"Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave" - Sylar/Maya - PG - Parte 3/4

Mar 21, 2008 13:03

Titolo: Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave
Fandom: Heroes
Personaggi: Sylar, Maya, menzione di Mohinder, Elle, Molly
Pairing: Sylar/Maya
Rating: PG
Timeline: Post-Powerless (2x11)
Prompt: Scelte
Capitoli: I | II | III | IV
Parole: 1554
EFP: LINK.
Riassunto: Prima di tutto, gli avvenimenti di questa ff sono successivi a quelli di No Mercy, No More: Maya, d'accordo con Mohinder, Elle & Co. frega Sylar e riesce a catturarlo. Inizia così la sua "prigionia".
Note: ( Vedi il primo capitolo. )
Tabella: TABELLA.





Capitolo I | Capitolo II | Capitolo III | Capitolo IV

Tell Me I'm Angel, Take This To My Grave.
Parte Terza

And say,
What I wanna say
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.
Tell me I'm a bad man,
Kick me like a stray.
Tell me I'm an angel,
Take this to my grave.
My Chemical Romance - House of Wolves

- Maya... perché non vai a dormire?
- Non ho sonno.

Pausa.

- Ti ho già detto che non faremo niente senza prima avvisarti.

Altra pausa. Probabilmente ha sollevato lo sguardo verso di lui, per potersi accertare della sua sincerità.
Ma non si fida.

- Ho detto che non ho sonno.
- E' un assassino, Maya.

Stavolta Mohinder è scocciato, come se si trovasse davanti una squilibrata.

- Anch'io.
- E' diverso.
- No... sai che non fa alcuna differenza.
- Non è vero.
- Dio non fa distinzioni tra chi uccide volontariamente o involontariamente. Sai quante volte è successo, Mohinder? Ne hai una minima idea?
- Non intendevo...
- Probabilmente sono molti di più quelli che ho ucciso io!
- Ma tu non volevi!

Silenzio.

*

Sì che voleva.

*

Passi concitati e nervosi, gesti rapidi e imprecisi.
Sgrana gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto pieno di crepe.
Forse l'hanno messo in una cantina - non ha mai notato quei deprimenti particolari. Se non altro la stanza non gli gira più attorno come impazzita, e quell'odore...

- Che stai facendo?

La domanda gli esce naturale, come se la sua presenza in quella stanza fosse scontata.

- Credono di poterti uccidere senza che me ne accorga. Ma si sbagliano di grosso...

Ucciderlo.
Da quando Mohinder deve chiedere il permesso di qualcuno per ucciderlo?
Il pensiero lo fa ridere. E' un'infantile presunzione quella di avere la situazione in pugno.
Non ha alcun diritto su di lui, non ce l'ha mai avuto.
Reclamare qualcosa... pretendere un pezzo della sua vita... ridicolo. Semplicemente e innegabilmente ridicolo.
Vorrebbe dirle qualcosa, prenderla in giro, schernirla per quell'assurda aspettativa, ma lei si siede di fianco al letto, gli afferra una mano e la stringe con entrambe le sue.

- Non è troppo tardi, Gabriel.

E ne è convinta.
E' paralizzato da quell'affermazione apparentemente priva di senso.

- Vattene, Maya.
- No, non voglio.

Non vuole.

- Non mi interessa cos'è che vuoi... o non vuoi.
- Sì, invece.

Lo sta contraddicendo. Alla cieca. Ha bisogno di farlo. Per che cosa poi?

- Maya...
- Sei rimasto solo tu...

Solo.

- Solo tu, Gabriel.

Solo lui. Le ha portato via l'unico appiglio che aveva. Suo fratello. Gliel'ha strappato via per poterla avere completamente nelle sue mani, per avere il pieno possesso di lei, della sua mente, della sua abilità.

- Sei sola. Così come lo sono io. Vattene, non mi interessa.
- Lo so che non lo pensi...
- Smettila! Smettila...

E quello che segue è un silenzio insopportabile. Non l'ha mai trovata fastidiosa quell'assenza di suono, anzi, gli è sempre risultata necessaria, ma non adesso.
Non quando l'equilibrio della sua vita sembra precariamente sospeso su un filo teso a mezz'aria.

- Gabriel...
- Non mi chiamo Gabriel.

Lo ignora, non ha intenzione di assecondarlo.

- Gabriel, davvero non...
- Non mi chiamo Gabriel!

Stavolta la sua voce è tagliente, frustrata, roca, come di urlo represso.
Tenta di strattonare via la mano dalla stretta di quelle di lei. Sente la pelle bruciargli, senza alcun senso, scottato da quel contatto al quale non è abituato.

- Ti prego.

Ha di nuovo cambiato tono di voce. Lo sta supplicando. Ancora.

- Il perdono non esiste, Maya. Il perdono è solo per i deboli e gli stupidi.

Debole e stupida. Aggettivi che è così semplice affibbiarle.
Non risponde, non sa cosa dire, o non vuole dirgli niente. E pensa di aver colpito nel segno, di averla convinta, persuasa a lasciar perdere, quando in realtà un'insensata voce dentro di lui prega perché non lo faccia, perché insista, perché non lo abbandoni di nuovo a quel buio senza appigli, senza vie di fuga o salvezza.

- Perdona solo chi è abbastanza forte per farlo. Non accetta il perdono solo chi è abbastanza stupido per non vedere al di là del proprio naso.

E se prima era un sorriso ironico quello che voleva rivolgerle, adesso non c'è che un'ombra di amarezza sul suo volto.

- Tu lo sei abbastanza?

Tenta di provocarla, non può permettersi di mollare il colpo. Deve controbattere, e deve farlo rapidamente. Ne ha abbastanza di partite perse per mancanza di accortezza e velocità.

- Lo sono. Ma tu no.

Sono occhi indagatori quelli che scrutano il viso di lei, quasi la volessero divorare, e far sparire nel niente, nella calura di una stanza immersa in una polverosa oscurità.

- Tu non sai niente di me.

Sta portando il discorso su altri livelli. Come può permettersi una sconosciuta di avanzare l'ipotesi di capirlo? Come?

- Nemmeno tu.

Ha ragione.

- Continuerò a fare quello che faccio.
- Puoi non farlo.
- No, non posso.

Ed è con tutte le forze che tenta di rimettersi seduto, improvvisamente animato da un nuovo folle entusiasmo.

- Mi è stata data questa preziosissima, irripetibile opportunità. Io non sono come tutti gli altri... nemmeno tu lo sei. Siamo speciali, Maya.

Alza la mano, senza nemmeno rendersene conto, fingendo di non avvertire quel cocente dolore al braccio martoriato dalle flebo, dagli aghi. Veleni che pretendono di spazzare via le sue abilità. Illusorie speranze di un dottore con ridicoli principi moralistici.

- Siamo assassini.

Bisbiglia, in un soffio che pare sfuggirle dalle labbra in un'orrida affermazione. Detesta sentire quella parola rimbombare nell'aria, palesarsi in tutto il suo devastante significato, ricordarle i crimini commessi senza concederle alcuna via di scampo.

Assassini.

- Siamo speciali.

Ribatte seccamente. Speciale. Lui è speciale. Non come tutti gli altri. Mai come gli altri. Mai.
E mentre lo dice, alza la mano per poterle accarezzare i lunghi capelli neri. La guarda, ma non la vede.

- Assassini, Gabriel. Siamo assassini.
- Perché non vuoi capire, Maya?
- Sei tu che non capisci.

Oh ma lui ha capito molto di più di quanto lei possa credere. E' il suo battito cardiaco accelerato, la tachicardia di una nuova esaltante convinzione, che cresce e gli fiorisce in petto. Speciali, come aveva potuto dimenticarlo? Come?

- No...

Lo sta fissando, scruta in fondo ai suoi occhi nel disperato tentativo di trovarci qualcosa di diverso da follia o manie di grandezza. Forse un barlume di sincerità, un accenno di umanità ormai andata perduta in un lento, sanguinoso stillicidio.

- Gabriel...

Un altro inospportabile richiamo a qualcuno che non esiste, una presenza evanescente.
Ed è rabbia quella che gli cresce violentemente in petto, risalendogli lungo lo stomaco e facendogli bruciare le vene.
Serra istantaneamente la presa sul viso di lei, senza curarsi di quanta forza ci mette. Vuole solo farle male, farle capire come stanno realmente le cose, mostrarle la differenza che c'è tra lui e un semplice, dozzinale assassino.
La sente trattenere il respiro, la vede sgranare quei grandi occhi neri in un'espressione sospesa a metà tra lo spaventato e il sorpreso.

- Mi stai facendo male.

Non le risponde.

- Gabriel, mi stai facendo male.

Si lamenta, vuole convincerlo, farlo ragionare, dimostrargli che c'è ancora un essere umano da qualche parte dentro di lui.

- Me lo prenderò tutto... fino all'ultima goccia, Maya. L'ho detto a tuo fratello, ma lui non mi capiva.
- Che stai... ?

La sente fremere sotto la sua debole presa. Perché non si libera?

- Gliel'ho detto che vi avrei uccisi entrambi.
- L'hai già fatto.

L'ha già fatto. E' vero. Ha anche avuto la leggerezza di permettere a Mohinder di riportarla in vita dopo che le aveva piantato quel proiettile in petto.
Detesta sentirsi dire cosa dovrebbe e non dovrebbe fare.

- Ho solo commesso un errore.
- Mi ha già uccisa, Gabriel. Nemmeno te ne rendi conto.
- SEI TU!

Urla. Sta perdendo la pazienza.

- Sei tu che non capisci!

Preme le unghie nella guancia di lei, provando un irresistibile bisogno di farle male.

Male.

E riesce di nuovo a sentirlo, il suo cuore battere furiosamente in quel petto violato.
Smette di respirare, avverte l'aria tendersi fino all'inverosimile, rumori lontani, voci concitate, passi rapidi, urla -

Sbatte violentemente la porta, uno sparo improvviso fende il silenzio e lo infrange di colpo.

- Allontanati.

E' il perentorio ordine di Mohinder che risuona per la stanza. Talmente perentorio da risultare quasi ridicolo, con quell'accento stentato e la continua aria spaesata negli occhi, in totale contrapposizione con l'immagine che vorrebbe dare.

- Mohinder, no!
- Maya, sta' zitta!

Resta in silenzio, senza mollarla, infastidito da quella frase pronunciata con voce altrui.

- Allontanati, Sylar. Lasciala andare.
- Perché altrimenti?

Solleva lo sguardo oltre le spalle di Maya, incrociando quello del dottor Suresh. E gli sembra di vedere il pugno tremare, stentamente stretto attorno al calcio dell'automatica con cui lo sta minacciando.

- Ti uccido.

Scoppia a ridere. E' più forte di lui.

- Già... prima o poi ti andrà bene. Tentar non nuoce, dopotutto, dottor Suresh.
- Gabriel, per favore...

Carica la pistola. Un clic che risuona innaturalmente amplificato.

- E' il mio ultimo avvertimento.
- Sai che non è vero.
- Smettila di scherzare.
- Non lo sto facendo.
- Mohinder, ti prego!

La lascia andare. Non gli interessa.

- Mi ucciderai così, dottor Suresh! Un infermo che non ha possibilità di difendersi.

Ride ancora, innaturalmente.

- Così vilmente, come sei sempre vissuto.
- Non mi fai paura.
- Non ho intenzione di fartene. Uccidimi.
- Non mi tentare.

Gli sorride ampiamente, invitandolo ad agire.

- Tutte parole e niente fatti, il povero... dottor Suresh.

E il suo braccio si tende, le dita si stringono attorno al grilletto, lo solleticano.

- Non vali nemmeno la metà di quanto valesse tuo padre. Non sei degno di portare il suo nome.
- Adesso basta.
- Sì, basta.

E il sorriso non cade quando l'ennesimo sparo infrange il silenzio.
La traiettoria è precisa, la parabola perfetta, il bersaglio immobile, pronto per essere colpito.

Nessuna variabile da considerare.

*

O forse sì.

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