I just want you to know who I am - Parte 2

Apr 11, 2011 09:41

Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean.
Altri Personaggi: Sam Winchester, Ellen e Jo Harvelle, Anna Milton, Balthazar.
Rating: NC17.
Charapter: 2/2.
Beta:koorime_yu .
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: AU, Sesso descrittivo, Slash, Spin-off.
Words: 4156/9600 (fiumidiparole ).
Summary: [Spin-off di “When Everything Feels Like the Movies”, può essere considerata una AU, se letta a sé] Dean è un vigile del fuoco, una sera - dopo un turno pesante - esce sbronzo da un pub e rischia di essere investito, a salvarlo è Castiel Novak, professore di teologia. L’inizio della loro storia nella dimensione del Djinn.
Note: Scritta per l’ ottava - e ultima, sigh - settimana della COW-T di fiumidiparole  e maridichallenge , Team Maghi - Missione 3: “Impegnarsi vuol dire soprattutto rischiare. Non solo la vita, ma la propria serenità.” (di Roberto Saviano); il prompt fa da introduzione alla fic.
Il titolo è un verso di “Iris” dei Go Go Dolls, colonna sonora di City of Angels..
Dedica: A koorime_yu , come regalo di compleanno in oltraggioso ritardo. La succitata pulzella non si è limitata a chiedere questa storia, l’ha pretesa XD e mi ha accompagnata per tutta l’avventura la stesura, non solo di questa fic, ma anche di quella da cui ha origine, incaricandosi di betare entrambe. Insomma, questa roba è anche un po’ sua ♥

Capitolo precedente: Parte 1.


DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

I just want you to know who I am
Parte 2

Una manciata di secondi dopo lo raggiunse la voce perplessa di suo fratello: «Dean, che è successo? Non mi chiami mai a quest’ora».
«Sono fottuto» soffiò ancora sotto shock.
«Che hai fatto, stavolta?» lo interrogò Sam esasperato, e nemmeno immaginarlo alzare gli occhi al cielo servì a farlo tornare in sé.
«Ho… ho incontrato questo ragazzo l’altra sera e... non lo, Sammy... mi ha fatto perdere la testa» gemette, afferrandosi una manciata di capelli e poggiando la fronte sullo sterzo.
«L’hai picchiato?!» replicò il minore, e Dean ebbe l’impressione che si stesse già preparando psicologicamente a sventare denunce, da bravo avvocato.
«No… l’ho baciato» ammise dopo un momento d’esitazione, incredulo lui stesso di cosa stesse dicendo.
In risposta gli giunse solo un lungo silenzio.
«Sam, sei ancora lì?» chiese incerto, controllando il display per assicurarsi che non fosse caduta la chiamata.
«Scusa...» biascicò l’altro con voce arrochita, come se gli si fosse incastrato qualcosa in gola. «Ripeti?»
«Ho detto che l’ho baciato» sbuffò Dean, sentendo le proprie guance andare a fuoco - maledetta pelle chiara e lentigginosa - e ringraziando il cielo per essere solo. Non avrebbe retto ad avere quella conversazione a tu per tu.
«Uoh… be’… e lui? Voglio dire: come l’ha presa?» ribatté il fratello, schiarendosi la voce con nervosismo.
Il maggiore si accigliò. «Non lo so. Be’, tecnicamente è stato lui a baciarmi. Io ho solo… sai… ricambiato» ammise.
«E poi?» lo sollecitò Sam.
«Poi sono fuggito» concluse, sbattendo la testa contro il volante e facendo involontariamente suonare il clacson.
«Sei pessimo» lo rimproverò il più piccolo, con un sospiro.
«Ehi! Che diavolo avrei dovuto fare?!» sbottò lui.
«Prova ad immaginare come ti saresti sentito se una ragazza avesse reagito così dopo un tuo bacio» osservò il suo fratellino.
«Oh…» biascicò, realizzando la cosa solo in quel momento.
«Già» enfatizzò l’altro.
«Sono pessimo» ammise Dean, sentendosi una merda.
«Sì, lo sei» confermò Sammy. «Senti amico, dormici su. Una volta che ti sarai schiarito le idee, va a scusarti con quel ragazzo, qualunque sia la tua decisione» gli raccomandò.
«Ma tu non… voglio dire, tu non…» cercò di trovare le parole. Non era contrario?
«Io sono sempre il primo numero delle chiamate rapide, se hai bisogno» lo rassicurò in un sospiro rassegnato. «Basta che non mi dai troppi dettagli, eh» aggiunse poi, come per un ripensamento, riuscendo a strappargli una risatina.
«Okay, Samantha».
«Eh no, bello! Quel nomignolo non vale più, alla luce dei fatti. Non sono io quello sessualmente confuso» protesto il minore.
«Col cavolo! Tu resterai sempre la mia dolce Samantha» concluse Dean, mandandogli un bacio prima di chiudere la chiamata.
Loro due non erano mai andati molto d’accordo, erano troppo diversi e non avevano proprio nulla in comune, ma quando il padre era morto due anni prima, avevano dovuto far fronte comune per aiutare la madre, e questo li aveva avvicinati molto. Inoltre, nonostante fosse un gran rompicoglioni, Sammy era pur sempre il suo fratellino; Dean gli aveva costantemente guardato le spalle, fin da quando era diventato abbastanza grande da badare a lui mentre i loro genitori erano a lavoro. In pratica: era il suo migliore amico.

*°*°*°*°*

La mattina dopo, quando si alzò prestissimo per il turno delle sei, aveva un’aria così sciupata che perfino Rufus - il più vecchio e schivo dei suoi colleghi - gli domandò se si sentisse bene. La verità era che non era affatto riuscito a dormire; ogni volta che chiudeva gli occhi, gli sembrava di poter percepire la pressione delle labbra di Castiel, marchiata a fuoco sulle proprie, e ricordava la sensazione dei suoi capelli tra le dita, o il brivido delle sue mani delicate che gli s’intrufolavano sotto l’orlo della camicia.
Era un coglione. Cristo, era fuggito con la coda tra le gambe come un fottuto coniglio, ed ora non desiderava altro che baciarlo ancora, ancora ed ancora, fino a consumarsi le labbra. Come diavolo si era cacciato in una situazione simile? Quando era diventato gay?!
Le donne - e tutto quello che un corpo femminile comportava: seni sodi, gambe lunghe, sedere rotondo, fianchi morbidi, vagina - gli piacevano ancora, ed era piuttosto certo che gli uomini non gli interessassero. Non riusciva pensare ad un solo ragazzo di sua conoscenza che trovasse attraente; anche gli amici che razionalmente, ed in modo del tutto spassionato, sapeva essere tra i più fighi - visto come le donne correvano loro dietro - non gli suscitavano un bel niente. Ma allora perché quel dannato professorino gli faceva un effetto così travolgente?! Diamine, non si era mai sentito così delirante nemmeno durante le prime cotte adolescenziali!
Non capiva più nulla, solo di una cosa era certo: voleva Castiel. Punto, senza se e senza ma, e non per una mera questione fisica o per chissà quale curiosità, voleva tutto di lui. E quel ragazzo meritava molto di più di come l’aveva trattato, meritava delle scuse, o quantomeno una spiegazione. Fu solo allora, alla fine del suo turno, mentre si cambiava negli spogliatoi, che si accorse di non avere ancora il suo numero. La sera prima era intenzionato a chiederglielo prima di salutarlo, ma poi era successo… quello che era successo e, be’… se n’era proprio dimenticato.
Quindi cosa fare? Controllò l’ora, era troppo presto, probabilmente l’amico era ancora a lavoro, ma lui sentiva che se non l’avesse visto in quel momento avrebbe di nuovo perso il coraggio. Perciò fece inversione a “U” e si diresse verso l’Università di Lawrence.
Quando arrivò e varcò l’ingresso si guardò attorno spaesato. Non era mai stato al college, non gli era mai interessato. Pensava di entrare nei marines, dopo il diploma, ma suo padre - che era stato in guerra e sapeva ciò che diceva - lo aveva dissuaso, quindi lui aveva optato per qualcosa di altrettanto avventuroso; non era proprio il tipo adatto a stare dietro una scrivania.
Dopo aver fatto qualche passo incrociò la strada di una bella ragazza dai capelli rosso fuoco, troppo adulta e ben vestita per essere una studentessa.
«Mi scusi,» la fermò «saprebbe dirmi dove posso trovare il Professor Novak?»
Lei si immobilizzò e gli rivolse una lunga occhiata, niente a cui non fosse abituato, per carità, ma la donna aveva gli occhi un po’ troppo sgranati. «Oh, mio Dio!» esclamò «Tu sei Mr. Gennaio, vero?» Dean quasi si strozzò con la propria saliva, ma lei non ci fece caso e gli tese la mano. «Sono Anna Milton, docente di Lettere Antiche e migliore amica di Castiel» si presentò. «Ha il calendario dei pompieri in ufficio» spiegò poi con un sorriso malizioso. «Comunque, credo che sia ancora a lezione, ma dovrebbe aver quasi finito. Lo trovi nell’ultima aula del corridoio sulla destra» gli indicò facendogli l’occhiolino e dileguandosi con una risatina.
Lui rimase lì ancora qualche secondo, cercando di riassumere cosa diavolo quel ciclone rosso gli avesse appena detto. Infine si riscosse e prese la strada indicatagli, poi si fermò davanti alla porta, indeciso su cosa fare. Bussare o attendere?
Proprio in quel momento captò la discussione che si stava tenendo aldilà del pannello:
«Professore, lei crede davvero che Dio esista?» stava chiedendo un ragazzo con voce intrisa di sarcasmo. «Si è guardato attorno di recente? Come può questo mondo pieno di dolore e violenza essere una Sua opera?»
«Il Signore non è un’eminenza onnisciente e superiore che guarda tutti dall’alto con indifferenza, signor Williams. È amore. E questo mondo tanto orribile a me sembra solo addormentato, avvelenato da se stesso. Ma a risvegliarlo non sarà la logica o il cinismo, bensì la forza delle persone che amano: le uniche ancora capaci di coniugare i verbi al futuro».
La lezione terminò così e Dean si spostò per lasciare che gli studenti si riversassero fuori dall’aula. Castiel fu l’ultimo ad uscire e, quando incontrò il suo sguardo, si pietrificò per un attimo, ma poi si accigliò e gli passò oltre, senza nemmeno salutarlo.
Allora, seguendo l’istinto, lui gli afferrò una manica dell’impermeabile, trattenendolo e facendolo voltare. «Posso parlare con te, anche se non so coniugare bene i verbi al futuro?» mormorò impacciato.[6]
Il suo angelo osservò quella presa come se avesse osato troppo e con freddezza rispose: «Non credo che abbiamo più nulla da dirci».
«Sì, invece. Possiamo andare a parlare da una altra parte?» propose guardandosi attorno, a disagio in mezzo allo sciamare degli studenti, che li osservavano incuriositi.
«Ti ho salvato la vita e mi hai offerto da bere per ringraziarmi. È finita. Stammi bene, Dean» fece per allontanarsi, ma lui lo trattenne ancora.
«Non è finita, Cas. È appena cominciata» lo contraddì, poi lasciò scivolare la mano nella sua, sino ad intrecciare le loro dita e anche se il professore lo guardò allibito e fece resistenza, lui lo trascinò con sé verso l’uscita.
«Mi stai sequestrando?» ironizzò l’amico, riprendendo le parole della sera prima.
«Sì» confermò deciso Dean, attirandolo più vicino a sé, ora del tutto disinteressato agli sguardi dei curiosi. Che ci facessero l’abitudine, non aveva intenzione di lasciare quella mano tanto presto.
Si rassegnò a farlo solo quando raggiunsero l’Impala e fu costretto a staccarsi per permettergli di salire. Mettendosi alla guida, pensò brevemente a dove andare; poteva scegliere una caffetteria o un altro posto tranquillo in cui parlare, ma voleva evitare di essere interrotto da chicchessia, fosse stato anche solo il cameriere venuto a prendere l’ordinazione.
Castiel lo tolse d’impiccio: «Portami a casa, per favore. Mi risparmierai il ritorno in metropolitana» fu tutto ciò che disse.
Per il resto del viaggio fu silenzioso e mantenne ostinatamente lo sguardo fuori dal finestrino. Una volta arrivati non lo invitò a salire, ma Dean lo seguì comunque. Presero l’ascensore e lui fu costretto a combattere contro se stesso per impedirsi di schiacciare il pulsante di blocco e parlare con Castiel in quel momento stesso - o per attaccarlo alla parete metallica e baciarlo fino a togliergli il respiro.
Le porte si aprirono e l’amico si frugò nelle tasche per cercare le chiavi di casa, nel frattempo qualcuno salì le scale e si fermò al loro stesso pianerottolo, fissandoli stupito, con in mano un paio di buste della spesa. Era un uomo alto e molto magro, con il viso affilato, due occhi azzurro ghiaccio ed un sorriso da schiaffi.
«Ti stai portando a casa Mr. Gennaio, Cassey?» domandò divertito il nuovo arrivato.
L’interpellato si voltò, fissandolo senza espressione e sospirò: «Non è il momento, Balthazar» poi finalmente trovò la chiave e la infilò nella toppa, spalancando la porta.
L’altro uomo si diresse a quella di fronte e prese a sua volta il proprio mazzo di chiavi. «D’accordo, ma limitate i gemiti, i muri sono sottili» replicò, infilandosi dentro casa prima che Castiel potesse afferrarlo e scaraventarlo giù dalle scale.
Non appena superarono l’ingresso, la prima cosa che Dean disse fu: «Ma quante copie hai di quel calendario?» e Cas arrossì lievemente.«Ignora Balthazar, a quanto pare essere amici d’infanzia gli da la convinzione di potermi tormentare per il resto della mia vita» borbottò infastidito, liberandosi dell’impermeabile ed appendendolo all’attaccapanni. «Allora, sei venuto qui per parlare, quindi… parla» concluse voltandosi lentamente verso di lui.
Dean si sfregò la bocca, all’improvviso a corto di parole. Non era mai stato bravo a scusarsi con qualcuno. «Quello che è successo ieri…» iniziò, ma il padrone di casa lo interruppe.
«Non accadrà mai più» concluse secco. «Credevo - o forse mi illudevo - che tu fossi interessato a me. Ma sei etero e l’hai ben dimostrato. È stato bello conoscerti. Ora non c’è davvero più nulla da dire» chiarì pensando di toglierlo dall’impaccio, ma lui si sentì solamente peggio.
«Non vorresti nemmeno che restassimo amici?» chiese incredulo.
«Non vedo come potremmo esserlo, visto che tutto ciò che vorrei è sbatterti sulla prima superficie orizzontale a disposizione» rispose franco Castiel.
«Be’, allora è un bene che io non ti voglia come amico» ponderò il vigile del fuoco, ma si rese subito conto di essere stato frainteso, perché il viso dell’altro s’incupì ancora di più.
D’accordo, non era bravo a scusarsi, ma sapeva riconoscere i propri errori. «Ieri mi sono comportato da idiota» ammise. «Mi sono trasformato nella brutta copia di Speedy Gonzales perché ero… spaventato».
«L’ho notato» ironizzò Castiel.
«Ma non da te!» replicò precipitosamente Dean. «Ero terrorizzato da quello che mi fai sentire. Sono ancora terrorizzato, perché non ho mai, mai provato nulla di così… intenso» sentiva il proprio viso andare a fuoco, ma cercò titubante il suo sguardo, sperando che il suo angelo capisse che era sincero.
Questi sciolse le braccia incrociate sul petto, incredulo. «Cos’è, una specie di curiosità? Hai scoperto che baciare un uomo non è poi così diverso dal baciare una donna e vuoi sperimentare?»
«No. Cioè, sì, sono curioso, ma non è questo, davvero! Mi… mi piaci sul serio, Cas» smozzicò il ragazzo, inciampando sulle sue stesse parole. Cristo, che figura di merda. Voleva sprofondare, giù, giù, giù, senza ritorno. Non si era mai sentito tanto in imbarazzo, nemmeno quella volta che suo fratello l’aveva beccato a guardare Dr. Sexy M.D.
L’altro uomo ora lo osservava spaesato, come se non riuscisse ancora a credergli o non si fidasse a sufficienza - e, dopotutto, perché avrebbe dovuto farlo? Si conoscevano a malapena! - ma fece un titubante, quasi inconscio, passo avanti. Adesso erano così vicini che gli sarebbe bastato alzare una mano per sfiorarlo.
«Sai, non possiamo andare avanti così, con te che mi sequestri e fai quello che ti pare» mormorò accennando un sorriso.
«Oh, non ho nemmeno iniziato a fare quello che mi pare» sussurrò lui in risposta, prima di afferrarlo per la cravatta con mani tremanti - giusto un po’, eh! - ed attirarlo a sé, catturando le sue labbra. E fu come tornare a respirare dopo un giorno intero passato in apnea.
Suo, quell’angelo era suo. Qualcuno gliel’aveva mandato, mettendolo sulla sua strada proprio al momento giusto, e lui non aveva nessuna intenzione di disfarsene.
Le dita di Castiel furono subito tra i suoi capelli e poi sul suo collo, ad incorniciarli il viso, come se avesse paura che potesse fuggire. Lo accarezzavano, poi lo strattonavano, mentre accoglieva la sua lingua e poi la respingeva, intrufolandosi nella sua bocca. Dean soffocò un ansito entusiasta e gli circondò i fianchi, abbracciandolo gentilmente, e - più per abitudine che per effettiva volontà - per  il momento mantenne la mani al di sopra della vita.
L’altro ragazzo sorrise contro le sue labbra, prima di fare un altro passo avanti e mandarlo a cozzare con forza contro lo stipite della porta del soggiorno, strappandogli un gemito che morì nella sua bocca. «Sono un uomo, Dean, non una fanciulla delicata» gli bisbigliò all’orecchio con voce roca, prima di graffiare il lobo tra i denti, spedendogli una scarica di eccitazione giù per la schiena.
Già, nessun bisogno di essere gentili, o di trattenersi. E - Dio! - la vena autoritaria di Castiel era incredibilmente eccitante. Gli era sempre piaciuto guidare i giochi, ma vedere le sue amanti prendere l’iniziativa e lasciare che fossero loro a curarsi del suo piacere, gli aveva dato sempre un brivido in più. Uhm… forse dopotutto non era poi così dominante come credeva di essere, ma questa considerazione sarebbe rimasta solo nella sua testa.
Approfittando della nuova situazione, afferrò a piene mani le natiche di Castiel - tonde, sode, assolutamente perfette - attirandoselo ancora di più addosso, mentre si riappropriava della sua bocca. Una volta tanto, non dover piegare il collo per baciare qualcuno era comodo, e la leggera ricrescita di barba che graffiava contro il suo mento era stuzzicante.
Sentì le mani del suo angelo - più grandi di quelle di una donna, ma comunque delicate - intrufolarsi sotto la sua maglietta ed accarezzargli la sporgenza delle anche, poi una gamba intrufolarsi tra le sue a premere in modo fantastico sul cavallo dei suoi pantaloni. Dovette interrompere il bacio, senza fiato; gli arrivavano troppe stimolazioni e tutte insieme, in più cominciava a percepire qualcosa di inconfondibile premere contro la propria coscia.
«Tutto bene?» domandò Cas accarezzandogli piano - in modo ipnotico - il basso ventre, troppo vicino a dove desiderava davvero le sue mani per non distrarlo.
Lui annuì. «Camera da letto?» propose, baciandolo sul mento, ma l’altro fece scioccare la lingua contro il palato. Poi si sentì afferrare di nuovo per fianchi e spingere a sinistra, quindi fece due passi traballanti e ricadde sul divano, che lo accolse con uno sbuffo.
«Prima superficie orizzontale a disposizione, ricordi?» ribatté Castiel, slacciandosi con un gesto fluido la cravatta e gettandola a terra, prima di scrollare le spalle per liberarsi della giacca elegante, e lui si ritrovò a deglutire un groppo enorme di eccitazione e tensione che gli ostruiva la gola.
Cas si tolse velocemente anche le scarpe e i calzini, prima di raggiungerlo e salire a cavalcioni sui suoi fianchi. Afferrò l’orlo della sua maglia e cercò di sollevarla, ma Dean gli afferrò i polsi.
«Aspetta» squittì trattenendolo.
«Ci… ci hai ripensato?» domandò il professore sorpreso.
«No, solo… rallenta» mormorò Dean, leccandosi le labbra. Era nervoso, accidenti, e credeva di averne ogni diritto. Non avrebbe voluto mostrarlo a Castiel, ma davvero non riusciva a seguire i suoi tempi e cominciava a sentirsi sopraffatto.
«Oh…» soffiò questi quando si rese conto della situazione. «Le mie scuse» aggiunse, sfiorando con i pollici il dorso della mani che ancora lo bloccavano.
Il ragazzo si schiarì la voce e gli sbottonò i polsini, poi iniziò a fare lo stesso con gli altri, partendo dal suo collo, e riprese a baciarlo con passione, ma con un ritmo più rilassato, godendosi ogni secondo. Scoprì porzioni sempre maggiori della sua pelle, sino a sfilare dai suoi pantaloni gli ultimi lembi della camicia e risalire ad accarezzargli tutto il torace, prima di farla scivolare lungo le braccia e mandarla a morire sul pavimento.
Sì scostò appena per godersi la vista. Castiel era più magro e meno muscoloso di lui, ma il suo corpo era comunque tonico e ben definito, davvero piacevole. Il suo petto era pallido, glabro e liscio, ed i capezzoli minuti risaltavano poco più scuri del resto. Li sfiorò, stuzzicandoli appena, ben sapendo quanto potesse essere fin troppo sensibile quella zona, e l’amante sussultò reprimendo una risatina.
«Soffri il solletico?» chiese Dean curioso, accarezzandolo sulle costole e facendolo contorcere.
«Un po’» mugugnò sorridendo, poi strusciò i fianchi contro i suoi, premendo le loro erezioni e… oh! «Non male, eh?» aggiunse sornione. E lo fece ancora, e ancora.
Lui abbandonò il capo contro il divano, chiudendo gli occhi, ed una attimo dopo la bocca di Castiel fu sulla sua gola. Scivolò sulla sua giugulare, succhiando il punto delicato subito sotto l’orecchio, e poi rotolò giù, disegnando con la lingua la linea delle sue clavicole.
Dean mugugnò qualcosa d’incomprensibile e si scostò appena, per sfilarsi - stavolta di sua iniziativa - la maglietta e buttarla in un punto imprecisato dietro il divano, prima di cercare di nuovo le sue labbra. L’altro ragazzo si aggrappò alle sue spalle forti e studiò con il tatto il suo petto ed il suo addome.
«Anche meglio del calendario» sussurrò divertito, facendogli sbuffare una risata.
«Ed io che non volevo nemmeno partecipare al servizio fotografico» si schernì il vigile del fuoco. Ne era valsa la pena anche solo per quel guadagno inatteso.
«Oh, e poi come avrebbe fatto la gente ad iniziare bene l’anno?» replicò Castiel tra un bacio e l’altro.
«Hai ragione, sarebbe stato molto egoistico da parte mia» convenne Dean, mordicchiandogli le labbra.
«Terribilmente»  sospirò l’altro, iniziando a diventare incoerente quando la bocca dell’amante si posò sul suo collo. Senza riuscire ad attendere oltre, portò una mano al cavallo dei suoi jeans, accarezzandolo attraverso la stoffa, prima di slacciargli la cintura. «Scopami» ansimò afferrando il suo sesso, e lui bisbigliò un Oddio strozzato, per poi attaccare a sua volta i suoi pantaloni.
Castiel si sollevò sulle ginocchia, puntellandosi sul divano per sfilarseli insieme ai boxer, liberando prima una gamba e poi l’altra, poi tornò a sedersi su di lui, completamente nudo e bellissimo.
«Dio, ma che mi hai fatto?» mormorò Dean, attirandolo di più a sé, e «Dove sei stato fino ad ora?» o qualcos’altro di altrettanto incoerente, mentre con una mano cercava di sfilarsi un profilattico dalla tasca dei jeans e con l’altra toccava ogni punto del suo corpo che riuscisse a raggiungere.
Il compagno tirò fuori da chissà dove - un puff? Un’asse scorrevole del pavimento? - un tubetto di lubrificante e ne spremette una generosa dose sulle proprie dita, prima di portarle dietro di sé.
«Vuoi…?» mormorò lui incerto, indeciso se proporsi o meno per pensare lui a quel compito. Diamine, nemmeno sperava di essere attivo e Cas stava addirittura facendo tutto da solo!
Questi scosse il capo e cercò le sue labbra. «Mettiti il preservativo» lo incitò piuttosto, mentre si preparava rapidamente.
Quando si calò su di lui, a Dean mancò il fiato, tanto era fantastica la sensazione. Così stretto e - uhm… Dio! - bollente. Castiel tremava contro il suo corpo, mentre cercava di fare piano, abituandosi lentamente, e lui gli strinse i fianchi, aiutandolo a sostenersi ed agevolando i suoi movimenti. Alla fine, trovarsi del tutto affondato dentro di lui fu semplicemente esaltante.
L’amante si prese un minuto per abituarsi e Dean intanto portò una mano alla sua eccitazione - era strano, ma non molto diverso da toccare se stesso - accarezzandola lentamente per distrarlo da quel momento di disagio. Il suo angelo teneva le palpebre serrate, le mani artigliate al divano, le labbra premute contro il suo orecchio, e vi rilasciò all’interno un sospiro di sollievo, prima di iniziare a muoversi piano, con un ritmo costante.
Dean gli accarezzò la schiena, gli baciò una spalla e riconquistò le sue labbra, quando infine il ragazzo lasciò il rifugio del suo collo. Gli occhi di Cas erano incredibili, così scuri e dilatati che il nero della pupilla inghiottiva quasi il blu dell’iride - da brivido; non aveva mai visto nulla di più eccitante. Incapace di trattenersi oltre, alzò i fianchi, andando incontro ed approfondendo le sue spinte, e l’altro ragazzo lasciò ricadere indietro il capo, soprafatto da uno spasmo di piacere, saturando l’aria con un gemito che gli risalì la gola, tanto carico di piacere da essere quasi intossicante.
«Tutto okay?» si preoccupò Dean.
«Sì… sì, continua… proprio lì» smozzicò l’altro, aggrappandosi a lui ed accelerando il ritmo, travolto dal bisogno. E di sicuro lui non aveva intenzione di fermarsi, diamine avrebbe venduto l’anima al diavolo, piuttosto!
Le spinte si fecero serrate, quasi insopportabili, e per un pericoloso momento il divano rischiò di rovesciarsi indietro, ma Castiel stava venendo, inarcandosi con un sorriso, e nient’altro aveva importanza. Dean lo morse in un punto imprecisato sul petto, soffocando un grido mentre raggiungeva l’orgasmo a sua volta, e sentì le sue dita insinuarglisi tra i capelli, quasi volessero incoraggiarlo. Un attimo dopo si lasciarono andare entrambi, tremanti.
Il vigile del fuoco scalciò pigramente i jeans e l’intimo ancora incastrato sopra le sue ginocchia e, con qualche movimento difficoltoso, riuscì a stendersi, tenendo l’altro ragazzo sopra di sé. Castiel poggiò una guancia sul suo petto e sospirò quieto, chiudendo gli occhi.
«Stai bene?» riuscì a chiedergli Dean dopo qualche minuto, quando il sangue tornò a raggiungere i suoi neuroni.
«Bene, sì» mugugnò il suo angelo, sul punto di addormentarsi, senza badare a null’altro.

*°*°*°*°*

Dean scivolò silenziosamente fuori dalle lenzuola, liberandosi con attenzione del braccio di Castiel che gli stringeva possessivamente la vita. Gli dedicò un lungo sguardo, accarezzando la sua figura nuda arricciata tra le lenzuola, prima di grattarsi la testa e cercare di ricordarsi dove avesse lasciato i propri vestiti. In soggiorno, se non sbagliava.
Si allontanò in punta di piedi e quasi scivolò su un cartone del take-away cinese. Si erano trasferiti in camera da letto in un momento imprecisato della sera e non l’avevano lasciata nemmeno per cenare. Dean si era infilato un paio di boxer giusto il tempo necessario per pagare il fattorino, poi si erano rinchiusi lì e avevano fatto l’amore ancora, ancora ed ancora.
Socchiuse la porta, attento a non farla cigolare, e si diresse in soggiorno sgranchendosi la schiena. Gli facevano male muscoli che non sapeva nemmeno di avere, ma non si era mai sentito così bene. Raccolse i propri abiti da terra e li infilò in silenzio. Stava per cercare carta e penna, in modo da lasciare un biglietto a Castiel, quando questi lo raggiunse, abbracciandolo alle spalle.
«Che fai già in piedi?» borbottò assonnato, schiacciandosi sulla sua schiena.
Dean si rigirò tra nella su stretta, attirandolo di più a sé. «Tra un’ora devo essere a lavoro,» spiegò dispiaciuto «faccio giusto in tempo a rientrare a casa, fare una doccia e cambiarmi».
«Oh» mormorò Cas sollevato, cercando le sue labbra per un bacio.
«Credevi che stessi fuggendo via?» arguì Dean, facendolo arrossire d’imbarazzo.
Lo osservò divertito: aveva i capelli incredibilmente arruffati - anche più del solito - ed il segno del cuscino su una guancia, indossava solo un paio di boxer grigi ed una maglietta azzurra lisa, che aveva visto giorni migliori, ormai buona per essere usata giusto per dormire, e che aveva stampato sul davanti…. Pacman? Adorabile. Dovette fare violenza a se stesso per non caricarselo in spalla e riportarlo a letto.
«Ti chiamo durante la pausa pranzo» promise, invece, accarezzando le sue labbra con le proprie.
Il professore annuì ancora insonnolito, accompagnandolo alla porta e lui ridacchiò tra i suoi capelli. Non gli avrebbe detto che aveva il suo biglietto - quello che aveva trovato sul tavolo della cucina dopo la notte in cui l’aveva salvato - ancora nel portafoglio, custodito come un portafortuna o l’immaginetta di un santo. Per questioni del genere avevano tutto il tempo del mondo.

FINE.

[6] Dialogo ispirato ad una scena di “L’ultima riga delle fiabe” di Massimo Granellini.

Spazio Autore: In occasione della Pesca Miracolosa di destiel_italia, koorime_yu ha scritto per me un delizioso ed esilarante Spin-off di questa fic: Stanare il Coniglio, seguita da La Tana del Coniglio.
E se volete sapere come proseguono le cose tra Mr. Gennaio ed il Prof. Novak, fate un salto qui: And all I can Breathe is your Life e I know that you feel me somehow.

Potete trovarla anche su:
EFP;

serie: iris (mr gennaio 'verse), maridichallenge: cow-t, supernatural

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