Titolo: Wonderlust - Moments In Love (3/3)
Autore:
el_defeBetareader:
lisachanoando ♥♥♥♥♥
Fandom: RPF Calcio
Personaggi: Dejan Stanković in svariate combinazioni.
In questo numero: Roberto Mancini, Siniša Mihajlović, Alen Stevanovic, Thiago Motta, Diego Milito, Samuel Eto'o, Usain Bolt (!), Vladimir Stojković, Wesley Sneijder, Yuto Nagatomo, Zlatan Ibrahimović
Rating: 18+
Warning: puttanaio (raccolta di PWP, slash, threesomes, p0rn);
spinoff (per quanto riguarda la S); self!insertion e
ispirazione non autorizzata (alla X).
Conteggio Parole: 13,000 (totali, FDP)
Prompt: Partecipa al Sillabario di
maridichallengeNote: È stata una faticaccia XD vissuta col terrore che non avrei scritto mai più, dopo averci messo la parola fine - ma la cartella bozze dice il contrario.
Disclaimer: Questa fanfiction non è a scopo di lucro, non vuole offendere o essere lesiva nei confronti delle persone reali descritte, né pretende di dare un ritratto veritiero di eventi o personalità.
Intro: Noi serbi abbiamo dentro una parola magica, un segreto, si chiama "inat". Significa che se possiamo fare una cosa in un modo tradizionale oppure in un altro, lo facciamo nell'altro. Non per guadagnarci qualcosa, ma per "inat". E questo ci fa sempre dare qualcosa in più. (Novak Djoković)
WONDERLUST
MOMENTS IN LOVE
ROBERTO
Roberto si rende conto che Dejan costituisce un problema quando constata che ci sono momenti - non sempre, per fortuna, o sarebbe incredibilmente scomodo - in cui sente un fiotto di calore che pompa lungo le arterie, raggiungendo ogni angolo del suo corpo, e in tutti quei momenti c’è lui che fa o dice qualcosa. Capita qualche volta nello spogliatoio, quando lui gli sorride di sottecchi prima di entrare nella doccia che ha appena lasciato, ma dopo i primi tempi non è accaduto tanto di frequente ed è stata una buona cosa, perché erano i momenti più imbarazzanti. Capita molto più spesso fuori di lì, magari quando se ne sta per conto suo a bordo campo e alza la testa per sorridere a Siniša che lo tiene per i fianchi, o quando Christian gli guarda fisso fisso le labbra per cercare di carpire una parola o una pronuncia corretta. Dejan è un tormento sottile e continuo, un prurito sottopelle che non andrebbe via neppure grattando fino a scorticarsi e a mostrare la carne viva, e quindi Roberto non ci prova neppure.
Roberto riesce a dare un nome a quel prurito una notte di dicembre, in ritiro. Si incrociano tra i corridoi a mezzanotte passata - Dejan si aggira con una bottiglietta d’acqua, scalzo e con indosso dei pantaloni di un pigiama che sembra non essere il suo, a giudicare da come cascano di continuo, Roberto semplicemente non riesce a dormire e per motivi ben meno importanti dei venti di guerra che si addensano sulla patria del suo amico. Dejan parla poco e piano, e in ogni caso di nessuna delle cose che destabilizzerebbero i nervi di persone meno forti di lui, ma accetta l’abbraccio di Roberto con forza, lasciandogli un bacio lungo la mandibola: un bacio che alla fine risulta essere innocuo quanto può essere innocua una scintilla su una cassa di polvere da sparo.
Quando torna nella sua stanza, ancora sveglissimo, e si distende sul letto nel vano tentativo di scacciare l’insonnia, Roberto è ancora tutto preso dal ritorno di quel prurito. Senza pensarci, infila una mano oltre il bordo del pigiama, allungando due dita per accarezzarsi distrattamente al di sopra degli slip, e quella sensazione fastidiosa si accentua e si allevia allo stesso tempo; e più continua a toccarsi e più il prurito monta e si ritrae, seguendo un’onda che esiste solo nella sua mente e, di riflesso, sulla superficie della sua pelle, fino a quando non viene colto di sorpresa da un piacere che credeva ancora lontano e che macchia le sue dita e i suoi abiti allo stesso modo delle sue convinzioni. Lascia andare un sospiro trattenuto sino a quel momento, esitante, e reclina la testa di lato, vergognandosi di se stesso; il prurito è sempre lì, ma adesso ha un nome, anche se non gli piace per niente. Per immaginarsi il viso di Deki che ghigna, adesso, gli basta un battito di ciglia.
Roberto si alza per andare in bagno e darsi una ripulita, senza neppure accendere la luce.
SINIŠA E ALEN
«Paura?» gli chiede Dejan; comincia a sembrare quasi un gioco, quella domanda posta di continuo, ma la presa affettuosa sulla spalla e l’espressione serissima con cui glielo chiede ogni volta, lasciando da parte sorrisi rassicuranti e abbracci morbidi, gli ricordano che non lo è mai, che Dejan ci tiene veramente, a quella risposta, e che può tirarsi indietro quando vuole se sente che la paura è troppa per poter essere gestita. Alen, comunque, questa volta scuote la testa, dapprima debolmente, poi in maniera più convinta. «Questa è una novità» commenta Dejan pensieroso, prendendo a tamburellare con le dita della mano libera sul volante allo stesso ritmo della pioggia battente sul parabrezza. Alen appoggia la guancia sul finestrino gelato.
«Non ho paura di te» sussurra, appannando leggermente il vetro con il suo fiato, «e non ho paura di mister Mihajlović.»
«Di Sini.» Alen si volta verso di lui, aggrottando le sopracciglia in quell’espressione corrucciata che a Dejan ricorda tanto se stesso. «Si offenderebbe molto, se la serata andasse davvero... davvero in quel modo, e lo chiamassi così formalmente.»
«Ma è l’allenatore della nazionale!» protesta Alen.
Dejan sorride, intenerito. «Non stasera.»
Alen riesce ad accettare la realtà soltanto a tarda sera, quando si sente abbastanza a suo agio da lasciare che Dejan lo abbracci da dietro sul divano e cominci a sfilargli la felpa sotto lo sguardo rilassato di Siniša; c’è un che di rassicurante nei suoi occhi che li fa somigliare a quelli di Dejan, anche se le sue occhiate sono più lunghe e più dure, come se volesse giudicarlo anche adesso che sono nel salotto di uno dei suoi appartamenti. Ma è vero, stasera non è il suo allenatore, e si sente dal tocco morbido e rovente delle sue labbra sul petto nudo, dalle carezze gentili che gli sottolineano i fianchi, dai piccoli baci che gli solleticano l’orecchio e gli sciolgono le residue inibizioni; e non ha neanche paura, perché si avventa su Siniša con la fame che solo chi è stato trascinato in una notte a tre può avere e allo stesso tempo allunga un braccio all’indietro per assicurarsi che Dejan sia ancora lì, che non sia andato via, perché Alen e Siniša non ha senso, ma Alen e Dejan sì, Dejan e Siniša anche di più, e Alen e Dejan e Siniša funziona così bene che non ci si può non chiedere perché non sia stato possibile arrivarci prima a questo colpo di genio.
Ci mettono un po’ per sfoderare il divano letto, spogliarsi l’un l’altro e cercare una posizione comoda per tutti e tre, ma la fatica e l’equilibrio precario sono un prezzo più che abbordabile, se la ricompensa consiste nelle labbra di Dejan che scivolano lungo il suo sesso e le dita di Siniša che lo preparano con infinita premura e lentezza. Alen viene troppo in fretta, sopraffatto, e quando riapre gli occhi e riprende a respirare gli altri due sono ancora lì, che rinunciano alla loro parte e lo coccolano un po’ per uno, aspettando soltanto perché c’è lui, con loro.
THIAGO E DIEGO
«Quello è il mio ragazzo.»
La minaccia nel tono di Thiago non è una falsa impressione, e qualcosa, nel suo ergersi sulla soglia della sala massaggi con le mani ai fianchi e nessun accenno di cordialità, convince Dejan a lasciar perdere Diego per un momento e a prestargli attenzione (è incredibile come a dimostrarsi i più assatanati, o quantomeno quelli più bendisposti a una pomiciata al volo, siano sempre le acque chete).
«Hai dimenticato di mettergli la medaglietta al collo, non potevo averne idea» prova a essere conciliante, ma non gli è mai piaciuto mentire e men che meno rischiare l’omicidio alle undici e mezza del mattino. «Okay, d’accordo, forse lo sapevo. Ma hai un gran bel ragazzo e io sono di principi molto deboli.»
Diego fa per dire qualcosa, ma la seconda occhiata furiosa di Thiago - con te faccio i conti dopo, la traduzione sommaria - lo incenerisce sul posto e si ritrae mortificato in un angolo. «Non mi interessa, scopati tutta la squadra insieme se ti va, ma non Diego.»
Dejan alza le mani, annuendo, e fa per andarsene; poi, fulmineo, tira giù Thiago e lo bacia, più o meno con la stessa intensità che aveva rivolto a Diego fino a poco prima - con l’aggravante sommaria che Thiago non solo risponde al bacio, ma si ritrova a farlo pure con un certo trasporto, costringendo stavolta Diego a spintonare via Dejan.
«Quello è il mio ragazzo» dice, con una serietà che oltrepassa il ridicolo di almeno cento miglia, ma provocando solo un’ondata di irrefrenabile divertimento.
Non potrebbe giurarlo anche per Diego, perché dietro i suoi occhi chiarissimi ci sono misteri che non vuole conoscere, ma già dopo la prima volta Thiago si scopre abbastanza geloso anche di Dejan. E si rende pure abbastanza ridicolo nel dimostrarlo.
Sente la terra umida e i fili d’erba che gli si infilano ovunque, anche nelle mutande, ma nel momento in cui butta lì in rete il secondo pallone di fila con una facilità disarmante vuole soltanto scaraventare a terra Dejan con molta più forza di quella usata per tirare. Dejan, esaltato e caldissimo, lo lascia fare, così Thiago si dimentica di San Siro e degli occhi di Diego che bruciano di gelosia - per entrambi, ammetterà poi la sera stessa, messo alle strette dalla minaccia di essere ignorato.
Ancora adesso, quando Thiago intravede la lingua di Dejan che incontra con entusiasmo quella di Diego, non riesce a trattenere un fremito di gelosia che lo spinge a richiedere con insistenza la sua parte, dall’uno o dall’altro o anche da entrambi. Non fa fatica a comprendere che Dejan è molto di più di un’aggiunta speziata a una relazione tranquilla e quasi sdolcinata cui né lui né Diego riescono ad adattarsi: è vero, è nata così, sopravvive allo stesso modo, come se si annullassero a vicenda e avessero solo bisogno della reciproca compagnia per essere felici; ma Dejan non è la via per la felicità, Dejan è la variabile impazzita che li rende gelosi e possessivi. E appagati, perché no.
USAIN E SAMUEL
«Usain, Dejan Stanković. Deki, Usain…»
«Bolt.» Dejan gli stringe la mano con cordialità, portandosela poi al petto, stretta a pugno. «È un onore per me» aggiunge in inglese; Usain ha un sorriso simile a quello di Samuel, anche se un po’ meno pieno e venato del suo sentirsi (inaspettatamente, almeno secondo Dejan) intimidito. «Tu non stai pensando quello che hai pensato davvero» dice all’improvviso in italiano, rivolgendosi a Samuel.
«Perché pensi che stia pensando a qualcosa?»
«Perché ti conosco.» Dejan spalanca gli occhi, stupefatto, almeno tanto quanto si allarga il sorrisone di Samuel. «Ti conosco e temo la tua testaccia, Sammy, più di quanto non faccia con la mia, ed è davvero tutto dire. Ti pare possibile che-»
«Tu mi hai insegnato che tutto è possibile, quando ci sei di mezzo tu.» Lo spagnolo è a beneficio di Usain, che un po’ lo capisce - sicuramente più dell’italiano. «Lui è d’accordo.»
«Certo, complottate alle spalle del vecchio Deki. Mi pare più che logico.» Dejan alza gli occhi al cielo. «Mi cogli impreparato, Sammy, non so.»
«E se ti dicessi che ne vale la pena?» Samuel gli cinge il collo con le braccia e lo bacia con avidità, indugiando a lungo sulle sue labbra e prendendosi tutto il tempo ad assaporarlo con la lingua una volta che Dejan si è assicurato della non-reazione di Usain con la coda dell’occhio - e gli ci vogliono più o meno due secondi e mezzo, potrebbe correre a un paio di corridoi di distanza. «Che è bravo abbastanza da avermi sedotto già quattro anni fa? Che è il tipo di persona che ti farebbe piacere trovare nel letto?» continua a bisbigliare, inframmezzando le sue parole con una infinita serie di baci.
«Sei crudele e ti stai approfittando di me» geme, schiudendo nuovamente le labbra quando Samuel affonda le dita nei suoi capelli radi e stringendolo più forte a sé in risposta. «Un diavolo tentatore.»
«Si fa fare di tutto.» Samuel struscia impercettibilmente il suo bacino contro quello di Dejan, sorridendo della sua erezione. «Non ti basterà una notte.»
«Maledizione, basta.» Stavolta continua in serbo, e Samuel è più che sicuro che i suoi siano insulti.
«Sapevo che mi avresti detto di sì» sospira, staccandosi da lui con un sorriso. Dejan annuisce, l’espressione insolitamente sofferente, il viso rosso e stravolto dalla voglia.
«A una sola condizione.»
«Quello che vuoi.»
«Fagli vedere Appiano, oggi. Sai mai che decida di venire da noi, anziché sbarcare a Manchester.» Dejan si stiracchia e liscia il colletto della sua camicia. «Non ho più l’età per scopare nei bagni dell’executive.»
«Hai trentasei anni, Deki» ribatte Samuel, più divertito che esasperato. «Che dovrebbe fare Mourinho, al tuo posto?»
«Andare a farsi fottere, magari. Ho l’intenzione di fare tutto il possibile per assicurarmi che Usain Bolt faccia parte della mia squadra e non della sua, e se il prezzo deve essere una notte talmente infuocata che potrà zittirmi soltanto firmando uno stracazzo di contratto, che sia.» Finalmente Samuel riconosce il suo ghigno e lo riaccoglie con sottile piacere, riprendendo poi a parlare fitto con Usain sugli sviluppi della questione.
VLADIMIR
«Il ruolo da psicologo non mi si confà, Vladi» ansima Deki dietro di lui, continuando al contempo a spingersi tra le natiche dell’amico con decisione, «ma non credo che scopare con me sia una terapia efficace.»
Per tutta risposta, Vladimir si gira quel tanto che basta da rendere i suoi movimenti più difficoltosi, stringendosi intorno al suo sesso con riserve di energia inaspettate. «Io sì» mormora, inarcandosi all’indietro, grande e grosso com’è, fino a cingergli il collo con le braccia, appendendosi letteralmente a lui. «Io sì» ripete, andandogli incontro e gemendo forte contro il cuscino, «ma vai più forte. Non mi fa male, ti prego, più svelto, più forte.»
Dejan scuote la testa, senza neppure provare ad afferrare i pensieri più profondi e cupi di Vladimir, ma lo accontenta, fin dove la propria indole glielo consente; se è dolore quello che cerca, non lo avrà, non da lui. E così le spinte si fanno sì violente e profonde, e Vladimir allarga le gambe fin quanto gli è possibile e grida, ma i tocchi ritmati di Dejan per tutta la lunghezza del suo sesso sono premurosi e attenti, e quelle grida non sono affatto di dolore. L’orgasmo di Vladimir è intenso, violento, appagante almeno in quel breve momento senza pensieri, ma quando la sua eco si spegne e lui torna pienamente in sé l’unica sensazione che gli resta è quella di vuoto, e a nulla valgono le carezze di Dejan che gli lisciano i capelli e gli asciugano le lacrime di tensione che gli sgorgano senza preavviso dagli occhi.
«Scusami» sussurra in un mezzo singhiozzo, senza vergognarsi di apprezzare almeno tanto quanto l’orgasmo appena scemato il massaggio di Dejan sulle spalle, indolenzite per la posizione tesa che ha tenuto così a lungo. «Non ero venuto qui per violentarti e piangerti nel letto.»
Dejan continua a sciogliere i suoi muscoli a lungo, senza rispondergli. Soltanto quando ha finito, quasi mezz’ora più tardi, si ridistende accanto a lui, abbracciandogli la vita da dietro, e sussurra: «Avevo ragione?»
«Sì.» Vladimir tira su col naso. «Non è cambiato niente.» Si volta verso di lui, fissandolo negli occhi con la forza che ha continuato a implorargli a bassa voce da quando gli è piombato in casa senza preavviso, fuggendo da Belgrado di nascosto e costringendo lui a chiamare altrettanto di nascosto la sede del Partizan (fosse stata la Stella Rossa, sarebbe stato infinitamente più facile, almeno ideologicamente), e strappandogli letteralmente i vestiti di dosso - Dejan si rifiuta di constatare che una delle sue magliette preferite non potrà essere indossata mai più. Vladimir lo guarda con fierezza e sorride. «Però è bello.»
Dejan gli bacia una guancia, d’istinto, e gli sorride di rimando. «Non c’è bisogno di andare così forte come hai fatto prima, sai?» dice con voce limpida, tentando di lisciargli i capelli aggrovigliati. «Intendo, se proprio vuoi…»
«Sono nelle tue mani» mormora Vladimir, e il senso di quelle parole vuol dire tutto e niente. Dejan gli fa gustare la calma, stavolta, e quando si alzano dal letto fuori è già buio.
WESLEY
«Time out.» Deki lo dice in un soffio, buttando fuori tutta l’aria che gli è rimasta nei polmoni, quando Wesley accenna appena a girarsi sul fianco e tornare sopra di lui. «Wes, io ti voglio del bene, ma non ce la faccio più. Mi arrendo.»
La sua preghiera non sembra sortire alcun effetto, comunque, perché Wesley si limita a ridere - di gusto, anche - nascondendo il viso contro il suo braccio, e poi sale comunque a cavalcioni sopra di lui per la terza volta nella serata, intrecciando le proprie dita nelle sue e facendo abbastanza forza perché non provi a opporre una già improbabile resistenza; Deki abbozza una smorfia, subito soffocata da Wesley in un bacio aperto, umido e incredibilmente rumoroso, cui ne segue un altro e poi altri dieci, fino a quando il calore non ricomincia a scorrere nelle sue arterie al ritmo del sangue, stimolandolo di nuovo.
«Non ce la facevi più, mh?» mormora Wesley, baciandolo ancora una volta mentre dimena i fianchi quel tanto che basta per evitare di schiacciare con il suo peso l’erezione sempre più decisa di Deki.
«Non ce la faccio più» lo corregge, sorridente ma più serio che mai. «Davvero, se sospettassi che tua moglie ti tiene a digiuno, potrei anche capire, ma Yolanthe è... be’, non credo che...»
«Cosa sentono le mie orecchie.» Wesley gli mordicchia il labbro con più forza di quella necessaria per rendere quel gesto un atto di puro piacere, prima di continuare. «Hai fatto pensieri sconci su mia moglie. Questo richiede una punizione adeguata» annuncia, facendosi aiutare da Deki per sollevarsi e calarsi nuovamente su di lui per accoglierlo dentro di sé in un gesto più che fluido e naturale, accompagnato da un gemito quasi sincrono e che ha come unica conseguenza il fremito improvviso che scuote Wesley quando arriva fino in fondo.
«Non provarci, non ho fatto pensieri sconci su tua moglie» puntualizza subito dopo, con un’occhiata minacciosa, e Wesley scoppia a ridere - probabilmente per incredulità. «Davvero. Ho già mia moglie, non ho bisogno di quelle degli altri. E poi sto compiendo atti più che sconci col marito di tua moglie, direi che la gelosia è l’ultimo dei tuoi problemi.»
«Devi essere il primo che non abbia mai pensato di lei che è una porca.»
«Ho cenato con voi, ti pare?» È Wesley a dettare il ritmo, regolare, rapido, quasi forsennato, alzandosi e abbassandosi sulla sua erezione. «Non lo so. Dovrei sentirmi in colpa con lei, per questo.»
«Ah, non dartene pensiero» mugola Wesley, adesso che anche Deki va incontro ai suoi movimenti penetrando in lui più profondamente che mai. «Lei lo sa.»
«Cosa?!» esclama con voce strozzata Deki, più per il terzo, improvviso orgasmo nel giro di poco più di due ore che per la portata della notizia.
«Già» ghigna Wesley, riprendendo a masturbarsi per cogliere la sua parte di piacere fino in fondo, le gambe ancora lungo i fianchi di Deki e i glutei ancora contratti per contenerlo. «E non ti ho raccontato dei pensieri sconci che mia moglie fa su di noi.»
X
«Meglio?» sussurra Dejan, chinandosi al suo orecchio e bisbigliando in un modo che finora ha soltanto potuto immaginare, così come può immaginare il suo sorriso, alle sue spalle, quando annuisce lentamente e stiracchia le dita prima di tenerle sospese sulla tastiera. «Dovresti fare una pausa, ogni tanto. Sei andato avanti praticamente senza mai fermarti.»
«Già» constata, tamburellando su un po’ di tasti a caso prima di cancellare tutte le lettere immesse ad una ad una. «E la vostra presenza, qui, non mi aiuta.»
«Io sono solo un’osservatrice. Interessata, ma pur sempre un’osservatrice.»
Si volta a guardarla - l’unica protagonista femminile, l’unica che c’è sempre stata dall’inizio alla fine in tutto ciò che ha racchiuso nella sua scatola - e per un istante, più che sentirsi intimidito, prova soltanto ammirazione. Annuisce. «È che mi vergogno.»
«Di cosa?» Il respiro di lei è ancora più vicino di quello di Dejan e lo rende ancora più ansioso di quanto già non sia.
«Temo di aver esagerato.» Sente l’altra sedia presente nella sua stanza scricchiolare - o se l’è soltanto immaginato? Non vuole girarsi, dopotutto, vuole continuare a parlare da solo e immaginarsi che entrambi siano davvero lì con lui e gli rispondano. «Di essere andato troppo oltre. Non lo so nemmeno io, voi non siete così.»
«Noi siamo come ci senti tu» ribatte Dejan, ma è la donna a fare di più, per lui, accarezzandogli i capelli come una madre col suo figlio, o una donna per il suo uomo, o una musa per il suo scrittore preferito. È un gesto semplice, ma lo rassicura abbastanza da fargli prendere coraggio.
«Cosa volete che faccia?»
«Girati» sussurra lei, tenera.
Lui si volta lentamente: loro ci sono per davvero, ci sono nei suoi occhi, vede le loro labbra abbastanza vicine da sfiorarsi, le loro mani intrecciate come quelle di due amanti, la loro fusione in una sola entità. Lei, nero intenso come solo un colore, e non un’assenza di colore, può essere, e blu come la profondità degli occhi più belli del mondo, quelli che sono giorno e notte insieme; e Dejan che si ammanta di quei colori, lasciandosi dominare da loro, e insieme padroneggiandoli come se fossero una sua creazione, la più bella di tutte. Deglutisce, tornando a guardare lo schermo e le righe che si sono composte da sole, troppo impegnato ad ammirare e sentirsi fiero di loro per sovrintendere ai paragrafi buttati giù in automatico.
«Non funzionerà mai» si dice, contemplando il testo con la testa poggiata sul pugno. «È diversa dalle altre. È come barare.»
«Non lo è.» Dejan lo bacia sulla guancia, ridendo del suo rossore improvviso. «E adesso che ha qualcosa in comune con le altre, datti da fare.»
Lui guarda Dejan, guarda la sua Musa, e tutti e tre si scambiano un sorriso di intesa. Quando batte le ciglia la volta successiva, è solo, esattamente come lo era prima di cominciare a scrivere. O come non lo è mai stato.
X: Deki/Inter, ripete tra sé, rimuginando sullo schema sulla sua scrivania e constatando quanto si sia effettivamente discostato dal piano originale.
YUTO
«Chi ha avuto questa meravigliosa idea?» commenta Dejan roteando su se stesso in un fruscio di seta verde scuro, ben consapevole che Yuto non conosce abbastanza italiano per comprendere le sfumature del sarcasmo e dell’irritazione ben celata. «Giuro che se il colpevole si fa avanti lo stupro nel sonno alla prima occasione.»
«È colpa mia, Deki» risponde prontamente qualcuno, la mano bene alzata e il tono speranzoso.
«Va’ a farti fottere, Thiago» lo rimbecca pronto, e Thiago abbassa la mano, deluso, per afferrare la ciotola per il saké - che ovviamente contiene birra, perché sia mai che una dozzina di cretini facciano le cose come si deve, quando decidono di mettersi in ridicolo per far piacere a uno di loro. «Davvero, potevamo chiamare le massaggiatrici cinesi e farle vestire da geishe, ed eccovi servita la festa senza queste panzane. Avremmo pure speso di meno e il piccolo samurai si sarebbe divertito di più» continua a mugugnare, sedendosi stancamente su un cuscino accanto a Marco e già sentendo le prime fitte di fastidio per la posizione più che scomoda che gli mangiano la base della schiena.
«Tu sei proprio convinto che le geishe siano quello che vuole Yuto, sì?» replica Marco, guardando dritto di fronte a sé: Wesley è già brillo di suo e sta ballando al centro della sala, il kimono azzurro che gli si è mezzo slacciato nella foga e lascia intravedere le mutande.
«Non dirmelo. Non voglio i pettegolezzi alle undici di sera quando abbiamo ‘ste palandrane addosso.»
Per tutta risposta, Marco china la testa sulla sua spalla e gli dà un colpetto naso contro naso, costringendolo a piegare la testa di lato e a osservare come Yuto conversi con Andrea in un misto di gesti, inglese scolastico e italiano zoppicante, ma al contempo riservi occhiate infuocate nei confronti di Javier, occhiate che Dejan riconosce immediatamente per quello che sono.
«Non si salva nessuno» geme, afferrando una manciata di patatine al formaggio col fermo proposito di strozzarvicisi. «Altro che Zanetti-san.»
«Tu non mi credi quando ti parlo. Te l’ho detto dal primo giorno che si era infatuato di Pupi. O della sua fascia, il che sarebbe un’immagine ancora più inquietante.»
«Tu diresti che sono gay anche lampioni per strada!»
«Se lo facessi, proveresti a sedurre anche loro.» Dejan alza una mano per scacciare l’idea e liquidarla immediatamente. «Ti farai bagnare il naso da Pupi. Sarà un record storico, la fine del regno di Dejan Stanković.»
«Povero illuso. Dammi un’ora e vedi come te lo cucino.» Dejan fa già per alzarsi, ma Marco lo trattiene per un braccio e lo rimette seduto. «Cosa c’è, adesso?» sibila, prima di rendersi conto che la seta tesa in avanti è troppo evidente perché possa far altro che alzare bene le ginocchia e pensare a qualcosa di davvero poco attraente. (Galliani funziona sempre.)
«Secondo me i veri giapponesi indossano qualcosa, sotto il kimono, anche per evitare questi problemi» gli sussurra Marco in un orecchio, lottando con se stesso per non ridere e non permettere a Dejan di mostrare le sue grazie a mezza squadra.
ZLATAN
Il caldo asfissiante di Los Angeles non è una motivazione neanche lontanamente sufficiente in grado di fermarli, non quando uno sguardo o una pacca sulla spalla o anche solo percepire dall’altra parte della stanza la sua presenza costituisce la scintilla che appicca il fuoco all’esplosivo a malapena sopito in altre occasioni. Né tantomeno possono essere dei deterrenti la possibilità che un giornalista si impicci di fatti non suoi e si imbatta nello scoop dell’anno, o la presenza di una cinquantina tra membri dello staff e compagni di squadra sotto il tetto dello stesso albergo - e di impiccioni nel loro gruppo ce ne sono abbastanza perché l’eventualità debba essere presa seriamente in considerazione.
La verità è che Zlatan è immarcabile in campo così come inarrestabile a letto, il che non sarebbe neppure indicativo, visto che Dejan non ricorda una sola volta nell’ultimo anno in cui la voglia di Zlatan si sia accesa in camera da letto, piuttosto che nei bagni di un locale o negli spogliatoi ad Appiano o ovunque gli sia capitato (Dejan ricorda ancora il suo tentativo di sbatterlo sui tavoli sparecchiati della mensa con un misto di terrore puro e di eccitazione, e sì che ce ne volle del bello e del buono per farlo desistere). Si è ritrovato con abiti non più indossabili dopo il suo passaggio, perché strappate o slabbrate o irrimediabilmente macchiate, o con graffi e segni che sono spariti dopo una settimana, o a fare sesso con tanta violenza da dover mascherare l’indolenzimento con passi molto piccoli per le ore successive: e, quel che è peggio, non deve sforzarsi per ricordare che lui si comporta esattamente allo stesso modo, baciando e strappando e graffiando e spingendo fino a non lasciare più aria neppure nei polmoni di Zlatan.
Questa volta è diversa soltanto perché è l’ultima: sull’UCLA grava il peso di una decisione che in realtà Zlatan ha già preso, anche se non vuole dirla ad alta voce perché non è sicuro neppure lui, della scelta giusta da compiere. José ha avuto un bel daffare per tentare di convincerlo che nel calcio del duemilaquindici per lui non c’è posto, perché non puoi ingabbiare qualcosa di unico in uno schema corale che funziona già senza di lui, e la processione di compagni che gli promettono, gli assicurano, gli giurano che questo sarà l’anno buono, che batteranno tutti e vinceranno tutto e saranno sul tetto del mondo entro dicembre del duemiladieci, è altrettanto insistente e altrettanto inutile. Questa volta non ci sono grida soffocate in fretta contro la pelle al momento dell’orgasmo, non c’è alcun ghigno a sottolineare il fatto che potrebbero ricominciare daccapo in ogni momento, non c’è pelle che duole o gola che brucia o corpo che cede stremato. C’è un addio, taciuto e gridato alla loro maniera, perché è la fine di un’era, la fine di tutto.
La nuova era inizia quando Dejan accarezza quella coppa con un groppo in gola e desidera, con tutto il cuore, che un giorno possa sollevarla al cielo anche lui.
FINE
A ~ I |
J ~ Q |
R ~ Z A/N: E come premio per essere arrivati fin qui,
il recap grafico del tutto. ♥!