[Distretto di Polizia] I've never been perfect, but neither have you

Jan 27, 2012 20:43

Titolo: I've never been perfect, but neither have you (or maybe you were while I looked away)
Fandom: Distretto di Polizia 8
Personaggi/Pairing: Valerio/Giulio Flaviano
Rating: R
Conteggio Parole: 1592 (fidipu)
Avvertimenti: angst, hints incest, argomenti delicati (abuso di droghe, autolesionismo), violenza
Prompt: Sereno @ Cow-T 2, come al solito su maridichallenge.
- Bene, se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia, sono tuoi @ 5_nowhereland. [ tabella]
- Qualcosa di triste @ Kyalendario.
Note: ...eh la peppa.
- No, per favore leggetevi questa storia di Liz prima anche solo di prendere un altro respiro. Grazie. Io sono solo una che marcia sui pochi ricordi che conserva di Distretto 8 - a distanza di, boh, due anni? Tre? - e quindi sicuramente avrò scritto cazzate. Still, Valerio io tivubì.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.



~ I've never been perfect, but neither have you
(or maybe you were while I looked away).

Il cielo è così terso, sopra Roma, che fa male guardarlo. Valerio più lo guarda e più s’incazza, perché non è giusto che ci sia il sole - che i bambini scendano in strada a giocare a pallone, che le lenzuola si gonfino come vele su tutti i terrazzi, non è giusto che il mondo sia colorato e bello e caldo, - non oggi, non adesso. Non è giusto, e la cosa peggiore, forse, è che lui non può farci niente; se anche si mettesse a tentare di crivellare di proiettili le nuvole, non è che riuscirebbe ad aprire uno squarcio grande abbastanza da spingerci via la luce, il tepore, l’ingiusta allegria che rende l’aria frizzante.
Giulio dorme, rannicchiato sul divano, le ginocchia schiacciate contro il petto, talmente accartocciato su se stesso che sembra un mucchietto di vestiti sgualciti gettati lì per caso; perlomeno dorme, e Valerio fuma, davanti alla finestra. Osserva il cielo e rosica, dentro, così tanto che finirà per consumarsi più in fretta di suo fratello. Butta via la sigaretta, allora, quando non ce la fa più, e dà un cazzotto stizzito al vetro.
S’incazza pure di più, quando quello non gli si spacca contro le nocche, perché perlomeno il dolore l’avrebbe distratto.
Il fatto è che Giulio peggiora. Non resiste più neanche tre ore senza avvelenarsi con un’altra dose di quella merda, è completamente fuori controllo, è troppo pericoloso, non è più Giulio - tutto per colpa di quella, di quella, di quella Melissa che Valerio non sa neanche come insultarla, veramente, non ce la fa, - e Valerio non è pronto a tirar su il funerale del suo fratellino, perciò sta cercando di salvarlo, Cristo santo misericordioso.
Vuole aiutarlo, e allora gli ha proibito di uscire di casa, gli ha proibito di vedere Melissa o chiunque altro, gli ha proibito di allontanarsi dalla sua vista, in effetti. Gli avrebbe proibito pure di alzarsi da quel cazzo di divano, ma non ce n’è stato bisogno, quando Giulio ha cominciato ad avere i primi spasmi. E Valerio è rimasto lì a fumare e guardarlo, s’è divorato l’unghia del pollice e Giulio si contorceva, lo guardava, l’ha pure implorato di avere pietà, e Valerio non l’ha ancora capito se voleva un’iniezione, o farsi ammazzare.
E nel frattempo fuori splende il sole, è una giornata meravigliosa.
Valerio ha voglia di fare a pezzi interi continenti, ed erano anni che non si sentiva così - vivo, arrabbiato; sincero, e forse persino dalla parte del giusto.
Giulio dorme, del suo viso s’intravede poco e niente - la pelle pallida e sottile di uno zigomo, l’angolo di un sopracciglio, e poi dappertutto i suoi capelli madidi di sudore, la frangetta umida spezzata in un’infinità di ciocche scheletriche. Valerio gli si avvicina, cauto; gli pare che stia tremando, Giulio, forse per via di un incubo, e il problema è che non può neppure svegliarlo, perché non risolverebbe niente.
E fuori splende il sole, è una giornata meravigliosa. È primavera.
Valerio chiude gli occhi, si strofina una mano sulla faccia. Di certo non è questa la soluzione - non la sa gestire, l’astinenza di Giulio; non la può gestire, cazzo, un giorno solo è bastato a bruciargli tutta la pazienza che non ha neanche mai avuto. C’è stato un tempo in cui lui di Giulio si prendeva cura quasi per mestiere, e gli piaceva, gli sembrava la cosa più naturale del mondo e ha smesso quando è arrivata la droga, ha smesso quando sono arrivate le donne, ha smesso quando gli occhi di Giulio sono diventati un pochino più grandi, un pochino più vitrei - ha smesso quando Giulio aveva più bisogno di lui, ecco tutto. Adesso è così tardi che, quando gli sfiora il viso in una carezza incerta, un tocco gentile cui le sue mani non sono più abituate, gli sembra di stare cercando un fantasma.
Giulio si sveglia subito; le palpebre tremano per un momento e poi si sollevano piano, rivelando quegli occhi stanchi, spenti e velati che Valerio non ce la fa a guardare.
«Ehi,» mormora, pettinandogli all’indietro una ciocca di capelli. Giulio sposta il braccio che gli copra il viso, mostra una smorfia impercettibile che potrebbe essere un sorriso o un insulto, Valerio non sa decidere.
«Ciao,» dice Giulio, o meglio tenta di articolarlo, e tutto quello che gli riesce è un rantolo disseccato e rauco. Si acciglia un pochino lui stesso, e Valerio smette di toccarlo.
«C’hai sete?» chiede, come faceva a otto anni, quando Giulio aveva la varicella e pure allora, a pensarci, c’era il sole, fuori dalla finestra. «Vuoi mangiare qualcosa?»
Le labbra di Giulio s’incurvano in un sorriso quasi vero, adesso.
«Voglio mangiarmi te,» dice, e tutt’a un tratto è Giulio di nuovo, e le sue dita ossute sono sorprendentemente forti quando si serrano attorno alla gola di Valerio, tentando di strappargli il respiro.
Valerio sgrana gli occhi, paralizzato dalla sorpresa, ma dura appena un attimo, e poi reagisce d’istinto; scalcia, si tira indietro, e scaraventa un magnifico cazzotto contro l’angolo della mandibola di Giulio, che molla la presa, esala un gemito, crolla di schiena sul divano.
Valerio perde l’equilibrio, cade seduto sul pavimento. Si calma a fatica, - il fatto è che non vuole calmarsi, non vuole sentire il dolore sordo che gli pulsa sulle nocche della mano destra; - e quando è un po’ più in sé si alza in piedi, le ginocchia molli, il fiato ancora corto.
Giulio si è nascosto il viso tra le mani, ma si volta a guardarlo tra le dita sgranate. C’è una traccia di sangue, sull’angolo delle sue labbra, e Valerio non riesce a smettere di guardarla.
Non sa che dire, perché a scusarsi neanche ci pensa; si passa una mano tra i capelli, nervoso, e la verità è che vuole solo mandare suo fratello a farsi fottere, perché lui sta cercando di aiutarlo, di salvargli quella stracazzo di vita che si ritrova, e intanto fuori c’è il sole e Valerio non è veramente tenuto ad essere qui, a preoccuparsi per lui, a proteggerlo o, Dio santo, anche solo ad amarlo - a volergli bene.
Giulio si tira su a sedere, un po’ a fatica, piano piano, contorcendo il viso in una smorfia di dolore dietro l’altra. Si punta i gomiti sulle ginocchia, lasciando ricadere le mani e la testa all’ingiù, e sembra vuoto, sembra che gli rimanga solo quel rantolo di respiro che gli gonfia la gabbia toracica fatta di vetro e Valerio ha bisogno di una sigaretta.
Trova l’astuccio con le siringhe di Giulio, accanto al pacchetto, e tre boccette senza etichetta, e comincia a capire. Sembra così facile. È una via d’uscita, una soluzione più pulita che piazzarsi in bocca la canna di una pistola e premere il grilletto, e Valerio allunga una mano - basterebbe. È una risposta talmente semplice che non gli fa neanche paura.
Di sigarette ne accende due, e appena Giulio si sarà riaddormentato troverà il modo di liberarsi della morfina.
Quando si riavvicina al divano, si accorge che Giulio lo sta guardando. Gli offre una sigaretta, l’altra la tiene in bilico tra le labbra e quasi la lascia cadere quando quel cretino matricolato di suo fratello, invece che prendere il filtro tra due dita, preme piuttosto il palmo della mano contro la punta accesa, e stringe il pugno.
Valerio è talmente sorpreso che non riesce neppure a insultarlo, ma Giulio chiude gli occhi e soffia un sospiro tremante, serra talmente forte la mano dove s’è bruciato che le nocche gli diventano bianche.
«Giulio,» chiama Valerio, con un filo di voce; il suo fratellino riapre la mano, si spolvera via quel che resta della sigaretta - frammenti di carta, un po’ di tabacco bruciato, e il filtro stropicciato. Al centro del suo palmo brilla una ferita rotonda, rosa, e Valerio non riesce a non prenderlo per il polso, guardarla più da vicino. «Cristo. Sei impazzito.»
Giulio, debolmente, ridacchia. Piega il capo all’indietro contro lo schienale del divano, lo guarda da sotto le ciglia sottili, da sotto le palpebre pesanti.
«Va un po’ meglio,» mormora; l’altro braccio lo tiene ripiegato sullo stomaco, che probabilmente si sta già contorcendo in una miriade di spasmi. Valerio lo guarda - segue, con gli occhi, il profilo affilato del suo viso, che conosce meglio del proprio eppure a volte gli sembra così estraneo, sbagliato, folle, - e poi, quasi senza pensarci, è lì che preme il pollice contro la bruciatura sulla mano di Giulio.
Giulio chiude gli occhi, si tende come una corda di violino; si morde le labbra, ma Valerio ha la sensazione che non sia solo per il dolore. Preme più forte, e la testa di Giulio dà uno scatto di lato, le sue guance prendono un po’ di colore.
Valerio aspira una boccata di fumo dalla sigaretta, e pensa. Gli portava il brodo, quando erano bambini e a Giulio veniva il raffreddore, però seppelliva pure le lucertole con cui Giulio giocava, per evitare che papà lo scoprisse. Non c’è una cosa che non farebbe - o che non abbia fatto, - per Giulio, perché gli sembra sbagliata.
Se è per il bene di Giulio, no, se è per Giulio e basta, allora va bene. È per quello, poi, che s’incazza quando Giulio sta male e il sole si mette lì e, stronzo, brilla; perché la giornata non s’è misurata su Giulio, e quindi non va bene.
Quando Valerio si decide a spingere la brace della sigaretta contro la pelle di Giulio, - sul dorso della mano, questa volta, e intanto sta attento a sfiorare con l’indice i bordi slabbrati della ferita sul palmo, - però, Giulio geme, e allora, cazzo, allora sì che il cielo così limpido e così azzurro è più giusto del giusto.

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