[Fluffathlon IV settimana] II fanfiction

May 30, 2009 23:18

Titolo: Passione
Fandom: originale
Coppia: Michele/Isabella
Prompt: pornofluff o fluff orizzontale @ Fluffathlon + [Lista due: Rose] 02. Rosa rossa @ Meme di Maggio di michiru-kaiou7
Rating: R (secondo il mio personalissimo autorating)
Conteggio Parole: 2245 (OpenOffice Writer dixit)
Riassunto: [...] A distanza di anni, quando Michele ripensa alla prima volta in cui ha fatto l'amore con Isabella, si dà ancora dell'idiota e naturalmente la colpa è solo di Cesare!
Note: I personaggi sono i miei (non li rapite e non ci giocate enza il mio permesso) e sono gli stessi di Tenerezza e Famiglia e di altre che seguiranno. Si ringrazia calorosamente el_defe


When the night has come

And the land is dark

And the moon is the only light we'll see

No I won't be afraid

Oh I won't be afraid

Just as long as you stand, stand by me

So darlin' darlin' stand by me

Stand by me - Ben E. King

A distanza di anni, quando Michele ripensa alla prima volta in cui ha fatto l'amore con Isabella, si dà ancora dell'idiota e naturalmente la colpa è solo di Cesare!
Conclusa la sessione estiva di esami al Politecnico, Michele era tornato a Roma in attesa di partire per la Spagna con il fratello. Era una di quelle maledette sere in cui non tirava un filo d'aria e stare in casa, con l’aria condizionata al massimo, non era possibile, così dopo cena lui e Cesare erano andati a fare un giro in centro, avevano preso qualche birra con degli amici a Campo de' Fiori e poi si erano spostati in una discoteca sulla spiaggia ad Ostia. Faceva un caldo pazzesco e bere sembrava un buon modo per scacciare l'afa. Il barista era un tipo che Cesare conosceva di vista (Cesare conosceva sempre tutti), e gli servì dei cocktail stracarichi e pesantissimi. Michele odiava sfigurare con gli altri per la sua scarsa resistenza all'alcool, perciò aveva ingurgitato più di quanto umanamente gli era possibile sopportare; quel bastardo di suo fratello lo sapeva e continuava a passargli bicchieri di Negroni o Quattro bianchi come se fossero stati acqua minerale. Alla fine era così tronco, da riuscire a fatica a pisciare nel water.
All'epoca il suo rapporto con Isabella non era tanto chiaro, non erano più soltanto amici ma non si poteva dire che stessero insieme. Isabella continuava ad uscire con un altro tizio (di cui Michele ricordava benissimo le generalità, anche a distanza di cinque anni, ma per orgoglio faceva finta di non sapere che faccia avesse) ma si sentivano tutte le sere ed era chiaro che tra di loro sarebbe potuto nascere qualcosa, ma c’erano tanti impedimenti. Il primo, il più forte, era che si conoscevano fin da quando erano piccoli ed Isabella considerava i fratelli Rocca un'appendice della sua famiglia; secondo, non meno importante, Isabella piaceva anche a Cesare (era stato lui il primo a guardarla con occhi nuovi, il primo ad accorgersi che non era più la ragazzina con le trecce a cui facevano i dispetti) e terzo, Isabella di fatto stava con un altro.
Fu proprio l'alcool, o il fatto che Michele odiava restare in bilico sul filo, che lo spinse a fare una rivelazione sconcertante al fratello: “Cesare, io adesso chiamo Isa e le dico che la amo”.
Cesare fissò il fratello, così ubriaco da doverlo sorreggere, e si mise a ridere: “Puoi fare meglio, fratellino, puoi farle una serenata sotto casa!”. Erano le tre di notte, era un giovedì ed Isabella abitava in un condominio di quindici famiglie con suo padre, ex lanciatore di coltelli in un circo, insomma non era proprio il caso di fare un gesto del genere, ma lui non era affatto lucido e quel bastardo di Cesare aveva sempre idee del cazzo.
Si misero in macchina, guidava il maggiore appena più sobrio di lui, e Michele, con la faccia fuori dal finestrino per permettere all'aria fresca della notte di svegliarlo, cantava a squarciagola le canzoni da proporre all'amata. Ricordava la sua voce stonata nel silenzio della Cristoforo Colombo, i semafori deserti, sempre rossi, sistematicamente bruciati da Cesare, che gli suggeriva i brani e fischiettava i motivetti. Era euforico, quell'euforia da sbornia che fa dire e fare cose che altrimenti non ti sogneresti mai di fare.
Arrivarono sotto casa di Isabella e solo allora si ricordarono che abitando al sesto piano non avrebbe potuto sentire la serenata, così decisero di citofonare all'interno 12. L'idea che il sor Saverio potesse essere beatamente addormentato nella tranquillità della sua casa non li colse neanche per un secondo. Suonarono una, due, tre volte, sempre a lungo, sempre insistentemente. Alla fine una voce rotta di sonno venne a rispondere: “Chi è? Cosa succede?” Isabella si doveva esser presa un bello spavento quella notte, pensa a distanza di tempo Michele, e se fosse stata più saggia avrebbe dovuto mandare al diavolo entrambi e cancellarli dalla lista delle persone frequentabili.
“Isa, scendi. Michele deve dirti una cosa importantissima” disse Cesare appoggiando al muro i palmi delle mani e il naso spiaccicato al citofono, per quanto mediamente il ragazzo reggesse bene l'alcool era parecchio stravolto anche lui.
“Cesare? Cosa diavolo...”
“Isabella, senti io volevo cantarti una canzone, eh, vuoi sentire?” Michele si appoggiò al fratello quasi schiacciandolo al muro mentre la testa gli ronzava e sentiva l'ultima Capiroska risalirgli dalla bocca dello stomaco.
“Michele? Michele ma sei ubriaco?” Se la poteva immaginare la faccia scandalizzata, e forse preoccupata, di Isabella nell'oscurità dell'ingresso, in piedi con la cornetta del citofono tra le mani.
“No, ma che! Senti, senti... Uen de nai as com end de and is dark end de mun is de olly lai oui si...”
“Michele? Cesare, ma che succede?”
“No, ai uon be affrei, oh no, nananna stand by me, stand by me!”
“Scendo. Ragazzi sto scendendo, non vi muovete”
Michele si ricorda a malapena di aver cantato stonando e storpiando ogni singola parola, ma Cesare gli ha rinfacciato quella notte almeno un miliardo di volte. Ricorda però Isabella apparire nell'androne del palazzo, con indosso una camicia da notte bianca, con delle rose stampate, cortissima e decisamente adatta a fare pensieri poco onesti, i capelli sciolti sulle spalle e il suo passo affrettato. Ricorda il suo odore buonissimo quando lo abbraccia e le sue mani delicate che gli accarezzano la testa.
“Tutto bene?”
“E' solo ubriaco” ridacchiò Cesare, sedendosi sui gradini dell'ingresso, mentre si accendeva una sigaretta.
“Cesare, sei un bastardo, guarda come lo hai ridotto” lo rimproverò Isabella.
“E' grande, grosso e vaccinato: sa badare a sé stesso” rispose il fratello maggiore facendo spallucce.
“Isa, sei molto carina stasera”
“Michele, sono le quattro di notte e io sono in pigiama. Oh, porca, ma sei davvero ubriaco? Salite, deficienti, vi faccio un caffè”
“Ma, Isa, io ti devo fare la serenata” protestò Michele appoggiandosi alla ragazza, che a fatica riusciva a sorreggerlo.
“Me la fai in ascensore, andiamo. Cesare, potresti darmi una mano?”
Cesare restò fermo sui gradini dell'ingresso, la sigaretta in bocca e un sorrisetto sornione sulle labbra. “Vedi, Isabella, non ci hai pensato un secondo a soccorrere il fessacchiotto, è chiara la tua scelta, tesoro, e io non la contesto, perché non voglio litigare con mio fratello per una donna, neanche una speciale come te. Michele è innamorato di te e, se tu sei innamorata di lui, faresti bene a lasciare il tipo con cui esci e fare la persona seria”
“Non sono cose che ti riguardano”.
“Tratta bene Michele, non vedi come si riduce per te?” Cesare risalì in macchina e sparì nella notte. Michele seguì a stento la conversazione, ormai il mal di testa lo attanagliava e desiderava solo un bagno per vomitare. Isabella lo sorreggeva e gli parlava per non farlo addormentare, faticò ad aprire la porta di casa con lui che si lasciava trasportare come un sacco di patate. Entrarono nell'ingresso buio e Isabella non accese le luci, bensì si diresse in bagno, cercando di non far troppo rumore e lasciò l'amico bocconi sul pavimento. Si sbrigò a metter su il caffè e, quando tornò in bagno, Michele teneva la testa sotto il getto gelido del rubinetto.
“Sono un idiota” biascicò, rosso in volto. Isabella lo conosceva abbastanza per sapere che si stava vergognando da morire.
“Prendi il caffè, vedrai che ti fa bene”.
“Il caffè mi fa rimettere”
“Bene, è quello che ti serve. Dio solo sa cosa ti sei bevuto stasera”
“Isabella, mi dispiace, io... Guarda, davvero, sono mortificato”
“Povero scemo! Bevi” Isabella lo costrinse a bere il caffè e gli asciugò i capelli frizionandoli gentilmente con un asciugamano. Si sederono contro il bordo della vasca, l'uno sconvolto per il malessere montante, l'altra assonnata.
Michele seppe in quel momento che non c'era un'altra donna a cui avrebbe permesso di vederlo in uno stato così miserevole, di accudirlo come fanno le mamme o le mogli. Isabella era la donna della sua vita, lo capì con la stessa facilità con cui si capisce che si nasce e si muore.
“Isabella, io mi sa che mi sono innamorato di te”
La ragazza rimase in silenzio, ma gli prese una mano tra le sue e la baciò: “Non avevi mai cantato per me”. Tipico di Isabella cambiare argomento quando una questione la imbarazzava.
“Volevo fare una cosa romantica”
“Cantamela di nuovo”
“When the night has come / And the land is dark/ And the moon is the only light we'll see / No I won't be afraid / Oh I won't be afraid / Just as long as you stand, stand by me / So darlin' darlin' stand by me”.
Isabella appoggiò la testa contro la spalla dell'amico e sospirò piano, in maniera appena impercettibile.
Isabella non ricambiò quella dichiarazione d'amore quella sera. Passò del tempo prima che mettesse ordine nella sua vita e decidesse di fare coppia fissa con Michele. Forse era innamorata ancora un po' di quell'altro, o peggio di Cesare: Michele non le ha mi chiesto niente al riguardo, teme la risposta, ma nei fatti Isabella aveva scelto lui; poi se era andata a letto con suo fratello o con altri diecimila uomini, a lui non interessava, perché una volta fatta la sua scelta, Isabella non ha più vacillato e non ha occhi, cuore e tempo se non per lui.

Quella strana notte, iniziata goliardicamente e finita con una clamorosa figuraccia, aveva visto l'alba nel bagno di casa Fabri, seduti l'uno accanto all’altra e con un forte odore di caffè nell'aria. Il sor Saverio fortunatamente non era in casa quella notte e loro due erano rimasti soli. Michele si chiede ancora oggi cosa sarebbe potuto succedere se ci fosse stato anche il padre in casa quella notte, probabilmente avrebbe sparato a lui e a suo fratello con il fucile da caccia. Saverio Fabri era un tipo moderno, alla mano: cresciuto in una borgata di Roma, aveva fatto mille mestieri, compreso il lanciatore di coltelli in un circo, aveva avuto tante donne, anche prima che la povera signora Fabri morisse, e aveva lasciato la figlia a mo' di pacco postale a casa di tutti i parenti disposti a tenerla per una settimana, un mese, un anno. Sapeva di esser stato un padre assente e non rompeva l'anima alla figlia controllando con chi uscisse o cosa facesse. Aveva imposto una sola regola: “Niente droghini!” Che, tradotto, significava di non frequentare tossici e non drogarsi. Ovviamente non aveva da ridire se la figlia frequentava i figli dell'Onorevole, meglio il futuro ingegnere, dovendo scegliere, ma alla ragazza non aveva mai dato ad intendere di preferire un pretendente piuttosto che un altro e ormai Isabella andava per i venticinque anni, riteneva che fosse matura abbastanza per non fare cazzate irreparabili.
“Michele, andiamo a dormire?”
“D'accordo”
Si sistemarono nel lettino ad una piazza nella cameretta d'Isabella, tutta ninnoli e poster di cantanti degli anni Novanta. Isabella non pensò di far dormire Michele sul divano e Michele non protestò all'idea di dividere uno spazio così piccolo in due. Si sistemarono a cucchiaio, con Isabella che voltava le spalle al ragazzo, faccia rivolta verso il muro. A Michele venne da ridere, perché, adesso che la fase più critica della sbornia era passata, non aveva sonno per niente.
“Che ti ridi?” chiese Isabella sbadigliando, lei invece doveva avere parecchio sonno.
“Non ho voglia di dormire”
“Allora, cosa vorresti fare, sentiamo?”
“Facciamo l'amore”
Isabella si voltò verso Michele e lo fissò come se fosse impazzito: “Tu ed io, intendi?”
“Potrei fare da solo, ma sarebbe più carino se partecipassi anche tu”
“Non scherzare”
“Non scherzo, sono serio. Cos'è, non ti piaccio?”
“Non è che non mi piaci, è che ho sonno”
“Ma allora ti piaccio?”
“Sì, mi piaci... Un po'. Però voglio dormire”
“Ma se non avessi sonno, faresti l'amore con me?”
Isabella fece per aprire bocca ma ci ripensò, forse perché capì che, qualsiasi risposta avesse dato, sarebbe stato solo un altro pretesto per continuare a stuzzicarla.
“Allora, Isa, faresti l'amore con me?”
Isabella scoppiò a ridere e questo fu sufficiente a convincere Michele a provarci. Non aveva progettato di farlo e non era andato a casa sua per quel motivo, francamente si stupì dell'arrendevolezza di Isabella, meno di un'ora prima stava vomitando nel suo bagno e adesso lasciava che la baciasse e che le togliesse quella deliziosa camicina con delle rose rosse stampate sul cotone bianco. Aveva un'idea abbastanza precisa del corpo della sua amata, l'aveva vista in costume al mare, aveva già dormito con lei (e altre tre persone) la notte di Capodanno di qualche anno addietro, ogni tanto l'accompagnava a fare shopping e intravedeva le sue gambe snelle da sotto la tenda del camerino; insomma, Isabella non era un mistero da quel punto di vista. Anche il sesso non era mai stato un tabù tra loro, si erano spesso raccontati reciproche avventure, dato consigli e fatto commenti sulle attitudini più fantasiose dei partner incontrati. Eppure Michele aveva l'impressione d'incontrare una sconosciuta quella notte, anche se era più corretto dire quel giorno, vista la luce che filtrava debole attraverso le persiane; quella stessa luce che svelava la sodezza dei suoi seni, la leggera rotondità dell'addome, l'intrecciarsi sinuoso delle gambe. I sospiri, la voce bassa, le mani che vagavano sulla sua pelle, non aveva idea di come Isabella si comportasse davvero nei momenti più intimi ed era piacevole scoprire quel lato della sua personalità. Lei, che era sempre risoluta e indipendente, lo lasciava fare con estrema libertà e nascondeva il volto nell'incavo della sua spalla, come una ragazzina alle prime armi. Non aveva idea di cosa potesse piacerle davvero e non gli sembrava il caso di farle il terzo grado in quel momento, ma sentiva montare la cosiddetta ansia da prestazione. E se a Isa non fosse piaciuto come lo faceva? E se Isa non avesse avuto un orgasmo? Stava per andare in paranoia, quando la mano di lei gli accarezzò il volto: “Signor futuro ingegnere, non star lì a calcolare tutte le variabili”
“Sono nervoso come il giorno della prima comunione”
Isabella ridacchiò mentre appoggiava le labbra contro le sue e conduceva la sua mano più in basso. L'atmosfera iniziava a riscaldarsi e Michele trafficò con la zip dei jeans che non voleva saperne di aprirsi. Ci mancava solo quell'inconveniente per farlo sentire un idiota e Isabella non collaborava molto con la sua risatina, appena camuffata dal contatto delle labbra sul suo collo. Quando i maledetti pantaloni furono tolti di mezzo, zittì la ragazza con un lungo bacio e l'attirò a sé in cerca della giusta posizione. Il resto venne da sé, facile e spontaneo, come ogni cosa assieme ad Isabella, e per quanto inizialmente imbarazzati, i due amanti trovarono una loro sintonia. Per migliorare avevano tutto il tempo del mondo.

Postfazione piccina picciò: Questa ff non è nata per il Fluffathlon, ma poi mi son detta che non ci stava male un po' di passione tra questi due, e perciò ho provato a raccontare questo apsetto della loro vita di coppia. Non so se sia riuscito come esperimento, ma non mi dispiace!

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