DATI
Titolo: Akai Ito
Capitolo:
Prologo -
1 -
2 -
3 -
4 -
5 - 6
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale
Pairing: Sakurai Sho x OC / Masaki Aiba x OC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?
NOTE
Avevo le idee un po' confuse su come impostare questo capitolo, su come allacciare il flashback a quella che sarà la storia vera e propria e non so per quanto tempo ci avrei rimuginato su. Invece grazie ad un commento ho semplicemente aperto TextEdit e ho cominciato a scrivere di getto. E' un capitolo di collegamento, ma anche di chiusura completa del flash back dal punto di vista di Sho.
In realtà non sono convinta del tutto di questo capitolo, ma non voglio rileggerlo. Dentro di me lo sono è la mia parte razione che non lo è e a volte è meglio non darle ascolto.
Piccola nota per chi avesse letto Zakuro. Le scene a cui si fanno riferimento in questo capitolo sono tutte prese dal capitolo 5 "Una coccinella dispettosa [1#]":
1) quando Yun-seo sta cercando un locale dove fermarsi con Sho. Lui incontra Erina in uno di quei momenti in cui sta aspettando fuori dal bar che lei gli dica se entrare o meno
2) lo scandalo a cui si fa riferimento è quello della foto, chiaramente e le parole della conferenza stampa (così come quelle che Sho sente dalla tv) sono le stesse che compaiono in quel capitolo.
Quando vedete un * significa che c'è un nota alla fine del testo del capitolo
6. Becoming a Brave Man
«Come mai sei da queste parti?» domandò Sho squadrandola da capo a piedi. Indossava una giacca in lana nera sopra quello che doveva essere un tailleur blu notte, poteva vederne solo la gonna stretta intorno alle gambe, fin sopra il ginocchio. Intorno al collo portava una sciarpa bianca e teneva i ricci rossi legati in una coda alta sulla nuca. «Sto svolgendo un lavoro qui vicino» gli spiegò lei stringendosi nelle spalle, mentre si risistemava la borsa sulla spalla «Tu invece? Ormai non sei più quello che poteva andare in giro senza troppi accorgimenti»
«Hai ragione, non posso più» sorrise divertito «Sto facendo un giro, abbiamo la giornata libera e così...»
«A Chiba? Ma tu non abitavi da tutt'altra parte?» domandò Erina stupita, poi si morse il labbro e scosse la testa «Scusa, non sono affari miei credo»
«Dove sarei dovuto andare? Ad Harajuku?» provò a scherzare il ragazzo «Ho passato la mattinata in un Laser Game qui vicino»
«La... laser game?» domandò stupita
«Si, veramente non ci ero mai andato prima di oggi, ma...»
«Sakurai san!» esclamò una voce femminile. La coppia smise subito di parlare e Sho fece istintivamente un passo indietro per allontanarsi da Erina. Dal locale davanti a loro, quello che lui continuava a fissare impalato vicino alla fermata, uscì una ragazza e Sho le sorrise "Oh fantastico" sospirò tra sè "Ahn san ha un tempismo orrendo". La ragazza era bassa e aveva i capelli corti, indossava un paio di pantaloni di una tuta, chiodo in pelle e scarpe da ginnastica. «Prendi mille precauzioni e poi strilli il mio nome? Ho sbagliato: non sei una veterana!» la prese in giro, quando si avvicinò. Lei ed Erina si scambiarono un'occhiata e lui le osservò entrambe prima di riprendersi dopo qualche secondo «Oh scusate... Ahn san, questa è Sheridan Erina, una mia vecchia compagna dei tempi dell'università» spiegò «Erina san, questa è Ahn Yun-seo»
«Molto piacere» fece la rossa chinando il capo
«Piacere mio. Capisci il giapponese?» domandò quella
«Si, sono giapponese» rispose Erina con pazienza
«Ahn san, Erina san è per metà americana, ma è sempre vissuta qui, quindi parla bene il giapponese. Al contrario di te!» scherzò Sho
«Qualsiasi giapponese sa il giapponese meglio di me che non lo sono, che ragionamenti fai Sakurai san?» domandò quella aggrottando le sopracciglia. Sho le sorrise mestamente osservandola per un istante, ma non potè fare a meno di tornare a guardare Erina. "Così all'improvviso... mi riporta alla mente tutti i ricordi del periodo universitario. Vecchia ferita, vecchia delusione... che deficiente! Mi sento pure felice di vederla? Diamine... è addirittura più bella di allora..." continuò a pensare finchè la ragazza con lui non lo richiamò. «Quel posto non andava bene, proviamo col prossimo» disse lei guardando il ragazzo quando lo vide osservare intensamente, ma il meno vistosamente possibile, la rossa. «Nemmeno questo? Perchè stiamo scegliendo il locale dove andare? Non va bene uno qualsiasi?» domandò sbigottito, riprendendosi
«Beh, allora io vado» si intromise Erina per poi chinare il capo verso Yun-seo
«Ah giusto! Sei in giro per lavoro, sarai occupata» annuì Sho guardandola con gli occhi spalancati, improvvisamente si sentì agitato. «Si, scusa. Devo fare questo lavoro per un cliente e tornare in ufficio prima di oggi per portare dei documenti al mio capo» spiegò lei stringendo tra le mani la cartelletta di fogli
«Hai ragione, ti lasciamo andare allora» si intromise Yun-seo
«Per il capo?» domandò invece il ragazzo, per trattenerla ancora «Credevo che una volta nel mondo del lavoro saresti stata tu il capo. Eri brillante in università!». Erina sembrò colpita e abbassò lo sguardo arrossendo vistosamente: gli era sempre stato chiaro quando il suo viso si colorasse, la sua pelle era tanto chiara da renderlo evidente. «Mi sono trasferita da poco più di un anno, quindi sto ancora facendo la gavetta» spiegò lei impacciata «Quindi ogni scusa è buona per dirmi che sto sbagliando»
«Ti rendi conto che è un modo gentile per dirti che la stai trattenendo?» domandò con una punta di ironia Yun-seo. Sho spalancò gli occhi e annuì inchinandosi leggermente «Oh, si, si! Hai ragione. Allora...» lasciò la frase in sospeso scrutando il viso della ragazza davanti a sè
«Ehm... si» farfugliò lei inchinandosi appena
«E' stato bello rivederti» riuscì a dire finalmente. Sentiva come se lo stomaco gli si stesse chiudendo d'improvviso: faceva ancora quell'effetto? «E' vero... è stato bello» sorrise lei «Buona giornata. Ahn san, è stato un piacere» salutò l'altra ragazza prima di riprendere a camminare lungo il marciapiede, allontanandosi dalla fermata dell'autobus. "La sto lasciando andare via così?" si domandò Sho fissando davanti a sè quando la ragazza gli passò accanto. La osservò con la coda dell'occhio: gli sembrò di vedere il suo ultimo sorriso, ne percepì una traccia di profumo nell'aria. Però quando vide la ragazza al suo fianco muoversi a sua volta sospirò "Sì, devo lasciarla andare via così" si rassegnò "Ora sono qui per Ahn san e non me la sento di lasciarla da sola. Sarei uno stronzo altrimenti.. no?" si disse, ma non potè fare a meno di voltarsi. Prima di seguire la coreana con lui osservò la giovane donna che si allontanava: la sua schiena, i suoi ricci, le gambe lunghe, le spalle sottili. Probabilmente la sua silhouette vista da dietro era quello che più era riuscito a vedere di lei in tutti quegli anni: un Erina di spalle, disinteressata della sua vita, dei suoi pensieri... dei suoi sentimenti, anche se impacciati. Un Erina che non lo guardava.
«Sho kuuun?? Sho kuuun??» continuavano a bussare alla porta della sua stanza e per quanto i battiti fossero tantissimi sapeva perfettamente che a farli era solo una persona. «Aiba chan, la smetti?»
«Sho kun, posso entrare?» chiese ancora ad alta voce. Poteva immaginarselo fuori dalla porta che saltellava impaziente «No, ma dico...» sospirò aprendola «Da quando ti fai scrupoli?»
«Hai acceso la tv?» domandò lanciandosi nella stanza e saltando sul suo letto afferrando al volo il telecomando. Incrociò le gambe mettendosi seduto sul bordo «Prego, Aiba chan» sospirò Sho, ridacchiando sommessamente «Che cosa c'è da vedere di così interessante?» chiese sedendosi dietro di lui, appoggiando la schiena al muro. Sullo schermo stava andando in onda una rassegna stampa serale, ma doveva essere già nella fase finale dato che erano finiti i quotidiani ordinari. In quel momento, alle spalle della conduttrice, era visibile una fotografia di alcuni articoli di giornali scandalistici.⎨... INCREDIBILE SOTTO MOLTI PUNTI DI VISTA. PROPRIO IN QUESTI GIORNI INFATTI IL FAMOSO GRUPPO POP ARASHI STA LAVORANDO ALLA PREPARAZIONE DI UNA SERIE DI VIDEO NUOVI PER LANCIARE IL TOUR ESTIVO PER IL DECIMO ANNIVERSARIO DAL LORO DEBUTTO.⎬«Mh? Parlano di noi?» domandò Sho facendosi improvvisamente attento⎨C'E' QUINDI DA CHIEDERSI SE SIA STATA UNA MOSSA PUBBLICITARIA O SE VI SIA EFFETTIVAMENTE QUALCOSA DIETRO. DIAMO LA POSSIBILITA' AL PUBBLICO DI VEDERE NUOVAMENTE LE FOTO IN QUESTIONE, FATTE OGGI DA...⎬il ragazzo spalancò gli occhi: era una foto che ritraeva lui e Yun-seo, quello stesso pomeriggio, nel bar dove alla fine si erano fermati. «E' il terzo notiziario in cui ne parlano» gli spiegò Aiba indicandogli lo schermo con il telecomando «Qualcosa mi dice che domani ti daranno del filo da torcere in sede»
«Oh... che rottura» sospirò Sho sprofondando nel materasso, sdraiandosi in posizione fetale per non colpire l'amico con i piedi
«E' tutto qui? Sai dire solo questo?» domandò quello continuando a fissare lo schermo
«Che cosa devo dire?» fece nascondendo la faccia nel cuscino
«Scusa Sho, ma siamo nei pasticci e poi... pensavo che un po' ti piacesse sul serio» ragionò l'altro. A seguito di quella frase ci fu un lungo silenzio. «Ehi... Aiba chan» lo richiamò Sho alzando il viso dal cuscino quanto bastava per farsi sentire
«Mh?»
«Posso parlarti?»
«M-mh» annuì cominciando a fare zapping tra i canali
«Ho incontrato Erina oggi» esordì per poi tornare a soffocarsi nel guanciale. D'improvviso calò il silenzio nella stanza, la tv era stata spenta. Sho soffocò a malapena un grido di spavento quando si sentì afferrato ai polpacci e tirato prepotentemente verso il bordo del letto. «Ma sei sce..» fece quando gli sfuggì il cuscino dalle mani
«Che hai detto?» domandò l'amico sgranando gli occhi. Cercò di rimettersi seduto meglio quando Aiba gli lasciò andare le gambe e le incrociò sistemandosi davanti a lui. «L'ho rivista vi...»
«Come?» chiese sbalordito
«Per caso» si strinse nelle spalle «Ero in giro con Ahn san questo pomeriggio. E' scesa da un autobus, ci siamo incontrati alla fermata e l...»
«Come mai era lì?»
«Mi stai facendo il terzo grado?» sbottò «Se mi lasci parlare ti racconto, se continui ad interrompermi ti sbatto fuori a calci» lo minacciò incrociando le braccia
«Ok, ok... scusa» alzò le mani in segno di resa
«Era da quelle parti per lavoro, ci siamo scontrati per caso. Le ho fatto cadere tutto a terra, che figura da fesso» ridacchiò coprendosi gli occhi con una mano e appoggiando il gomito su un ginocchio «Non avrei potuto rivederla in maniera più stupida e impacciata... veramente! Dovevi vederla: con la borsa, fogli, documenti, vestiti eleganti... era diversa dall'ultima volta che l'ho vista»
«Quand'è stato?» domando Aiba abbassando lo sguardo a cercare gli occhi dell'amico, chino su se stesso
«Cinque anni fa... no, sei. Il giorno della laurea. Me lo ricordo come fosse ieri, eravamo ancora dei ragazzini...» spiegò alzando lo sguardo e mettendosi a gesticolare «Dio, l'ultima volta che l'ho vista indossava il kimono! Vederla oggi in tailleur...» si coprì di nuovo gli occhi con la mano e se la passò sul viso prima di guardare verso il soffitto «Mi sono reso conto di quanto tempo sia passato. Io.. io...»
«Ehi, sta buono» sospirò Aiba. A quelle sue parole Sho sospirò e tornò rilassato. «Com'era?» domandò l'amico dopo pochi minuti di silenzio
«Bellissima» rispose con un mezzo sorriso, guardando negli occhi il compagno.
Aiba Masaki era l'unico a sapere cosa fosse successo l'inverno di nove anni prima. Questo perchè quella sera sera si presentò alla porta di casa sua, a Chiba, quando ancora viveva con la sua famiglia. Era un atteggiamento sconveniente, ma si sentiva distrutto: quella mattina si era svegliato sicuro di sè ed erano bastate le parole di una ragazza a sbattergli in faccia quanto il "se stesso" di cui era certo facesse pena. Avevano passato tre ore appoggiati al muretto di casa di Aiba, bardati fino al mento perchè il giorno prima aveva nevicato e anche se non c'era quasi più traccia di bianco per le strade faceva comunque freddo.
All'epoca Sho era una persona diversa. Si vergognava a ricordare com'era al tempo, ma si consolava all'idea di essere ormai una persona diversa. Già nel 2001 era abituato a stare sotto i riflettori, lo faceva da qualche anno dato che era stato un Johnny's Junior, ma diventare parte degli Arashi, debuttare... quello era il vero mondo dello spettacolo: quello era il successo. Non aveva mai voluto essere famoso, principalmente aveva cominciato perchè era curioso, poi perchè si divertiva o perchè sperava di far divertire anche gli altri, le persone che li seguivano, ma c'era stato un effetto collaterale in quei primi periodi: essere delle figure evidenti nella società aveva cominciato a togliergli un po' di libertà, ma anche a renderlo più attraente agli occhi di molti. Per certi versi si rendeva conto che da qualche tempo certa gente lo avvicinava per interesse e non per genuina voglia di conoscerlo, per altri era chiaro come le ragazze lo notassero molto di più rispetto a prima e per un ragazzo della sua età, per dei ragazzi come lo era tutti loro, era un effetto più che positivo. Ognuno aveva affrontato molte questioni a proprio modo durante quei dieci anni, lui in quel caso era stato un po' più stupido di altri (per la verità anche Jun si era atteggiato in maniera simile) e aveva deciso di crogiolarsi in quella sensazione, di sfruttarla: tante ragazze attirate da lui, disposte a stare con lui in qualsiasi momento, era una sensazione piacevole e voleva sfruttarla. Se la spassava, anche se in realtà più spesso l'unica cosa che lasciava fare alle ragazze era uscire con lui, fargli compagnia, raramente le baciava e quasi mai si era spinto oltre. Le restrizioni dell'agenzia erano parecchie, le conseguenze se le avesse infrante tragiche. Ma anche accontentarsi di circondarsi delle ragazze migliori non era male.
Era stato così fin quando non aveva cominciato l'università. Erina la notò subito, era difficile non notarla con quei capelli che sembravano urlare "Ehi, guardami!". L'aveva trovata subito carina, interessante, ma se con altre ragazze quasi si atteggiava, le volte in cui aveva tentato di avvicinarsi lei non era riuscito nemmeno a pensare alla scusa più banale per attaccare bottone. Era un ragazzino, era uno stupidotto immaturo, certo, ma non era uno scemo: aveva capito di essersi innamorato e aveva capito che era per quello che non riusciva a comportarsi con lei come faceva con le altre per cui, era certo, non provava niente. La sua immaturità gli aveva fatto più volte pensare che quei sentimenti fossero da sfigati: si trovava patetico quando ripensava al se stesso impacciato che cercava un modo per sedersi vicino a lei a lezione, che si avvicinava ai distributori cercando disperatamente una qualsiasi banalità da dire per cominciare a parlare e non la trovava. Per quello, dopo mesi di tentativi, aveva deciso che quell'atteggiamento da imbecille innamorato non gli si addiceva e aveva archiviato la questione. Poi, proprio pochi giorni dopo aver preso quella decisione, era stata lei a parlargli. "Scusa, è libero?". Niente di più semplice. Poi il lavoro lo aveva trascinato via, proprio quando aveva appena cominciato ad avvicinarla. Ma starle lontano, invece di far spegnere la fiamma l'aveva alimentata: quando la rivide in università gli sembrava fossero passati pochi attimi, gli piaceva come e forse più di prima.
Poi cos'era successo? Semplicemente era un cretino. Qualche anno più tardi si era reso conto di come Erina fosse una di quelle persone che arriva a parlare e conoscere tutti semplicemente perchè era una ragazza spigliata, senza troppi timori e affabile, proprio come Aiba. E, di riflesso, chiunque parlasse con lei finiva con l'ingrandire il suo cerchio di conoscenze. I ragazzi lo avevano visto parlare con lei, uno di loro ne era invaghito e lo fecero entrare nel loro gruppo di amicizie sperando di attirarla. Finirono col diventare la sua compagnia di amici al campus. Erano un po' stupidi per la loro età, se ne rendeva conto persino lo Sho dell'epoca, eppure, a sorpresa, erano quello che cercava: un gruppo di stupidi. Non che gli Arashi non lo fossero abbastanza, ma dovevano esserlo con giudizio e al tempo ancora avevano difficoltà a trovare un equilibrio tra il fare gli scemi e il fare gli idol responsabili del loro lavoro. I ragazzi in università invece si divertivano e basta, non avevano restrizioni sul comportamento, non gli parlavano di programmi da fare, interviste da affrontare, non gli raccontavano del possibile futuro drama: erano ragazzi comuni e fuori dalla JE era quello che gli serviva. Semplice spensieratezza da ventenni. Erina però non si avvicinò mai a loro e non capiva come mai, lei che legava con tutti, riservasse a quel gruppo della semplice cortesia di circostanza. Per via di quella situazione e con le sue continue assenze per via degli impegni lavorativi non era mai realmente riuscito a legare con lei: aveva perso la sua occasione all'inizio e non riusciva ad intravedere un modo per averne una seconda.
Era sicuro che suo compleanno avrebbe potuto esserlo. Avvicinò l'amica di Erina con la quale, siccome non gli interessava, riusciva a parlare senza problemi e le invitò entrambe. Ogni tanto i ragazzi del gruppo gli chiedevano come andasse in università e scherzando aveva detto loro di avere le ragazze ai suoi piedi. Avevano riso, lo sapevano che non era vero e ci scherzavano su come faceva lui, ma quando Aiba conobbe Erina per caso finì col confessargli tutto perchè Masaki poteva essere sbadato, pasticcione e a volte un po' ingenuotto, ma era sensibile e non gli era sfuggito lo sguardo che lui riservava a quella ragazza nonostante la distanza abissale che si era creata tra loro. Altro che sfilze di ragazze! Lui era interessato ad una, una soltanto, che però pareva distante anni luce. Fu di Aiba l'idea di chiederle di uscire per Natale e Sho l'avrebbe anche fatto quel giorno, fuori dalla biblioteca, mentre cercava di sfogare la tensione rigirandosi la sigaretta tra le mani, ma alla fine non c'era riuscito. Ancora una volta l'emozione lo bloccava. Il suo compleanno sarebbe stata veramente la sua ultima possibilità e invece non andò così: fu terribile e Masaki rimase coinvolto. Il senso di colpa lo tormentò per almeno un mese fin quando non si decise: era esasperato dalle scuse che l'amico continuava a fargli -aveva fatto innamorare di sè, non sapeva come, la ragazza che piaceva a lui- esasperato da quella distanza con lei, esasperato da quel se stesso che stava facendo la figura dell'idiota per un paio di battiti in più al cuore. Che mai gli sarebbe successo? Se non riusciva a parlare poteva sempre agire, in quello era bravo.
Ma non era andata come sperava.
«Non è che mi detesta» spiegava calciando un mucchietto di neve contro il muro «E' solo che credo di farle schifo»
«Schifo? Ehi, com'è possibile? Io ti adoro!» aveva esclamato Aiba mentre si chiudeva meglio i bottoni della giacca pensante
«Aaah, lascia stare. Prima di tutto lei è una donna e tu sei un uomo: ho il sospetto che i valori di una donna siano diversi dai nostri; secondariamente tu mi conosci in maniera diversa da come mi conosce lei»
«Come puoi dire che ti conosce? Non è vero per niente! Quanto vi sarete parlati... vediamo... quattro volte in.. quanti mesi?»
«Credo che siano cinque volte da Aprile, quindi dieci mesi. Grazie per averlo sottolineato Aiba chan»
«Oh, ehi! Scusa!» aveva allargato le braccia spazientito «Ma per la miseria, devi comunque ammettere che il suo è un giudizio affrettato. Come può essere così arrogante da pensare di poterti giudicare e bollare come poco di buono se in definitiva non ti conosce? Secondo me domani le sarà passata e la prossima volta che la vedi ti dirà che ci ha ripensato».
Un buon amico Aiba. Anche un ingenuo e un inguaribile ottimista. Erina non cambiò idea il giorno dopo, nè quello dopo ancora. Lei e Sho non toccarono più di quell'argomento, continuarono a parlarsi chiaramente, svolsero anche alcuni compiti di gruppo con altri, ma il loro continuò ad essere un rapporto tra due persone distanti fino alla fine. Non l'aveva mai fatta sua, non ci era mai riuscito o forse non ci aveva mai provato seriamente.
Tirò il tessuto della giacca in avanti e sospirò «Ehi, ma non sei tu quello che sa fare il nodo alla cravatta meglio di tutti?» sbuffò Jun avvicinandoglisi e sistemandolo «Tutto a posto? Ti hanno strapazzato troppo in sede oggi?»
«Va tutto bene»
«Con noi puoi parlare. Ora Yun-seo non c'è, se hai qualcosa che prima era meglio non dire, adesso puoi farlo»
«Non devi preoccuparti Jun, sistemiamo questo stupido scandalo e torniamo al dormitorio: è stata una lunga giornata» lo tranquillizzò Sho per poi ringraziarlo con un cenno del capo per avergli sistemato la giacca e la cravatta. Entrarono nella sala conferenze e fecero dei sorrisi di circostanza ai fotografi prima di sedersi. Nino gli lanciò un'occhiata e lui annuì impercettibilmente.
C'era una frase che gli era rimasta impressa nella mente in tutti quegli anni: "Se vuoi un consiglio, in futuro non diventare ciò che gli altri vogliono che tu sia, ma abbi più coraggio di essere chi sei veramente". «Cosa potete dirci delle voci che hanno cominciato a girare dopo lo scandalo di una settimana fa?» domandò una giornalista. Sho la osservò, indossava un tailleur dello stesso colore di quello di Erina. Gli venne da sorridere: quel pensiero così particolare, romantico in un certo senso, ora gli sembrava bello, importante, ma allo Sho di nove anni prima sarebbe sembrato da smidollato. «Si dice che sia stato architettato dall'etichetta come pubblicità gratuita al gruppo e ai lavori che state portando avanti» fece un altro reporter. Le parole di Erina si erano radicante dentro di lui man mano che il tempo era passato, erano diventate una sua personale regola e le aveva fatte proprie così tanto da essersi dimenticato da dove gli arrivavano. Quell'incontro inaspettato lo aveva riportato alle origini: era stata lei, il giorno in cui l'aveva respinto, a ridargli l'umiltà che aveva perso, la dignità che era giusto che conservasse, soprattutto per rispettare se stesso. «Non c'è stato niente del genere da parte dell'etichetta» esordì Nino chinandosi in avanti per per parlare nel microfono
«Ecco» fece immediatamente Sho, avvicinando il proprio e lanciando un'altra occhiata all'amico, facendogli un mezzo sorriso «Nino, preferirei rispondere io»
«Mh... va bene» rispose questi fingendosi un po' scocciato e tornandosene appoggiato alla sedia.
Quell'anno erano dieci dal debutto, Sho e tutti gli altri erano cresciuti tramite esperienze comuni e personali che la vita indipendente di ognuno aveva loro regalato. Erano cresciuti come artisti, come lavoratori, come uomini. Si poteva dire che Erina fosse uno dei suoi più grandi rimpianti, ma la verità era che quella ragazza era la ragazza: l'amore che tutti, in un momento della propria vita, incontrano e che non dimenticheranno mai. La gente si può fidanzare, sposare, avere figli, ma c'è quella speciale, particolare persona che magari non si rivedrà mai più fino alla fine ma che avrà sempre un parte dei nostri pensieri. Questo era lei per Sho. Quando prese fiato per parlare sapeva che le parole che avrebbe detto erano quelle decise precedentemente perchè la sua doveva essere una risposta precisa, studiata in anticipo, ma in parte sapeva anche che il modo in cui l'avrebbe detta sarebbe stato la sua dichiarazione. "Mi stai guardando?" pensò cominciando la sua risposta "C'è la minima possibilità che tu stia guardando la televisione chiusa nella tua camera? Sarebbe bello perchè vorrei che tu mi vedessi, che ti rendessi conto di chi sono adesso".
Era Sakurai Sho, era un uomo che aveva il coraggio di essere se stesso.