarendosi subito dopo la voce con fare nervoso.
«Ciao… Dean, giusto? Come mi hai trovato?» replicò questi ancora lì, fermo sulla cornice della porta, concedendogli un sorriso confuso ma cordiale. Era scalzo, vestito di un morbido maglione bianco a dolcevita e jeans scoloriti. Lui lo trovò… adorabile - ma no, no! Non l’aveva assolutamente pensato!
«Ho le mie fonti» rispose, rivolgendogli inconsapevolmente uno sguardo affascinante. «Io… uhm… penso di doverti almeno offrire qualcosa da bere» spiegò, cercando di giustificare la propria presenza lì.
«Tutto l’alcool di ieri non ti è bastato?» lo canzonò il suo angelo, con ogni diritto, visto che si era spaccato la schiena portandolo su per ben cinque piani di scale.
Suo malgrado, il ragazzo ridacchiò. «Prometto che stasera non esagererò, ma se preferisci possiamo fare qualcos’altro… andare a cena, o al cinema o… insomma, quello che ti va» si affrettò a rassicurarlo.
«Mi stai proponendo un appuntamento, Mr. Gennaio?» lo sbeffeggiò il suo salvatore, ma i suoi occhi blu erano così gentili che il vigile del fuoco non riuscì a prendersela sul serio.
«Io… be’, non esattamente, pensavo più di offrirti una birra in un pub» biascicò teso e l’altro ridacchiò.
«Okay, dammi il tempo di prendere una giacca e mettermi qualcosa ai piedi» tagliò corto, spalancando la porta per lasciarlo entrare. «Accomodati» lo invitò, indicandogli i divani nell’ingresso-soggiorno. «È un peccato, comunque. Avrei potuto essere interessato» aggiunse sibillino, addentrandosi nella parte più interna dell’appartamento e lui, no - no-no-no-no-no! - non gli stava affatto guardando il culo, no!
Dopo un paio minuti Castiel tornò con indosso il proprio trench beige.
«Uh, allora non si è macchiato» constatò lui sollevato.
«No, l’ho pagato un bel po’ di soldi proprio perché è antimacchia» rivelò, mentre lasciavano l’appartamento e scendevano le scale. Una volta in macchina, seduto sul sedile passeggero, aggiunse: «Allora, dove mi porti?»
«Verso l’infinito e oltre!» esclamò Dean, mettendo in moto e facendo ruggire la sua bambina.
L’altro uomo scosse il capo con finta esasperazione, poi replicò: «“Dai tre anni in poi” dice la mia scatola, “dai tre anni in poi”. Non dovrei fare da babysitter ai mocciosetti!»[1]
«Ehi!» tentò di protestate lui, fregato al suo stesso gioco. Solo il fatto che effettivamente la sera prima gli avesse fatto da babysitter lo fermò dal dire di più.
Castiel rise di gusto, riempiendo l’abitacolo con un suono così denso e caldo da prosciugare del tutto la sua irritazione.
«Sei un feticista della Disney, di’ la verità. Sapevo che dovevi avere qualche difetto» lo punzecchiò l’altro e la risata del suo angelo si fece più sommessa, in qualche modo più intima, nonostante fosse contenuta.
«No, giuro. È colpa della mia nipotina; tutte le volte che vado a trovare mio fratello, mi rapisce e mi trascina in camera sua a vedere i cartoni animati» spiegò.
«E così anche tu hai un fratello. Maggiore o minore?» domandò il vigile del fuoco, incuriosito.
«Coetaneo. Sempre se non vuoi tenere in considerazione una differenza di ben due minuti. Jimmy ci tiene particolarmente, sai» raccontò.
«Gemelli?» arguì Dean.
«Già. Omozigoti, due gocce d’acqua» confermò il suo salvatore.
“Ma tu guarda, ci sono addirittura due angeli, in giro” pensò Dean. O magari no, qualcosa gli diceva che nessuno poteva essere come il suo Cas. E… un momento, da quando era il suo Cas? Cas, poi?
Cercò di distrarsi mettendo su un po’ di musica e, quando le prime note di “Enter Sandman” invasero l’abitacolo, notò l’altro uomo tamburellare il ritmo con le dita.[2]
«Ti piacciono i Metallica?» gli domandò.
«Sono tra i miei preferiti» confermò Castiel.
“Sono fottuto” pensò distintamente lui.
Per sua fortuna, due minuti dopo parcheggiarono davanti al locale dove andava sempre a bere con i colleghi, altrimenti avrebbe finito per fare qualcosa di molto molto stupido, tipo sorridergli come un ebete, o peggio.
Il pub era un po’ fuori mano, sempre in periferia ma dall’altra parte della città rispetto a casa di Castiel, però a lui piaceva l’atmosfera che si respirava. Guardò con affetto l’insegna che recitava Harvelle’s Road House, prima di scendere dall’auto ed attendere che l’amico facesse altrettanto.
«Carino» giudicò quest’ultimo, non appena misero piede nella sala completamente rivestita di legno.
Dean gli sorrise, prima di fare un cenno alla padrona - nonché barista - del locale, che lo apostrofò con un burbero: «Di nuovo qui, ragazzaccio?»
«Che posso dire, Ellen? Non so proprio resistere al tuo fascino» replicò con un sorriso sfrontato, vedendosi mandare allegramente a quel paese; la signora avrebbe potuto essere sua madre, per l’età che aveva.
Si accomodarono ad uno dei tavoli più defilati, lontani dagli avventori più rumorosi, in modo da poter fare due chiacchiere.
«Allora, cosa mi dici di te?» lo interrogò Dean, mentre l’altro si liberava del trench. «Non so nulla, a parte il fatto che sei un buon samaritano, fai beneficenza e hai un fratello gemello».
«E sono un fan dei Metallica, non lo dimenticare» ironizzò Castiel. «Cosa vorresti sapere?»
«Non so… che lavoro fai? Sei fidanzato?» domandò, cercando di convincersi che la sua fosse semplice curiosità. Desiderò avere già una birra tra le mani, tanto per fare qualcosa.
L’amico stava per rispondere, ma proprio in quel momento vennero interrotti da una voce allegra.
«Ehi, Dean! Ti trovo bene. Cosa ti porto?» gli domandò Jo, la cameriera, nonché unica figlia di Ellen, radiografandolo dalla testa ai piedi con malcelato desiderio.
«Ehi, ciao. Sì, anche tu» replicò un po’ a disagio. «Due birre… sei d’accordo, Cas?» aggiunse rivolgendosi all’altro uomo.
Solo allora la ragazza si voltò e gli dedicò una lunga occhiata. «Chi è il tuo nuovo amico?» chiese con una nota che alle orecchie del vigile del fuoco suonò fin troppo interessata.
«Sì, due birre andranno benissimo. Sono Castiel Novak» si presentò intanto l’altro, tendendole la mano.
«Ah, e dov’è che Dean ha pescato un bravo ragazzo come te?» continuò Jo.
«A dire il vero, sono io che ho pescato lui. L’ho raccolto dalla strada come un gattino sotto la pioggia» le confidò sibillino.
«Già, è il mio angelo» confermò il suddetto gattino, affilando segretamente le unghie. «Queste birre? Sto morendo di sete» rintuzzò la cameriera, che gli rivolse un’occhiataccia prima di sparire.
Castiel, invece, lo studiò in silenzio per qualche secondo. «Fidanzata? O possibile tale?» buttò lì infine.
«Se stesse a lei decidere… ma no, Cristo, no! È una specie di sorella - molto seccante - acquisita» spiegò «I nostri padri erano amici, hanno militato insieme nell’esercito».
«Erano?» sottolineò l’altro.
«Già. Suo padre è morto quand’era bambina ed il mio l’ha seguito un paio d’anni fa» confermò in tono un po’ smorzato.
«Oh, mi spiace» replicò subito Castiel, contrito.
Lui scrollò le spalle, come a dire che non aveva importanza, ma il suo angelo doveva aver notato quanto si era incupito, perché riporto la conversazione su toni più leggeri.
«Da quando sono Cas?» sorrise divertito.
«Oh… l’ho detto?» Dean sbatté le palpebre perplesso, non se n’era nemmeno reso conto. «Ti da fastidio?» aggiunse poi.
«No, è solo che non sono abituato a sentirmi chiamare con nomignoli» spiegò.
«A casa tua non li usa nessuno?»
«Mio fratello mi chiama Cassey, quando è particolarmente in vena» sbuffò.
«Ma è da donna» Dean storse la bocca.
«Appunto. Carino, vero?» ironizzò l’amico. «Cas va bene» lo rassicurò poi.
«Allora,» riprese l’altro «stavamo parlando di te. Che lavoro fai?» In quel momento Jo portò la loro ordinazione, ma lui le rivolse solo un distratto ringraziamento, prima di riportare l’attenzione sul suo interlocutore e lei veleggiò via imbronciata.
L’uomo si agitò nervosamente sulla sedia, poi confessò: «Sono un professore universitario».
«Sul serio?» replicò Dean raddrizzandosi. «Be’, questo spiega il look castigato di ieri notte. Sembrava avessi rubato i vestiti a Constantine, amico» gli fece notare.
«Keanu Reeves è figo» si difese Novak, stringendosi nelle spalle con un sorrisino divertito.
«E che materia insegni?» continuò il vigile del fuoco, sorvolando su quell’apprezzamento.
«Oddio, mi prenderai per il culo a vita…» borbottò.
«No, giuro! Perché dovrei?»
«Ha qualcosa a che fare con il soprannome che mi hai affibbiato» ammise Castiel controvoglia.
«Angelo?» chiese conferma Dean, cercando di capire di cosa si potesse trattare. No! Possibile? «Teologia?!» esclamò e, quando vide l’altro annuire, scoppiò a ridere di gusto.
«Ecco, appunto» alzò gli occhi al cielo il suo salvatore.
«Scusa, scusa…» biascicò il ragazzo tra le risate. «È solo che è tutto così… calzante» ridacchiò. «E l’idea che tu sia un professore è… be’, sexy» concluse con un sorriso luminoso.
«La mia famiglia è molto credente» si difese l’uomo. «Seguire quegli studi è stato naturale. Mio padre è un pastore protestante» gli raccontò.
«Sul serio?» Questo era più di quanto si aspettasse, più lo conosceva e più si convinceva che fosse davvero un angelo.
«Oh, sì. Da bambino mi costrinse perfino a fare parte del coro. Avresti dovuto vedere la faccia che fece quando scoprì che mio fratello ed io stavano mettendo su una rock band» sghignazzò e Dean lo seguì a ruota.
«Lo feci anche io! Suonavo la chitarra nel vecchio garage di un mio compagno di squadra, al liceo. Sua madre ci odiava».
«È una fase tipica della ribellione giovanile» ribatté Castiel, sorseggiando la sua birra.
«Tu cosa suonavi?» lo interrogò Winchester.
«In realtà, io cantavo» rivelò l’amico.
«No!» sbottò lui, troppo divertito per riuscire ad immaginare tanto.
«Sì» confermò Castiel. «Ero anche piuttosto bravo» aggiunse con una certa innocente arroganza.
Il volto di Dean s’illuminarono di perfidia, ricordando che giusto quella sera aveva portato la chitarra elettrica a cambiare una corda ed era ancora in macchina. «Potrei metterti alla prova, sai?» lo provocò. «Ho la chitarra nel cofano».
«Qui?» gli occhi del suo angelo si sgranarono in un modo comico che lui giudico - di nuovo -   semplicemente adorabile.
«Perché no?» scrollò le spalle.
«Vuoi umiliarmi di fronte a tutto il locale?» obiettò Cas, scettico sul risultato.
«Hai detto che eri bravo» gli ricordo l’altro.
«Infatti, lo ero» il professore si premurò d’enfatizzare il verbo al passato.
«Certe cose non si dimenticano» lo blandì Dean facendogli l’occhiolino.
Fu così che, poco dopo, si ritrovarono a chiedere a Ellen il permesso di usare il piccolo palco posto in un angolo del pub e l’attrezzatura che conteneva.
«Buonasera, Ladies and Gentlemen» esordì Dean, sistemando il microfono alla giusta altezza, dopo essersi passato la tracolla della chitarra attorno ad una spalla.
«Dean, cosa ci fai lassù, sei di nuovo ubriaco?» lo interruppe uno degli avventori, scatenando una risata collettiva, e lui gli scoccò un sorriso divertito.
«No Tim, ma tu ci sei vicino, bello» replicò, prima di riprendere: «C’è qui un mio amico stasera - sì, proprio il cazzone alle mie spalle che si sta facendo prendere dal panico da palcoscenico - che ha una gran bella voce… o così dice. Vogliamo controllare?!» propose, incitando la clientela e ricevendo un sonoro “Sì!” in risposta.
Iniziò a suonare e vide Castiel modulare in labiale «Fottiti» quando riconobbe i primi accordi di una delle più belle e classiche canzoni adatte ad essere accompagnate solo con una chitarra: “Halleluja” di Jeff Buckley.[3] Non era difficile leggere la chiara presa in giro insita in quella scelta, che però potevano capire solo loro.
Il suo angelo si era già liberato dell’impermeabile e, avvolto solo nel candido maglione e nei suoi jeans scoloriti, davanti a quella piccola folla, sembrava molto più sottile e fragile. Ma si scrollò di dosso il nervosismo - perché dopotutto era un uomo, non una femminuccia - ed impugnò il microfono.
Il frastuono del locale si zittì nel momento in cui Ellen abbassò le luci per dare la giusta atmosfera e, quando Castiel aprì bocca, regnava ormai il completo silenzio, e - Dio! - non aveva affatto mentito. La sua voce era bassa e dolce, così armoniosa e gentile che avrebbe potuto far piangere gli angeli - quelli veri.
Dean non si pentì affatto di aver scelto quella particolare canzone, ed anche lo scetticismo dei presenti sembrava messo a tacere; fu davvero costretto a concentrarsi su ciò che stava facendo per non farsi distrarre dal semplice ed innegabile splendore del suo salvatore.
Notò diverse coppie abbracciarsi nella semioscurità del pub, trasportate dalla musica, e perfino Jo posò la testa sulla spalla della madre - con la quale discuteva fin troppo spesso - vinta dall’atmosfera.
Castiel si voltò ad osservarlo, forse cercando una rassicurazione, e lui gli regalò un lento sorriso ed uno sguardo compiaciuto attraverso le ciglia bionde.
«Baby, I've been here before. I've seen this room and I've walked this floor. I used to live alone before I knew ya. I've seen your flag on the marble arch, but love is not a victory march, it's a cold and it's a broken Hallelujah».[4] Il modo in cui modulava le parole, tenendo gli occhi fissi su di lui, gli strappò un sussulto del cuore.
Quando la canzone si concluse e le ultime note morirono nell’aria immobile della Road House, seguì un pesante silenzio, poi dal fondo della sala qualcuno iniziò a battere lentamente le mani, come se fosse troppo stupito per fare di più, e presto quel suono si trasformò in un applauso scrosciante che coinvolse tutti i presenti.
Castiel arrossì e si inchinò in ringraziamento, voltandosi poi per rivolgere un sorriso a Dean. Lui si sentì afferrare per un braccio e si ritrovò accanto all’amico, prendendosi la sua meritata dose di apprezzamenti e sentendosi sussurrare all’orecchio: «Sei davvero bravo».
«E tu sei diventato un professore. Cristo, potresti essere una nuova rock star e invece fai il professore di teologia a Lawrence, nel Kansas» rispose incredulo, passandogli un braccio attorno alle spalle. «Sei pazzo. E non mi divertivo così tanto da anni» concluse.
Non c’erano semplicemente parole per descrivere il sorriso che Cas gli rivolse, era troppo - troppo luminoso, troppo felice, troppo sincero - davvero troppo.«Ragazzi, potrei pagarvi per fare un esibizione del genere tutte le sere. Mi avete riempito il locale!» asserì Ellen, colpendo il giovane Winchester sul petto, come se lo stesse accusando anziché elogiando.
«Abbiamo già un lavoro» gli ricordò questi, massaggiandosi la parte offesa. «Ma potresti offrirci da bere per ringraziarci».
«Eccolo qua. Cosa non farebbe per una bottiglia della sua birra preferita?» sbuffò la donna. «Stammi a sentire tu, giovanotto» aggiunse all’indirizzo di Castiel, che li osservava divertito. «Mi sembri un bravo ragazzo, quindi lascia che ti dia un consiglio: fuggi finché sei in tempo».
«Ehi!» protestò Dean, ma la risposta dell’amico lo mise a tacere.
«Non c’è problema, stasera deve pagare per forza lui, era nei patti quando mi ha sequestrato» spiegò quest’ultimo.
«Io ti avrei sequestrato? Mi sembrava che tu fossi più che consenziente» osservò il ragazzo.
«Non hai la più pallida idea di quanto io posso essere consenziente, Dean» rispose sibillino l’altro uomo, in tono così basso che solo lui riuscì a cogliere quella frase e si sentì fremere dalla testa ai piedi.
Poi la padrona del locale li interruppe di nuovo, schiaffando sul bancone un bicchiere di vetro e riempiendolo di whisky. «Ecco qua!» esclamò, sospingendolo verso Castiel.
«Ed io?» protesto il pompiere.
«Tu paghi» rispose la signora, facendo scoppiare a ridere il professore, che fu rapido a nascondersi dietro il bicchiere.
«Carini, siete davvero carini» s’imbronciò il ragazzo.
«Ci penso io» lo soccorse Jo, portandogli un’altra birra e rivolgendogli uno sguardo intenso.
Stranamente il sorriso di Castiel sparì e lui prese un altro sorso di whisky in silenzio, mentre Dean accettava l’offerta con circospezione. La cosa non sfuggì agli occhi attenti di Ellen, che mandò la figlia a servire di nuovo i tavoli, prima di coinvolgerli ancora in un allegra chiacchierata, sbeffeggiando il giovane Winchester ad ogni buona occasione, mentre l’altro uomo cercava di impedirgli di bere troppo.
Un’ora più tardi la padrona del locale dovette praticamente mandarli via a calci, visto che entrambi il giorno seguente dovevano lavorare; quando salirono in macchina stavano ancora ridendo.
«Mi piace questo posto» affermò Castiel, mentre Dean metteva in moto. «Grazie per avermi portato qui».
«Ellen conquista tutti, non è così?» replicò concorde. «È come una zia o una seconda madre, per me. Quando io e mio fratello eravamo piccoli e i nostri genitori erano a lavoro, a volte ci lasciavano qui e lei si prendeva cura di noi. Sammy, Jo ed io siamo cresciuti insieme» gli rivelò.
«Quella ragazza è pazza di te» osservò l’amico.
«Sì, lo so» sospirò lui con aria seria.
Anche l’altro uomo sembrava un po’ incupito. «Allora cosa aspetti? Sei single, no?» gli domandò.
«Jo è… impegnativa» asserì, cercando le parole adatte per spiegargli la situazione. «Non è una che posso portarmi a letto per poi sparire, capisci? La rispetto troppo per farle una cosa simile, ma non la amo abbastanza per avere una storia seria con lei. Le voglio bene come se fosse una sorella».
Castiel non rispose alcunché ed un silenzio assorto calò nell’abitacolo, allora Dean accese la radio per riempirlo, lasciando che le note di “Somebody to Love” li accompagnassero dall’altro lato di Lawrence.[5]
«E tu, invece, stai con qualcuno?» lo interrogò, quand’erano ormai vicini ad arrivare.
«No» rispose conciso il professore.
«Troppo impegnato a salvare sfigati in mezzo alla strada, eh?» ironizzò Dean, mentre parcheggiava.
«Già» sorrise il suo angelo incrociando il suo sguardo, e lui sentì qualcosa che non provava da tempo - fuochi d’artificio, farfalle? - esplodergli nello stomaco. Lo sguardo gli cadde sulle sue labbra ed un momento dopo Castiel lo stava baciando.
Dean boccheggiò come se improvvisamente tutta l’aria nella macchina fosse stata risucchiata via e l’altro ragazzo ne approfittò per intrufolargli la lingua tra le labbra, andando a sfiorare la sua. Lui intrecciò le dita ai suoi capelli, scoprendoli soffici come piume, e - ancora prima di realizzare cosa stesse facendo - gli si schiacciò addosso, ricambiando il bacio.
Castiel sembrò farsi violenza per staccarsi da lui e mormorare un «Vuoi…» salire? probabilmente sarebbe stata la conclusione, ma ammutolì.
Dean lo stava osservando ad occhi sgranati - allucinati - con il petto che si alzava ed abbassava senza sosta per il respiro febbrile. «Io… dovrei andare… sì, domani ho il turno delle sei e… devo andare» biascicò, senza avere il coraggio di guardarlo di nuovo. Cristo, cosa aveva fatto? Che cazzo aveva fatto?!
L’altro uomo si allontanò lentamente, con espressione imperscrutabile, e cercò a tentoni la maniglia della portiera. «D’accordo. Be’… buonanotte» concluse, richiudendola con un rumore secco che alle sue orecchie suono come un colpo di fucile.
Rimise in moto - praticamente fuggì - non appena l’amico si fu scostato di due soli passi, e non si fermò finche arrivò sotto la propria palazzina, il respiro ancora ingolfato e gli occhi che non vedevano davvero ciò che aveva davanti.
Senza pensare, prese il cellulare e compose il primo numero tra le chiamate rapide.

[1] Toy Story - Il mondo dei giocattoli (Disney, 1995).
[2] Metallica - Enter Sandman.
[3] Halleluja.
[4] «Tesoro, sono già stato qui prima. Conosco questa stanza, ho percorso questo corridoio. Ero abituato a vivere da solo prima di conoscerti. Ho visto il tuo vessillo sull'arco di marmo, ma l’amore non é una marcia della vittoria, è un freddo e grave alleluia». (Jeff Buckley - Halleluja).
[5] Queen - Somebody to Love.

Capitolo sucessivo: Parte 2.

Potete trovarla anche su:
EFP;

serie: iris (mr gennaio 'verse), maridichallenge: cow-t, supernatural

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