[Like a Doll] Capitolo sei: Me, who’s been looking up to you all this time.

Jun 14, 2012 16:27

TITOLO: Like a Doll
AUTORE: seleraf
GRUPPO: Arashi
PERSONAGGI: Masaki Aiba, Jun Matsumoto, Kazunari Ninomiya, Satoshi Ohno, Sakurai Sho, Hideaki Takizawa (breve apparizione).
COPPIE: Sho Sakurai/Masaki Aiba; Kazunari Ninomiya/Satoshi Ohno; Kazunari Ninomiya/Masaki Aiba {F-ship}; Jun Matsumoto/Sho Sakurai {F-ship; one-sided love}
RATING: dall'R all'NC-17 {causa argomenti}
GENERE:  Introspettivo. Romantico. Angst.
AVVERTIMENTI: Longfict. Slash. AU. Non per stomaci delicati (?).
RIASSUNTO: Masaki Aiba era diventato quello che era all’età di tredici anni quando era stato venduto dai suoi genitori adottivi a un uomo che gestiva un club d’indubbio genere; aveva cominciato a credere di essere soltanto una bambola, un oggetto che veniva usato e poi gettato via dai propri padroni, mascherandosi dietro un sorriso perenne che spesso confondeva gli altri facendo credere che fosse felice di tutto ciò.
NOTE: Basata sull’omonima doubledrabble scritta per la BDT [la trovate QUI].
Alcuni dei titoli dei capitoli che si susseguiranno, non saranno altro che titoli o frasi delle canzoni degli F.T Island così come il titolo della doubledrabble e di questa longfict.
DEDICATA A: ily_chan che ha subito (e sta subendo) ogni mia stupida paranoia.
DISCLAIMER:  Non sono miei: appartengono soltanto a se stessi. Tutto quello che è scritto è pura finzione per cui non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere e dell’orientamento sessuale di queste persone, né offenderle in alcun modo.

N/A: Non so il prossimo capitolo quando arriverà. Lo sto scrivendo ora, ma non si sa mai.
A questa storia sono legata: è la mia prima longfict SakurAiba, quindi è davvero importante per me. Voglio finirla, ma allo stesso tempo non voglio farla cadere nel banale o nello scontato. Se mi affrettarsi a finirla, non sarebbe come voglio che sia.
Spero ci sia ancora qualcuno che la legge, spero che quando la finirò ci sarà qualcuno che prenderà il coraggio di leggerla.
Grazie mille a chi la leggerà e a chi ha pazientemente aspettato chiedo scusa.
Prego a chi decide di voler aspettare di scusarmi.

Capitolo cinque: Even though now, I'm sending you away | Capitolo sette.
Capitolo sei: Me, who’s been looking up to you all this time.
Aiba Masaki non aveva mosso un solo muscolo da quando il più grande era uscito dalla stanza, senza dargli tempo di riprendersi: il suo intero corpo faceva un male cane e non era davvero sicuro di riuscire ad alzarsi in piedi. Aveva sospirato, osservando il soffitto.

«Passerà in fretta» aveva assicurato l’altro, arrampicandosi sul letto e mettendosi su di lui. 
Il più piccolo lo aveva osservato fiducioso ed aveva annuito, lasciando che le labbra dell’altro si strofinassero contro il suo collo e le altre parti del suo corpo fossero attraversate dalle mani dell’uomo. 
Aiba non aveva mai avuto chiaramente paura dopo la sua prima volta: paura non faceva più parte del suo vocabolario dopo quella volta. Eppure, al momento, era il sentimento a cui più si sentiva vicino.
Aveva avuto più volte prove di quello che succedeva se uno di loro veniva rifiutato da un cliente o lo rifiutava lui stesso. Perfino Nino ne era un esempio lampante: prima che arrivasse Ohno-san, aveva respinto molti clienti ed era stato a sua volta respinto da loro a causa del suo carattere bellicoso.
«Masaki» aveva alzato lo sguardo per incontrare quello dell’uomo; lui gli aveva sorriso con garbo, sfilandosi la cravatta e posizionandola sugli occhi del più piccolo, usandola come se fosse una benda prima di afferrargli le cosce e distanziarle, per farsi spazio al centro di quelle.
Non si era neanche reso conto che l’altro lo aveva spogliato completamente: non voleva realmente prestare attenzione a tutto quello che stava succedendo, forse. O più semplicemente avrebbe preferito se…
«Ah!» aveva stretto con forza le lenzuola quando l’altro era entrato in lui con forza, leccandosi tranquillamente le labbra. Violento? aveva pensato quasi subito, sostituendo alla parola forza la parola violenza.
«Non sei abituato a questo, Masaki?» aveva sostenuto giocoso Takizawa, senza perdere la naturalezza dei suoi gesti; per un attimo, un brivido freddo attraversò la schiena del più piccolo mentre notava quanto per l’altro fosse naturale quella brutalità.
«Un» era riuscito a dire, mordendosi un labbro quando una spinta dell’altro rischiava di farlo urlare. «Ci sono…» aveva stretto con forza gli occhi anche se non era necessario, quando un’altra violenta spinta lo aveva fatto sussultare e, questa volta, urlare per davvero. Non volevo davvero urlare, si era convinto, mentre le labbra dell’altro gli sfioravano il pomo d’Adamo e i denti lo mordicchiavano con delicatezza.
Aveva deglutito leggermente, mentre i pugni chiusi non lasciavano le lenzuola candide e il dolore non abbandonava il suo sedere.
Improbabile, realmente improbabile che sentisse ancora quel dolore. Spinta dopo spinta, aveva cominciato a bruciare e la grandezza dell’altro dentro di sé  sembrava non riuscire a diventare qualcosa di piacevole. Non aveva le redini di tutto quello ed era questo in realtà a fare paura.
«Masaki» ancora una volta la voce di Takizawa pareva estasiata, giocosa, tranquilla. Era impossibile potesse essere tutte quelle cose insieme, ma Masaki l’avvertiva così. «Sei davvero un bravo ragazzo Masaki» aveva assicurato, mentre un gemito gli solleticava la gola chiedendo di uscire.
Aiba deglutì ancora sperando che il ritmo sempre più incalzante dell’altro fosse indice di un imminente orgasmo. Ma Takizawa rallentò d’un tratto, lasciando il più piccolo sorpreso.
«Bravo ragazzo» aveva ripetuto, baciandogli con dolcezza le guancie e uscendo da lui. «Va bene così, ora riposa» aveva sciolto la cravatta, liberandolo da quella finta cecità.
«Takizawa-san...?» no, la sua voce non stava tremando.  
I suoi occhi marroni avevano incrociato la figura dell’uomo che si rivestiva. «Non posso andare avanti con te, sei una miniera d’oro, sai?» gli si era avvicinato e gli aveva accarezzato il viso; Aiba si era ritratto un po’.
«Ora riposa e prova a riprenderti: domani sarà una lunga giornata» lo aveva salutato con il sorriso sulle labbra, prendendo i guanti da terra e avviandosi verso la porta.

«Masaki!» la voce di Kazunari lo aveva scosso dai suoi ricordi. Era la prima volta che il tono di Nino sembrava quasi allarmato. «Cosa ti ha fatto? Fa’ vedere» si era avvicinato e gli aveva afferrato piano i polsi: erano rossi e Aiba aveva gemuto piano, dolorante.
«Nino-chan» aveva crucciato le sopracciglia e si era morso un labbro. «Non... non è nulla. Ci... ci sono abituato» aveva provato a sorridere, ma Ninomiya aveva grugnito.
«Quante volte ti ho detto che devi smetterla di fare quei falsi sorrisi quando sei con me?»  lo aveva sgridato, senza sembrare davvero arrabbiato. Aiba aveva sorriso appena, benché i suoi occhi sembravano non farlo affatto- i suoi occhi non sorridevano già da un po’.
Si era mosso imbarazzato, quando Ninomiya gli aveva aperto dolcemente le gambe per controllare che non sanguinasse: era qualcosa che Kazunari non aveva mai fatto, che aveva sempre fatto da solo. Si costrinse a guardare il soffitto per la vergogna.
Il più piccolo aveva annuito sollevato e gli aveva guardato il viso: un solo cenno e Masaki annuì.

«Quindi... il damerino ti ha rifiutato» aveva tentato di smorzare la tensione, mentre Aiba si posizionava sulle sue spalle, sibilando per il dolore. Subito, le braccia di Ninomiya trovarono il loro posto dietro le ginocchia del più grande e le spinsero in avanti, per tenerlo ben saldo; le braccia di Masaki cinsero le spalle di Kazunari e si era tenuto ben stretto, quando questi si era alzato.
«Voleva... parlare» quella parola gli era sembrata strana già da quando Sakurai l’aveva pronunciata. Lui non parlava mai con i clienti ed il fatto che qualcuno volesse parlare con lui lo rendeva stranamente felice: non felice come quando vedeva i fiori sbocciare o la pioggia smettere di cadere. Non felice come quando ascoltava Nino cantare, ma felice come quando, nei sogni, qualcuno lo liberava. Quella felicità che gli faceva ricordare di essere un essere umano.
«Parlare?» Kazunari aveva scosso il capo divertito, mentre usciva dalla stanza arrancando. «Pagare un’intera notte solo per parlare? Certo che deve averne di soldi per sprecarli così, eh?! E di cosa avreste dovuto parlare? Dimmi Masaki, tu sai perché il prezzo del petrolio sta salendo o perché le quotazioni dello yen stanno calando a picco?» aveva riso «Non capisco, visto che ha così tanti soldi, potrebbe pagarsi uno schizzacervelli per parlare. Alla fine ti ha solo messo nei guai. Bravo stronzo» avrebbe voluto continuare, ma si era bloccato sentendo la stretta di Masaki farsi più forte.
«Mi ha... fatto piacere in qualche modo» aveva confessato all’orecchio di Ninomiya e Kazunari aveva sospirato, tornando a camminare. «Era come se... anche lui ricordasse che io sono una persona» aveva chiuso gli occhi, beandosi del calore dell’altro. «Anche se... credo non fosse così sincero, ma... per un attimo...» si era zittito.

Nessuno dei due aveva parlato dopo questo.
Ninomiya aveva salito le scale in silenzio e quando aveva litigato con le tasche per cercare la chiave della loro stanza si era accorto che l’altro si era addormentato.
Delle volte avrebbe voluto poter guadagnare così tanto da... da poter avere i soldi necessari per portare entrambi via da quel posto. Ma si rendeva conto che era impossibile: per quanto mettesse da parte i pochi guadagni che riusciva ad ottenere, la cifra non sembrava mai essere abbastanza.
Aveva adagiato Aiba sul letto, coprendolo con un lenzuolo.
Troverò un modo per portarti  via da qui, gli aveva sussurrato, lo farò. E ti proteggerò.

Masaki si era lamentato nel sonno e poi aveva sorriso, come se avesse ascoltato quelle parole. 
Kazunari aveva preso la chitarra dalla custodia che nascondeva nell’armadio e aveva cominciato a suonare e a canticchiare una struggevole ninna nanna.

Capitolo cinque: Even though now, I'm sending you away | Capitolo sette.

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