[SH/J&W] Il caso di Market Snodsbury (2/4)

Dec 08, 2008 00:39

Titolo: Il caso di Market Snodsbury
Fandom: Sherlock Holmes/Jeeves & Wooster
Rating: PG-13
Pairing: Holmes/Watson, Bertie/Jeeves
Conteggio parole: 23.500 (W)
Note & ringraziamenti: ( qui )

Capitolo 1 - Il funerale

2. Il racconto di Mr. Jeeves

Sono impiegato presso Mr. Wooster in qualità di suo gentiluomo personale [esordì Mr. Jeeves] da cinque anni, e in questo periodo ho avuto modo di osservarlo da vicino e trarre più d’una conclusione sulla sua personalità. Mr. Wooster è un giovane gentiluomo dotato di ogni desiderabile qualità, ancorché sprovvisto del dono di affrontare le situazioni impreviste. Il suo carattere aperto e generoso e un distinto senso dell’onore gli vietano di rifiutare un aiuto a chiunque lo richieda, nella sua ampia cerchia di amici e parenti e talvolta anche solo lontane conoscenze. Mi rincresce dire che queste ottime qualità si uniscono a una certa ingenuità di spirito, che gli impedisce di riconoscere - oserei dire, di ammettere la stessa esistenza - della malvagità intorno a sé. Mr. Wooster è una persona eccezionalmente positiva, e come tutte le persone eccezionalmente positive ritiene che il resto del consesso umano sia composto in massima parte di spiriti nobili come il suo.

Gli eventi che sto per raccontarvi hanno, se non il loro inizio, certamente un momento cruciale in una sera di più di un mese fa.

Com’è mia abitudine, quella sera servii a Mr. Wooster il suo solito whisky e poco dopo chiesi il permesso di ritirarmi. La sua reazione consistette nel guardarmi con un’espressione che nei giorni seguenti non mancò di tornarmi più e più volte in mente: come se mi vedesse per la prima volta.

“La sai una cosa, Jeeves?” mi disse con un’aria profondamente abbattuta. “Tu sei perfetto. Maledettamente perfetto.”

Avevo sentito altre volte frasi del genere per bocca del mio datore di lavoro, ma mai con quello strano tono.

“Signore?”

“Scommetto che tu non hai mai commesso un errore, Jeeves, men che meno un errore di gioventù, no, scommetto che nel tuo vocabolario il termine non compare nemmeno - errore-di-gioventù, sarebbe, non gioventù. E figuriamoci poi se ti lasceresti sfuggire una parola o due di troppo… no, neanche a pensarci. E se anche un’eventualità del genere fosse mai successa, di certo tu non saresti mai stato così… così maledettamente idiota da lasciare che…”

Mentre parlava parve ricordarsi all’improvviso di non essere solo e alzò lo sguardo verso di me con aria imbarazzata.

“Scusami, vecchio mio, ogni tanto la vecchia zucca tende a partirsene per la… com’è la parola?... tagliente? Trasparente? Qualcosa del genere. Comincia con la T.”

“Tangente, signore?”

“Esatto, tangente. A volte la vecchia zucca parte la tangente e chi lo sa dove va a finire. È tutto, Jeeves, buonanotte.”

“Qualcosa vi preoccupa, signore?” domandai. “Forse posso essere d’aiuto.”

Mr. Wooster impallidì, poi arrossì violentemente. ‘No, no, Jeeves, va tutto a meraviglia. Mai stato meglio, il sole splende, eccetera. Buonanotte, Jeeves.”

Nei giorni seguenti l’umore di Mr. Wooster andò peggiorando sensibilmente. Mr. Wooster possiede in tempi normali un umore particolarmente allegro e solare; in quei giorni fu invece cupo e silenzioso e smise quasi completamente di uscire di casa, fatto che non mancò di suscitare le reazioni dei suoi cari e, in un caso, anche di sua zia Mrs. Gregson.

Inoltre non mancò di accrescere la mia preoccupazione con osservazioni della più strana natura. Una volta mi chiese se avevo per caso ricevuto qualche missiva insolita, del tipo, disse, ‘senza il nome del mittente’. Quando annunciai che uscivo per recarmi al mercato, mi raccomandò con la massima serietà di ‘andare dritto al punto senza fermarmi a prestare ascolto a nessuno e ritornare al più presto’. Diverse volte nel corso della stessa giornata volle accertarsi che non avrei abbandonato il suo servizio ‘qualunque cosa fosse successa’ e arrivò a chiedermi con varie circonlocuzioni, non meno di una volta al giorno per tre giorni consecutivi, se la mia stima nei suoi confronti fosse sempre intatta.

È facile immaginare che dopo una settimana la mia preoccupazione si era accresciuta notevolmente. Mr. Wooster evitava raramente di ricorrere al mio consiglio. In passato, questo era successo quando Mr. Wooster aveva ritenuto di poter risolvere brillantemente la situazione con i propri mezzi; ma come ho già detto, Mr. Wooster non è particolarmente abile nel gestire situazioni impreviste. L’alternativa era che il problema fosse in effetti talmente grave che Mr. Wooster avesse ormai abbandonato ogni speranza di risolverlo, con o senza il mio aiuto. In entrambi i casi, ritenni mio dovere intervenire.

Il giorno in cui Mr. Wooster rifiutò un invito a pranzo da sua zia, Mrs. Travers, ritenni di non poter più rimandare. Mrs. Travers ha alle sue dipendenze un rinomato cuoco francese, le cui raffinatezze culinarie Mr. Wooster ha sempre dimostrato, nell’arco di questi cinque anni, di tenere nella più alta stima; ora, che Mr. Wooster rifiutasse un invito a pranzo da Mrs. Travers era un fatto non solo senza precedenti, ma di per sé incredibilmente allarmante.

“Signore” dissi, riattaccando la cornetta dopo aver comunicato la risposta a Mrs. Travers. “Perdonate la mia indiscrezione, ma devo confessare qualche apprensione riguardo al vostro stato di salute.”

“Sciocchezze, Jeeves” rispose Mr. Wooster. “La fibra dei Wooster è di acciaio temprato.”

“Sì, signore. Non mi riferivo alla vostra condizione fisica.”

“E questo che cosa vorrebbe dire?”

“Sono preoccupato” dissi con assoluta franchezza, “riguardo alla vostra serenità di spirito, signore. Se posso essere d’aiuto in qualcosa, vi prego di non esitare a comunicarmelo.”

“Sciocchezze, Jeeves” ripeté Mr. Wooster, ma visibilmente con minor sicurezza. “Tutte sciocchezze. Non c’è nulla che non vada in questo Wooster. Io dico, un uomo non può decidere di preferire la quiete casalinga al concilio degli zii e delle zie e delle cugine e dei fidanzati delle cugine al gran completo senza che qualcuno pensi che si è rincitrullito. Una baggianata del genere me la sarei aspettata da tutti fuorché da…”

“Signore,” lo interruppi, con una certa decisione, “mi riferisco al vostro comportamento negli ultimi tempi, e in particolar modo nel corso dell’ultima settimana.”

Mr. Wooster sbatté le palpebre ed ebbe una reazione che mi suggerì come fosse stato assolutamente certo, fino a quel momento, di aver nascosto magistralmente le sue preoccupazioni. “Non è nulla, Jeeves. Pensieri. Ecco, tutto qui, pensieri. Pensieri di un certo peso, voglio dire, importanti meditazioni, in grado di fiaccare anche lo spirito più indomito e tutto il resto. Sai com’è.”

“Meditazioni, signore?” domandai. “Di che natura, se posso permettermi?”

“Meditazioni” ripeté, in tono vago. “Sulla vita. La morte. La vita e la morte. Quel genere di cose.”

Questo, lo confesso, mi preoccupò più d’ogni altra cosa. Per la prima volta mi sorse il dubbio che potesse trattarsi di un grave problema di salute, qualcosa di estremamente privato che naturalmente Mr. Wooster non avrebbe voluto condividere con me. In quest’ottica, il rifiuto dell’invito di Mrs. Travers assumeva tutto un altro senso.

Ma Mr. Wooster dovette intuire il mio pensiero, perché si affrettò ad aggiungere: “Non che la cosa mi riguardi personalmente, voglio dire, questo Wooster è il ritratto della salute, il corpo di temprato acciaio eccetera. Ma il mistero della vita e della morte è… ecco, è un mistero dannatamente complicato. Suppongo che nessuno l’abbia ancora risolto, vero?”

“Temo di no, signore.”

“Neanche tu, vero?”

“No, signore. D’altra parte, ritengo che il problema in questione…”

“Lo sapevi che la zia di Pongo Twistleton ha avuto un infarto la settimana scorsa? Povero Pongo.”

“No, signore, non lo sapevo.”

“Dice che ora lo tiranneggia peggio di prima. Ti aspetteresti che le persone che hanno dato una sbirciatina dall’altro lato diventassero un po’ più… com’è la parola?…”

“Signore.”

Non è mia abitudine esternare liberamente i miei pensieri; sia pure con un datore di lavoro generoso e comprensivo come Mr. Wooster, un valletto è difficilmente nella posizione adatta per esprimere opinioni non richieste. Tuttavia, in quella evenienza ritenni che fossero necessarie misure più decise.

“Con permesso, signore, mi ritiro per provvedere al pranzo.”

“Eh? Oh. Ah. Certo. Certo, Jeeves, fai pure.”

Mi ritirai in cucina e iniziai a preparare l’occorrente per il pasto. Attesi qualche minuto.

“Ho pensato, Jeeves” annunciò Mr. Wooster, comparendo sulla soglia.

“Davvero, signore?”

“Sì, Jeeves. Ho ripensato al mio comportamento negli ultimi tempi e sono giunto alla conclusione che forse - dico forse - dall’esterno sia potuto sembrare un tocco… eccentrico. Fuori dal normale, ecco. Non proprio il solito Bertram gaio e spensierato, giusto?”

“No, signore.”

“È molto gentile da parte tua preoccuparti per me, vecchio mio, ma ti assicuro che non è necessario. Dio è nel suo Paradiso e tutto il resto.”

“Sì, signore. Tuttavia non posso trattenermi dal considerare che non uscite di casa dallo scorso giovedì, e che in quella stessa occasione avete accettato di lasciare l’appartamento solo dopo che Mr. Little e Mr. Fittleworth sono venuti personalmente a…”

“Sai cosa ci vorrebbe, Jeeves?” disse Mr. Wooster, con aria improvvisamente ispirata. “Una bella vacanza di una settimana o due - no, facciamo pure tre. L’aria del Nuovo Continente farà miracoli per l’umore di questo Wooster, che ne dici?”

“Signore…”

“Magnifico. È deciso, allora. Sbriga tutte le faccende, partiamo domani mattina.”

Mi parve evidente che lo scopo primario di Mr. Wooster fosse tenersi lontano per qualche tempo dalle sue conoscenze. Esclusi immediatamente la possibilità che si trattasse di un nuovo fidanzamento. Mr. Wooster ha una certa inclinazione a ritrovarsi fidanzato contro la propria volontà, di solito a causa dell’intervento di Mrs. Gregson o di fraintendimenti con il gentil sesso, ma il problema è sempre stato risolto felicemente, anche grazie al mio intervento. Mr. Wooster me ne avrebbe sicuramente parlato.

Per dirla con Mr. Wooster, l’aria di New York sembrò davvero “fare miracoli” per il suo umore. Già sulla nave per il continente americano Mr. Wooster aveva recuperato la sua usuale joie de vivre. Le tre settimane passarono in tutta serenità, senza che l’ombra di una preoccupazione apparisse ad offuscare il suo ritrovato buonumore.

Avevo quasi iniziato a credere che il problema non fosse mai stato così grave come mi era apparso, o che l’ambiente nuovo ma al tempo stesso familiare avesse guarito lo spirito di Mr. Wooster dai suoi affanni segreti, quando, la sera prima della partenza, mi vide preparare le valigie per il viaggio e si rabbuiò visibilmente.

“Suppongo che non si possa evitare, eh, Jeeves?” osservò in tono amaro.

“Signore?”

“Il richiamo della Patria.”

“Non desiderate tornare a Londra, signore?” domandai, smettendo di occuparmi dei bagagli per qualche istante.

Mr. Wooster parve considerare il quesito come se la possibilità di non seguire il programma prefissato non gli fosse mai venuta in mente. Poi sospirò con aria pietosa e scosse la testa. “Se Londra deve essere, Londra sia, Jeeves. Sto uscendo e penso che farò tardi, non occorre che mi aspetti alzato. Prenditi la serata libera. Buonanotte, Jeeves”.

Passai la sera in uno stato di profonda inquietudine. Quando Mr. Wooster rincasò, verso le tre del mattino, gli andai incontro per prendere il suo soprabito.

“Jeeves, vecchio mio, che ci fai ancora in piedi? Ti avevo detto di non aspettarmi. Vai a letto!” mi disse con aria gioviale. Notai all’istante lo sguardo non completamente lucido e l’odore di alcool. Sotto i miei occhi, Mr. Wooster tentò di raggiungere la sua camera percorrendo una linea retta, ma fallì nel tentativo. Dovetti sorreggerlo fino al letto, sul quale Mr. Wooster si lasciò cadere di traverso e si sistemò il cuscino sotto la testa come se avesse in mente di dormire vestito.

Sperai che nessuno in strada l’avesse visto in simili condizioni. Sedetti sul bordo del letto e iniziai a slacciargli le scarpe. “Volete che riempia la vasca da bagno, signore?”

“Domani, domani” borbottò Mr. Wooster, la voce soffocata nel cuscino.

Lo aiutai a svestirsi e a indossare il pigiama e gli rimboccai le coperte. Quando gli augurai la buona notte, Mr. Wooster continuò a tenere gli occhi chiusi e non rispose; pensai che si fosse già addormentato.

“Jeeves?” mi chiamò l’istante in cui spensi la luce. “Sei ancora lì?”

“Sì, signore. Avete bisogno di qualcosa?”

“Sì. Volevo solo… voglio dire no, non mi serve niente. Non accendere la luce, ti dispiace? C’è troppa luce con la luce accesa.” Rise sottovoce.

“No, signore, non volevo accenderla.”

“Grazie, Jeeves. Sei davvero troppo perfetto per questo Wooster. Dovrei decidermi a lasciarti andare, un giorno o l’altro, prima che ti svegli una mattina dicendomi ‘Wooster, imbecille, ne ho piene le tasche’ e mi dai il benservito.”

Mantenni la mia voce accuratamente priva di qualsiasi inflessione. “Non ho intenzione di lasciare il vostro servizio, signore, a meno che non sia una vostra decisione.”

“Davvero? Ah, ma tu non sai…”, Mr. Wooster borbottò qualcosa che non riuscii a comprendere, “Se lo sapessi leveresti le tende di corsa, e io non… Io non saprei come fare senza di te, Jeeves. Sarei totalmente, completamente perduto, abbandonato e impotente alla mercé di tutte le zie e le Madeleine Bassett e le Florence Craye e tutti i predoni ruba-calzini del mondo.”

“Vi assicuro, signore, che nulla di ciò che potrei apprendere sul vostro conto potrebbe spingermi a lasciarvi.”

“Grazie, Jeeves. È una cosa molto… molto…” Non completò la frase. Dopo qualche istante di silenzio capii che si era addormentato e uscii dalla stanza per lasciarlo riposare.

Partimmo il mattino seguente. Mr. Wooster non fece alcuna menzione alla discussione della notte, ma fu nervoso e di cattivo umore per tutta la durata del viaggio.

Due giorni fa, il giorno stesso del nostro rientro a Londra, Mr. Wooster uscì nel pomeriggio, annunciando che sarebbe rimasto al Drones Club fino a sera e avrebbe cenato fuori casa. Ma Mr. Wooster non tornò mai a casa e, a quanto ho potuto scoprire, non si recò mai al suo club.

Verso le cinque e mezza ricevetti una telefonata estremamente sconvolgente da parte dell’ispettore Lestrade di Scotland Yard, una mia conoscenza da diversi anni: l’ispettore mi informò che Mr. Wooster era stato trovato sulla scena di un efferato delitto in una residenza privata a Market Snodsbury e al momento era detenuto nelle prigioni di Scotland Yard con l’accusa di omicidio. Disse che Mr. Wooster era cosciente, ma non era - o fingeva di non essere - in condizione di rispondere alle domande che gli venivano poste, e mi chiese di raggiungere la stazione di polizia per riportare Mr. Wooster alla ragione e, disse, “per convincerlo a confessare”.

Mi precipitai con la massima urgenza. L’ispettore Lestrade non mi aveva fornito alcun dettaglio sulla vicenda, se non del tutto indiretto: lo stato di fortissimo shock in cui si trovava Mr. Wooster, unito all’accusa di omicidio, fornivano materiale sufficiente per le deduzioni più terribili. Ma non ero del tutto preparato alla visione che mi attendeva alla stazione di polizia.

Mr. Wooster era in condizioni pietose. Non indossava più la giacca e le maniche pendevano aperte dai polsi. Contrariamente a ciò che ne hanno scritto i giornali, non erano macchiate di sangue fino al gomito, ma solo intorno al bordo dei polsini. Anche le mani di Mr. Wooster erano sporche di sangue, ormai asciutto. I capelli erano in un terribile disordine, come se li avesse spettinati volontariamente con le mani, e continuato a farlo per lungo tempo. Sedeva sulla branda dentro la cella che gli era stata assegnata con lo sguardo perso nel vuoto.

“Signore?”

Dapprima Mr. Wooster non rispose.

“È così da quando l’abbiamo trovato” mi informò l’ispettore Lestrade.

“Signore? Sono io, Jeeves.”

Quando Mr. Wooster si accorse di me ebbe un sussulto, e il suo volto espresse l’una dopo l’altra una serie di emozioni contrastanti: gioia, paura, vergogna, sollievo. Queste ultime due rimasero a contendersi il campo, per così dire, quando si alzò in piedi e mi rivolse la parola. Si avvicinò rapidamente alle sbarre, aggrappandovisi.

“Non così vicino” lo avvertì l’ispettore.

“Mr. Wooster è un gentiluomo” replicai con fermezza.

“Jeeves!” esclamò Mr. Wooster. “Non… non è come sembra, vecchio mio” balbettò.

“Certamente no, signore” lo rassicurai. “Posso domandarvi dov’è la vostra giacca?”

Si guardò intorno nella cella, come se non riuscisse a ricordare dove l’avesse posata. “Non lo so. L’hanno presa, forse. Non ricordo, è stato tutto così… così…” Si passò una volta di più le mani tra i capelli, spettinandoli ulteriormente.

“Abbiamo noi la giacca” disse l’ispettore. “Crediamo che se la sia tolta prima di…”

“Non avete alcun bisogno di agitarvi, signore” dissi con calma. “Questo spiacevole malinteso sarà risolto prontamente.” Mi rivolsi all’ispettore: “Sarebbe possibile consentirmi l’accesso alla… cella di Mr. Wooster per qualche minuto? Ritengo che Mr. Wooster potrebbe sentirsi maggiormente a suo agio se fossi io a rivolgergli qualche domanda in privato”.

L’ispettore annuì. “Posso consentirvi solo qualche minuto, Mr. Jeeves. Poi dovrò chiedervi di assisterci nell’interrogatorio. Fatevi indietro, signore” ordinò a Mr. Wooster, mentre apriva la porta della cella. “Vi prego di capire che questa non è la procedura usuale, Mr. Jeeves, ma in considerazione della nostra lunga conoscenza…”

“Vi ringrazio, ispettore Lestrade. È mia intenzione collaborare alle indagini con ogni mezzo a mia disposizione.”

Entrai nello stretto cubicolo della cella e la porta ferrata mi venne richiusa alle spalle. Dietro di me, sentii i passi dell’ispettore allontanarsi nel corridoio.

Mr. Wooster aveva ripreso la sua posizione seduta sul lettino e fissava ora il pavimento con le dita affondate tra i capelli. Mi inginocchiai vicino a lui, posando sul pavimento la borsa che avevo portato da casa.

“Ho portato un ricambio di vestiti, signore. Permettetemi.”

Mr. Wooster lasciò che lo svestissi della camicia macchiata e che lo aiutassi a indossarne una pulita nel più completo silenzio. Mentre lo aiutavo con i bottoni, cominciò a parlare con voce scossa: “Non ho ammazzato nessuno, Jeeves. Tu lo sai. Tu mi conosci. Non potrei… Buon Dio, non ne sarei capace. Il Codice dei Wooster…”.

“Neanche per un momento dall’inizio di questa incresciosa storia ho creduto che l’aveste fatto, signore.”

Questo parve confortarlo, seppure in minima parte. “Grazie, Jeeves” bisbigliò.

“Volete raccontarmi cos’è successo, signore?”

Mr. Wooster deglutì. Capii che rievocare gli eventi recentemente vissuti era l’ultimo dei suoi desideri, ma non potevo in alcun modo risparmiargli questa sofferenza - solo cercare di abbreviarla il più possibile.

“È della massima importanza che mi diciate tutto, signore. Fidatevi di me, vi prego.”

Riportare per intero il discorso che seguì richiederebbe troppo tempo, e a quanto posso vedere i minuti a mia disposizione sono quasi scaduti. È sufficiente dire che la conversazione fu difficile ed estremamente dolorosa per entrambe le parti; Mr. Wooster non sembrava disposto a parlare apertamente di quanto era successo prima che mettesse piede al numero 5 di Ormond Crescent, e in possesso di ricordi incredibilmente vaghi e confusi da quel momento in poi. Quando mi rivelò il nome della vittima del brutale omicidio - cosa che, mi rincresce confessare, probabilmente a causa della concitazione e dell’ansia non avevo neppure pensato di domandare - la storia assunse tinte ancora più fosche.

Mr. Brinkley era una conoscenza di vecchia data per entrambi; per breve tempo, a seguito di uno spiacevole attrito tra Mr. Wooster e me, aveva trovato impiego presso Mr. Wooster in qualità di suo gentiluomo personale. Lo conoscevo come una persona poco raccomandabile, incline a indulgere in attività poco lecite per trarne facili profitti, e da ogni punto di vista sprovvisto delle giuste qualità per praticare dignitosamente il mestiere di gentiluomo personale.

Non potevo immaginare quale fosse la ragione che avesse spinto Mr. Wooster a riallacciare qualsivoglia tipo di rapporto con un simile individuo, e glielo domandai direttamente, ma Mr. Wooster iniziò a balbettare e a confondersi e nel tentativo di darmi una risposta credibile si contraddisse più d’una volta.

La sua versione finale dei fatti suonava estremamente insoddisfacente: si era recato a Market Snodsbury per “prendere un po’ d’aria”; aveva preso un taxi (anziché la macchina) perché “non aveva voglia di guidare”; era effettivamente passato dal Drones Club (cosa che più tardi avrei verificato essere una bugia), ma si era annoiato presto, da qui la decisione di muovere altrove; mentre passeggiava in Ormond Crescent aveva udito un urlo e si era precipitato nella casa di Mr. Brinkley, trovandolo disteso sul pavimento in un lago di sangue e macchiandosi le maniche nel vano tentativo di soccorrerlo. In quel momento il maggiordomo di Mr. Brinkley, Mr. Bastable, era rincasato trovandolo in quella posizione compromettente, e aveva chiamato i gendarmi. Di tutto il seguito Mr. Wooster aveva solo un’idea molto confusa.

Pregai ripetutamente Mr. Wooster di dirmi la verità, ma col solo risultato di ottenere racconti ancora più caotici e inattendibili. L’interrogatorio che seguì poco dopo, al quale assistetti su richiesta dell’ispettore Lestrade nella condivisa speranza che la mia presenza confortasse Mr. Wooster e lo spingesse a rispondere con maggiore sincerità, non rischiarò minimamente la vicenda.

L’ispettore non mi nascose neppure per un istante la sua convinzione che Mr. Wooster fosse colpevole. Apparentemente Mr. Wooster non aveva un movente preciso per uccidere Brinkley, ma dai loro trascorsi - che Mr. Wooster non nascose, anzi, sollecitato, raccontò con dovizia di dettagli - si poteva evincere che i loro rapporti non fossero stati del tutto pacifici. In particolare, l’ispettore Lestrade si insospettì a proposito dell’incendio accidentale, da parte di Brinkley, di un cottage che Mr. Wooster aveva preso in affitto nella contea di Devon.

L’ispettore mi confidò anche la sua convinzione che il movente si sarebbe certamente trovato nel corso delle investigazioni, o Mr. Wooster stesso avrebbe compreso l’inutilità della sua reticenza e avrebbe confessato. Quando replicai che Mr. Wooster non sarebbe mai stato in grado di uccidere un uomo, l’ispettore mi rispose:

“Nessun uomo è in grado di ucciderne un altro fino a che non lo fa, Mr. Jeeves. Vi stupirebbe scoprire che gli assassinii più efferati sono stati commessi in gran parte da uomini di natura pacifica, che non avevano mai neppure alzato la voce contro un monello prima di lasciarsi fatalmente trasportare dall’ira o dalla disperazione - o peggio, prima di pianificare l’omicidio in tutta lucidità e perpetrarlo convinti di poter sfuggire alla Legge. No, Mr. Jeeves, ho visto troppi uomini di questa pasta, ed è per questa ragione che vi dico con tanta sicurezza che Mr. Wooster è colpevole. Ma se non lo fosse”, e qui si fermò per un lungo istante a pensare, “badate, Mr. Jeeves, è solo un caso ipotetico, ma se non lo fosse, allora Mr. Wooster avrebbe bisogno di tutto l’aiuto possibile per dimostrare la propria innocenza. Forse persino del grande Sherlock Holmes in persona!”

Non credo alle coincidenze fortuite, e non sarebbe altro se non oltremodo irrispettoso da parte mia definire in tal modo il tragico evento che vi ha condotto a Londra questa mattina. Se così non fosse stato, d’altra parte, avrei seguito il mio progetto originale di raggiungere la vostra dimora in Sussex per perorare ugualmente la causa di Mr. Wooster.

Mi rendo conto solo adesso di aver già rubato un intero minuto alla vostra pazienza. Vi prego di…

Il racconto di Mr. Jeeves si interruppe sull’improvviso squillare del telefono. L’uomo, che per tutta la durata del racconto aveva mantenuto una postura rigida, lo sguardo fermo e la voce priva della minima esitazione, lasciò la frase a metà e fissò l’apparecchio per il tempo di un lungo squillo, come se non sapesse bene che farsene. Infine guardò alternativamente Holmes e me.

“Permettete?”

“Prego” acconsentì Holmes. Catturai il suo sguardo mentre Mr. Jeeves si alzava per rispondere al telefono; era cupo e meditativo e, se potevo fidarmi del mio intuito (raramente attendibile quando si trattava di smascherare un criminale; raramente in errore quando si trattava di smascherare Sherlock Holmes), stava riesaminando uno per uno nella mente i dettagli emersi dal racconto dell’uomo.

Sfogliai le pagine di appunti con l’inchiostro ancora fresco. Erano almeno una decina, vergate in fretta e furia nella mia grafia più rapida e illeggibile. Holmes corrugò la fronte come se il gesto rappresentasse un qualche dispetto alla sua persona.

“Non ho deciso di accettare questo caso” annunciò a mio solo beneficio, poiché Mr. Jeeves era impegnato ad ascoltare l’interlocutore dall’altra parte del filo. “Non ancora” aggiunse, pensoso.

Nel silenzio che calò l’istante successivo sentii le risposte di Mr. Jeeves al telefono: “Sì, ispettore. Davvero, ispettore? Sono lieto di sentirlo, ispettore”. Seguì una lunga pausa, talmente lunga che Holmes ed io alzammo entrambi lo sguardo ed entrambi potemmo notare l’estremo ed improvviso pallore sul volto di Mr. Jeeves. “Sì, ispettore, sono ancora in linea. Vi ringrazio, arriverò immediatamente. Grazie, ispettore. Buona giornata.”

Mr. Jeeves si portò il pugno chiuso a coprire la bocca, come se stesse per dare un colpo di tosse, ma si limitò a restare così per qualche istante, immerso in meditazione. Riportò il braccio lungo il fianco e si voltò dalla nostra parte.

“L’ispettore Lestrade ha telefonato per informarmi di un’importante svolta nel corso delle indagini. La mia presenza è richiesta al fianco di Mr. Wooster.”

“Di che svolta si tratta?” domandai, richiudendo il taccuino e riponendo i miei occhiali da lettura nel taschino della giacca.

“L’ispettore non ha fatto alcuna menzione circa la natura della scoperta, dottor Watson. Si è limitato ad osservare che essa dimostra in maniera inequivocabile la colpevolezza di Mr. Wooster.”

“Splendido” dichiarò Holmes, alzandosi dal divano.

Per qualche momento di imbarazzato silenzio restammo tutti e tre fermi, in piedi, intorno al tavolino. Poi Holmes guardò Mr. Jeeves e me con aria insofferente. “Stiamo aspettando che lo impicchino, signori? Gli Yarders non sono persone pazienti.”

Mr. Jeeves strinse i pugni lungo i fianchi. Una sola cosa mi pareva assolutamente chiara in questa vicenda: l’affetto e la sollecitudine dell’uomo nei confronti del suo datore di lavoro erano sentiti e genuini. Come Holmes stesso aveva osservato nella maniera più sgarbata possibile, la maggior parte dei membri della servitù si sarebbe limitata a fare le valigie e scappare con l’argenteria.

“Mi permetto di intendere che questo significa che accettate di occuparvi del caso, Mr. Holmes?”

“Non ho ancora deciso” dichiarò Holmes. “Deciderò dopo questo incontro. Dopotutto, il caso potrebbe essere di una banalità penosa.” Mentre diceva questo aveva raggiunto l’appendiabiti e tentato di raccogliere il suo soprabito, ma era stato preceduto di una frazione di secondo da Mr. Jeeves, che si era già impossessato dell’indumento e lo teneva disteso per le spalle per aiutare Holmes a indossarlo.

Qualche minuto dopo, Holmes era già uscito in strada; Mr. Jeeves si calcò la bombetta sulla testa e attese che lo precedessi fuori dall’appartamento.

“Sono sicuro che le cose si risolveranno per il meglio, Mr. Jeeves” gli dissi, e lo credevo davvero. Le cose avevano l’abitudine di farlo, quando Sherlock Holmes era coinvolto. Per molti anni, questa convinzione era stato il fuoco e il perno della mia filosofia di vita.

“È la mia più fervida speranza, dottor Watson” rispose l’uomo. La sua voce tradì per un attimo tutto il suo dolore e la sua insicurezza, di una tale portata quale avevo udito una sola volta, in Cornovaglia, negli istanti concitati in cui Holmes aveva temuto per la mia vita.

Non volli ragionare oltre su questo parallelo, per il momento.

Capitolo 3 - Mr. Wooster e la soluzione del caso

fic, pairing: holmes/watson, fic: jeeves & wooster, language: italian, fic: sherlock holmes, pairing: bertie/jeeves, criticoni

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