[Hey!Say!Jump] Hakanai yubisaki [07/08]

Nov 23, 2012 21:13

Titolo: Hakanai yubisaki
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Takaki Yuya x Chinen Yuri ; Yabu Kota x Inoo Kei ; Takaki Yuya x Yamada Ryosuke ; Yamada Ryosuke x Chinen Yuri.
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, NonCon!, Death!Fic, Violence, AU!, Under!Age
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Yuya è cambiato. Yuri lo percepisce in ogni suo movimento, eppure fidarsi dell'uomo che gli aveva rovinato la vita non era semplice.
Note: Sequel della storia di vogue91 intitolata "Sanagi". Per ulteriori informazioni sul 'verse yakuza, clicca * qua*
Note 2: Scritta per il bigbangitalia.
Note 3: Scritta per la 500themes_ita
“83. Contando gli anni.”
“158. Temi ciò che non puoi conoscere.”
“210. Fragile come un sogno.”
“454. Sognare l’impossibile.”
“435. Vivere un incubo.”
“66. Perché lo chiamano cadere.”
“34. Incubo.”
“412. Compagno di vita.”
WordCount: 35.141

Lista capitoli precedenti: 
Prologo
Capitolo 01
Capitolo 02 
Capitolo 03 
Capitolo 04 
- Capitolo 05
- Capitolo 06

**



Capitolo 06

Yamada lo vide entrare e capì che arrivare a fine giornata sarebbe stato ancora più complicato del solito.
Lo yakuza era visibilmente irritato, gli occhiali calati leggermente sul naso, la giacca dietro la spalla e i primi bottoni della camicia slacciati.
Era entrato nella stanza dove Yamada si prostituiva senza nemmeno togliersi le scarpe. Il ragazzino aveva tentato di allontanarsi di qualche passo, ma senza successo.
La mano di Yuya lo aveva afferrato per un polso, tirandolo vicino a sé, prima di calare sul suo volto il primo di una lunga serie di schiaffi.
Yamada scivolò contro il muro, il naso sanguinante e il labbro spaccato, già privo di forze per continuare a rimanere lucido per tutto il pomeriggio. La vista era annebbiata e il sangue gli colava da una tempia lungo il suo volto.
Il più grande lo afferrò per i capelli, trascinandolo per la stanza prima di sbatterlo sul materasso. Yamada si alzò sulle ginocchia, cercando di arrancare, ma senza successo: la testa gli girava.
L’altro montò sul letto, mettendosi sopra di lui e afferrandolo per la maglietta, strappandola con il coltello, iniziando a ferirlo, ignorando i singhiozzi di Yamada e il suo dolore.
Era stanco Yuya di avere quel lato dentro di sé e di non saperlo reprimere. Yamada si sarebbe piegato a differenza di Yuri.
A costo di riempire la sua pelle di tagli, a costo di fargli perdere ogni goccia di sangue, a costo di…
Portò una mano alla cintura dei pantaloni, slacciandola velocemente e afferrando di nuovo Yamada per i capelli, tirandolo verso di sé con forza, dato che il più piccolo continuava imperterrito a ribellarsi.
Ad un certo punto Yuya si fermò, osservandosi intorno. Poi spinse Yamada sul letto, rivestendosi velocemente. Lo legò per i polsi al letto, senza domandarsi se i lacci in realtà non fossero troppo stretti, tanto il dolore per lui avrebbe già dovuto rappresentare una quotidiana rassegnazione.
Strinse fra le dita il coltello, sentendo come i polpastrelli scivolassero sull’impugnatura in tessuto, poi avvicinò la lama al corpo già ferito di Yamada. Si nutrì dei suoi occhi pieni di paura e di odio, prima di appoggiarla sulla pelle, osservandola lacerarsi.
Le gocce di sangue scivolavano lungo il petto, i fianchi, il costato, macchiandolo e marchiandolo per l’ennesima volta come sua proprietà, anche se Yuya di nuove proprietà non ne voleva.
Aveva Yuri a casa, l’unica proprietà su cui voleva e doveva rivendicare il possesso. Di Yamada non gli importava molto. Era un oggetto, una parentesi, nulla di più. Dopo di lui ce ne sarebbe stato un altro e poi un altro ancora.
Perché non voleva più vedere il sangue o le lacrime o la sofferenza di Yuri. Quello che graffiava nel suo petto era una bestia, ma Yuri non la avrebbe mai più vista. Non avrebbe mai più visto l’animale che era e che sarebbe sempre stato.
E intanto Yamada piangeva, soffriva cercando di limitare i singhiozzi, ma Yuya era sordo ad ogni supplica.
Si alzò dal letto solo quando le sue dita erano macchiate di sangue e quando perfino Ryosuke, stremato da quelle ore infernali, aveva smesso ormai di ribellarsi.

**

Yuri prese i libri di scuola da sotto il banco, infilandoli nella borsa, per tornare a casa. Aveva da fare parecchi giri prima del ritorno di Yuya, e di certo non voleva dargli una scusa per continuare a borbottare sulla sua poca efficienza da quando frequentava la scuola.
Ma il più piccolo non aveva intenzione di dargli peso. Yuya era solo geloso del tempo che passava lontano da lui, doveva solo farci l’abitudine e avere pazienza. Uscì velocemente dall’edificio scolastico, dirigendosi verso il centro di Kabuki-chō, dove si trovava il mercato giornaliero.
Comprò rapidamente della frutta e della verdura fresca, prima di passare al conbini per la birra e per le sigarette di Yuya. Mentre era indeciso su quale pezzo di carne comprare, sentì il cellulare vibrargli nella tasca. Era un messaggio di Yuya che lo avvisava che non sarebbe rientrato a pranzo quel giorno e che quindi si sarebbero rivisti a cena.
Yuri appoggiò di nuovo il cellulare dentro la borsa e sospirò, sconsolato. Ormai erano tanti i pomeriggi in cui Yuya non tornava a casa e quando lo faceva aveva sempre dei vestiti sporchi di sangue.
Il suo atteggiamento diventava aggressivo quando Yuri gli chiedeva che cosa avesse fatto a lavoro e il più piccolo aveva ben presto imparato a tacere. Meglio il dubbio piuttosto che farlo seriamente arrabbiare.
Si stava avviando verso la strada di casa, cercando di bilanciare il peso delle buste con quello della borsa di scuola, quando si sentì chiamare. Si fermò in mezzo alla strada, voltandosi e vedendo correre verso di lui un ragazzo che poteva avere sì e no la sua stessa età.
Nonostante il caldo di quella giornata, indossava una maglietta a maniche lunghe, dei jeans e aveva un cappello calato sul volto. Il ragazzo lo raggiunse, fermandosi davanti a lui e piegandosi sulle ginocchia, riprendendo fiato.
« Ci conosciamo? » chiese Yuri perplesso.
« Penso proprio di no. Volevo parlarti, puoi seguirmi al bar? »
Yuri fece un passo indietro, sospettoso.
« No. Chi sei? » chiese di nuovo il più piccolo.
Il ragazzo alzò la testa, ghignando e scrutandolo da capo a piedi.
« Il mio nome è Yamada Ryosuke. Sono nato nel bordello di Yuya e mi prostituisco da quando ho otto anni. Ma io conosco te. Il tuo nome è abbastanza famoso nel giro. »
Yuri continuò a fissarlo, i muscoli tesi per scappare.
« Sono in ritardo. Yuya sarà a casa a momenti. » mentì, stringendo fra le mani le buste della spesa.
« Impossibile. Dovrebbe essere nella mia stanza, proprio adesso. Sarà molto arrabbiato e Yuya non è mai un bello spettacolo quando si arrabbia. » ridacchiò, ancora « Lo so bene, quasi meglio di te. »
« Che vuoi dire? » mormorò Yuri senza parole.
L’altro non rispose, limitandosi ad alzarsi le maniche della maglietta, permettendo al più piccolo si osservare le cicatrici bianche che risaltavano sulla propria pelle. Yuri sbiancò. Le conosceva bene quelle cicatrici. Conosceva la profondità, la lama con le quali erano stati inferte, e conosceva soprattutto chi le aveva fatte.
Finalmente i pezzi della sua vita che non coincidevano riuscivano a trovare un loro posto, coerenti con tutti gli altri. Il nervosismo di Yuya, la sua mancanza di voglia di fare sesso, il sangue che macchiava i suoi vestiti, l’improvvisa assenza dal lavoro e tutto il resto.
Si morse un labbro, confuso da quella rivelazione. Non si accorse nemmeno di Yamada che si avvicinava, del suo odio che trapelava da ogni poro, della sua rabbia.
All’improvviso tutto divenne scuro, e quando il suo corpo toccò terra aveva già perso i sensi.

**

Si risvegliò che era dentro un letto. La stanza era colorata, c’erano dei disegni sulle pareti e Yuri riconobbe immediatamente la stanza degli ospiti di Kota e Kei.
Si alzò a sedere, notando i vestiti di Kei sparsi su una sedia e i completi ordinati e puliti d Kota appesi all’anta dell’armadio scorrevole. Sentiva la testa girargli e non fece in tempo a far ordine dentro di sé che un violento istinto di vomitare gli risalì lungo la gola. Si alzò in piedi, ignorando la testa che girava e dirigendosi immediatamente al bagno, chinandosi sul lavandino.
L’odore era insopportabile e Yuri si lasciò cadere a terra, pulendosi la bocca con un asciugamano. Chiuse gli occhi, sentendoli pieni di lacrime.
La porta si aprì e Kota si inginocchiò al suo fianco.
« Come ti senti? »
Yuri alzò gli occhi, osservandolo. Le parole gli morivano in gola e si limitò a scuotere la testa.

Si era svegliato in quello che avrebbe dovuto essere un magazzino. Invece lo aveva riconosciuto quasi subito. Erano vicino al capannone, dove la yakuza teneva tutti i ragazzini in attesa del loro destino, qualunque esso fosse.
L’odore di morte e di sangue e i lamenti flebili erano ancora impressi nella sua mente. Si guardò intorno. Davanti a lui c’era solo Yamada, seminudo.
Tentò di muoversi, ma le braccia erano legate ad un sostegno di metallo dietro di lui e le gambe gli facevano male.
Ma Yuri non era mai stato un tipo che si arrendeva facilmente. Continuò a muoverle, cercando di liberarsi dalle corde che lo tenevano imprigionato, ottenendo solo delle ferite sul polsi e una risata da parte di Yamada.
Quest’ultimo si alzò dalla sedia, accovacciandosi al suo fianco. Il suo sguardo era carico di odio e rabbia e Yuri avrebbe potuto quasi comprenderlo se non si fosse ritrovato in quella situazione.
« Cosa vuoi da me? » ringhiò a bassa voce.
« Yuya mi ha tolto anche il poco dignità che mi era rimasta. E adesso io toglierò a lui l’unica cosa a cui tiene. »
Yuri non era abituato ad essere terrorizzato, non dopo tutti quegli anni passi con Yuya. Non era abituato a mostrare paura, ma in quel momento invece ne aveva veramente molta. Certo, nulla poteva essere paragonato al sadismo che Yuya era in grado di tirare fuori, ma aveva paura.
Odiava avere paura, odiava mostrarla, ma quando vide Yamada afferrare un coltello non riuscì a fare altro che a scuotere la testa, troppo incredulo per dire o fare altro.

Ritornò a letto, sostenuto da Kota. Sentiva dolore dappertutto, gli occhi gli facevano male e anche solo parlare era una sofferenza.
Non aveva idea di come si fosse ritrovato a casa dello yakuza, ma fu grato di trovarsi lì e non invece con Yuya.
Non avrebbe saputo cosa dire e non avrebbe saputo come comportarsi.
Voleva solo dormire e dimenticare. Appoggiò la testa sul cuscino, lentamente, per evitare che le bende scivolassero via durante il sonno e si addormentò, di nuovo.

Yamada spingeva dentro lui. Godeva e Yuri avrebbe voluto ucciderlo. Avrebbe voluto alzarsi, afferrarlo per i capelli e sbattere ripetutamente quella testa contro il muro o contro il pavimento.
Lo odiava e si odiava. Le ferite più profonde di quelle che lasciava Yuya, continuavano lentamente a perdere sangue e lui sentiva la testa girargli e comprendeva che a breve avrebbe perso conoscenza, ma l’unica cosa sui cui riusciva a concentrarsi era l’erezione di Yamada che lo violentava.
Aveva urlato Yuri quando si era spinto dentro di lui la prima volta e le proprie unghie impresse nei palmi delle mani lo aveva fatto sanguinare.
Ma quello era solo il primo di un lungo pomeriggio, pomeriggio che lentamente si sarebbe trasformato in giorni di inferno e di tortura e questo Yuri lo aveva compreso quasi subito.
Dopo essergli venuto dentro, Yamada si era di nuovo divertito a torturarlo, ferendogli la schiena, prima di scoparlo una seconda volta sporcandolo e umiliandolo, prima di voltarlo e di infilarsi dentro la sua bocca, prima di sentirlo venire sul proprio volto e in fondo alla propria gola.
Sentiva contro e dentro di sé solo l’odore e il sapore del suo sperma e del proprio sangue. Lo sentiva godere, gemere mentre lo violentava, mentre impugnava il coltello e puntava la punta contro le sue costole, distruggendo ogni lembo della sua pelle, osservando anche lui, come Yuya, il sangue macchiarlo.
Aveva perfino pianto Yuri, ma Yamada non ci aveva fatto caso. Lo aveva preso i capelli e aveva iniziato a picchiarlo, prima di aprirgli la bocca e spingersi di nuovo fra le sue labbra, prima di venire per l’ennesima volta sulla sua lingua.
Yuri non aveva idea delle ore e dei giorni che erano passati. Sapeva solo che era stanco e che desiderava svegliarsi, la volta successiva, in un posto migliore.

Yuri si svegliò che era ancora dentro la stanza di Kota e Kei. Si alzò a sedere, osservando il muro davanti a lui, coprendosi con la coperta. Non disse nulla, nessuna parola o nessun gesto avrebbero potuto aiutarlo a dimenticare Yamada in così poco tempo.
Kota ogni tanto entrava nella stanza, si sedeva accanto a lui e cercava di parlargli, ma senza successo. Kei gli portò da mangiare, ma Yuri si sentì male anche alla sola vista del cibo e lasciò tutto nei piatti.
In quel momento era notte fonda. L’orologio sul comodino segnava le due e qualcosa del mattino e Yuri si abbracciò le ginocchia, chiedendosi dove fosse Yuya, perché non fosse ancora andato a prenderlo.
Non sapeva come comportarsi con lui, ma sentiva che necessitava della sua presenza per sentirsi meglio e per cercare di dimenticare quei giorni, quelle mani, quel respiro contro la propria pelle.
Osservò la porta rimanere ancora una volta chiusa. Si morse un labbro, socchiudendo gli occhi, tentando inutilmente di addormentarsi.

Non ricordava esattamente che cosa fosse successo. Sentiva solo che Yamada aveva smesso di stuprarlo e che si era alzato. Sentiva solo una vaga sensazione di sollievo perché non aveva ancora sentito nessuna lama ferirlo.
Ci furono delle urla intorno a lui, ma Yuri aveva la testa appoggiata contro il pavimento sudicio e non riusciva ad aprire gli occhi.
Sentì dei passi avvicinarsi velocemente, toccarlo, ma Yuri si scostò, urlando e spalancando gli occhi, trovandosi di fronte Yamada, che ghignava e rideva e lo violentava.
Scalciò con tutte le forze perché era stanco. Singhiozzò di lasciarlo stare perché non ne poteva più. Urlò con tutta la voce che aveva in gola, graffiando Yamada, senza riuscire ad avere il coraggio di aprire gli occhi, di guardarlo in faccia.
Era stanco e desiderava solo trovarsi in un altro posto, al caldo, al sicuro, accanto a Yuya.

Si sveglio di soprassalto perché qualcuno lo stava scuotendo. Urlava ancora e ancora, nonostante la gola gli facesse male, ma non riusciva a smettere, perché quegli incubi lo stavano torturando così come i ricordi del suo passato con Yuya non avevano mai fatto.
Forse comprendeva un po’ di più Kei, adesso. Forse Kota aveva ragione quando diceva che per la sua salute mentale abitare con Yuya lo aveva salvato.
Perché quando capita solo una volta, quel ricordo continua ad assillarti, giorno dopo giorno. Ti tartassa, come un tarlo, come un verme che scava dentro al tuo cervello. Si muove, si insinua, ti fa paura.
Perché rimani con quei ricordi, con la sensazione di quelle mani addosso, in ogni momento, di quel respiro contro la tua pelle, di quella voglia di urlare, di scappare di essere salvato. Perché non hai altre opportunità di scelta, perché il mondo ti crolla addosso, perché non riconosci più nessuno delle persone che hai accanto. Tutte ti sembrano un pericolo, tutte sembrano solo guardarti con quello sguardo di commiserazione, di pietà, di compassione e Yuri comprendeva Kei, sempre di più, secondo dopo secondo.
Kota, in fondo, aveva sempre avuto ragione su di lui.
Yuri era sopravvissuto proprio grazie a quella continua e costante violenza. Yuri era sopravvissuto perché Yuya non gli avrebbe permesso di ridursi come Kei, perché non aveva altre possibilità, perché alla fine la quotidianità e la routine lo avevano salvato dalla pazzia di uno stupro solitario. Perché alla fine, nonostante le violenze, nonostante la mancanza di rispetto e di dignità umana, erano sempre le stesse mani e lo stesso corpo che lo feriva, giorno dopo giorno.
E Yuri aveva scoperto di essere stato salvato, giorno dopo giorno, proprio da Yuya e proprio da quella violenza. Invece per la prima volta dopo tanti anni, dopo essere stato in balia di Yamada per chissà quante ore o giorni, si sentiva sporco.
Sentiva il suo respiro sulla pelle, le sue mani addosso, il dolore e il sapore della violenza e del sangue dentro la sua bocca. Si era abituato a Yuya, alla sua gentilezza, alla sua passione prima di essere prepotentemente sbattuto di nuovo contro un pavimento, legato come un animale da macello.
E Yamada alla fine ci era riuscito. Si era vendicato di quello che Yuya gli aveva fatto perché non voleva più ferire Yuri. Era giunto al suo intento, raggiungendo in pieno il suo obiettivo. Distruggere Yuri, distruggere la felicità di Yuya che in quel momento non sapeva dove fosse.
Yamada era riuscito a farlo finalmente sentire una puttana.
Riuscendo finalmente a calmarsi, Yuri si strinse a Kota, che non riusciva a fare altro che a stringerlo a sé e a consolarlo.

**

Si risvegliò di nuovo che era ancora buio, e riusciva ad intravedere, dalla grande finestra della stanza di Yabu e Kei, il sole che si alzava lentamente.
Rimase fermo nel suo angolo, fino a che non sentì qualcuno bussare alla porta. Non spostò la testa, ma rimase fermo a fissare la finestra. Non voleva cibo, non voleva avere persone intorno. Non voleva vedere Yabu e Kei con la loro smorfia di compassione perché era stanco di sentirsi compatito, per Yuya prima e per Yamada poi.
« Yuri… »
La voce che sentì invece lo fece voltare di scatto. Sulla soglia vide Yuya, per la prima volta indeciso sul fare qualcosa. Yuri si sentì bene e si alzò di scattò, correndogli incontro. Lo abbracciò, stringendolo e affondando il viso con cerotti e bende nel suo petto, aspettando un abbraccio che arrivò solo molto tempo dopo.
Ma a Yuri non importava. Yuya era là finalmente e non desiderava altro nella sua vita. Alzò lentamente la testa e gli sorrise, ma Yuya riuscì solo a stiracchiare un sorriso. Lo fece sedere sul letto.
« Come ti senti? » mormorò piano il più grande.
Yuri scosse le spalle. Non voleva parlarne, tanto meno con lui. Non voleva che pensasse chissà che cosa, o che facesse chissà che cosa. Voleva addormentarsi stretto a lui, perché ne aveva bisogno e perché Yuya era l’unico che poteva afferrarlo e trascinarlo fuori da quell’abisso in cui Yamada lo aveva invece scaraventato.
« Non fa niente. Sei qua, finalmente. » sussurrò Yuri con la voce roca e gli occhi lucidi.
Yuya si agitò sul letto, senza guardarlo e accarezzandogli lentamente la testa. Yuri si ritrasse per un secondo quando vide la mano dello yakuza avvicinarsi, ma poi si morse un labbro, nascondendosi ancora nel suo petto e stringendo le mani sulla sua camicia.
« Mi dispiace. » mormorò il più piccolo.
« E’ solo colpa mia se ti è successo tutto questo. Avrei dovuto impegnarmi di più e reprimere quella parte di me. »
« No Yuya. Tu non hai usato me e questo conta molto. Io sono tuo e tu potevi fare di me quello che volevi, ma hai deciso di amarmi. Sono stanco di fare il buon samaritano e sono felice che tu abbia continuato su Yamada e non su di me.»
L’altro si morse il labbro, indeciso su che cosa rispondere di fronte a quella affermazione. Non era mai stato particolarmente orgoglioso di quello che faceva a Yuri né di quello che faceva a Yamada e l’aver coinvolto il fidanzato nella vendetta di Ryosuke lo faceva sentire in colpa.
Perché il ragazzo avrebbe dovuto tentare di uccidere lui, invece era stato subdolo e aveva colpito e affondato l’unica cosa che per lui avesse realmente valore.
E quel giorno quando aveva visto Yuri steso a terra, singhiozzante e spaventato si era sentito gelare il sangue nelle vene. Si era avvicinato, mentre Kota allontanava Yamada dal fidanzato, ma quest’ultimo non aveva fatto altro che reagire, scalciando, urlando, graffiandolo e Yuya era rimasto come inerme di fronte alla furia disperata che animava il corpo e l’animo devastato di Yuri.
Si odiava, ancora di più. Perché aveva promesso a Yuri di renderlo sempre felice, di non fargli mancare mai nulla, di iniziare a rispettarlo in quanto uomo che amava e invece si era ritrovato in un capannone, stuprato e barbarizzato per giorni.
Yuya lo strinse a sé, affondando il volto fra i capelli profumati di Yuri, facendo scivolare le dita contro la sua pelle delicata e ferita, baciandolo sulle labbra come se fosse l’ultima volta che lo avrebbe fatto.
« Ti amo. » sussurrò piano Yuri ricambiando il bacio « Ti amo Yuya. » ripeté ancora fra le lacrime, cercando di nascondere e di reprimere i singhiozzi.
Yuya lo fissò, cercando di consolarlo e accostò la propria bocca all’orecchio del più piccolo, senza smettere di abbracciarlo.
« Ti amo anche io. » mormorò socchiudendo gli occhi, sentendo le mani di Yuri stringersi ancora di più sui suoi fianchi e scoppiando finalmente in un pianto liberatorio.

**

« Kota, dov’è Yuya? Voglio andare a casa. »
Yuri osservò il volto dello yakuza che fumava in salotto e notò anche Kei distogliere lo sguardo, mordendosi un labbro. Il più piccolo fissò entrambi sentendosi di nuovo a disagio e si grattò nervosamente un braccio, evitando alcune ferite.
« Non voglio continuare a pesare qua da voi. » continuò come se la sua domanda non fosse già stata posta « Ieri Yuya è stato qua e… » si interruppe, sentendo il fiato farsi sempre più pesante.
« Yuya non c’è Yuri. Starà via parecchi giorni quindi puoi rimanere qua. Oggi ti sistemo meglio la stanza degli ospiti. » mormorò Kei, spostando il peso da una gamba all’altro, con una voce flebile.
Yuri scosse la testa, energeticamente.
« No grazie. Voglio tornare a casa. Dimmi dov’è Yuya. Lo raggiungo. Non mi interessa quanto è lontano, voglio stare con lui. »
Il più grande si alzò in piedi, avvicinandosi, ma Yuri indietreggiò, scuotendo la testa.
« Kota, dov’è Yuya? » chiese ancora.
« Non tornerà. »
« Cosa… cosa stai dicendo? » sussurrò l’altro, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli del più grande.
« Si è trasferito. » rispose « A Sendai. Mi ha detto di prendermi cura di te. »
« Se ne è andato… senza di me? »
Kota non disse nulla. Ma per Yuri quel silenzio valeva forse più di mille risposte.

Da quel giorno Yuri non parlava molto. Kota non sapeva che cosa fare o che cosa dirgli per farlo stare meglio.
I primi giorni lo sentiva singhiozzare nel cuore della notte o altre volte veniva svegliato dagli incubi e urlava. Kota si sentiva come catapultato di nuovo a quasi nove anni prima, a quando Kei era stato stuprato.
Osservava Yuri nel letto piangere e come allora si sentiva impotente.
Il più grande aveva provato più e più volte a rintracciare Yuya, ma il telefono squillava a vuoto dal giorno stesso in cui se ne era andato. Ogni tanto vedeva Yuri sul divano che ascoltava la voce registrata di Yuya al telefono. I primi tempi lo sentiva lasciargli dei messaggi nella segreteria telefonica, poi aveva smesso.
Quando non andava a scuola, vagava per il quartiere. Camminava tutto il tempo, tutto il pomeriggio, faceva la spesa e poi tornava a casa. Cucinava, non mangiava e andava direttamente a letto.
Le ore che passava a scuola erano pressoché inutili. Yuya lo aveva nominato come secondo tutore di Yuri e da quel momento riceveva le telefonate dai suoi insegnanti che gli chiedevano che cosa fosse successo al ragazzo, il motivo di quel cambiamento repentino e Kota non riusciva mai a dare una risposta decisa.
“E’ a causa dell’allontanamento del precedente tutore” diceva sempre “Si è dovuto trasferire per lavoro e Yuri non poteva seguirlo. Deve ancora affrontare la situazione.”
Era più o meno la verità. Yuya se ne era andato e Yuri aveva smesso di vivere.
Ormai da quel giorno erano passati tre mesi. Kota era fisicamente e mentalmente stanco, anche se con il passare dei giorni la psiche di Yuri si era lentamente ristabilita. Gli incubi, o per lo meno le urla, erano scomparse e lo sentiva piangere sempre meno spesso, ma rimaneva comunque silenzioso e privo di ogni vitalità.
Kota quel giorno era rimasto a casa. Stava aiutando Kei a stendere le lenzuola appena tirate fuori dalla lavatrice. Gettò un rapido sguardo all’orologio, in apprensione. Yuri non era abituato ad avere orari, né con Yuya, né tanto meno da quando stava con loro, ma aveva sempre avuto l’accortezza di avvisare quando si tratteneva a scuola o quando non tornava a casa.
Controllò ancora il telefono, magari non aveva sentito la chiamata o la mail in arrivo, ma nulla. Kei lo osservò, sospirando.
« Sei preoccupato? » domandò piano.
« Un po’. Ormai dovrebbe essere uscito da scuola da un pezzo, non è da lui questo comportamento. »
« Gli dobbiamo solo dare tempo per… accusare il colpo. E’ passato troppo poco tempo. »
« Sono preoccupato, Kei. » mormorò piano Yabu scuotendo la testa, continuando a stendere le lenzuola umide « Non so che fare. »
« Dovremo… parlare con Yuya forse. » si azzardò a dire piano Kei scuotendo le spalle, come se non lo stesse dicendo davvero lui « Sai, tutte le sue cazzate sul “vado via perché con voi è più al sicuro” non hanno molto senso. »
« Non riesco a rintracciarlo. A Sendai nessuno mi vuole dire dove si trovi e nemmeno la famiglia mi dice nulla. »
Kei non rispose e insieme, senza dire altro, terminarono il loro lavoro. Poi, sempre più preoccupato dall’assenza prolungata di Yuri, il più grande si decise finalmente ad andare a cercarlo.

**

Kabuki-chō non era enorme, ma questo non significava nemmeno che fosse una zona troppo piccola. Si parlava pur sempre di un quartiere di Tokyo, non di un paesino di campagna, e Kota questo lo aveva compreso fin da subito.
Conosceva ogni vicolo e ogni stradina più nascosta, sia perché ci abitava, sia perché era una delle zone principali in cui la sua famiglia gestiva gli affari.
Ma Yuri la conosceva quasi altrettanto bene, ed era piccolo e disperato. Kota aveva già diviso mentalmente le zone più probabili in cui cercare, per cui si armò di forza d’animo e iniziò a camminare.

Quando si fermò era ormai sera. Di Yuri non c’era nessuna traccia e anche mandare in giro gli shatei per perlustrare le zone più lontane dal cuore di Kabuki-chō, non era servito a nulla. Provò di nuovo a richiamare, ma il cellulare squillava a vuoto da almeno quattro ore.
Tornò avvilito sulla strada principale, per tornare a casa. Stava per avvisare Kei del suo rientro, quando gli balenò in testa l’ultima opzione disponibile.
Affrettò il passo, desiderando con tutto sé stesso di non essersi sbagliato.

Infilò silenziosamente la chiave nella toppa di casa e si tolse altrettanto piano le scarpe, abbandonandole all’ingresso, ricoperto da dita e dita di polvere.
Si guardò intorno. Gettò una rapida occhiata alla cucina e sul tavolo vide un piatto sporco, le bacchette dentro una ciotola e una pentola abbandonata nel lavello. Dalla sala arrivava il rumore della televisione accesa, ma nessuno la stava guardando, quindi si arrischiò ad entrare nella stanza da letto.
La scena che gli si presentò davanti fu quasi straziante. Yuri era steso nel letto, dormiva abbracciato al cuscino di Yuya, sul comodino il telefono che si illuminava e che avrebbe dovuto avvertirlo delle chiamate, delle mail e dei messaggi in segreteria, ma il ragazzo dormiva così profondamente che nulla poteva disturbarlo.
Si sedette sul ciglio del letto, accarezzandogli delicatamente la testa, e sul volto di Yuri si aprì un leggero sorriso.
« Yuyan… » mugolò nel sonno il ragazzino afferrandogli la mano e stringendola nella sua, incredibilmente piccola e calda.
« Shh. » mormorò Kota « Ora dormi. Vedrai, andrà tutto bene. » sussurrò.
Yuri annuì, stringendo la mano con più forza e tornando a dormire sereno.
Quella situazione, si disse Kota, doveva finire.

Kota attese che Yuri si risvegliasse per portarlo a casa, per evitare che scomparisse una seconda volta. Non voleva comunque disturbarlo, dato che di solito le sue notti erano sempre agitate. I segni delle ore di sonno mancanti e di un’alimentazione squilibrata spiccavano su Yuri a colpo d’occhio: era sempre più magro, con il volto scavato e le occhiaie che circondavano degli occhi costantemente svuotati a causa di quell’abbandono improvviso e inspiegabile.
Quando Yuri si alzò dal letto ed uscì dalla stanza, lo vide quasi subito, ma non sembrò particolarmente stupito di vederlo.
« Io e Kei eravamo preoccupati. » disse solo Kota, distogliendo lo sguardo e tornando a fissare la televisione senza l’audio.
« Scusa. » rispose l’altro dopo un lungo silenzio « Avrei dovuto avvisarti, hai ragione. »
Il ragazzo si sedette accanto a lui sul divano, rubandogli una sigaretta dal pacchetto abbandonato sul tavolino davanti a loro. La accese, fumando e lasciando cadere la testa all’indietro, osservando il soffitto.
« Mancano le magliette e i pantaloni di Yuya. » iniziò piano « E anche le sue orribili scarpe di pelle. » continuò altrettanto piano.
Kota lo fissò, poi prese un respiro.
« Forse dovremo tornare a casa, ormai è tardi… »
« E mancano anche le sue cose dal bagno. » lo interruppe Yuri, il tono che cresceva lievemente « Mancano i suoi completi da lavoro e le ciabatte. Si è portato via anche la spazzola e perfino il bagnoschiuma. » ansimò poi, mentre il suo respiro si faceva sempre più pesante.
« Yuri ora calmati, andiamo a casa e… »
« Non vedeva l’ora di lasciarmi, vero? » chiese ancora « Io… non ero abbastanza pulito per lui? Ero troppo sporco dopo tutto quello che mi ha fatto Yamada? Forse non mi voleva più toccare. O non voleva più avermi intorno e cercava solo una scusa. Ma io non voglio infastidirlo. Ho solo bisogno di lui per essere tranquillo. Tu glielo hai detto, vero Kota? » domandò poi voltandosi verso di lui, l’urgenza che trapelava dai suoi occhi e dal suo tono « Gli hai detto che nonostante tutto lo amo, vero? »
L’interessato lo fissò, mentre le lacrime gli bagnavano le guance. Si avvicinò, abbracciandolo.
« Tu non sei sporco, Yuri. Sei bellissimo così come sei, e devi credermi quando ti dico che Yuya non se ne è andato a causa di quello che ti ha fatto Yamada. Devi credermi quando ti dico che lui sa che lo ami e che ti ama a sua volta. »
« Ma lui è andato via. Mi ha abbandonato. Aveva promesso che non mi avrebbe mai lasciato. E lui non infrange mai le sue promesse. » singhiozzò Yuri aggrappandosi alle sue spalle, nascondendo le lacrime contro il collo.
« Yuya vuole solo proteggerti ed evitare che ti capitino altre cose brutte. Vuole che tu ti faccia una vita, che lo dimentichi e che possa trovare qualcun altro con cui essere veramente felice. »
« Io non voglio essere felice con nessuno se non sono con lui. Perché se ne è andato? Perché non me lo ha detto? E’ un vigliacco! » esclamò a voce alta.
Kota si morse un labbro, rimanendo in silenzio, continuando a stringerlo e ad accarezzargli la testa, cercando inutilmente di consolarlo.

**

Sendai era grande, Kota ci era stato solo un paio di volte e sempre in presenza di Yuya. Era raro per loro fare affari con la famiglia che comandava Sendai, il capo preferiva sempre, in Giappone, limitarsi alle città limitrofe, specialmente quelle nel Kansai con le quali erano sempre stati in buoni rapporti. Lo yakuza però era armato di buona volontà ed era disposto a setacciare tutta la città pur di trovare Yuya.
Dopo aver riportato a casa Yuri, aveva infilato dei vestiti in una borsa ed era partito, assicurandosi di bere una buona dose di caffè per sopportare il viaggio in macchina. Quella situazione doveva terminare, perché se avesse continuato su quella strada la vita di Yuri si sarebbe accartocciata su sé stessa, portandolo velocemente alla distruzione.
Arrivò in città quasi alle prime luci dell’alba. Fermò la macchina in un vicolo vicino alla stazione, appoggiando la testa contro il volante e sbadigliando.
Prese il telefono, controllando per l’ultima volta il cellulare di Yuya, ma continuava a suonare a vuoto.
Lasciò un messaggio per disperazione. Se lo aveva lasciato acceso, ci doveva essere un motivo, forse anche lui per ascoltare e riascoltare i messaggi della segreteria telefonica che i primi tempi gli lasciava Yuri, prima che di lasciarsi sprofondare ancora di più nel baratro della disperazione.
Riprese a guidare, avvicinandosi un po’ di più verso il centro della città, parcheggiò la macchina e si diresse verso il primo chiosco di ramen disponibile. Non mangiava dall’ora di pranzo del giorno prima e la fame iniziava a farsi sentire.
Stava pagando quando gli arrivò una mail. Prese il telefono, un po’ perplesso, e vide che al suo interno c’erano gli estremi di un indirizzo e il numero del mittente era sconosciuto.
Pregando intensamente che fosse Yuya, tornò alla macchina e riprese a guidare.

Kota osservò il palazzo che corrispondeva all’indirizzo ricevuto. Erano in una zona un po’ periferica, quasi decadente, e il condominio di fronte a lui non sembrava essere migliore dei suoi colleghi circostanti.
Kota prese dal cruscotto della macchina la sua pistola, controllò le munizioni e se il carrello scorresse bene. Poi uscì e la nascose dietro la cintura, sistemandosi la giacca che aveva abbandonato sul sedile per tutto il viaggio.
Si addentrò dentro al palazzo, salendo fino al terzo e ultimo piano ancora parzialmente in costruzione e lì trovò Yuya.
Era molto diverso da come lo ricordava. I vestiti gli stavano larghi, e lo vide incredibilmente magro. Non lo guardava e non aveva ancora detto nulla. Kota sentì la rabbia montargli nel petto e si avvicinò a lui a grandi passi.
« Yuya, grazie per avermi dato udienza. » ringhiò « Hai idea di quanto sia folle tutto questo? »
« Lascia stare Kota. Va bene così. » scosse le spalle « Passerà ed è giusto così. Io non sono fatto per quella vita. »
« Devi smettere di prendere decisioni al posto suo, Yuya. Devi smettere di pensare che quello che fai sia la cosa migliore per Yuri, perché la maggior parte delle volte fallisci in pieno. » urlò Kota stringendo i pugni « Hai sempre sbagliato e questa volta più di tutte. Se non avessi voluto farlo soffrire non avresti dovuto comprarlo! »
Yuya si voltò verso di lui e lo afferrò per il colletto della camicia, spingendolo bruscamente contro il muro. Schioccò la lingua, allontanandosi dopo qualche secondo.
« Sei qua per qualcosa di serio? » domandò acido.
« Sono qua per Yuri e per dirti di tornare a Tokyo. »
« Non se ne parla, lo sai già. » mormorò dandogli di nuovo le spalle.
« Sii ragionevole per una volta, cazzo. Non ti rendi conto del cadavere che ti sei lasciato alle spalle? Li hai sentiti i messaggi che ti ha lasciato? Ieri è andato a
dormire a casa vostra, perché è l’unico posto in cui sta veramente bene. E si è reso conto che è stato abbandonato. Pensa che tu lo abbia lasciato perché ti fa schifo toccarlo e stare con lui dopo lo stupro di Yamada. »
Il più grande si voltò di scatto, gli occhi spalancati, attonito di fronte a una notizia del genere.
« Non è così e lo sai bene. » mormorò.
« Io lo so, ma lui non lo vuole capire Yuya. Devi tornare, Yuri non sta bene. La sua… sanità mentale è appesa ad un filo e quel filo sei tu. Per favore. »
« Tutto questo è stato per causa mia Kota! Non lo capisci? Perché nessuno di voi lo comprende? E’ a causa della mia natura da animale se Yuri è stato… torturato da Yamada. Solo per causa mia. »
« Può darsi, ma Yuri non sta male a causa dello stupro, sta male perché tu te ne sei andato, lo hai abbandonato quando gli hai promesso che non lo avresti mai fatto. Sono partito appena si è addormentato per venire ad implorarti, se è questo che desideri. »
Yuya scosse la testa. Kota non capiva. Non capiva come si sentiva, come si era sentito quando aveva visto Yuri a terra, sanguinante, dopo che Yamada si era divertito con lui per chissà quanto tempo.
Kota non capiva come si era sentito quando si era avvicinato al ragazzino nel tentativo di portarlo via ed era stato invece scambiato per Yamada. Yuri non aveva riconosciuto la sua voce e le sue mani e lo aveva graffiato e preso a calci, urlando e implorando di smetterla e di lasciarlo libero.
Con lui non lo aveva mai fatto. Non aveva mai pianto davanti a lui e non si era mai ribellato così tanto. Non lo aveva mai implorato di smetterla, di lasciarlo andare, di permettergli di avere una vita normale.
Non voleva mai più vederlo ridotto in quello stato. Non voleva mai più vederlo in pericolo, sapere di poter essere una delle cause scatenanti del suo dolore. Ne era convinto. Un giorno Yuri lo avrebbe dimenticato e avrebbe iniziato a vivere quella vita che lui aveva violentemente stroncato quando aveva tredici anni.
Avrebbe trovato una persona seria, con un lavoro rispettabile, che lo avrebbe amato per quello che era, sinceramente intenzionato a farlo stare bene. E quella persona ci sarebbe riuscita, Yuya ne era convinto, perché sarebbe stato qualcuno che sapeva bene come amare un altro essere umano, perché non sarebbe stato un animale come lui, perché sarebbe stato la persona perfetta per Yuri.
Yuri lo avrebbe dimenticato. I ricordi di loro due insieme si sarebbero lentamente affievoliti, sarebbero finiti nel baratro dei vecchi sogni, e lui avrebbe potuto dedicarsi a qualcun altro.
Yuri era forte, Yuya lo sapeva bene. Era forte, e avrebbe superato anche quell’ostacolo che in quel momento gli appariva tanto insormontabile. Perché lui alla fine era solo una figura di passaggio, e la vita di Yuri aveva bisogno che si allontanasse e per smettere così di soffrire.
Era stanco di guardarlo e pensare solo al male che gli aveva causato.
« No Kota. Io non posso. Ormai ho preso la mia decisione. »
Kota lo fissò, il labbro inferiore stretto talmente forte fra i denti che aveva iniziato a sanguinare. Poi si avvicinò allo yakuza, al suo aniki, e si inginocchiò davanti a lui, prostrandosi fino a toccare terra con la fronte.
« Ti prego. Puoi venire anche di nascosto, non mi interessa. Ma vieni a vedere quello che ti sei lasciato dietro. E quando vedrai quando Yuri sta soffrendo, allora mi dirai se credi ancora al fatto che un giorno potrà mai dimenticarti. Sono passati tre mesi e non ha fatto altro che aspettare il tuo ritorno. » mormorò
Yuya afferrò lo shatei per le spalle, alzandolo bruscamente in piedi. Mai aveva visto Kota chinare la testa e implorare qualcuno. Si sentiva a disagio di fronte a tutta quella testardaggine, quell’assurdo egoismo che permeava ogni sua parola. Avrebbe voluto dirgli che non poteva, che se fosse tornato avrebbe vacillato, ma non ci riuscì.
« Questo non cambierà nulla Kota. Ti stai solo illudendo, sappilo. »
« Probabile, ma devo provarci in ogni modo. » sussurrò il più piccolo dandogli le spalle e incamminandosi.
Yuya lo seguì a testa china, fino a quando non raggiunsero la macchina e vide Kota lanciargli le chiavi e sedersi dal lato del passeggero.
« Guidi tu Yuya. Io non dormo da più di due giorni e sto morendo di sonno. » borbottò, prima di chiudere gli occhi e crollare, pochi istanti dopo, addormentato.
L’altro lo guardò allibito, poi rise nel vederlo riposarsi e si mise in macchina. Ma nonostante tutto, più si avvicinavano a Tokyo, più la sua ansia cresceva.

**

Raggiunsero Tokyo abbastanza velocemente. Si fermarono nei pressi della scuola di Yuri, era quasi l’ora di entrata. Kota si guardò intorno, scrutando la folla di ragazzi per intravederlo, e quando lo vide di fronte ai suoi occhi si presentò la stessa scena a cui ormai assisteva da tre mesi.
Ma Yuya evidentemente non ci doveva essere abituato, perché lo sentì trattenere il fiato bruscamente.
Yuri indossava la divisa scolastica in maniera disordinata. Aveva la camicia fuori dal pantalone e la borsa tirata malamente su una spalla. Guardava a terra, senza preoccuparsi di dove si stesse dirigendo, muovendosi meccanicamente verso il cortile scolastico.
Traballava, un po’ instabile sui propri passi, complici la stanchezza e il poco cibo che aveva ingerito negli ultimi tempi. A Kota sembrò ancora più depresso dopo che lo aveva riportato a casa il giorno prima. Aveva i capelli spettinati e il volto più scavato del normale. Distolse lo sguardo. Vederlo distrutto in quella maniera lo faceva solo stare male.
Lanciò uno sguardo a Yuya, che non riusciva invece a smettere di guardarlo. Stringeva le mani sul volante con talmente tanta forza che aveva le nocche bianche e lo guardava incredulo.
« Perché? » sussurrò solo.
« Perché ti ama. » si limitò a rispondere Kota, accendendosi una sigaretta.
Lo osservarono fermarsi di fronte al cancello e guardarsi distrattamente intorno. Yuri prese il telefono, osservandolo e iniziando poi ad usarlo.
Quando lo mise in tasca, il cellulare di Kota vibrò. Lo prese. Era una mail di Yuri.
“Scusa se ti disturbo a lavoro. Non ho voglia di andare a scuola. Penso che andrò a fare un giro a Yokohama. Ci vediamo stasera.”
Kota sospirò, lasciando ricadere la testa all’indietro e si voltò giusto in tempo per osservare di nuovo Yuri. Pensava che si fosse già incamminato verso la stazione, ma invece li stava fissando.
Lui e Yuya rimasero immobili a fissarsi e Kota desiderò intensamente non trovarsi in quel posto. Il volto di Yuri era impassibile mentre fissava Yuya accanto a lui. Le mani del più piccolo si stringevano convulsamente intorno ai manici della borsa, ma non si muoveva dal suo posto.
Poi Kota si alzò di nuovo a sedere, senza essere ancora riuscito a chiudere il cellulare dopo la mail di Yuri. Osservò il più piccolo rimanere immobile per qualche altro secondo, prima di voltare le spalle ad entrambi e prendere a camminare velocemente.
Lo yakuza si voltò immediatamente verso Yuya.
« Allora, fai qualcosa! » esclamò a voce alta, fissandolo allibito.
« Cos… ma che vuoi? Te lo avevo detto che non avrei cambiato idea. »
Kota lo fissò, a bocca aperta, poi strinse una mano a pugno e picchiò con tutte le sue forze il suo aniki.
« Muoviti ad andare da Yuri. » ringhiò « Lo hai visto con i tuoi occhi quanto la tua assenza sia deleteria. Scusati, imploralo se necessario, ma devi tornare a Tokyo, oppure la prossima volta che tornerai a casa sarà per il suo funerale. » urlò.
Yuya si voltò verso di lui, la mano sulla parte del volto colpita. Il più piccolo lo vide guardarlo come se non sapesse dire esattamente che cosa avesse sbagliato. Yuya si morse un labbro, poi scattò fuori dalla macchina.
Kota lo vide iniziare a correre lungo la strada e quando scomparve dietro l’angolo si concesse il lusso di accasciarsi contro il sedile della macchina.
Ora che tutto era sistemato, si augurava, poteva finalmente rilassarsi.

**

Yuya corse lungo il marciapiede, arrivando velocemente all’incrocio. Si guardò intorno, individuando quasi subito la figura di Yuri. Lo afferrò per un braccio, voltandolo bruscamente verso di lui.
Yuri fece resistenza, ma non riuscì a spostarsi e si irritò ulteriormente quando le persone intorno a lui chinarono la testa, allontanandosi e facendo finta di nulla, come se lui e lo yakuza non fossero realmente presenti davanti a loro.
« Cosa vuoi? » esclamò.
« Ti devo parlare Yuri, io… »
« Di che cosa? » lo interruppe il più piccolo « Di come tu mi abbia abbandonato nel momento peggiore della mia vita? Di come ti sia lavato le mani di me? Potevo anche accettare il fatto di essere la tua puttana Yuya, ma non accetto di essere trattato come un cane. » urlò
« Yuri, io l’ho… »
« L’hai fatto per me? Davvero Yuya? Se fosse stato davvero per me saresti rimasto a Tokyo, invece hai preferito andartene, senza prenderti le tue responsabilità. Ma dove è la novità, Yuya? » ansimò, gli occhi lucidi.
Si asciugò nervosamente gli occhi, evitando di guardarsi intorno. La strada si era fatta improvvisamente vuota, e lui si odiava per aver montato su quella scenata priva di un senso.
Yuya lo fissò, senza sapere che cosa dire. Aveva la testa completamente vuota e anche solo tentare di articolare una frase di senso compiuto sembrava un’impresa impossibile. Avrebbe voluto fargli capire che non era andato via perché lo voleva abbandonare, né perché si voleva lavare le mani di lui. Non avrebbe mai voluto lasciarlo, perché per lui il più piccolo era importante, più della sua stessa vita.
Voleva permettergli di vivere finalmente una vita vera, una che valesse di essere chiamata tale, ma Yuri non lo avrebbe compreso. E guardandolo, si rese conto di quanti danni gli avesse procurato andandosene via in quella maniera.
Per quanto ci provasse, ogni volta che tentava di fare qualcosa per lui finiva sempre per farlo soffrire ancora di più e non era più sicuro che Yuri avrebbe continuato imperterrito a perdonarlo.
Era stanco di deludere lui e di deludere sé stesso.
Si lasciò andare a terra, scivolando sulle ginocchia. Gli circondò la vita con le braccia, nascondendo il volto nel petto del più piccolo, cercando di reprimere le lacrime, mordendosi un labbro a sangue fino a che non sentì il proprio sapore sporcargli la lingua.
« Perdonami. » sussurrò solo.
Sentì Yuri irrigidirsi sotto la sua stretta prima di stringerlo a sé, intrecciando le mani fra i suoi capelli. Gli allontanò la testa dal proprio petto, osservando le lacrime silenziose che scendevano lungo le guance dello yakuza
« Sono felice di vederti. » ansimò Yuri « Pensavo che non ti avrei più rivisto. »
« Io pensavo di poterti dare qualcosa di meglio. » mormorò il più grande « Mi odio perché non sono riuscito a cambiare fino in fondo e ti ho deluso di nuovo. Io non ci riesco Yuri. Non ci riesco a vedere che non sono in grado di farti felice. »
« Ma io lo sono. Lo sono, lo sono, lo sono. » gli prese la mano, poggiandola sul suo petto, all’altezza del cuore « Questo cuore batte solo per te Yuya. Io voglio te. Solo ed esclusivamente te. »
« Non sarà semplice. » sussurrò piano il più grande, stringendogli delicatamente le mani sulle esili spalle, ormai quasi pelle e ossa.
Yuri scosse le spalle, come se l’ultima affermazione Yuya non l’avesse nemmeno pronunciata. Gli sorrise.
Si sentiva bene adesso che lo aveva visto, che era tornato da lui, che si era sfogato e che si erano chiariti. Yuya si alzò in piedi, abbracciandolo di nuovo, e Yuri si alzò sulle punte, sfiorando le labbra dello yakuza, che si chinò su di lui, approfondendo il bacio.
Le labbra di Yuri erano morbide, esattamente come si ricordava ed erano rese calde dal pianto a dirotto, quindi ancora più invitanti. Lo strinse a sé, senza smettere di baciarlo, perché Yuri era sempre stata la sua droga e la sua debolezza. Gli sfiorò le spalle, con delicatezza, prima di osservarlo negli occhi. Yuri sorrideva, un sorriso sincero, e si abbandonò di nuovo contro di lui.
« Direi che è ora di tornare a casa, vero Yuri? »
« Sì. Andiamo a casa nostra. »
Sorrise anche Yuya, felice di essere tornato in quella che poteva finalmente chiamare “casa”.

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