Titolo: Just a baby ghost
Fandom: RPF - Attori
Personaggi: Baby!Robert Downey Jr./Baby&Ghost!Jude Law
Genere: FLUFF
Avvertimenti: one-shot, AU
Rating: verde
Parole: 896
Note: Scritta per la
quinta settimana dell' RDJude Week indetto da
rdjudefic_ita con il prompt 'fantasmi' e con il tema 'Horror' LOL Infatti questa cosa doveva essere horror :'D Ma dato che io non so scrivere horror e che l'unica idea che sono riuscita a sviluppare è questa (che brutta persona), ci accontentiamo del fluff, vero? XD
Il titolo è decisamente inventato e molto random. Io c'ho provato a cercare qualcosa di adatto e di figo, ma invano, quindi vi accontentate anche del titolo :''DDDD
Vabbè, spero sia passabile ùwù
Buona lettura <3
A presto :3
A Robert non piaceva quella casa: era così buia e tetra, piena di crepe, di ragnatele e di assi pericolanti; le scale, inoltre, producevano suoni inquietanti e striduli che gli facevano venire la pelle d'ora. Il piccolo Robert proprio non sapeva come i suoi genitori avessero potuto scegliere una casa tanto inquietante...
Si erano, infatti, trasferiti da poco e quella casa era del tutto nuova per lui. Suo padre aveva trovato un lavoro in un'altra città e la sua famiglia lo aveva seguito come faceva sempre. Robert, però, non era felice di quel cambiamento tanto improvviso: aveva dovuto abbandonare i suoi amici delle elementari, la sua scuola, la sua casa così luminosa e accogliente, e, soprattutto, il suo rifugio nella piccola soffitta. Robert lo riteneva un posto bellissimo: aveva una piccola finestra che in alcune ore del giorno permetteva al sole di illuminare completamente l'abitacolo rendendolo ancora più magico, o almeno per Robert era così.
Quella soffitta era il luogo dove andava quando qualcosa lo rendeva triste, o quando voleva chiudersi nel suo mondo e giocare in pace. E adesso non l'aveva più.
Adesso aveva una soffitta tutta impolverata, dove i raggi del solo non penetravano la coltre di sporcizia che copriva la finestra minuscola.
In sostanza, Robert odiava quella casa. Non vedeva il fascino che, secondo i suoi genitori, aveva e che avrebbe riacquistato con una bella pulita.
Inoltre, durante la notte, sentiva degli strani rumori che non gli permettevano di chiudere occhio. Alcune volte aveva perfino sentito delle risate, delle voci che scherzavano... In quei momenti Robert tremava, tirandosi le lenzuola e le coperte fin sopra la testa, sperando che tutto passasse presto e che il sonno arrivasse, facendolo finalmente riposare in santa pace.
Aveva cercato di dirlo a Allyson, sua sorella maggiore, ma lei non gli aveva dato retta: “cose da bambini”, diceva lei. Diceva che era solo la sua immaginazione e la paura del buio... ma lui sapeva che, quando tutte le luci venivano spente, quando anche i grandi andavano a dormire, qualcuno giocava nel suo salone, per le scale, danti alla porta della sua cameretta.
Avrebbe voluto dirgli di smetterla di fare chiasso, che lui voleva dormire, ma aveva troppo paura di uscire dal suo riparo che lo proteggeva dai mostri: le coperte.
Quella sera, Robert era stanchissimo: erano ormai notti che non riusciva a dormire, che stava immobile nel proprio letto, chiudendo forte gli occhi, con la paura di fare anche solo un movimento. Ormai neanche il suo pupazzo di Iron Man lo tranquillizzava...
Quella sera, Robert lì sentì. Li sentì nel salone - come sempre - e, come sempre, li sentì salire le scale, attraversare il corridoio, avvicinarsi alla sua stanza... Quella sera, Robert si accorse che la porta era chiusa solo a metà, si accorse che i mostri sarebbero potuti entrare, se avessero voluto.
Ed infatti, con un cigolio lento e stridulo, la porta si aprì. Robert si nascose meglio sotto le coperte: non voleva vedere la cosa che lo avrebbe - sicuramente - portato via.
Mentre quella che Robert pensava fosse un' orribile bestia si avvicinava, il bimbo tremava e la sua mente immaginava i vari modi con cui l'avrebbe tirato fuori dalla sua barriera impenetrabile e portato nel suo rifugio.
Si sorprese - e rimase anche un po' deluso - quando quel mostro si limitò a spingerlo leggermente, come per chiamarlo, o per svegliarlo. Era insicuro, non sapeva se uscire allo scoperto, ma dopo il secondo tocco decise di compiere quell'atto di estremo coraggio. Restò sorpreso, ancora una volta, quando gli si mostrò una figura minuta, sospesa da terra, un bambino proprio come lui, a pochi centimetri dal suo viso, che lo guardava con occhi grandi e di un azzurro spento. Aveva i capelli biondo cenere, spettinati e sporchi, una carnagione pallidissima, lividi sulle guance, intorno alla bocca; le occhiaie scure e marcate davano a quel bimbo un'aria stanca, eppure il suo sorriso appena accennato contrastava col suo aspetto trasandato, come i suoi vestiti - che sembravano vecchi di anni -.
Robert continuò a guardarlo con gli occhi spalancati, fissi nei suoi, lo fissava mentre il bambino biondo lo salutava con la piccola manina pallida.
- E tu chi sei?- chiese curioso, ma un po' spaventato.
- Mi chiamo Jude e tu?-
- Robert.-
- Piacere, Robert.- fece sorridendo solare.
- Piacere mio...- rispose abbozzando anche lui un sorriso.
Detto ciò entrambi tacquero per un attimo, Jude si accomodò ai piedi del letto, sedendosi a gambe incrociate sulle lenzuola.
Roberto lo guardò ancora, in silenzio, prima di dire qualcos'altro:
- Sei qua da tanto?- chiese per rompere il ghiaccio.- Ti ho sentito qualche volta in soggiorno...- aggiunse vago: non voleva fargli capire quanta paura aveva avuto di lui.
- Mmh... qualche anno, credo.- rispose, dopo una breve pausa.- Il tempo passa lentamente, ma ci solo altri ragazzi che mi fanno compagnia.- disse sorridendo un poco, con un velo di tristezza negli occhi.
- vuoi... se vuoi puoi giocare con me?- chiese riacquistando il coraggio, rivolgendogli un sorriso più ampio e amichevole.
- Davvero?- chiese sorpreso e immensamente felice.
Era da molto, molto tempo che non aveva un vero amico. Robert sarebbe stato il suo primo vero amico, sarebbe stato bello con lui.
- Certo, giocheremo tutti le sere! Sarai il mio amico speciale!- rispose tendendogli la mano e continuando a sorridere.
Ricambiò il sorriso, avvicinandosi a lui e stringendo la mano che gli porgeva. Sarebbe stato felice, per la prima volta da anni.