Titolo: What a cat's life!
Serie: Supernatural RPS + Supernatural
Capitolo: 2/?
Characters: Jared Padalecki; Jensen Ackles; Sam Winchester; Dean Winchester;
Pairing: Jensen/Jared {j2}; Dean/Sam {wincest - platonic};
Prompt: 02. Intermezzo
Words: 4.542
Note: Wincest e j2 non potevano mancare come coppie... iniziali. Mweheheh.
Passando alle cose serie, non ho ancora deciso in che stagione di spn è ambientata, ma, salvo idee dell'ultim'ora (e su questo non si sa mai), penso che per ora potrebbe essere tra la quarta e la quinta, giusto perchè è lì che sono arrivata con Supernatural (Ciao sono sempre Fuuma, quella che dopo otto anni dal suo inizio, si è decisa a cominciare a guardare spn). Probabilmente, però, per esigenze di trama -o per ignoranza- potrei finire per cambiare alcuni particolari.
Tabella:
BDT Give me a miaoCapitoli:
01 -
02tabella copyright
fanfic100_ita
#02. Tall guys
Era ancora notte quando, uno ad uno, gli occhi si aprirono, osservando il buio ammantare una stanza sconosciuta.
Arricciò il nasetto umido, annusando gli odori, cercando di sollevarsi, prima di accorgersi di essere bloccato, schiacciato da qualcosa che gli pesava su tutto il corpo.
All'inizio credette si trattasse di Jared, sentiva il suo odore avvolgerlo come una piacevole coperta, strusciargli contro il collo e sotto il mento, finchè, allarmato, non si rese conto che a toccarlo erano dita, lunghe e affusolate, che si muovevano appena lungo il pelo in carezze casuali e lente.
Umano! Realizzò in ritardo; se avesse potuto sollevarsi, avrebbe rizzato il pelo e la coda, mostrando i denti e soffiando contro quella mano che, invece, lo teneva schiacciato contro il materasso.
La virgola nera della pupilla lunga e stretta si allargò nell'iride smeraldino, riflettendo la poca luce della stanza in quel modo bizzarro che rendeva gli occhi di ogni gatto due piccole sferette luminose. Non aveva problemi a vedere al buio, riuscì a distinguere le pareti di un luogo in cui non era mai stato fino a quel momento, il rettangolo di vetro che bucava il muro, carezzato da due drappi di stoffa bianca che svolazzavano pigramente e quella che lui riconobbe come via di uscita. La porta.
Sentì l'adrenalina invaderlo, mentre lo sguardo si muoveva frenetico per tutta la stanza, cercando vicino a sè, verso il pavimento, sui pochi mobili, diventando man mano più ansioso; Jared non era accanto a lui, così com'era sempre stato (e come sarebbe dovuto essere sempre), non riusciva a trovarlo ed il proprio olfatto continuava a prendersi gioco di lui, rimandando al cervello l'odore dell'umano, quasi a volerlo convincere che che fosse lo stesso di Jared.
Impossibile. Sapeva per certo che nessun gatto aveva lo stesso odore del suo amico e, di certo, non l'avrebbe potuto avere un maledettissimo mostro umano.
Serrò i dentini, facendo forza sulle zampe, pronto a trattenere i gemiti nel momento in cui avrebbe sentito la ferita bruciargli. Si stupì a sentire il dolore attenuato, perplesso si scrollò dal dorso la mano dell'umano, soffiandole contro per qualche secondo, prima di lasciar perdere. Non ne valeva le pena, il suo unico obbiettivo, ora, era quello di ritrovare il gattino.
«Jared?» miagolò piano, zampettando verso il bordo del letto, allontanandosi dall'odore dell'umano per affacciarsi ad altri odori. Riconobbe una scia più flebile che pian piano si fece più pungente «Jared!»
Gli occhietti si puntarono verso il secondo materasso con le gambe -quello che nessuno gli aveva insegnato chiamarsi semplicemente letto- e, quando vide la figura immensa lì sdraiata, ebbe un tremito.
Un altro umano, enorme, se avesse saputo come misurarlo avrebbe scoperto essere alto più del metro e ottanta, un'infinità rispetto alla propria piccolezza; ma non era stato quello a spaventarlo, erano stati i muscoli asciutti e perfettamente definiti sotto la stoffa della maglietta blu che gli fasciava il busto e che rendeva le sue braccia forti, braccia sotto le quali era intrappolato un gattino minuscolo a suo confronto.
«Jared...» miagolò, quasi senza voce, guardandosi nevroticamente intorno per calcolare il percorso più veloce e meno rumoroso per balzare da un letto all'altro e poter liberare il gattino. Non gli importava cos'avessero fatto quegli umani a lui, ma non avrebbe più permesso che qualcuno di loro facesse del male a Jared.
Sbattè un paio di volte la zampetta contro tra le coperte, ondeggiando la coda sinuosa, con le orecchie dritte e i muscoli tesi, pronti al balzo, quando la testolina del micino più piccolo si mosse e, con essa, si mosse anche il corpo del gigante.
«No... Jared, fermo.» cercò di avvertirlo.
Jared annusò l'aria.
«Mhm? Jensen?» domandò, spalancando le fauci e masticando a vuoto, prima di voltare il musetto.
«Shss, fermati, si sta svegliando.»
«Jensen!»
Gli ci era voluto solo qualche istante per riconoscere il miagolio dell'amico, era scivolato agilmente sotto il braccio dell'umano contro cui si era addormentato e si era ritrovato a zampettare euforico sul suo cuscino, agitando la zampetta, come volesse salutare il più grande. Troppo preso dalla vista di Jensen di nuovo sulle sue zampe, non si era accorto di quello che stava succedendo accanto a sé, della propria coda che continuava a solleticare il volto addormentato dell'umano e del suo naso che veniva storto per il continuo fastidio, finchè...
«E... Eheee... ETCHIU'!»
Lo starnuto fu così forte da riuscire a gettare il gattino pancia all'aria, facendolo ruzzolare verso la metà del letto, ritrovandosi a sbattere contro il ventre dell'umano.
Stupiti, lui e Jensen rimasero immobili per quella che parve un'eternità, cercando di capire che cosa fosse appena successo e se quel rumore fosse un monito di pericolo.
Era la prima volta che sentivano versi di quel genere; ricordavano le urla, le berciate del mostro, le sue minacce e il rumore di una manopola arruginita che girava, prima che il getto d'acqua vomitato da una canna di gomma li colpisse gettandoli violentemente contro la parete, fradici, annaspanti e terrorizzati. Ricordavano ogni gesto crudele, ogni espressione meschina e ogni rumore spaventoso, ma uno starnuto... quello era stato inaspettato, così come quel che accadde dopo: niente.
Stranito, Jensen ricominciò a miagolare il nome del più piccolo, ordinandogli di sbrigarsi, ansioso di fuggire lontano.
Con un balzello entrambi si erano ritrovati sul pavimento, gli artigli che graffiavano in terra in un "tlic-tlic-tlic" appena udibile e Jared si scaraventò contro Jensen, strusciandogli contro con tutto il corpo, leccandogli il musetto peloso o mordicchiandogli l'orecchio destro. Incapace di stare fermo, non riusciva a trattenere il bisogno fisico di mostrargli quanto fosse felice di vederlo sveglio e saperlo di nuovo insieme a lui.
Cercando di contrastare il suo entusiasmo, Jensen sbuffò, allontanandolo con una zampa.
«Non abbiamo tempo per questo.» borbottò, imbarazzato per tutte quelle attenzioni improvvise «Ho trovato la porta, dobbiamo fuggire.»
«Ma fuori c'è ancora tutta quell'acqua...» miagolò il più piccolo, arricciando il nasetto, guardando le gocce di pioggia che rigavano il vetro della... come si chiamava quel buco? Finestra, forse «Non mi piace... non possiamo rimanere qui ancora un po'?»
Jensen si strusciò piano contro di lui, cercando con lo sguardo ferino le due piccole biglie luminose che erano gli occhi dell'altro.
«Lo sai che non possiamo rimanere con gli umani.» fece, paziente, con quella dolcezza rassicurante che era propria dei fratelli maggiori e che faceva sentire Jared sempre un po' più forte, anche se erano solo due cuccioli e oltre la porta c'era un mondo fatto d'acqua, di mostri e di cose sconosciute.
Si portò una zampetta a strofinarsi contro il musetto, abbassando le orecchie.
«Però non sono così male.» miagolò.
«Ti sei già dimenticato cosa ci ha fatto il mostro?»
Lui scosse il musetto, abbassando lo sguardo alle proprie zampe e a quella ferita di Jensen, coperta dalla benda bianca.
«No, certo che no. E' solo che questi sono diversi. Credo.»
«Nah, i mostri sono tutti mostri.»
Jared avrebbe voluto ribattere, avrebbe voluto parlargli delle mani grandi di quegli umani e del loro calore, delle carezze gentili, della voce morbida che non si era mai alzata contro di lui, del sorriso tranquillo dell'umano più grosso e degli sbuffi infantili di quello coi capelli biondo-castano, del loro odore familiare e del fatto che li avessero salvati, ma quando fece per parlare gli occhi di Jensen si erano spalancati nell'oscurità e lui si era ritrovato a mezz'aria.
Di nuovo.
«Ma che cos'avete voi umani con questa fissa dell'allontanarmi da terra?!» soffiò, agitando le zampette nell'aria, senza più sentire la solidità del pavimento, quando uno dei due ragazzi lo aveva sorpreso alle spalle e lo aveva sollevato.
Era stato suo fratello a svegliare Sam, quel suo starnutire in grado di risvegliare anche i morti... per quanto avesse scoperto da anni che era un'operazione più facile di quanto si pensasse.
Dei rumori ai piedi del proprio letto avevano attirato la sua attenzione e, quando aveva guardato verso il basso, si era stupito nel ritrovare i due gattini che si spingevano l'un l'altro, impegnati a miagolarsi contro, agitare la coda e puntare il musetto un po' qua e un po' là.
Era rimasto a guardarli in silenzio per qualche minuto, studiandoli teneramente e cercando di interpretare cosa stessero facendo, ma non era mai stato particolarmente bravo a comprendere i gatti. Era più un tipo da cane anche se, il proprio carattere, lo rendeva più simile ad un lupo: indipendente, incapace di stare alla catena di chiunque (scappato da quella di suo padre, aveva smesso di subire passivamente l'autorità di suo fratello maggiore per ritagliarsi spazio per sé e per le proprie decisioni) e strappato da Dean diventava tanto solitario quanto pericoloso, per quanto continuasse ad avere due occhi sottili, dal taglio bizzarramente felino, in grado di diventare languidi e teneri quanto gli occhioni di un labrador.
Sam Winchester, complicato quanto il colore dei suoi occhi.
Con una scrollata di spalle si era lasciato scivolare giù dal letto, si era chinato verso uno dei gattini e lo aveva preso in mano, curioso di osservarlo meglio o, forse, solo in vena di carezzarne il pelo morbido e dispensare qualche coccola, ora che Dean dormiva e non poteva vederlo.
Sbadigliò ancora mezzo addormentato, mentre il micetto si agitava, muovendo le zampe nel tentativo di aggrapparsi alle sue braccia o arrampicarsi su di lui, così da non avere quella sensazione di vuoto sotto di sè.
Sam sorrise, lasciandolo fare e indietreggiò fino a scontrare le gambe con il bordo del proprio letto, su cui prese posto.
«A quanto pare Dean aveva ragione, sei proprio pieno di energie.»
Non dovette aspettare molto perchè anche il secondo gattino li raggiungesse, soffiandogli contro e miagolando in un suono che, per quanto ancora da cucciolo, suonava molto più definito di quello del più piccolo.
«Ma non vi stancate mai di miagolare, voi due?» chiese, allungando una mano verso la testolina di quello che, in mancanza di meglio, avrebbe potuto rinominare Eyeofthetiger. Se avesse dovuto scegliere quale dei due gli piaceva di più, probabilmente avrebbe scelto quello, forse perchè un po', molto lontanamente gli ricordava Dean, anche per quel colore verde intenso degli occhi e per il suo modo di accorrere dal più piccolo.
«Non ho intenzione di fare del male al tuo fratellino, promesso.» non sapeva neppure se quei due gattini erano imparentati ma, forse continuava a immedesimarsi troppo nel loro rapporto. Che sciocchezza.
«Shsss, buoni.» mormorò, ricevendo in risposta una zampata dal tigrotto e qualche incomprensibile pigolio dal micino più piccolo che aveva smesso di agitarsi e tentare di scendere dalle sue gambe, ma continuava a ondeggiare il musetto con gli occhietti rivolti verso l'alto, osservando il volto di Sam con una strana curiosità.
«Che c'è? Ho qualcosa sulla faccia?»
Il cacciatore scosse il capo e ruotò gli occhi al soffitto, rendendosi conto di star parlando con un gatto. Fu grato al fatto che Dean non fosse sveglio o, come minimo, lo avrebbe preso per il culo per tutta la notte, consigliandogli di imparare anche il balenese e unirsi a Greenpeace per la lotta contro il mercato del pesce giapponese e i loro piatti prelibati a base di balena.
Tirò un'occhiata in direzione del fratello.
Dormiva ancora, anche se, per qualche istante, gli sembrò di vedere un'espressione sofferente dipingersi sul suo volto.
Sospirò, mordendosi l'interno della guancia. Di lì a poco l'avrebbe sentito bisbigliare frasi sconnesse, richieste di aiuto, rotte tra singhiozzi appena udibili e intervallate al proprio nome.
Lo chiamava sempre quando sognava dell'Inferno. E, le volte in cui sognava, sognava solo dell'Inferno.
Sam si incupì, smettendo anche di accarezzare i due mici, che si guardarono perplessi l'un l'altro.
«Aha...» Dean aveva schiuso le labbra nel tentativo di parlare nel sonno.
C'era qualcosa nel suo respiro affaticato e nel modo in cui aveva iniziato a stringersi le braccia intorno allo stomaco che fece scattare il più giovane in piedi, dimentico del gattino sulle proprie gambe che fece appena in tempo a balzare di lato, per non cadere.
«Dean?»
«Aha...»
«Dean!»
Dopo qualche secondo, Dean spalancò gli occhi, gonfi di dolore, e iniziò a sputare sangue.
Era successo tutto troppo in fretta e l'odore ferruginoso aveva invaso le narici di Jensen, ancora più forte dell'odore di pioggia che proveniva da fuori, costringendolo a strofinarsi la zampetta contro il naso, nel vano tentativo di farlo andare via.
L'istinto lo aveva portato a stringersi più vicino a Jared, cercare il suo calore e assicurarsi della sua presenza con un bisogno quasi morboso di averlo sempre al proprio fianco. Dalla sua prospettiva era stato difficile capire cosa fosse successo, ogni cosa appariva più grande e, se prima il mondo andava alla loro velocità, ora era diventato tutto più veloce: il ragazzo che aveva catturato Jared lo aveva lasciato andare, si era alzato in piedi e si era gettato verso l'altro, scuotendolo per le spalle, aggiungendo un altro odore a quello del sangue: odore di paura.
Jensen scosse il musetto, non voleva sapere che cosa ci fosse di tanto spaventoso da riuscire a intimorire perfino dei mostri grandi e grossi come quelli; picchiettò una zampetta di Jared con la propria e gli indicò di nuovo la porta.
Potevano approfittare della distrazione degli umani per scappare.
Il gattino non rispose. Il corpicino era teso in direzione dell'altro letto e le orecchie dritte ad ascoltare le parole dei due ragazzi. Era riuscito a distinguere, in un gorgoglio soffocato e dolorante, la parola «Sonofabitch» e qualcosa a proposito di una "bitch-witch" che aveva già scoperto che i due fossero sulle sue tracce e alloggiassero in quel motel.
Era tutto troppo confuso e complicato per lui e gli occhi sbarrati dell'umano più alto, quando aveva visto l'altro piegarsi in due e vomitare sangue, lo avevano bloccato sul posto. Conosceva quello sguardo, quell'odore, quella sensazione che strisciava nelle vene e faceva pompare il cuore troppo forte, era quello che aveva provato lui quando la loro casa era stata buttata giù dalla pioggia e non riusciva ad arrivare a Jensen, ad aiutarlo.
Fu proprio il miagolio dell'amico a riportarlo alla realtà:
«Jared, mi hai sentito?!»
Si voltò, sbattendo gli occhietti.
«Che cos'è una strega?» gli chiese, pensando stupidamente che, se l'avesse saputo, avrebbe potuto fare qualcosa. Era nato in una gabbia, non aveva mai catturato un topo, né aveva mai saputo di che colore fosse l'erba o aveva mai una farfalla o scalato un albero, eppure da qualche parte nel profondo, lì dove nasceva l'istinto, sapeva di essere nato per cacciare e, per quanto in miniatura, era pur sempre un predatore.
Jensen lo guardò confuso.
«Che c'entrano adesso le streghe? Dobbiamo fuggire, perchè continui a perdere tempo con quelli?»
«E' che quello col pelo più corto sta male e ha parlato di una strega...»
«E allora?»
«Non lo so... ma non possiamo lasciarlo così, sta veramente male, Jensen. E... e se fosse colpa mia? Continuava a fare quegli strani rumori quando gli stavo vicino e ora sanguina!»
«E chi se ne frega, sono mostri, Jared, se lo meritano.» sbottò, senza capire cosa stesse passando per la testolina dell'amico. Non gli piaceva la sua preoccupazione per quei due, l'idea che li volesse aiutare. Erano sconosciuti, umani, mostri, mentre Jared... beh, Jared era suo. Spalancò le fauci contro il suo collo, affondando le piccole zanne tra i peli e afferrandolo per la collottola; l'avrebbe tirato a forza fuori di lì, se fosse stato necessario.
L'altro si puntellò con gli artiglietti nella coperta, graffiandola e incastrandovisi in parte, per opporre resistenza.
«Aspetta, Jensen!»
«No.»
«Almeno ascoltami!»
«Ho detto no.»
«Ma sono stati loro a sistemare la tua zampa!»
Jensen si fermò, la presa al collo del micetto allentata, la pupilla dilatata nella sorpresa.
«Eh?»
«Non sono cattivi, ci hanno portato qui dove non piove e poi hanno curato la tua zampa.» miagolò il più piccolo, con occhi che si erano fatti immensi e languidi e non sapeva ancora che razza di tenera arma micidiale potessero essere per quasi qualsiasi umano «Per favore~»
Jensen spalancò le fauci in una sorta di ruggito masticato, mischiato ad un miagolio frustrato, ma sapevano entrambi che avrebbe capitolato.
«Va bene... ma poi ce ne andiamo subito, ok?»
«Promesso!»
Dean era caduto a terra.
Continuava a tossire e vomitare sangue, le mani aggrappate al proprio stomaco, come se bastasse quello per sentire meno il dolore, ma non era servito a niente. Era come se qualcuno gli avesse preso le budella e avesse cominciato ad attorcigliarle tra loro, prima di affondarci un coltello e iniziare a lacerarle.
Fanculo alle streghe! Se fosse sopravvissuto dopo quella fottuta caccia, giurò a se stesso, non avrebbe più voluto sentir parlare di streghe per il resto della sua vita.
«Il...» cercò di parlare, soffocando quasi nel proprio sangue «...ba-gno...»
Inginocchiato a terra, sollevò un braccio, tremando per lo sforzo, indicando a stento la porta del bagno, nella speranza che Sam capisse di cominciare a cercare lì e trovasse quanto prima il sacchetto per la maledizione che avevano lasciato apposta per loro.
Figlie di puttana!
Vide le gambe del fratello muoversi oltre il letto, accendere la luce e sparire oltre la porta del bagno.
«Maledizione, deve essere qui! Deve!» lo sentì imprecare, mentre svuotava con una manata l'armadietto con lo sportello speculare «C'mon, dove cazzo sei? Ti prego, ti prego, ti prego...»
Sperò che facesse in fretta, ogni secondo che passava il proprio corpo faceva così male che, se non fosse morto per la maledizione, sarebbe morto per il dolore.
«Sam...» gorgogliò, cadendo col fianco sul pavimento «Sammy...»
Fanculo anche al sacchetto, se doveva morire, che almeno morisse guardando in faccia suo fratello.
Cercò di respirare, parlare e chiamarlo ancora, ma il sangue aveva riempito la gola e lui stava lentamente affogando.
Qualcosa di umido e ruvido gli sfiorò la punta delle dita; l'ultima cosa che vide, fu la figuretta minuscola di un gattino che gli leccava la mano, pigolando verso di lui ed ebbe la netta sensazione che lo stesse chiamando per nome...
«Resisti! Non chiudere gli occhi, se li chiudi è peggio, resisti!»
Jared miagolava contro l'umano, senza capire che cosa avesse e perchè l'altro continuasse a muoversi tra una stanza e l'altra, in preda ad una frenesia folle.
Era stato un miracolo se lui e Jensen non erano stati calciati per sbaglio e, quando avevano visto la lama argentata di un pugnale, non avevano avuto il coraggio di muoversi, guardando il ragazzo squarciare cuscini, materassi, strappare la carta da parati e poi ruggire rabbiosamente contro il nulla.
«DOVE SEI?!» urlava e, invece di prendersi cura dell'umano che stava male, continuava a cercare e cercare.
«Credi che sia qualcosa che serve per aiutarlo?» chiese il gattino, rivolto all'amico.
Con spalle e una postura umana, Jensen avrebbe potuto scrollarle in risposta, invece si limitò ad annusare l'aria, seguendo la scia di un odore fastidioso che ne aveva disturbato l'olfatto fin da quando si era svegliato.
Jared lo imitò, curioso.
«Che cos'hai sentito?»
«Non lo so, ma forse ho trovato quello che cerca l'umano.»
Zampettò verso uno dei comodini accanto al letto e lo sguardo si assottigliò in due lame smeraldine che osservavano la piccola crepa nel pavimento, proprio dietro al mobile rettangolare; chiaro ed intenso, riusciva a sentir provenire da quella zona l'odore di marcio, terra e ossa.
Guardò in alto, verso l'umano che aveva appena rovesciato in terra tutto quello che si trovava sulla scrivania a ridosso del muro.
«Ehi! L'abbiamo trovata!» miagolò, ma l'altro non sembrò neppure sentirlo «Ehi, umano! E' qui!»
Niente, aveva giusto mosso uno sguardo disperato verso il ragazzo semi-incosciente, supplicandolo di resistere e rimanere con lui con una voce tanto triste che Jensen sentì una fitta al cuore.
Sbuffò, iniziando a graffiare il legno del comodino, prenderlo a zampate e cercare di smuoverlo quel poco che bastava per aprire uno spiraglio abbastanza largo da potervisi infilare.
«Dovevano toccare proprio la coppia di umani sordi!» sbottò.
Jared, invece, aveva preso coraggio ed era corso verso le gambe lunghe del ragazzo, cercando di attirarne l'attenzione, miagolando verso di lui, spingendo con la testa contro i suoi piedi nudi o mordendone i jeans per tirarlo in direzione del comodino. Ma l'altro era grande e focalizzato soltanto sulla propria ricerca infruttuosa.
«Eddai... come fai a non sentirci? L'abbiamo trovato! Abbassa la testa! Umano...» urlò con tutto il fiato «SAM!»
Sam!
Sam abbassò lo sguardo sul corpo di suo fratello, prima di notare la palletta di pelo aggrappata ai propri jeans che, disperatamente, cercava di attirarne l'attenzione e spingerlo verso l'angolo della stanza dove l'altro gattino sembrava essersi incastrato dietro al comodino.
«Oh shit...» mormorò «Non ho tempo per questo.»
Il gattino insistette.
«E falla fin...!» aveva alzato la voce, in un moto di rabbia dovuto al tempo che stava perdendo inutilmente, incapace di salvare il fratello, quando, tra le zampe del gattino più grande, aveva notato qualcosa di scuro, chiuso da un laccetto.
«E'...»
Non finì la frase, si precipitò verso il comodino, spostandolo con prepotenza, fin quasi a rovesciarlo in terra, liberando completamente il micio ed il sacchetto delle maledizioni che aveva trovato in una fenditura del pavimento. L'attimo dopo il sacchetto stava bruciando fuori dalla porta della stanza e i pomoni di Dean erano tornati a riempirsi di ossigeno.
«God,» mormorò il maggiore dei Winchester, con la voce che grattava le pareti della gola ancora dolorante «questa volta ci sono andato vicinissimo...»
Sam sospirò di sollievo a sentirlo di nuovo parlare, posò la mano alla sua schiena e, anche dopo averlo aiutato a mettersi seduto, la lasciò lì, rassicurato dal battito del cuore che sentiva attraverso la stoffa della maglietta, contro il proprio palmo.
Era vivo.
«Stai bene?» gli chiese.
«Se evitiamo di considerare che metà del sangue che mi circolava in corpo è finito a fare da tappeto a questa stanza, seah, sto alla grande.» gli rifilò un mezzo sorriso di sbieco, sollevando stancamente il pugno contro la guancia del più piccolo, per assicurargli di aver scampato pericolo e che, quindi, non c'era più bisogno di mostrargli quell'espressione sperduta «Dammi qualche minuto e poi sarà il caso di levare le tende da qui.»
Le dita del pugno si aprirono, stringendosi ad una ciocca dei capelli castani, tirandola e tirandone il capo verso la propria spalla.
«Good job, Sammy.» gli soffiò tra i capelli.
Sam attese qualche attimo, chiudendo gli occhi, sentendo ancora il proprio sangue scottare nelle vene e piano scosse il capo, risollevandosi.
«Questa volta devi ringraziare le due fluffy-balls.» indicò con un cenno del capo i due gattini che, tornati l'uno vicino all'altro, li guardavano con un misto di curiosità e timore. Quando entrambi i Winchester ricambiarono lo sguardo, ebbero l'impressione che volessero farsi più piccoli di quanto già non fossero e sparire ingoiati dal pavimento.
Dean storse il naso. Ci mancava solo che dovesse la vita a due gattini grandi quanto il palmo della sua mano!
«Sì, beh, grazie.» borbottò poco convinto, agitando la mano verso di loro «Vi siete meritati doppia razione di grattini. Sammy, pensaci tu.» ghignò in direzione del fratello.
E ti pareva.
Avevano perso il momento perfetto per andarsene e lasciarsi quei due alle spalle, ne avevano salvato uno e l'altro sembrava avere ancora intenzione di toccarlo.
Jensen snudò i denti, rizzando il pelo e la coda, pronto a soffiargli contro e azzannarne le dita, quando una zampata di Jared lo distrasse. Non era stata forte, non gli aveva fatto male, nè lo aveva fatto cadere, era stata più che altro improvvisa.
«Che ti prende, Jared?»
Il più piccolo gli pungolò il fianco con la zampa.
«Non morderlo, non ti farà male. Fidati di me, ok?» rispose.
Che cosa?
Doveva essergli andato di volta quel suo piccolo adorabile cervello felino, per dire una cosa del genere e prendere le difese di uno stupido umano.
Questa volta, però, non lo avrebbe ascoltato, decise.
Tornò a puntare la mano del ragazzo, pronto ad affondare i denti nella carne, ma prima che potesse fare qualcosa, le dita avevano già raggiunto la propria testolina.
Si immobilizzò, spaventato, cercando di ripetersi che doveva difendersi e portare via Jared, che non contava nient'altro, ma tutto quello che riusciva a fare era stare immobile, con gli occhi spalancati e le zampe che sostenevano a malapena il suo peso Poi il tocco si trasformò in una carezza gentile che scivolò fin dietro le orecchie e scese giù lungo la schiena, verso la coda che per un attimo sferzò l'aria, come attraversata da una scossa elettrica, prima di abbassarsi cautamente.
Se avesse potuto, Jared avrebbe sorriso per lo stupore genuino dell'amico, per il suo sguardo che abbandonava la paura per diventare più languido, gli occhi che si socchiudevano e quel vibrare caldo e lento del petto che dava il via alle fusa.
«Visto? Te l'avevo detto, Jensen. E aspetta che ti tocchino la pancia!» esclamò, gongolante all'idea di ricevere altre coccole. Non gli ci era voluto molto per scoprire che gli piacevano da morire.
«Ma... ma stai zitto...» borbottò l'altro, muovicchiando il musetto e tirando una zampata alla mano del ragazzo che, tuttavia, ne fraintese le intenzioni, prendendola per un modo di giocare.
Lo sentì perfino ridere, una risata bassa appena accennata, smorzata dalle tracce di preoccupazione nascoste nell'angolo degli occhi dal colore assurdo.
«Quasi mi dispiace che non possiate rimanere con noi.» mormorò il ragazzo, attirando un'occhiata riluttante dell'altro umano.
«Non pensarci neppure, Sam.»
«Cosa? Non ho detto niente.»
«Come no, come se quello non fosse lo sguardo del "Mamma, possiamo tenerli"!»
«Non è vero, non è lo sguardo del... e falla finita!»
«E' inutile che insisti, Sammy, non si è mai sentito di cacciatori che si portano dietro delle palle di pe... pe... ehee... ETCHIU'! E che cazzo!»
Jensen e Jared scattarono con il musetto verso il ragazzo dagli occhi verdi, intimoriti per lo starnuto.
«Ok ragazzi, smettete di guardarmi così, ora.» affermò lui.
«Dean...»
«No, davvero, è inutile che insistete, avrete anche trovato un fottuto sacchetto delle maledizioni ma questo non vi fa diventare automaticamente dei segugi-caccia-streghe.»
«Dean...» lo chiamò di nuovo il fratello.
«Che c'è?!» sbottò.
«Stai parlando con i gatti...»
«Eh...? Oh... Ehm... è colpa della maledizione.» buttò lì una scusa campata per aria, prima di alzarsi e assicurarsi di essere stabile sulle proprie gambe, intenzionato a raccogliere armi e bagagli e togliere il disturbo da quel motel, per cercarne un altro in cui passare le poche ore che mancavano all'alba. Sapeva che non sarebbe riuscito comunque a riprendere sonno, ma rimanere lì non aveva senso e dovevano trovare la dannata strega che aveva tentato di farlo fuori.
«Comunque, se domani abbiamo tempo, cerchiamo qualcuno che si possa prendere cura di quei cosetti, quindi fattene una ragione.»
Sam annuì con un sorrisetto sardonico. Chissà come mai dal "domani te ne sbarazzi" erano passati al "se abbiamo tempo cerchiamo qualcuno".
Ancora sotto le carezze del cacciatore, Jensen ricacciò indietro le fusa a quelle parole.
«Non abbiamo bisogno di nessuno che si prenda cura di noi!» miagolò indispettito, verso l'umano più basso «Ci penso io a prendermi cura di Jared!»
Sam allontanò la mano da lui.
«Credo che tu gli stia simpatico.» commentò sarcastico.
Dean colpì con uno scappellotto la testa del fratello e poi snudò a propria volta i denti, imitando il gattino nel soffiargli contro.
Grande e grosso e, alle volte, sembrava un bambino di cinque anni.
«Se quel coso rovina la tappezzeria della mia baby per rifarsi le unghie, ti ammazzo, Sam. Te lo giuro.»