Titolo: What a cat's life!
Serie: Supernatural RPS + Supernatural
Capitolo: 1/?
Characters: Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins, Sam Winchester, Dean Winchester, Castiel, other...
Prompt: 01. Inizio
Pairing: ?
Rating: Nc-17
Genre: Angst, Drama, Fluff
Warning: crossover; A/U; slash; cat-version; tail&ears!kink; threesome; incest; contenuti forti; tematiche delicate;
Words: 3.071
Note: Sono pazza, non tanto per quello che ho scritto (anche), ma principalmente perchè, dopo anni, ho di nuovo avuto voglia di cimentarmi con la BigDamnTable che ho claimato in modo non ufficiale per questa fanfic. Colpa di Tumblà e di certi post, è chiaro che io sia una persona facilmente influenzabile ma... damn! Guardate le tre immagini (linkate al post originale) che fanno da apertura alla fic e ditemi se non ci vedete perfettamente tre precisi boyz che tutti noi ormai conosciamo bene. Ditemi che non ce li vedete ed io prometto che cestinerò la fic e mi darò all'ippica! In realtà poi il miciotto arancione ha acquistato più colore nel pelo e anche striature scure che nella mia testa lo fanno somigliare ad un tigrotto, ma questi sono dettagli.
La crossover è venuta più o meno da sé, facendo nascere un enorme dubbio sulle coppie, ci sono così tante possibilità che, oddio, diventerò matta... ma la cosa mi intriga, davvero, mi intriga tantissimo, è come se fossi nel paese dei balocchi, solo che al posto delle caramelle ci sono i sexyboyz di Supernatural tra cui scegliere. Err, ok, a parte i miei deliri, ho deciso di postare la fic nella sezione RPS, pur avendo come ambient quello di Supernatural, solo perché l'idea è che i protagonisti principali siano i tre attori (forse), quindi mi sembrava più logico. Credo. Non so, è la prima volta che azzardo un esperimento di questo genere e spero davvero non ne esca la cazzata che temo sia.
Disclaimers: I personaggi di Supernatural appartengono a chi di diritto, mentre gli attori realmente esistenti appartengono a loro stessi e, grazie al cielo, non verranno mai a sapere di quante stronzate stia scrivendo su di loro. Ovviamente niente di quello qui riportato è reale, né si vuole riportare o mettere in discussione i loro gusti sessuali.
scritta per la community
fanfic100_itaTabella:
BDT Give me a miaoCapitoli:
01
#01. Fluffy Balls
Si stringevano disperatamente l'un l'altro, spinti contro l'unico angolo asciutto non ancora raggiunto dall'acqua.
L'odore di pioggia penetrava nelle narici, facendo vibrare il naso troppo sensibile di Jared; si spostò più vicino a Jensen, confortato del calore che emanava il suo corpo, così minuscolo rispetto a quello che aveva visto fuori.
Una volta soltanto aveva osato guardare fuori; si era arrampicato fino alla cima di quella che loro chiamavano casa e, con la curiosità che lo caratterizzava, aveva spiato verso una strada immensa, fatta del grigio dell'asfalto, del rosso e del blu dei cartelli, del giallo e del bianco degli edifici. Non era riuscito a vedere molto altro, completamente impreparato, era stato stordito dal rumore dei clacson, delle grida, dei lavori in corso nel cantiere in fondo alla strada, dal trillo del campanello di una bicicletta e dall'abbaiare di un cane. Spaventato, aveva perso la presa rotolando giù e aveva cercato immediatamente rifugio contro Jensen, standogli addosso per tutta la notte, mentre l'altro lo consolava e gli ripeteva che andava tutto bene, che erano riusciti a scappare dal mostro e che l'unica cosa che contava era stare ancora insieme.
"Credi davvero che non ci troverà qui?" aveva domandato Jared, tremando al pensiero di quello che avrebbe potuto far loro per vendicarsi, se mai li avesse trovati.
Non erano fratelli, anche se alle volte si comportavano come tali, nessuno dei due conosceva il significato di quella parola. Jared era più piccolo di qualche mese e, fin dal momento in cui aveva aperto gli occhi al mondo, non aveva passato un singolo giorno lontano da Jensen o dalla sua ombra. Avevano condiviso ogni cosa, tanto nel bene, quanto nel male.
Il più grande lo aveva visto nascere, affiancando la madre nei suoi ultimi attimi di vita, promettendole che avrebbe avuto cura di lui per sempre. Aveva mantenuto la promessa: lo aveva sfamato durante i giorni passati nella prigione del mostro, gli aveva insegnato a muovere i primi passi e, quand'era arrivato il momento, lo aveva spinto alla fuga, trascinandoselo via per la collottola, oltre un buco aperto nella rete metallica. Era rimasto ferito e non era l'unica ferita che lo marchiava, ce n'erano altre rimarginate alla male-peggio, così come sul corpo di Jared.
"Tranquillo, non ci troverà mai." aveva risposto Jensen, spingendo con la guancia contro quella del più piccolo, strofinandovi a lungo prima di chiudere gli occhi, stanco e affamato.
Jared aveva annuito, si era accoccolato contro di lui e aveva iniziato a leccarlo con devozione, finché il sonno non lo aveva vinto ed era caduto addormentato.
Era stata la pioggia a svegliarlo.
Un tuono si era schiantato troppo vicino alla casa, mettendo tutti i suoi sensi in allerta; quando l'acqua aveva iniziato a bagnare le pareti allagando tutto, era scattato in piedi.
«Jensen...» chiamò allarmato, guardando verso di lui che aveva aperto gli occhi, ma faticava a tenere le palpebre sollevate «Si sta riempiendo tutto d'acqua!»
Jensen fece per tirarsi in piedi, ma una fitta di dolore lo fece accasciare di nuovo a terra, mugolando, incapace di muoversi.
«Jared, devi scappare.» ordinò con voce sottile.
«Ma... ma tu devi venire con me.» lo spintonò con la testa, incitandolo debolmente.
«Io non posso, sono ferito e non riesco a camminare. Devi andare senza di me, hai capito?»
Negli occhi di Jared si accese la paura.
«No, no, non voglio stare senza di te!»
«Jared, devi muoverti, la casa sta per...»
La pioggia si fece più intensa, oltre le pareti di una casa fatta solo di cartone, che era in realtà nulla più che una scatola malmessa e abbandonata contro il ciglio della strada, l'acqua aveva iniziato a formare un pantano di fango che si era trasformato in pozzanghere profonde; il canale di scolo si era riempito in fretta e quando un'auto attraversò troppo veloce la strada, sollevò un'ondata contro la scatola, distruggendone le pareti e riversandosi sui corpicini dei due occupanti.
Jared si ritrovò di colpo con la testa sott'acqua ed il mondo sottosopra; si agitò furiosamente per tornare a galla, mirando alla poca luce che si intravedeva oltre la superficie, muovendo scoordinatamente gli arti e spuntando dopo parecchio oltre l'acqua sporca che riempiva la strada, troppo alta per lui.
«Jensen! Jensen!» era difficile sentirlo tra i rumori della strada e sotto la pioggia. Non vedeva niente, solo bagliori bianchi di fari che lo accecavano e poi gli passavano accanto agitando di più l'acqua che lo trascinava di nuovo altrove, sbattendolo contro il bordo alto del marciapiede.
Poi, d'un tratto, vide spuntare dall'acqua un ciuffetto biondiccio, di una sfumatura che stava tra l'aranciato ed il castano.
«Jensen!» urlò ancora, riconoscendolo, Cercò di nuotare in quella direzione, arrancando fino ad arrivargli vicino per afferrarlo con i denti, con le zampe, spingendolo fuori dall'acqua con il muso, continuamente sballottolato da una parte all'altra, finché un'ondata più forte non li sbatté nel mezzo della strada, proprio quando un enorme scatola di metallo nero li puntò con due occhi bianchi e luminosi.
Jared miagolò, implorandolo di fermarsi, cercando di coprire il corpicino di Jensen con il proprio.
Ma cos'avrebbe potuto fare un minuscolo gattino contro un'auto?
«DEAN FRENA!»
La voce di Sam era rimbombata nell'abitacolo dell'Impala e Dean inchiodò di colpo in mezzo alla strada, facendo stridere i freni della propria bambina.
«Sonofabitch!» imprecò, insultando tutti e nessuno, con le unghie affondate nel cuoio duro del volante e la testa che aveva rimbalzato dolorosamente contro il sedile.
Sam aveva avuto la prontezza di portare le mani contro il cruscotto, tendendo le braccia per spingersi con la schiena contro il sedile, riducendo i danni al minimo. Si concesse qualche secondo per riprendere fiato, assicurandosi di essere ancora vivo, prima di voltarsi verso il fratello con uno sguardo fatto di scuse.
«Tutto bene?»
In risposta ricevette un ringhio e decise di farselo bastare come risposta.
Indicò con un cenno del capo verso l'asfalto illuminato dai fari dell'auto.
«Ho visto qualcosa lì davanti.» spiegò, spiando oltre il vetro e i tergicristalli che spazzavano via la pioggia, scorgendo a malapena la strada e le strisce continue che delineavano la carreggiata.
Dean fece lo stesso, socchiuse gli occhi riducendoli a due lame verdi, ma non vide nulla se non la pioggia e l'asfalto grigio.
«Cristo Santo, Sam, se mi hai fatto distruggere i freni della mia baby per una tua allucinazione, ti faccio tornare a piedi!»
«Ti dico che ho visto qualcosa.» ripeté il fratello, convinto. Si azzardò anche ad aprire la portiera, mentre il più grande sollevava gli occhi al tettuccio dell'Impala, borbottando imprecazioni sottovoce; lasciò che il ragazzo avanzasse sotto la pioggia, seguendolo solo con lo sguardo, finché non lo vide chinarsi davanti a due macchie sulla strada.
Allora c'era davvero qualcosa lì davanti.
Sbarrò gli occhi quando lo vide raccogliere quelle macchie e tornare sui suoi passi.
«Che cazzo...?» mormorò, incredulo.
Fa che non abbia raccolto dalla strada un dannato cane. Fa che non sia un dannato ca...
«Etchiù!»
Starnutì, ancor prima di vedere, tra le braccia del fratello, due minuscole pallette di pelo che spingevano spaventate contro il suo petto, zuppe di pioggia, tremanti e infreddolite. Una aveva un pelo di un castano castano chiaro, che era più un misto tra il biondiccio e l'arancione, attraversato da striature più scure che, con un'occhiata superficiale, lo facevano somigliare più che altro ad un tigrotto; l'altra palletta di pelo, se possibile, era perfino più piccola, tigrato anche lui, ma di un colore più scuro che si concentrava principalmente sul musetto, sul dorso e sulla schiena, mentre il resto era per lo più bianco.
Dean li fissò a lungo, sbattendo le palpebre e poi tornando a fissarli.
Erano due gattini.
Due dannati e fottutamente adorabili gattini.
«Oh no. No, no, no, no!» fece, scuotendo la testa «Non te li porti dietro quelli!»
«Dean, li abbiamo quasi investiti.»
«Appunto, quasi! Significa che non abbiamo nessun obbligo morale nei loro confronti. E poi sono allergico ai... ai... aaa... etchiù!»
Allergia ai gatti. Non poteva andargli peggio.
«Per favore?» buttò lì, Sam, meccanicamente, credendoci poco anche lui.
«No.»
D'accordo.
Sospirò tristemente, abbassando lo sguardo sui due gattini. Erano grandi quanto il palmo della sua mano, uno di loro aveva una brutta ferita ad una delle zampette posteriore e il più piccolo, quello dal pelo più scuro, miagolava muovendo il musetto contro l'altro, quasi volesse disperatamente svegliarlo.
Dean guardò prima i due gattini e poi il fratello, i suoi occhi fatti più lucidi e l'espressione di un cucciolo ferito.
Bastardo, tre contro uno non valeva!
«Va bene, smetti di fare quella faccia, hai vinto!» sbottò, sicuro che se ne sarebbe pentito quanto prima «Ma domani cerchi qualche vecchietta gattara a cui rifilarli, chiaro?»
«Cristallino.»
Sam sorrise, Dean borbottò qualche insulto in risposta e, quando rimise in moto, il più giovane si spogliò del proprio giaccone, posandolo sulle gambe per avvolgervi i due cuccioli. Per tutto il viaggio fino al motel li tenne al caldo, accoccolati sulle proprie cosce, mentre le dita lunghe scivolavano dolcemente in carezze gentili sul pelo bagnato.
«E... ehe....eeetchiù!»
Era il sesto o il settimo starnuto che rimbombava nella strana stanza in cui i due umani li avevano portati.
Ancora spaventato, Jared scattò con gli occhietti verso il ragazzo dai capelli più chiari, quello che non sembrava gradire la loro presenza e che fin dall'inizio non li aveva voluti con loro. Si era aspettato di venir sollevato di peso e sbattuto fuori insieme a Jensen al primo passo dentro quell'enorme casa di cartone, ma lui si era limitato a puntare l'indice contro loro due sbottando «Voi due siete in debito con me.» e aveva permesso che se ne stessero lì, mentre l'altro umano li strofinava con quell'affare bianco e morbido.
Sbatté gli occhietti, arricciando il nasetto quando il panno bianco passò di nuovo sul proprio muso, fece fatica a trattenersi dall'istinto di morderlo e sentirne la consistenza sotto ai denti, ma aveva imparato sulla propria pelle e sul proprio pelo che gli umani erano cattivi e non voleva che questi due facessero male a lui o a Jensen, come quello da cui erano scappati: il mostro.
Rimase immobile, aspettando paziente che l'umano si stancasse di solleticargli il muso, mentre le orecchie erano tese a captare qualsiasi rumore sospetto.
I baffetti vibrarono sotto al sospiro di sollievo che tirò quando la mano si allontanò da lui, era così grande che riusciva a coprirlo tutto quanto e, se avesse voluto avrebbe potuto schiacciarlo in un colpo solo, eppure durante il viaggio in quella strana scatola con le ruote, li aveva entrambi carezzati gentilmente e li aveva tenuti al caldo, in quella cosa enorme di stoffa marrone che aveva il suo stesso odore. Un buon odore, dopotutto.
Si sollevò sulle zampette, guardandole affondare buffamente su quello che aveva imparato chiamarsi materasso. Il mostro ne aveva uno simile, grande solo un terzo, duro, scomodo e che puzzava in modo fastidioso; alle volte li buttava lì, quando era troppo annoiato per torturarli o trovare nuovi modi per spaventarli, dimenticandosene per giorni. Questo non aveva un odore particolarmente buono, ma sembrava più comodo ed era abbastanza grande da ospitare perfino l'umano con quelle sue gambe spaventosamente lunghe.
Non ne aveva mai visti di così grandi. Era enorme, almeno quanto la strana casa di cartone in cui li aveva portati, il suo pelo (o si chiamavano capelli, quelli degli umani?) era castano, più lungo di quello dell'altro umano e gli occhi erano strani, non conosceva il nome di quel loro colore particolare, quindi si ripromise di chiederlo a Jensen. Guardò verso di lui, trovandolo ancora svenuto.
«Jensen...» chiamò piano, tristemente, zampettandogli vicino e strofinando il musetto contro il suo fianco, leccando via il sangue dalla sua zampetta ancora ferita «Dai, svegliati, Jensen.»
Dall'altro letto sentì la voce roca dell'umano più basso.
«Dude, forse è l'allergia che mi ha tappato le orecchie e non riesco a sentirci bene, ma sbaglio o quel gatto ha appena pigolato?»
«Credo... di sì.» rispose l'altro, perplesso.
Jared rizzò il pelo, spalancando le fauci verso i due.
«Non è vero che pigolo!» miagolò, ma alle orecchie dei due cacciatori suonò come il suono di un pigolio disperato.
«Fantastico, ti sei messo a raccogliere per strada un incrocio tra un pulcino, un gatto e Bambi.»
«Magari fa così solo perché è un cucciolo ed è spaventato.» suggerì il più giovane.
«Oppure perché ti ha preso per la sua mamma e ora vuol essere allattato.»
«Fanculo, Dean.» sbuffò Sam, scuotendo la testa; il cacciatore, però, non aveva tutti i torti, prima o poi avrebbero dovuto pensare anche al fatto che quei due gattini dovevano essere affamati. Decise di pensarci dopo, concentrandosi su una cosa alla volta.
Tenendolo con entrambe le mani, strinse delicatamente il corpicino del gattino più grande, non lo aveva ancora visto aprire gli occhi e non aveva un bell'aspetto.
Quando vide Jensen venir afferrato, Jared sollevò la coda, gonfiando istintivamente il pelo. Con un balzello scattò contro la mano dell'umano, cercando di allontanarla con una zampata.
«Lascialo! Non lo toccare!» miagolò e soffiò «Ti ho detto di non toccarlo, lascialo, lascialo!»
«Ehi, ma che? E ora che ti prende?»
«Wo, attento, Sam, quella tigre vuol sbranarti.»
«Perché invece di fare tanto lo spiritoso, non mi dai una mano?»
«Scordatelo, man, allergia, ricordi? E visto che le palle di pelo le hai volute tu, te le tieni, Amico degli animali.»
«Grazie tante...»
«You're welcome, dude. You're welcome.»
Aveva imparato qualche parola della lingua degli umani, ma riuscire a seguirli entrambi era stato troppo difficile e Jared aveva presto lasciato perdere l'idea di capire che cosa stessero dicendo, nel momento in cui Jensen era finito in grembo all'umano dalle gambe troppo lunghe. Lo aveva visto sollevargli la zampetta ferita e subito aveva pensato al peggio, convinto che volesse fargli del male. Non aveva mai conosciuto umani gentili, in realtà non aveva conosciuto nessun umano a parte quello che li aveva tenuti prigionieri fino a pochi giorni fa e si era facilmente convinto che fossero tutti come lui, meschini e crudeli e si divertissero a prendersela con loro solo perché erano piccoli. Ma un giorno diventerò grande anche io, si era sempre detto Jared e, anche se quel giorno non era ancora arrivato, si piegò sulle zampette anteriori, ondeggiò coda e fondoschiena per prendere bene la mira e, in un lampo, balzò contro Sam, spalancando le fauci.
Era riuscito ad emettere perfino un miagolio di quelli veri e aveva estratto gli artiglietti, ma prima che potesse atterrare sul corpo dell'umano, due mani grandi e calde lo avevano afferrato al volo, bloccandolo a mezz'aria.
«Uff, certo che sei proprio un gran rompiscatole, t... t... etchiù! Ecco, fantastico.»
Dean tirò su col naso, storcendolo per il fastidio. Era scattato in piedi, non appena aveva visto il gattino prepararsi all'assalto e, piegandosi sul letto di Sam, lo aveva acchiappato al volo, riscoprendolo minuscolo tra le proprie dita e dal pelo morbido, ora che era asciutto e pulito.
Sospirò, lasciandosi ricadere di nuovo sul bordo del proprio letto, trascinandosi dietro il micio, che si agitava, miagolava e cercava di sfuggire alla sua presa.
«Certo che ne ha di energia 'sto piccoletto.» commentò, trattenendolo lontano da Sam, perché potesse finire con l'altro gattino.
Non l'avrebbe ammesso neppure sotto tortura, ma era rimasto tutto il tempo a spiare il fratello minore mentre si prendeva cura di quelle fluffy-balls ed era rimasto incantato dalla tenerezza del suo sguardo. Gliel'aveva già visto addosso, tempo fa, quando Sam era solo un ragazzino e durante l'anno scolastico era capitato che sparisse nell'ora dell'intervallo; Dean lo aveva cercato a lungo e quando l'aveva trovato, non aveva avuto il coraggio di rimproverarlo, era rimasto a guardarlo di nascosto mentre giocava con la mascotte della squadra di nuoto dell'università vicina, un giovane pastore tedesco. E poi c'erano tutte le volte in cui Dean si era ammalato e Sam si era preso cura di lui, per fortuna succedeva raramente, era una cosa che detestava, anche se la notte, quando si risvegliava accaldato per la febbre e mezzo soffocante a causa del raffreddore, era piacevole ritrovare suo fratello addormentato accanto al proprio letto, con le braccia incrociate sul proprio cuscino e la testa abbandonata su queste.
Distratto dai pensieri, non si era neppure reso conto che Sam aveva finito di medicare il gattino e quello che aveva invece recuperato lui aveva smesso di agitarsi tanto, cominciando invece a tremargli tra le dita. Inconsciamente le aveva passate gentilmente sul suo pelo, in un contatto piacevole sotto ai polpastrelli e, piano piano, il micio si era calmato.
Ora il suo corpicino vibrava e, curiosamente, emetteva uno strano rumore simile ad un ringhio, ma più basso, più caldo e più soffuso.
Dean spalancò lo sguardo, stupito.
Erano fusa.
Quel cosettino gli stava facendo le fusa!
«Questo dovremmo proprio chiamarlo painintheass!» borbottò, costringendosi a non lasciarsi corrompere dalla tenerezza di quei due piccoli bastardi.
Sam ghignò sornione.
«Adesso vuoi dargli dei nomi? Non è passata neppure mezz'ora e già ti stai affezionando?»
«Fuck you! Dicevo così per dire.»
«Sì, certo.»
«Bitch.»
«Jerk.»
«Miao?»
Sorpresi dal miagolio e dal suo perfetto tempismo, entrambi i cacciatori puntarono gli occhi sul gattino tra le dita del più grande, per poi scoppiare in una risata divertita.
Confuso, Jared guardò prima uno e poi l'altro.
«Perché ridete? Che ho detto di buffo?» chiese, ma nessuno dei due sembrava capirlo e a lui, in realtà, non importava così tanto. Aveva scoperto che gli piaceva stare sulle gambe di quei due umani e che le loro mani riuscivano a toccarlo con tanta dolcezza che gli sembrava di potersi sciogliere sotto le loro dita, soprattutto ora che quello strano tipo che prima non li voleva e ora lo coccolava, lo stava carezzando proprio sotto al mento e dietro alle orecchie, lì dove gli piaceva di più.
Si sentì colpevole per non essere riuscito a tornare di nuovo vicino a Jensen, assicurandosi che stesse bene, ritrovandosi invece incapace di trattenere le fusa per il piacere, ma quando con un occhietto spiò in direzione dell'amico, lo ritrovò accoccolato tranquillo sul materasso, accanto al gigante-umano che gli aveva fasciato la zampetta e gli sorrideva senza cattiveria.
Ondeggiò piano la coda, prima di abbassarla completamente contro di sé, perdendosi nel tepore delle carezze, spingendosi un po' più vicino al ventre dell'umano, scavandosi un angolino tutto per sé, abituato ad avere vicino qualcuno -Jensen, sempre e solo Jensen- e, per un attimo, gli sembrò di sentire il suo stesso odore addosso al corpo caldo dell'umano.
Infine cadde addormentato.