Titolo: Fire In Her Soul
Fandom: Heroes
Personaggi: Sylar, Maya
Pairing: Sylar/Maya
Rating: PG13
Prompt: Fuoco
Parole: 975
Warnings: FlashFic, AU
EFP:
LINK.Note: Leggevo ff qua e là, e poi - tanto per darmi il colpo di grazia - sono andata a ricercarmi il video di
Into The Night di Santana featuring Chad Kroeger il cantante dei Nickelback. La consapevolezza che la ragazza fosse Dania (alias Maya) mi ha colpita durante la celebrazione de "Il Giorno dei Cervelli" (ovvero una forca non programmata che è finita nel delirio), e dunque -
Riassunto: Avrebbe dato chissà cosa, in quel momento, perché quella supplica portasse il suo nome.
Tabella:
TABELLA. FIRE IN HER SOUL
Like a gift from the heavens, it was easy to tell,
It was love from above, that could save me from hell,
She had fire in her soul it was easy to see,
how the devil himself could be pulled out of me,
There were drums in the air as she started to dance,
Every soul in the room keeping time with their hands.
Santana feat. Chad Kroeger - Into the Night
All'inizio, teneva gli occhi chiusi, forse per tenere meglio il tempo.
Solo dopo averla osservata a lungo, si rese conto che non ne aveva bisogno.
Era come se il suo corpo si stesse muovendo autonomamente, animato da una forza estranea, segreta, che le risaliva lungo la spina dorsale, dopo averle fasciato i fianchi in un abbraccio invisibile, caldo, quasi bollente.
Mai come in quel momento avrebbe desiderato affondare le mani tra quei capelli neri, lucenti, stringerli tra le dita, costringerla ad aprire gli occhi e a guardarlo fisso nei suoi, eliminando qualsiasi necessità di parlare.
Le parole sarebbero state superflue.
Sapeva muovere le braccia come se non avessero avuto consistenza. Si sollevavano a mezz'aria, lo invitavano silenziosamente ad osservarla, attiravano la sua totale attenzione. Le dita le solleticavano la pelle, scendevano sulle spalle mentre sembrava chiudersi su se stessa in un turbinio scarlatto che le faceva risaltare le forme, i fianchi, il seno.
Il tessuto carminio l'avvolgeva, e sembrava bruciare al contatto con la sua pelle umida.
Stava stringendo la stoffa della gonna con tale forza e decisione, che credeva ci si stesse aggrappando per non cadere, per non perdere la concentrazione, per non dimenticare la musica.
Se fosse stato in grado di annullarsi totalmente, sarebbero rimasti solo lei e quella musica, come in un tutt'uno, un connubio perfetto di due forze egualmente potenti.
Riusciva a sentire il suo odore anche da laggiù: il profumo del suo bagnoschiuma, il calore della sua pelle, il sapore di quelle labbra bagnate -
Girò su se stessa ancora una volta, piegandosi all'indietro, creando un arco perfetto col ventre da una parte, con la schiena dall'altra.
E quell'abito rosso che la seguiva in quei movimenti frenetici, teneva a stento il passo dei suoi piedi scalzi, l'attorcigliarsi delle ciocche dei suoi capelli in un disordinato vortice nel quale sarebbe volentieri sparito.
La stoffa le lambiva i fianchi, come fosse stata fuoco, la serrava nella sua morbida stretta.
Si chiese che effetto avrebbe fatto poterla toccare con le sue mani, sentire quello stesso tessuto carminio che la stava tenendo stretta a sé, sotto i polpastrelli. Far scorrere le dita lungo la sua schiena scoperta, poterle spingere nelle sue spalle, imprigionarla in tutt'altra morsa.
Avrebbe voluto gridarle di riaprire gli occhi, di guardarsi attorno, trovarlo.
Ma non lo fece. Sembrava tutto sospeso a mezz'aria, come se il tempo si fosse fermato solo per lei e per quella musica che aveva trovato il suo ritmo nel battito accelerato e disarticolato del suo cuore.
Le labbra, leggermente dischiuse tremarono impercettibilmente.
Avrebbe giurato di aver visto una supplica scivolare giù da quella bocca rossa, oltrepassare la morbida linea della mascella, scendere sul quel collo perfetto, raggiungerle il torace e poi il petto, sparendo nel niente, eclissandosi nel buio.
Avrebbe dato chissà cosa, in quel momento, perché quella supplica portasse il suo nome.
Agitò i capelli in un violento spostamento d'aria e di profumo che urlava peccato, gridava perdizione, pretendeva dedizione, esigeva attenzione.
Le mani si serrarono convulsamente attorno alla stoffa rossa, la sollevavano, rivelando l'ambra di quelle gambe che avrebbe voluto percorrere con le labbra.
Fu solo dopo qualche attimo che sembrò dilatarsi in un'eternità, che riuscì ad avvertire un estraneo tremore alle mani. Sentiva qualcosa agitarglisi in petto, come un mostro oscuro, una lingua di fuoco che si dimenava come impazzita al ritmo di quella musica che sapeva solo di lei.
Scosse i fianchi, disegnando cerchi perfetti attorno a se stessa.
Trattenne il respiro. Era come se muovendosi, stesse divorando tutta l'aria contenuta in quella stanza.
Non sentiva più l'odore del rum ad invadergli le narici, o la pesantezza del fumo di sigaretta che lo aveva costretto ad assottigliare lo sguardo nel vano tentativo di proteggersi da quell'acro sapore di tabacco e nicotina.
E scivolò fino a terra, piegandosi sulle ginocchia, lasciandosi andare all'indietro, arrivando a toccare il pavimento con la schiena.
L'arco perfetto della fronte, del naso, delle labbra, del mento, del collo, del seno, del ventre, che andava sparendo lungo le sue gambe, lo fece rabbrividire di colpo, costringendolo a serrare la presa sul bicchiere ormai vuoto che aveva in mano.
I boccoli scuri, sparsi disordinatamente sul pavimento.
Il rapido alzarsi ed abbassarsi del petto di lei, in un disperato bisogno d'ossigeno.
La gonna rossa si stava tendendo sulle sue forme, in uno sforzo teso a chissà quale infinito.
Sperò stupidamente che si strappasse di colpo, permettendogli di guardarla meglio, di arrivare a ciò che non gli era permesso.
Non ancora almeno.
Le sue dita si aggrapparono febbrilmente a quella stoffa, di nuovo. Avrebbe giurato di poter vedere i muscoli delle sue braccia tendersi fino all'inverosimile, di poter sentire il sangue scorrerle nelle vene più velocemente, in un tumultuoso accavallarsi di sensazioni diverse.
Serrò di riflesso la presa sul bicchiere.
Si chiese a cosa stesse pensando mentre stringeva quell'abito.
Voleva che aprisse di nuovo le labbra, voleva sentirla pronunciare il suo nome, voleva che quella morsa allo stomaco sparisse, che le mani smettessero di tremargli, che quell'improvvisa smania di impossessarsi di lei se ne andasse così come era arrivata.
Voleva mettere a tacere quel caos.
Voleva toccarla così come le stava addosso quell'abito rosso.
Voleva costringerla a rifarlo soltanto per lui.
Voleva tracciare la linea perfetta di quell'arco con le proprie mani, imprimersi quella curva nella mente, voleva che gli rimanesse il segno di quel contatto, come ustionato e marchiato a vita -
Forse un dolore altrettanto forte avrebbe zittito quello che già sentiva.
Un bisogno impellente.
Si era già rimessa in piedi, e aveva ripreso a muoversi su se stessa.
Si domandò per quanto ancora sarebbe andata avanti.
Per quanto ancora sarebbe stato in grado di resistere.
Se Maya era il diavolo, Gabriel era pronto per perdersi all'inferno.