[SH/J&W] Il caso di Market Snodsbury (3/4)

Dec 08, 2008 00:39

Titolo: Il caso di Market Snodsbury
Fandom: Sherlock Holmes/Jeeves & Wooster
Rating: PG-13
Pairing: Holmes/Watson, Bertie/Jeeves
Conteggio parole: 23.500 (W)
Note & ringraziamenti: ( qui )

Capitolo 1 - Il funerale
Capitolo 2 - Il racconto di Mr. Jeeves

3. Mr. Wooster e la soluzione del caso

L’ispettore Gregory Lestrade era, in effetti, il figlio minore di quel Lestrade che ricorre numerose volte nelle mie vecchie cronache; intorno ai quaranta, altrettanto magro e di piccola statura, aveva la stessa faccia da topo e gli stessi occhi piccoli e neri. Ma se anche Holmes ed io avessimo mancato di riconoscerlo al primo sguardo, la nostra ignoranza non sarebbe durata a lungo. Dentro la piccola stazione di polizia di Market Snodsbury, Lestrade era impegnato in conversazione con uno degli agenti; non appena alzò gli occhi per controllare con lo sguardo chi fossero i nuovi arrivati, un’espressione sconvolta e incredula si fece largo sul suo viso. Il sigaro gli scivolò dalle dita dentro il posacenere, ma non se ne curò.

“Mr. Holmes, dottore! Conoscervi è un immenso onore per me” esordì, afferrando la mano di Holmes nella sua e dandole una robusta scrollata. Fece altrettanto con la mia, ma il suo sguardo si trattenne solo brevemente su di me, per tornare subito al mio amico. “Tutto mi sarei aspettato quest’oggi tranne che di trovare una simile sorpresa ad attendermi!” La voce gli tremava leggermente. “Ah, buon Dio, non mi sono neppure presentato. Dovete perdonarmi. Sono…”

“L’ispettore Lestrade, certamente” lo precedette Holmes, che per nulla al mondo si sarebbe privato di una piccola sortita sul suo palcoscenico personale. “Anche vostro padre aveva la pessima abitudine di seguire le indagini giorno e notte. Il dottore potrebbe parlarvi a lungo delle conseguenze nefaste di questo brutto vizio.”

“Signore?” disse l’ispettore, interdetto dapprima, poi con un lento sorriso deliziato che gli fioriva sulle labbra.

“Non avete dormito a casa, è evidente” spiegò Holmes. “A giudicare dallo stato dei vostri vestiti e della vostra barba, non avete neppure avuto il tempo di cambiarvi e radervi; e certamente non avete fatto colazione a casa. Avete mangiato in un bar, probabilmente: avete una macchia d’olio ancora piuttosto fresca sul colletto, direi non più vecchia di tre o quattro ore, stretta e lunga in senso verticale: una goccia colata dal mento, difficile non accorgersene. Se foste stato a casa, vi sareste cambiato prima di uscire.”

“Splendido!” gridò l’ispettore, pallido, con voce leggermente alterata dall’emozione. “Mr. Holmes, non so esprimervi la mia gioia per questa inaspettata opportunità di conoscervi e stringervi la mano. Nella mia casa non c’è stato giorno per anni, fino alla morte di mio padre, che non abbia sentito parole della più grande ammirazione e rispetto nei vostri confronti.”

Holmes accettò la dichiarazione con un semplice cenno del capo, ma non potei non notare che ne era stato almeno in parte colpito, forse persino commosso.

Poi l’ispettore Lestrade si accorse di Mr. Jeeves (Mr. Jeeves si toccò la tesa della bombetta in segno di saluto) e capì che eravamo arrivati insieme a lui. “Vi state…”, la voce gli tremò per un’emozione a stento contenuta, “forse vi state occupando del caso dell’assassinio di Mr. Brinkley, signore? È così?”

Soppressi un sorriso quando Holmes si limitò a rispondere: “È una possibilità”.

Un discreto colpo di tosse alle nostre spalle ci fece voltare tutti e tre come un sol uomo.

“Mi rincresce interrompervi, ispettore, ma ritenete che sarebbe possibile discutere dell’argomento di cui mi avete accennato per telefono?” domandò Mr. Jeeves, sempre pallido e contegnoso.

L’ispettore mosse con lo sguardo da Mr. Jeeves a Holmes a me, come considerando brevemente se metterci a parte di informazioni riservate concernenti l’indagine si confacesse o meno alla sua etica professionale. Ma la sua battaglia interiore, se di questo si trattava, fu di breve durata.

“Certamente, certamente. Seguitemi, prego.” Ci condusse in un ufficetto dimesso, il cui arredamento si componeva di una semplice scrivania, un lampadario penzolante e una singola, magra scaffalatura stipata di fascicoli ingialliti.

Sulla scrivania facevano bella mostra di sé una serie di oggetti. Da un lato stavano gli indumenti indossati da Mr. Wooster il giorno del delitto: una costosa giacca di tweed, una cravatta marrone chiaro, una camicia bianca macchiata di sangue nei punti che Mr. Jeeves aveva descritto, un paio di pantaloni di flanella e scarpe allacciate; dall’altro un soprammobile di legno massiccio scolpito in forma di cavallo ritto sulle zampe posteriori (la statuetta era stata posata su un fianco, probabilmente perché la base era completamente incrostata di sangue secco su un lato), una serie di foto della vittima, il cui cadavere era già stato rimosso e sepolto, e infine un foglio di carta disteso, precedentemente ripiegato in quattro parti giacché conservava ancora le righe della piegatura, riempito in buona parte di una grafia spigolosa e grossolana.

“Presumo che conosciate già i fatti” disse Lestrade. “Purtroppo si tratta di un caso piuttosto banale, Mr. Holmes, per nulla all’altezza del vostro genio. La colpevolezza di Mr. Wooster è stata evidente fin dal primo momento. Questa lettera”, prese in mano il foglio, “ci fornisce l’ultimo tassello che stavamo cercando: il movente.” La passò a Holmes, che era il più vicino. “Riteniamo che si tratti…”

“È una copia, naturalmente” osservò Holmes. Ritenni che non avesse avuto il tempo se non per dare una rapida scorsa al contenuto, ma apparve già soddisfatto della sua ispezione e mi passò il cartiglio. Io lo passai a Mr. Jeeves con la scusa di perder tempo a cercare gli occhiali. Da qualche parte dietro la quasi totale impassibilità del suo viso, i nervi del pover’uomo dovevano essere a pezzi.

“Signore?

“La data è 1919, ma la carta e l’inchiostro sono recenti” spiegò Holmes, come se spiegasse un’ovvietà a un bambino.

“Ah. Naturalmente” assentì l’ispettore, vagamente contrariato. “Ma non è questa la cosa importante. L’abbiamo trovata dentro lo scrittoio di Mr. Brinkley insieme ad altro materiale di simile natura, e da questo e dal contenuto si comprende chiaramente come Mr. Brinkley ricattasse Mr. Wooster con la minaccia di denunciarlo per condotta immorale. Per questo” concluse con aria soddisfatta, “Mr. Wooster l’ha ucciso. La serratura dello scrittoio era stata forzata, ma Mr. Wooster non ha evidentemente fatto in tempo a trovare ciò che gli interessava prima che i nostri uomini lo trovassero sul posto.”

Mr. Jeeves terminò di leggere e mi restituì il foglio. La lettera era stata evidentemente scritta da un ragazzo e indirizzata a un amico (un certo “Bingo”). Il ragazzo probabilmente aveva letto abbastanza per lasciarsi catturare da certe idee di un romanticismo classico, giovanile ed esasperato, ma non doveva avere buona memoria: non potei trattenere un sorriso di fronte a espressioni come “Noi siamo proprio come Endimione e Pizia” e altre di questo genere. Era firmata “Bertie”.

“Non vedo molto di immorale in questa lettera” osservai, sfilandomi gli occhiali. “Le allusioni mi paiono piuttosto vaghe: ‘amico dilettissimo del mio cuore’, qualche citazione ambigua e il riferimento a una promessa di condurre una vita di celibato non mi sembrano materiale sufficiente per condannare un uomo ai lavori forzati.”

“Il dottore ha ragione” concesse Holmes, “ma questo non ha molta importanza. La chiave per un ricatto efficace è far credere al ricattato di avere in possesso materiale ben più grave di quello che si ha. Se Mr. Wooster è sufficientemente influenzabile, non sarà stato troppo difficile convincerlo che questa lettera avrebbe potuto rovinarlo.” Si grattò il mento. “Trovo più arduo credere che chiunque si lasci ricattare a mezzo di una semplice copia. A meno che Mr. Wooster non sia così idiota da non riconoscere la propria grafia, è chiaro. Il vostro datore di lavoro è un idiota?” chiese a Mr. Jeeves in tutta serietà.

“Non che io sappia, Mr. Holmes.”

“Evidentemente Mr. Wooster è riuscito a disfarsi dell’originale prima dell’arrivo dei nostri uomini” osservò Lestrade. “Per questo poi non ha fatto in tempo a scappare.”

“Presumete un gesto un po’ troppo lucido da parte di uno che si sarebbe lasciato arrestare con le mani ancora addosso alla sua vittima.”

Mentre diceva questo, girò intorno al tavolo e sollevò l’arma del delitto, studiandone la base, ma solo brevemente; poi si chinò sui vestiti di Mr. Wooster. Si portò una mano alla tasca della giacca, tastandola alla ricerca di qualcosa che sapevo non vi avrebbe trovato, e quando si accorse dell’ovvia mancanza sollevò uno sguardo irritato su di noi. “Una lente di ingrandimento, per piacere.”

L’ispettore Lestrade, preso alla sprovvista, balbettò qualcosa che suonava insieme come un rifiuto e una scusa.

“Ritengo che questa potrebbe rivelarsi soddisfacente, signore” disse Mr. Jeeves, producendo dal nulla una lente d’ingrandimento larga e rettangolare, senza manico, di quelle che si usano per la lettura. Nel frattempo aveva già fatto comparire un fazzoletto bianco con il quale aveva ripulito la lente da ambo i lati. La porse a Holmes avendo cura di non toccare il vetro con le dita.

“Molte grazie” disse Holmes. Poi tornò a chinarsi sui vestiti e per diversi minuti tornò in scena la familiare sequenza di movimenti, maneggi, borbottii, lamenti, osservazioni e correzioni sottovoce che Holmes era solito produrre quando si trovava alle prese con la sua occupazione preferita. Infine raddrizzò la schiena con aria pensosa.

“Ho necessità di visitare la scena del crimine” dichiarò, senza fare parola di qualsiasi indizio avesse scoperto tra le pieghe degli abiti.

“Posso chiedervi…” iniziò Lestrade, che pendeva disperatamente dalle sue labbra.

“Dopo” disse Holmes. “Alla casa, ora, se non vi dispiace?”

L’ispettore Lestrade proclamò con veemenza che avevano rimosso il cadavere ma, per il resto, lasciato la scena del crimine intatta, guadagnandosi per tutta risposta una risata aspra e tagliente da parte di Holmes. “Perdonate, ispettore” aggiunse Holmes subito dopo. “Ma se c’è una cosa che ho imparato nel corso della mia carriera è che gli agenti di Scotland Yard non sono in grado di lasciare una scena del crimine incontaminata. Non è colpa vostra: è un problema di addestramento, ritengo. Un giorno o l’altro dovrei decidermi a scrivere una lettera al Ministro.”

Lestrade parve mortificato, ma solo per qualche istante. I giovani agenti che piantonavano l’ingresso della casa gli fecero rispettosamente il saluto e si spostarono per lasciarci entrare. Se riconobbero Holmes dalle scarne descrizioni dei miei libri, sempre che li avessero mai letti, non ne diedero segno.

“Dopo vorrò interrogare il maggiordomo” dichiarò Holmes, inginocchiandosi cautamente accanto alla larga macchia di sangue che rovinava un tappeto già liso e scolorito. Mi avvicinai per prendere qualche appunto, ma sempre mantenendomi a una certa distanza. Holmes sapeva essere estremamente geloso della sua scena del crimine, con una protettività esagerata molto simile a quella di una madre particolarmente nervosa nei confronti del suo bambino.

Holmes borbottò tra sé con particolare irritazione per tutto il tempo. Sebbene fossi privo del suo occhio per l’infinitamente piccolo, potevo vedere senza sforzo la trafila di impronte di stivali nei punti scoperti dai tappeti, e immaginare le loro tracce tra i peli a contaminare e confondere quelle dell’assassino.

Sotto lo sguardo affascinato, poi perplesso di Lestrade, Holmes passò un’ora buona a studiare ogni angolo della stanza, mezz’ora della quale fu spesa ginocchioni sul tappeto, lente d’ingrandimento alla mano. Quando tentò di rialzarsi, vidi una smorfia di dolore passargli sulla faccia e d’istinto mi tesi per aiutarlo, posando incautamente il piede a qualche pollice dalla preziosa macchia di sangue.

“Watson, per l’amor di Dio!” esclamò Holmes. “Fai attenzione!”

Lo aiutai ad alzarsi, scusandomi. “In fede mia, Watson, sei più pernicioso di uno Scotland Yarder a piede libero” continuò Holmes, con irritazione genuina. “In tutti questi anni speravo che avessi imparato quantomeno a non metterti tra i piedi.”

Non me la presi; non troppo, almeno. “La schiena ti sta torturando. Smettila di fare il ragazzino e riposati per cinque minuti.”

“Come la tua gamba?”

“La mia gamba è così dal 1878. Riposati cinque minuti, Holmes. Non c’è nessuna fretta.”

Holmes non seguì il mio consiglio, e d’altra parte non credevo che l’avrebbe fatto. Rimosse il copricamino di ferro e per almeno dieci minuti rimase carponi con la testa dentro il camino, intento a studiarne la cenere. Un’altra mezz’ora la spese passeggiando avanti e indietro dalla porta di casa al punto in cui Mr. Brinkley si era accasciato, seguendo traiettorie bizzarre, camminando per un tratto, improvvisando una corsetta per un altro, voltandosi di scatto e scartando di lato, nel tentativo di ricreare i movimenti di una scena che aveva luogo solo nella sua mente. Si fermò più volte per accertarsi con Lestrade dell’esatta disposizione di alcuni oggetti e apportare minime correzioni alla sua ricostruzione. Alla fine volle ispezionare anche il resto della casa e il giardino, e passò lungo tempo a studiare la finestra rotta della cucina da cui l’assassino, nella ricostruzione di Lestrade, si era introdotto in casa.

“Bene” disse alla fine, spolverandosi le mani dalla terra raccolta sotto la finestra e scrollandosi un po’ di cenere dai capelli. “Vorrei scambiare due parole con il maggiordomo di Mr. Brinkley, prima che sia possibile.”

Holmes interrogò Mr. Bastable in maniera spiccia e sbrigativa. Come spesso accadeva, le domande sul momento parvero avere scarsa attinenza col caso.

“Mr. Brinkley fumava?”

“Sì, signore.”

“Sigarette o sigari?”

“Solo sigarette, signore.”

“Ne siete sicuro? Pensateci bene.”

“Piuttosto sicuro, signore, sì.”

“Vi risulta che Mr. Brinkley tenesse un gatto?”

Il maggiordomo parve vagamente sconcertato dalla domanda. “No, signore.”

“Non avete mai visto un gatto entrare in questa casa? Magari un randagio.”

“No, signore, ne dubito. Mr. Brinkley aveva una certa antipatia per gli animali, e per i randagi in particolare.”

“Che mi potete dire del camino? Viene acceso spesso?”

“No, signore. La canna fumaria era intasata già prima che entrassi al servizio di Mr. Brinkley, e non è mai stata riparata.”

Holmes volle anche una descrizione sommaria dell’uomo, comprensiva di altezza e colore dei capelli, dopodiché: “Splendido!” concluse. “Vi ringrazio, Mr. Bastable, il vostro aiuto è stato prezioso.” Mentre diceva questo si volse dalla mia parte, infilò il braccio nella curva del mio e cominciò a camminare verso la porta, conducendomi con sé. “Credo che sia giunto il momento di interrogare quel tale Wooster, amico mio. A giudicare dai suoi vestiti, il giorno in cui Brinkley è morto l’uomo ha avuto un pomeriggio decisamente movimentato.”

“Ti sbagli” ribattei con un sorriso. “Questo è il momento in cui ti prego di mettermi a parte dei meccanismi reconditi del tuo cervello e tu ti limiti a rivelarmi il numero di scarpe del colpevole e la marca della sua brillantina.”

“Mr. Holmes” interloquì l’ispettore Lestrade, con una faccia eccitata e ansiosa, “non credevo che avrei mai avuto il privilegio di assistere all’applicazione dal vero dei vostri metodi. Naturalmente ho letto tutte le vostre monografie” aggiunse in fretta, “ma questo… voglio dire, non è la stessa cosa. Posso chiedervi a quali conclusioni…?”

“Mancano ancora un certo numero di tasselli in questo mosaico” dichiarò Holmes, “ma penso di poter affermare con sicurezza che Mr. Wooster non è la persona che stiamo cercando.”

Un sospiro e un discreto colpo di tosse alle mie spalle mi avvertirono, con mio sommo sgomento, che Mr. Jeeves era nella stanza - e con ogni probabilità era stato lì per tutto il tempo, silenzioso come un gatto, ad osservare la scena. Confesso che per un istante pensai che non avrei voluto averlo per nemico.

“Mr. Holmes, perdonatemi, vi ho inteso correttamente?”

“Suppongo di sì” rispose Holmes, cui l’essersi immerso a capofitto nelle indagini sembrava aver migliorato considerevolmente l’umore.

Il respiro che Mr. Jeeves prese dopo questa conferma parve il primo della sua vita - come se non avesse respirato per giorni, settimane, mesi interi. Rimase pallido, ma l’ombra di un sorriso gli fece fremere gli angoli della bocca; tuttavia non sorrise davvero. “Grazie, Mr. Holmes. È una notizia estremamente confortante.”

“Non ne sarei troppo sicuro” replicò Holmes. Quando Lestrade gli chiese con particolare sentimento di spiegargli le sue deduzioni, Holmes si limitò a dichiarare che tutto sarebbe stato chiaro entro la notte e non volle aggiungere altro.

“Come vedi, mio caro Watson” mi disse mentre ci incamminavamo di nuovo verso la stazione di polizia, “non ho indizi sulla marca della brillantina del nostro uomo, ma posso dirti il suo numero di scarpe, se la cosa ti interessa.”

Sorrisi. Holmes pareva ringiovanito. Non una volta nell’arco degli ultimi quattordici anni l’avevo visto così eccitato e pieno di vita, con gli occhi così brillanti, le guance così colorite.

“Ti ordino di smettere di pensare qualsiasi sciocca, risibile, disgustosamente sentimentale idiozia abbia ispirato quello sguardo.”

“Non credo che lo farò. Ho sempre pensato che il tuo potere occulto di leggere le menti avesse un risvolto divertente.”

Mr. Wooster non indossava più vestiti macchiati di sangue e gli era stata data la possibilità di lavarsi, radersi e cambiarsi; ciò nonostante, potei farmi un’idea abbastanza precisa di che spettacolo Mr. Jeeves avesse trovato ad attenderlo quando per la prima volta era stato chiamato alla stazione di polizia.

In un contesto normale, Bertram Wooster sarebbe stato un bel giovane di meno di trent’anni, alto quasi quanto Sherlock Holmes (che era uno degli uomini più alti che io conoscessi), con ricciuti capelli castano chiaro e larghi e profondi occhi azzurri. Mr. Jeeves aveva accennato al fatto che il suo datore di lavoro fosse stato fidanzato numerose volte: se mai ne avessi avuto alcuno, un’occhiata all’uomo in persona mi avrebbe tolto ogni dubbio sull’attendibilità di questa informazione.

Ora, tuttavia, il giovane sembrava sull’orlo dell’esaurimento, con profondi cerchi neri sotto gli occhi che, leggermente sgranati e nervosi, seguivano i movimenti delle persone fuori della cella con un’aria di curiosità febbrile mista a sconforto. Immaginai che in quella tremenda sera fosse apparso a Mr. Jeeves come appena uscito dalla bocca dell’Inferno; adesso sembrava sul punto di rientrarvi.

“Jeeves!” esclamò il prigioniero, scattando in piedi e smettendo all’istante di prestare attenzione a tutti gli altri. Fece per aggrapparsi alle sbarre, ma in ultimo parve ripensarci, forse per timore d’essere ripreso dai poliziotti, e preferì lasciar cadere le braccia lungo i fianchi. Tentò un sorriso, con modesti risultati. “Come stai, vecchio mio? Si sente la mia mancanza nel nido familiare?”

“Sì, signore. Vi farà piacere sapere che sono giunte numerose missive da parte dei vostri parenti e amici, tutte esprimenti affettuosa partecipazione nei vostri confronti.”

Il sorriso di Mr. Wooster si allargò di una frazione e sembrò per un attimo un po’ più genuino. “La zia Dahlia è passata ieri, sai. Non era orario di visita ma tu lo sai, voglio dire, non è che si possa dire alla zia Dahlia ‘Spiacente, non è orario di visita’ quando il suo nipote preferito rischia la corda, giusto? È la mia zia preferita, dopotutto.” Deglutì e si premette pollice e medio sugli angoli interni degli occhi.

“Sì, signore. Ho avuto occasione di parlare con Mrs. Travers ieri pomeriggio.” Dal nulla, credo, poiché non ho idea di dove avesse potuto nasconderla fino a quel momento, Mr. Jeeves trasse fuori una bottiglia contenente un liquido rosso scuro e ne riempì un bicchierino (perché un bicchiere delle giuste dimensioni non sarebbe passato attraverso le sbarre, ritengo). “Ecco, signore. Perdonate la mancanza del vassoio.”

“Mr. Jeeves!” esclamò l’ispettore Lestrade, afferrando il polso dell’altro prima che potesse passare il bicchiere a Mr. Wooster. “Mi meraviglio di voi, signore, una simile mancanza di decenza. Questa è una stazione di polizia, e Mr. Wooster un sospetto omicida. Non è certo il luogo per…”

“Vi prego di credere, ispettore Lestrade, che mancare di decenza è l’ultima delle mie intenzioni” ritorse Mr. Jeeves, in un tono talmente gelido ed educatamente ostile che perfino Mr. Wooster, che non ne era il destinatario, impallidì un poco. “Mi è parso di intendere che Mr. Holmes volesse interrogare Mr. Wooster. In tal caso, parlo nell’interesse della buona riuscita delle indagini quando vi suggerisco rispettosamente di lasciare che Mr. Wooster abbia il suo drink.”

“Holmes? Jeeves, hai detto ‘Holmes’?” ripeté Mr. Wooster, aprendo la bocca e restando così esterrefatto per qualche secondo. Il suo sguardo cadde sul mio amico, e per un’eternità Mr. Wooster parve tentare faticosamente di fare due più due. “Buon Dio, non è possibile.”

“Bevete il vostro drink, signore” disse Mr. Jeeves, spingendo il bicchierino tra le dita molli di Mr. Wooster e richiudendovele intorno. “Sono certo che lo troverete estremamente tonificante.”

Mr. Wooster mandò giù la strana bevanda senza discutere, anche se la sua attenzione rimase fissa su Sherlock Holmes - che, da parte sua, ricambiò il favore con uno dei suoi sguardi più penetranti. Il giovane aveva appena restituito il bicchiere al suo valletto, quando la sua faccia iniziò a contorcersi in una serie di smorfie che sembrò non finire mai; smorfie che sarebbero sembrate comiche se per un attimo non mi avesse raggelato il terrore del tutto irrazionale che Mr. Jeeves potesse - per non so immaginare che motivo - averlo avvelenato.

Con le guance leggermente arrossate e l’aria un po’ più in forze di prima, Mr. Wooster fece un commento a mezza voce che suonò più o meno “Disgustoso come sempre, Jeeves”, e ricevette in cambio un “Grazie, signore” che alle mie orecchie parve discretamente compiaciuto.

Il fatto che Holmes non fosse intervenuto fino a quel momento, conoscendo la sua natura impaziente che gli anni non avevano affatto mitigato, lo considero un gesto di delicatezza da parte sua; dopotutto, Mr. Wooster sembrava aver tratto reale sollievo dalla breve discussione con Mr. Jeeves. Adesso, però, intervenne.

“Vorrei interrogare Mr. Wooster in privato, in una stanza appartata” annunciò all’ispettore Lestrade. “Non ci vorrà molto. Soltanto Mr. Wooster ed io - e il dottore, naturalmente.”

Lestrade aprì la bocca per protestare, ma Holmes ribatté che questi erano i suoi metodi e che era di vitale importanza che lo si lasciasse fare come chiedeva. Lestrade tentennò ma cedette, ovviamente. Cedevano sempre. Mentre ammanettavano Mr. Wooster e aprivano la porta della sua cella per condurlo fuori, Mr. Jeeves chiese con discrezione il permesso di assistere all’interrogatorio, ma fu negato anche a lui. Quietamente, Mr. Jeeves assentì e si limitò a informare Mr. Wooster che avrebbe atteso la fine del “colloquio” fuori dalla stanza. Mr. Wooster gli sorrise debolmente.

Rimasto solo in compagnia di due estranei, Mr. Wooster parve sgonfiarsi e rimpicciolirsi sulla sedia.

“Riconoscete questa?” disse Holmes, appoggiando sul tavolo la copia della lettera e voltandola perché Mr. Wooster potesse leggerla. Non era una domanda.

Mr. Wooster impallidì. “L-l’avete letta? Jeeves lo sa? Voglio dire, l’ha letta anche lui?”

“Lasciate stare Jeeves per il momento” ribatté Holmes, “e rispondete alle domande. Avete distrutto voi l’originale di questa lettera?”

“Sì” rispose Mr. Wooster, con voce flebile.

“Come?”

“L’ho… l’ho buttata nel camino.”

Holmes sospirò con aria insofferente. “Un’altra bugia come questa e giuro che vi lascerò impiccare senza il minimo rimorso.”

“M-ma è vero! Vi giuro che è vero” ripeté il giovane, con veemenza. “È stato… diamine, non ricordo il giorno preciso. È stato almeno un mese fa. No, almeno due. È stato sicuramente prima di Pasqua, perché ricordo che…”

“Voi parlate del camino di casa vostra” lo interruppe Holmes, impaziente. “Va bene. Raccontatemi tutta questa storia dall’inizio e non tralasciate nulla.”

Mr. Wooster sbatté le palpebre. Raccolse le idee per un secondo, corrugando la fronte per la concentrazione. “È venuto a… sì, a marzo la prima volta. Mentre Jeeves era a fare la spesa. Un tipo terribilmente irritante, se volete saperlo. Uno non può presentarsi in casa di un gentiluomo dopo avergli mandato a fuoco uno splendido cottage di campagna e tentato di rubare un libro con tutte le storie pruriginose dei suoi più cari amici e pretendere che il gentiluomo lo accolga a braccia aperte, no? Specie se…”

“Fermatevi un istante. Che cosa sono queste storie del cottage e del libro?”

In maniera confusa ma tutto sommato coerente, Mr. Wooster raccontò la storia delle sue passate esperienze con Mr. Brinkley: erano perlopiù comiche nella loro assurdità, ma non dubitai che, guardate da un altro punto di vista, potessero fornire a Mr. Wooster una lunga serie di ragioni per nutrire rancore nei confronti dell’uomo.

“E poi un giorno è spuntato in casa mentre Jeeves era fuori a fare la spesa. Era passato quasi un anno dall’ultima volta che avevo visto il tipo, quindi non è che lo ricordassi molto bene - per dirla tutta, avevo completamente dimenticato la sua faccia. Il tipo entra, si siede, fa come se fosse a casa sua - è vero che gli avevo detto di fare come se fosse a casa sua, ma sono cose che si dicono, uno non vuole proprio essere preso alla lettera, no? - e poi tira fuori una lettera. Cioè, la lettera.” Qui Mr. Wooster arrossì decisamente. “Disse di averla trovata nella tasca di una vecchia giacca di Bingo Little ai tempi in cui lavorava per lui. Bingo Little, sapete, è il tipo a cui…”

“Ah, sì, il nipote di Lord Bittlesham” tagliò Holmes.

Il giovane sgranò gli occhi. “Questo come diavolo fate a saperlo? Voglio dire, Mr. Holmes, capisco che siete un genio e tutto il resto, ma…”

“Il genio non c’entra proprio nulla” ribatté Holmes. “Per favore, continuate a raccontare.”

“Mrs. Little è una mia conoscenza di vecchia data” informai Mr. Wooster. Alcuni anni prima la futura Mrs. Little - Rosie M. Banks era il suo nome da nubile - ancora ai suoi primissimi esordi come scrittrice, mi aveva inviato una lettera piena di simpatia per i miei libri ed espresso il desiderio di incontrarmi.

“Buon Dio, questa sì che è una sorpresa” commentò Mr. Wooster. “Il mondo è proprio piccolo, non è vero?” E fece un sorriso carico di tanta infantile meraviglia che per un attimo potei farmi un’idea di come questo giovane dall’aria stordita fosse riuscito ad accattivarsi l’affetto e la devozione di una persona come Mr. Jeeves.

“Mr. Wooster. Stavate parlando della lettera.”

“Sì? Oh, sì, perdonate” disse Mr. Wooster, avvampando ancora più intensamente sotto lo sguardo di Holmes. “La lettera. La lettera… Ecco, io… Insomma, sono cose che possono capitare, no? Al college, tutti maschi, senza mai l’ombra di una figliola in giro… Ecco, può capitare che… che uno senta di… di volere bene al suo amico del cuore, per esempio. Molto bene, del tipo che fa venire le farfalle allo stomaco e battere il cuore come una grancassa e… quel tipo di bene lì. Uno pensa che duri per sempre, scrive una lettera un po’ appassionata o due, ci si scambia qualche promessa… Poi il college finisce e dopo i due ci ridono su, ‘Ma ti ricordi quelle stupide lettere che ci siamo scambiati quando eravamo a Eton?’, ‘Quali lettere?’, ‘Quelle stupide lettere che ci siamo scambiati quando eravamo a Eton’, ‘Ah, quelle! Ma le hai ancora?’, ‘No, no, distrutto tutto. Erano molto stupide, quelle lettere’, ‘Anch’io ho distrutto le mie. Sì, erano lettere molto stupide. Bei tempi, ah ah ah.’ E insomma, io pensavo che Bingo avesse bruciato tutto. Invece poi arriva questo tipo, Brinkley, e mi dice: ‘Wooster, apri la borsa, dammi cinquecento sterline oppure questa finisce dritta nelle mani dei bobbies’. E io, insomma, non è che avessi molta scelta. Jeeves sarebbe tornato presto e se mi avesse trovato lì a parlare con quel farabutto - Jeeves ha un’ottima memoria, sapete - non avrei certo potuto dirgli che stavamo prendendo un tè come due vecchi amici, giusto? Avrebbe capito tutto. Jeeves capisce sempre tutto, è una dannata macchina pensante quell’uomo, un portento della natura - credo che c’entri tutto il pesce che mangia. Per farla breve, gli ho staccato un assegno sul posto, mi sono fatto dare la lettera e gli ho detto di andare via e non tornare mai più. È stato allora che l’ho bruciata. La lettera, voglio dire.”

“Ma non è finita qui.”

“No” rispose Mr. Wooster, sospirando pesantemente. “No, è stato solo l’inizio, dannazione. Perché il tipo, Brinkley, a un certo punto ha capito che non volevo assolutamente che Jeeves sapesse della cosa - della lettera. Jeeves mi lascerebbe se lo scoprisse, sapete. L’uomo ha una volontà di ferro e certi principi un po’… un po’ all’antica, soprattutto in fatto di giacche. Oh, e di cravatte. Soprattutto di cravatte. Jeeves sarebbe assolutamente, completamente disgustato se lo scoprisse. Non potevo permettere che…”

“Certamente potreste trovare un altro valletto” replicò Holmes, corrugando la fronte.

“Oh, no, no! Mai. Non c’è nessuno come Jeeves, Mr. Holmes. Lo sapreste se aveste avuto un altro valletto e poi all’improvviso questa specie di… di meraviglia in forma umana suonasse alla vostra porta e vi cambiasse la vita da così a così. Non so come facessi prima. Non so come facciano gli altri. Nessuno, Mr. Holmes, e ripeto nessuno, nessuno è come Jeeves.”

Lo capii in quel momento. Holmes, dopo, mi avrebbe rimproverato di non averlo compreso subito, e a posteriori non posso dargli torto. Se rileggo ciò che ho scritto finora, la cosa mi pare in effetti piuttosto evidente, da entrambe le parti.

Mi aspettavo che Holmes rivelasse che Mr. Jeeves aveva già letto la lettera in questione e dunque ormai sapeva tutto, ma non lo fece. Mr. Wooster sospirò di nuovo profondamente. “Quel Brinkley aveva conservato una copia della lettera e disse che l’avrebbe mandata a Jeeves se non gli avessi dato altri soldi. Ora, io non sono una gran mente come Jeeves o voi, Mr. Holmes, ma sapevo che se gli avessi dato i soldi sarebbe tornato a chiedermene altri e poi altri ancora. Non sapevo cosa fare. Non sapevo proprio che cosa fare. E non potevo neppure chiedere aiuto a Jeeves. Jeeves avrebbe trovato la soluzione al problema, naturalmente, perché trovare le soluzioni ai problemi è quello che gli riesce meglio, ma se gli avessi potuto dire qual era il problema che doveva risolvere allora l’avrei già risolto da solo, no? Così non mi è venuto in mente niente di meglio che sgombrare il campo per un po’…”

“Conosciamo la storia del viaggio a New York” tagliò corto Holmes. “Parlateci del giorno in cui Mr. Brinkley è stato assassinato.”

Mr. Wooster annuì, giocherellando nervosamente con la catena delle sue manette. “Ho pensato che questa storia doveva finire, in un modo o nell’altro… Jeeves aveva già cominciato a insospettirsi prima del viaggio. ‘Prima o poi, Bertram’, mi sono detto, ‘tornerai a casa ubriaco come una spugna e vuoterai il sacco e prima che tu possa chiedergli “Per favore, Jeeves, mi faresti uno dei tuoi doposbornia?” Jeeves avrà già fatto le valigie e ti avrà mollato in tronco’. Perciò ho preso un taxi per Market Snodsbury e sono entrato in casa di Brinkley rompendo una finestra sul retro. Per fortuna non c’era nessuno in casa. Ho cominciato a cercare la copia della lettera, ma non sono riuscito a trovarla. Stavo per forzare la serratura dello scrittoio quando ho sentito che qualcuno apriva la porta, quindi sono scappato di corsa per la stessa finestra e mi sono nascosto nel giardino sul retro. Da lì non si sentiva niente. Dopo un po’ ho pensato di controllare che magari Brinkley non fosse uscito di nuovo, o salito al piano di sopra per fare un sonnellino prima di cena, ma quando sono rientrato nello studio Brinkley era steso per terra e… e c’era tutto il sangue e… e tutto il resto sparso intorno. Non era ancora…” Mr. Wooster deglutì. “Si è aggrappato alla mia cravatta e mi ha detto qualcosa. Penso che abbia creduto che… che fossi stato io. E poi è… e sono arrivati i poliziotti e si è fatto tutto molto confuso.”

Durante quest’ultima parte del racconto, Holmes aveva più volte annuito e mormorato parole di assenso tra sé; evidentemente il racconto coincideva con la ricostruzione fatta da lui stesso.

“Vi siete tolto la giacca prima di rompere la finestra, naturalmente.”

“Io… sì, credo di sì. A un certo punto l’ho tolta. Ricordo di aver pensato che Jeeves se ne sarebbe accorto se l’avessi strappata o…”

“Basta così, Mr. Wooster. È sufficiente” dichiarò Holmes, alzandosi in piedi. Mi guardò. “Che ore sono?”

“Le tre e un quarto.”

“Splendido. Se tutto va bene, possiamo arrivare a prendere il treno delle quattro e mezza ed essere a casa per cena, amico mio. La qual cosa mi ricorda che non abbiamo pranzato.”

“Hai già la soluzione?” gli domandai. “Potrebbe essere un primato perfino per te.”

“Come ho già detto, questo caso era di una banalità penosa. Per quanto non mancasse di qualche modesta attrattiva.”

Mr. Wooster si alzò a sua volta, facendo tintinnare le manette. “Aspettate un minuto, volete dire che… avete scoperto chi è stato? E non sono stato io? Voglio dire, ovvio che non sono stato io, ma…”

“Non ho mai creduto che foste stato voi” replicò Holmes semplicemente, stringendo la maniglia della porta. “C’è troppa premeditazione in questo caso, e dubito che voi siate in grado di premeditare alcunché, Mr. Wooster. Senza offesa. È una semplice questione di psicologia individuale.”

“Oh, allora… Nessuna offesa, suppongo” balbettò Mr. Wooster, azzardando un sorriso carico di sollievo.

Da fuori si udì solo un profondo silenzio, e su questo profondo - quasi raggelato - silenzio si levò una voce di donna profonda e autoritaria dalle sfumature vagamente rapaci. Quando Holmes aprì la porta le parole divennero comprensibili:

“… uno sciagurato e un perdigiorno con la testa bacata come una mela marcia, ma per Dio, perfino un cieco capirebbe che il ragazzo non è in grado di tirare il collo a una gallina! Esigo di parlare immediatamente con lo scellerato idiota che lo sta interrogando in questo momento!”

Si trattava di una donna sulla sessantina con un naso adunco, capelli grigi acconciati con la massima cura e lo sguardo risoluto; una donna della buona società, abituata a comandare e ad essere obbedita. Mr. Wooster, che stava seguendo Holmes fuori dalla stanza, per un attimo si guardò intorno come alla ricerca di una via di fuga; non trovandone alcuna, parve non trovare di meglio che rattrappirsi alle spalle del mio amico e cercare di nascondervisi dietro.

Holmes sfoderò il suo sorriso più affascinante. “Permettete, Mrs.…”

“Gregson” sentii Mr. Jeeves suggerire con discrezione.

“… Gregson” disse Holmes stendendo la mano e prendendo quella della donna.

“E voi chi sareste, di grazia?” ribatté la donna, corrugando solennemente la fronte.

“Lo scellerato idiota” rispose Sherlock Holmes, e non potei trattenermi dal sospirare di fronte a questo inutile sfoggio. “Mi chiamo Sherlock Holmes.”

“Sherlock… oh” disse Mrs. Gregson. “Oh.” La leggera defaillance dovuta allo stupore non durò più di un paio di secondi. Questa volta non ci furono esclamazioni di sorpresa, né professioni di infinita ammirazione per il mio amico. “Mr. Holmes, posso sapere qual è il vostro ruolo in questa vicenda?”

“Stavo giusto per scagionare vostro nipote dall’accusa di omicidio, Mrs. Gregson” rispose Holmes amabilmente.

Questa volta lo stupore sul viso di Mrs. Gregson non durò più di una frazione di secondo. “Bene. Procedete, dunque. Questa ridicola farsa è durata anche troppo a lungo.”

Tutti gli occhi era puntati su Holmes, come ai vecchi tempi. Sorrisi, avvertendo un leggero fremito di anticipazione. Forse non era stato un gran caso su cui concludere una brillante carriera, ma Holmes mi parve felice come non lo era mai stato. Sorrisi mentre, per qualche motivo, mi si chiudeva la gola.

“Il colpevole è uno dei presenti” disse Holmes.

“Mr. Holmes?” disse l’ispettore Lestrade, pallido e teso per l’emozione, la fronte imperlata di sudore. “Come fate a dirlo?”

“È un uomo” continuò Holmes, “alto più di un metro e novanta, scuro di capelli, dotato di grande forza e precisione e abituato a maneggiare oggetti pesanti. È una persona fredda, razionale, che ha pianificato con cura di introdursi in casa di Mr. Brinkley nel momento in cui sapeva che l’avrebbe trovato da solo. Lo sapeva perché conosceva Mr. Bastable personalmente, e lo conosceva personalmente perché entrambi appartengono allo stesso club, quel club di cui anche Mr. Brinkley è stato membro per un certo periodo. Occorre che continui?”

A quel punto credo che avessimo capito tutti, ma nessuno riuscisse a dire la parola. Alla fine ci pensò Mrs. Gregson per tutti noi. “Buon Dio” mormorò. “È Jeeves.”

L’uomo era ancora più pallido del solito, con le labbra leggermente dischiuse come se fosse sul punto di dire qualcosa. Ma non disse nulla.

“Non poteva trattarsi di Mr. Wooster per una lunga serie di buone ragioni, ma consideriamone solo due. Uno: perché la sua camicia è sporca nei punti sbagliati. Un colpo di quella forza produce necessariamente schizzi di sangue, e Mr. Wooster si era tolto la giacca e l’aveva appesa al ramo di un albero in giardino, come è dimostrato dal piccolo strappo nella fodera e dal frammento di corteccia che vi ho trovato all’interno. La sua camicia sarebbe dovuta essere interamente sporca di sangue, eppure è pulita, fatta eccezione per i polsini. La cravatta, d’altra parte, è sì macchiata di sangue, ma solo perché Mr. Brinkley vi si è aggrappato con una mano sporca a sua volta. A uno sguardo attento, i segni delle dita sono evidenti. L’altra ragione è che Mr. Wooster non avrebbe mai potuto introdursi in casa di Mr. Brinkley dalla cucina e sperare di coglierlo di sorpresa per colpirlo alla nuca, come l’assassino in effetti ha fatto; Mr. Brinkley l’avrebbe sentito con largo anticipo e si sarebbe difeso. E invece non c’è la minima traccia di colluttazione nello studio. No, l’assassino è entrato dalla porta, ma non è Mr. Wooster.

“Per quanto riguarda la persona che stiamo cercando, invece” continuò Holmes, mentre un agente, su ordine di Lestrade, toglieva le manette dai polsi di Mr. Wooster. “Il sangue umano asciuga con grande rapidità e ha la meravigliosa caratteristica di trattenere i residui minuscoli come un collante: peli, granelli di polvere, cenere di sigaretta, non sfugge nulla. Ho trovato un capello nella pozza di sangue, corto e nero. Né Mr. Wooster né Mr. Brinkley hanno i capelli scuri, dunque doveva necessariamente appartenere all’assassino. Che fosse un uomo lo dimostra la lunghezza del capello e, più importante, la forza con cui è stato vibrato il colpo. Una donna avrebbe fatto fatica a sollevare il soprammobile - lasciamo stare vibrare un colpo di quella forza. Non c’erano segni di effrazione alla porta, e credo che ormai sia chiaro a tutti che la finestra rotta non è connessa all’omicidio; Mr. Brinkley conosceva il suo assassino e gli ha aperto la porta senza sospettare nulla. Insieme hanno attraversato l’ingresso e sono entrati nello studio, probabilmente hanno discusso per un poco, poi Mr. Brinkley ha voltato le spalle al suo carnefice e l’uomo l’ha colpito.

“È cosa ovvia che, nel vibrare un colpo, si tenda istintivamente a colpire nel punto più vicino al livello del proprio sguardo, e questo diviene ancora più evidente se vittima e carnefice non sono della stessa altezza: se, per esempio, la vittima è decisamente più alta del suo assassino, l’assassino tenderà a colpire più in basso sulla nuca, vicino al collo; nel caso opposto, il punto di impatto si sposterà verso la sommità del capo. Mr. Brinkley era un uomo di altezza media, eppure le foto dimostrano chiaramente che è stato colpito alla sommità del capo, con un colpo quasi perpendicolare dall’alto verso il basso. Dunque l’assassino era di altezza decisamente superiore alla media.

”Un ulteriore indizio lo ritrovai all’interno dell’automobile di Mr. Wooster. La macchina era perfettamente pulita, lavata da non più di due giorni, ma vicino ai pedali notai la presenza di numerose foglie di edera ancora piuttosto fresche, quali abbondano nel giardino di Mr. Brinkley, unite a una certa quantità di grani di ghiaia come quella che ricopre il vialetto d’ingresso.

“Ma niente di tutto questo mi avrebbe convinto della colpevolezza di Mr. Jeeves se non vi avessi aggiunto una fatale incongruenza nel suo racconto: disse di aver ricevuto la telefonata dell’ispettore Lestrade verso le cinque e mezza del pomeriggio, ma più tardi l’ispettore mi accennò per puro caso che al momento della telefonata il sole era già tramontato; dunque dovevano essere le sette e mezza al più presto. L’omicidio è avvenuto intorno alle cinque; la bugia aveva evidentemente lo scopo di crearsi un alibi, perché Mr. Jeeves non sarebbe mai potuto tornare a Londra in così breve tempo.”

Mr. Jeeves tossì delicatamente. “Esito fortemente a contraddirvi, Mr. Holmes, ma mi permetto di dubitare che un capello, alcune foglie di edera e un lapsus di memoria siano prove sufficienti per accusare un uomo di omicidio.”

“Naturalmente” rispose Holmes, sorridendo come uno spadaccino prima dell’affondo finale. “La prova risolutiva sarà trovata nella tasca interna della giacca di Mr. Jeeves, se qualcuno vorrà avere la buona grazia di controllare. Watson, amico mio, ti dispiacerebbe…?”

Mi feci avanti. Mr. Jeeves non tentò di opporsi in alcun modo; semplicemente lasciò che gli aprissi la giacca e vuotassi il contenuto della tasca interna con un pallore particolarmente malsano in volto.

Si trattava di un foglio di carta strappato sul bordo sinistro e fittamente annotato con la stessa grafia spigolosa della copia della lettera di Mr. Wooster.

“È stato strappato dall’agendina in cui Mr. Brinkley annotava i nomi di tutti coloro che ricattava. A fianco è indicato il mezzo - lettere, telegrammi, documenti compromettenti - e la somma che si aspettava di ricevere in cambio del suo silenzio. È nascosta in fondo a un cassettone nella camera da letto; l’ho trovata durante la mia ispezione della casa e l’ho lasciata al suo posto, avendo cura che Mr. Jeeves mi sentisse mentre casualmente ne parlavo tra me e me. Come potete vedere, non c’è possibilità di errore.”

“Ma perché avrebbe dovuto farlo?” replicai. “Sappiamo tutti che Mr. Brinkley ricattava Mr. Wooster. Perché rischiare?”

“Questo, mio caro Watson, è quello che mi sono chiesto all’inizio. La dedizione e l’affetto di Mr. Jeeves nei confronti di Mr. Wooster sono talmente evidenti che di fronte a un caso del genere chiunque, anche chi lo conosce solo da poche ore come te e me, penserebbe che la ragione che l’ha spinto a uccidere fosse il desiderio di proteggere la reputazione di Mr. Wooster.” Un sorriso trionfale e amaro gli spuntò sulle labbra. “La verità, come sempre, è meno edificante. Potresti leggere la quinta riga di quel foglio di appunti? Ad alta voce, per favore.”

“R. Jeeves” lessi, impallidendo io stesso un poco. “Fedina penale FR. 3000.”

“FR sta per Francia, ritengo. Mr. Brinkley aveva scoperto di qualche trascorso criminale di Mr. Jeeves e l’aveva minacciato di rivelare tutto e rovinare la sua reputazione. Naturalmente Mr. Jeeves potrà raccontarvi questa storia molto meglio di me.”

“Tutto questo non ha alcun senso, Holmes” replicai. “È stato Mr. Jeeves a venire a cercarci. Perché avrebbe dovuto…”

“È una cosa semplicissima” ribatté Holmes, in tono spazientito. “Quando ha agito, non si aspettava che Mr. Wooster si sarebbe trovato a casa di Mr. Brinkley. Quando ha capito che Mr. Wooster sarebbe potuto finire sul patibolo al suo posto, non ha trovato di meglio che richiedere il mio intervento, confidando che mi sarei limitato a scagionare il suo datore di lavoro ma non avrei saputo ricollegare l’omicidio alla sua persona. D’altra parte, per la stessa fallace logica che tu hai appena applicato, l’atto stesso di aver chiesto il mio aiuto avrebbe dovuto porlo al di sopra di ogni ragionevole sospetto.”

“Uno spiacevole errore di giudizio da parte mia” disse Mr. Jeeves, togliendosi il cappello. “Mi dispiace, dottore, ma Mr. Holmes ha ragione. Ogni singola deduzione sul mio conto è corretta.” Non guardò Mr. Wooster neppure una volta mentre parlava; il suo sguardo rimase fisso su Sherlock Holmes per tutto il tempo. “Io ho ucciso Mr. Brinkley. I fatti si sono svolti come Mr. Holmes ha raccontato.” Tese i polsi di fronte a sé coi pugni chiusi, ma per diversi secondi nessuno si mosse. Infine l’ispettore Lestrade prese le manette dalle mani dell’agente che le aveva poco prima sfilate a Mr. Wooster e le chiuse intorno ai polsi di Mr. Jeeves con aria grave.

“Non credevo che sarebbe mai venuto il giorno in cui avrei fatto una cosa del genere, Mr. Jeeves” disse l’ispettore, tristemente.

“Neppure io, ispettore” rispose l’uomo, impassibile.

“Immagino che ce lo si dovesse aspettare” commentò Mrs. Gregson, con voce dura e sprezzante. “È proprio da mio nipote vivere per anni gomito a gomito con un assassino e non accorgersene!”

“Ma… Ma… Aspettate un attimo!” esclamò Mr. Wooster, che fino a quel momento era rimasto completamente in silenzio, con la bocca aperta e l’aria attonita, come privato del dono della parola. Si fece largo tra i due agenti che avevano stretto Mr. Jeeves e l’ispettore Lestrade, afferrando il suo valletto ammanettato per gli avambracci. “Ma buon Dio, ci deve essere un errore! Che diamine, questo è Jeeves! Jeeves! Non è un assassino! Siete tutti impazziti?”

“Per favore, signore” disse Mr. Jeeves a voce bassa, molto pallido. “Non è necessario.”

“Cos’è, uno scherzo? Siete tutti d’accordo? Anche tu, Jeeves? Se è uno scherzo giuro che non è divertente, Jeeves, non è per niente…”

“Signore” ripeté Mr. Jeeves, ormai mormorando. “Vi prego. State dando spettacolo di voi stesso.”

“Al diavolo, che cosa vuoi che me ne importi?” gridò Mr. Wooster, fuori di sé. “Guardami in faccia e dimmi che non è vero, Jeeves. Che… che non hai fatto una cosa del genere. Ti prego.”

Mr. Jeeves chiuse gli occhi per un istante, poi li riaprì. “Andava fatto, signore.”

Gli occhi di Mr. Wooster si inumidirono; la maggior parte dei presenti guardò rispettosamente da un’altra parte. Poi Mr. Jeeves si chinò a mormorare qualcosa all’orecchio di Mr. Wooster, e l’altro lo guardò con una meraviglia ancora più profonda e disperata dipinta sulla faccia.

“Io non… ma… Jeeves…”

“Mi dispiace, signore. Vi prego di credere che non avrei mai voluto coinvolgervi in questa vicenda.”

Quando portarono via Mr. Jeeves, Mr. Wooster si accasciò contro il muro più vicino e scivolò sul pavimento con la faccia tra le mani. Prestai attenzione solo per un attimo all’ispettore Lestrade che si congratulava con il mio amico, raggiante in volto e con un’aria di eccitazione infantile, poi mi inginocchiai accanto al giovane.

“Mr. Wooster” lo chiamai, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Andate a casa a riposare. È inutile che rimaniate qui.”

“Non è un criminale. Non mi importa di quello che ha detto il grande genio, dannazione, Jeeves non è un criminale!”

“Bertie!” Mr. Wooster alzò gli occhi all’istante, come un cagnolino addestrato a rispondere alla voce del padrone. “Alzati immediatamente dal pavimento e cessa all’istante questa patetica scenata! Piangere per quel criminale, mio Dio. Non hai un briciolo di dignità? No, non incomodatevi a consolarlo, dottor Watson” continuò Mrs. Gregson, notando che restavo al fianco di Mr. Wooster. “In un giorno o due starà benissimo. Adesso che quel farabutto è stato assicurato alla giustizia, finalmente…”

“Jeeves non è un farabutto. Non è un criminale!” ribatté Mr. Wooster, alzandosi in piedi. “Non mi importa di quello che dice Sherlock Holmes, non mi importa di quello che ha fatto in Francia! Sherlock Holmes si sbaglia!”

Holmes sospirò rumorosamente, con insofferenza. “Il dottor Watson potrà testimoniare, giovanotto, che una simile occorrenza non si è mai verificata. Andiamo?” disse, aiutandomi a rialzarmi. “Perderemo il nostro treno.”

“Al diavolo il treno, Holmes” sibilai. “Il ragazzo…”

“Il ragazzo imparerà. Ora ti prego, sii gentile e vieni con me. Mi sono improvvisamente ricordato perché non metto piede a Londra da un decennio.”

Strinsi la mano dell’ispettore Lestrade, poi con riluttanza seguii Holmes fuori dalla stazione di polizia. Aveva ripreso a piovere, ma nessuno dei due aveva un ombrello con sé. Aspettammo per qualche minuto che passasse un taxi.

“Solo perché il ragazzo è uguale a come sarebbe stato tuo figlio se fosse vissuto, non mi sembra una ragione sufficiente per comportarti come una madre apprensiva. Si riprenderà.”

“Per l’amor di Dio, Holmes, finiscila! Ha appena perso l’uomo che ama. Se tu non trovi che si possa provare compassione per una cosa del genere, bene, non provarne, ma lascia che ognuno reagisca a modo proprio.”

“Non si tratta di compassione, ma di raziocinio, dottore” ribatté Holmes. “Se tu e quell’imbecille del tuo figliolo adottivo mi aveste ascoltato con solo metà dell’attenzione che credete di averci messo…”

“Perdonate, Mr. Holmes, dottore!” lo interruppe l’ispettore Lestrade, uscendo di corsa sotto la pioggia. “Sarei onorato di farvi scortare alla stazione da uno dei nostri agenti. Dopo l’incredibile aiuto che avete dato alle indagini, sarebbe vergognoso se vi facessimo anche perdere il vostro treno. Vi prego, insisto.”

Holmes accettò l’offerta, ma di malavoglia. Durante il viaggio in macchina non parlammo, ognuno chiuso nel suo malumore per le sue personali ragioni. Sfogliai le pagine e pagine di note che avevo preso quel giorno con un senso di malinconia. La conclusione di questo caso mi aveva lasciato un’amarezza mai provata.

Holmes aspettò che il poliziotto ripartisse e scomparisse in fondo alla strada, e poi ancora un minuto, prima di afferrare il mio braccio e gridare “Taxi!” con la mano levata. Non avevo la minima idea di cosa stesse facendo, e glielo dissi, ma nondimeno lo seguii dentro la vettura. Holmes non mi rispose; disse all’autista il nome di un albergo e la via e la macchina fece per ripartire, ma l’autista frenò bruscamente quando un uomo in camicia, completamente zuppo di pioggia, si parò di fronte al muso dell’automobile con le braccia aperte.

“Buon Dio, è una persecuzione” sibilò Holmes.

“Dottor Watson! Mr. Holmes!” gridò Mr. Wooster fuori dal finestrino chiuso. Abbassai il vetro. “Vi prego, vorrei solo scambiare due parole con voi. Sono stato imperdonabile alla stazione di polizia, ma c’è una cosa… ecco, c’è una cosa che non capisco, una cosa che Jeeves mi ha detto, e io credo che sia importante e se solo mi date retta per dieci minuti, vi giuro che questa è l’ultima volta che sentirete parlare di Bertram Wilberforce Wooster. Non voglio farvi perdere il vostro treno…” Si fermò con una mano levata a mezz’aria. “Comunque la stazione è da quella parte” disse, indicando alle sue spalle.

“Grazie, Mr. Wooster. Non l’avevamo notato” ribatté Holmes al mio fianco.

“Per qualche motivo a me ignoto, non stiamo ancora partendo” dissi io, aprendo lo sportello. “Dunque possiamo ben perdere qualche minuto ad ascoltare quello che Mr. Wooster ha da dirci. Come avete fatto a raggiungerci?”

“Vi ho seguito con la macchina. All’ultima svolta ho creduto di avervi perso, ma poi ho visto Mr. Holmes chiamare il taxi, e…”

“Va bene, va bene” disse Holmes, uscendo a sua volta e mandando via l’autista. “Mr. Wooster, abbiate la cortesia di non costringere un povero vecchio sofferente di reumatismi a fare conversazione sotto la pioggia. Il dottore non è più un ragazzino, come potete notare anche da solo.”

“N-naturalmente” rispose Mr. Wooster, con voce nello stesso momento sollevata e intimidita. “La mia automobile è parcheggiata proprio lì, vedete? Vi accompagnerò dovunque desideriate.”

Holmes lasciò che sedessi accanto a Mr. Wooster e si trascinò sul sedile posteriore con un sospiro lungo e rumoroso, che nel suo linguaggio non verbale indicava decisa frustrazione.

“Dove eravate diretti?” chiese Mr. Wooster.

“In un albergo dove far asciugare i vestiti, cenare e passare la notte” rispose Holmes. “Ma suppongo che ora che l’ho detto non potrò più sfruttare l’effetto vantaggioso della sorpresa e il mio più caro amico pretenderà anche di sapere perché.”

“Supponi correttamente” risposi, “ma posso aspettare. Mr. Wooster ha delle domande per te.”

“Per noi, credo abbia detto.”

“È quello che dice la gente quando vuole intendere che cerca solo te.”

Mr. Wooster si schiarì la voce, a disagio. Con i capelli afflosciati per la pioggia e l’aria di non dormire da giorni, sembrava andare avanti solo in ragione di una strenua e disperata forza di volontà. “Sentite” esordì, voltandosi per guardarci alternativamente entrambi. “Volevo scusarmi per il mio comportamento alla stazione di polizia. È stato… è stato terribile, lo so, ma ero sconvolto, completamente sconvolto. Lo sono ancora, ma ho avuto un po’ di tempo per pensarci su. Mia zia Dahlia direbbe che la pioggia mi ha raffreddato i bollenti spiriti, ma voi non conoscete mia zia Dahlia e… no, lasciamo stare mia zia Dahlia. Il punto” si affrettò a continuare dopo uno sguardo particolarmente torvo di Holmes, “è che voi mi avete salvato il collo, e anche se… anche se non riesco ad essere felice di questa cosa, per… sapete, per Jeeves… comunque vi sono tremendamente grato, sì, grato, per averlo fatto, e non sarei stato un gentiluomo se vi avessi lasciato partire senza dirvelo.”

“Va bene, Mr. Wooster” disse Holmes. “Ora che abbiamo la conferma che siete un gentiluomo, che altro?”

“Non posso permettere che pernottiate in un albergo per causa mia. Sarei onorato di mettervi a disposizione il mio appartamento. Non è una reggia, ma…”

“Sono certo che non possiamo arrecarvi un simile disturbo” dissi guardando Holmes.

“Oh, no, nessun disturbo. Sarei onorato, davvero.”

Holmes si passò una mano tra i capelli. “Io sono certo che un’entità maligna, da qualche parte, mi stia infliggendo tutto questo e lo stia trovando divertente” borbottò.

Mr. Wooster guardò il mio amico e poi me, senza capire.

“Vuol dire che accettiamo, Mr. Wooster” spiegai.

“Oh, bene” commentò il giovane con un sorriso sbiadito, e mise in moto l’automobile.

Capitolo 4 - Il piano

fic, pairing: holmes/watson, fic: jeeves & wooster, language: italian, fic: sherlock holmes, pairing: bertie/jeeves, criticoni

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