Fic: Wonderlust - Moments In Love (2/3)

Jun 28, 2011 23:09

Titolo: Wonderlust - Moments In Love (2/3)
Autore: el_defe
Betareader: lisachanoando ♥♥♥♥♥
Fandom: RPF Calcio
Personaggi: Dejan Stanković in svariate combinazioni.
In questo numero: José Mourinho, Aleksandar Kolarov, Luís Figo, Mario Balotelli, Nemanja Vidic, Joel Chukwuma Obi, Giampaolo Pazzini, Ricardo Quaresma
Rating: 18+
Warning: puttanaio (raccolta di PWP, slash, threesomes, p0rn)
Conteggio Parole: 13,000 (totali, FDP)
Prompt: Partecipa al Sillabario di maridichallenge
Note: È stata una faticaccia XD vissuta col terrore che non avrei scritto mai più, dopo averci messo la parola fine - ma la cartella bozze dice il contrario.
Disclaimer: Questa fanfiction non è a scopo di lucro, non vuole offendere o essere lesiva nei confronti delle persone reali descritte, né pretende di dare un ritratto veritiero di eventi o personalità.
Intro: Noi serbi abbiamo dentro una parola magica, un segreto, si chiama "inat". Significa che se possiamo fare una cosa in un modo tradizionale oppure in un altro, lo facciamo nell'altro. Non per guadagnarci qualcosa, ma per "inat". E questo ci fa sempre dare qualcosa in più. (Novak Djoković)




WONDERLUST
MOMENTS IN LOVE

JOSÉ

«A volte penso di aver sbagliato tutto.»

«Questa sì che è un’entrata ad effetto, ma è palesemente costruita. Chi sei e cosa ne hai fatto dello Special One?» Una risata, segno di aver fatto breccia, almeno per un istante, nella sua malinconia; una risata che si spegne dopo qualche secondo insieme all’illuminazione del cellulare, lasciando spazio a un silenzio pieno e rilassato nel buio totale della camera di Dejan. «Non hai sbagliato nulla. Non con lui. È solo un’infinita testa di cazzo, e il fatto che stia evitando tutte le mie telefonate lo dimostra appieno.» Un attimo di riflessione, un gesto per sistemare il microfono che tende ad abbassarsi, poi precisa: «Un’infinita testa di cazzo con un’infinita protuberanza a forma di scogliera nordica poco sotto gli occhi e un’altra, ahinoi assai più modesta, in mezzo alle gambe», e la risata di José dall’altra parte del telefono è così fragorosa da far tremare il piccolo auricolare nel suo orecchio.

«Vedi che ho sbagliato tutto? Avrei dovuto perdere la testa per te. Sarebbe stato infinitamente più facile.» Sospira. «Niente complicazioni di nessun tipo, una buona battuta quando sono giù di corda invece di avere a che fare con uno che ha di sé una considerazione ancor più esagerata della mia, nessuna richiesta di eterna e reciproca fedeltà...»

«Lui ti ha chiesto questo?» esclama, stupito, e José ride ancora.

«No, Deki, gliel’ho chiesto io. Con te sarebbe fiato sprecato.»

«Mi stai velatamente dando della prostituta o è una mia impressione?» commenta allegramente.

«Se lo fossi, mi staresti intrattenendo al telefono con ben altri argomenti.»

Una pausa nella conversazione che si allunga a dismisura. Dejan deglutisce senza volerlo; poi, quasi meccanicamente, sistema il cellulare lontano perché non cada e si porta due dita alle labbra.

«Sei ancora lì?» gli chiede José, tacendo ancora una volta quando, chiarissimo, sente un rumore bagnato e familiare dall’altra parte. «Deki, era una battuta. Non intendevo sul serio.»

«No? Posso sempre fermarmi» mormora, constatando, se mai ce ne fosse stato bisogno, che non ha la necessità di fingere desiderio. «Ma sono solo, e ho una mano dietro la schiena molto, molto vicina ai miei boxer.» Supera l’elastico della biancheria, sfiorando l’inizio del solco tra le sue natiche e non andando oltre fino a quando José non lo ferma davvero.

«No, Deki» dice, la voce limpida e venata di qualcosa che sembra essere rimpianto.

Dejan, obbediente, ritrae la mano. «Sei tu il capo.»

«Non più» gli ricorda José, e Deki può immaginarsi il suo ghigno con molta facilità, ma non le parole che seguono e che lo lasciano senza fiato per la sorpresa e la scarica di voglia. «Non mi accontenterei mai di una sega per telefono.»

«Quando?» chiede, in un fil di voce.

«Quando mi libero e posso dire allo stronzo che se mi rivuole può anche strisciare fino a Madrid, come avrebbe dovuto fare dal primo momento.»

Dejan scoppia subito a ridere di gusto. Ma quando, cinque minuti più tardi, la telefonata si conclude, i colpi con cui stimola la sua erezione fino all’orgasmo sono violenti e senza tregua, e fanno quasi male.

KOLAROV

«Non ho bisogno della balia.»

«Taci.» Aleksandar gli passa un braccio intorno alle spalle come farebbe per un amico particolarmente depresso (o particolarmente sbronzo, o particolarmente scopabile) e non permette a nessuno di coinvolgerlo nella festa che si scatena in autobus al punto da affaticarlo - ha preso una botta, lasciamolo tranquillo, festeggiamo domani tutti insieme. «Ci hai fatto prendere un colpo.»

«Infatti sto benissimo. E non ho bisogno-»

«Shush.»

Dejan rotea gli occhi verso l’alto, come a ribadire la sua disapprovazione nei confronti del karma che si vendica atrocemente per tutte le gioie dei suoi ultimi trentun anni di vita - abbiamo battuto la Germania, cazzo, voglio festeggiare, festeggerei anche se stessi morendo di tisi - e soprattutto delle premure che Aleksandar continua a somministrargli.

«... dove cazzo è Nemanja.» Dejan guarda l’intruso in camera con occhi vacui, soltanto un asciugamano stretto in vita e l’acqua che gocciola un po’ ovunque: ha lasciato il suo migliore amico in camera a dormicchiare sul letto prima di farsi la doccia e il fatto che adesso il suo posto sia stato preso dalla dama di carità in fieri non gli piace nemmeno un po’.

«Sono tutti in discoteca» butta lì Aleksandar, gettando il cellulare da parte e fermandolo, trattenendolo per un braccio, quando Dejan fa un passo per tornare indietro (per affogarsi nella vasca da bagno, a giudicare dalla faccia). «Deki, cosa c’è, perché reagisci così?»

«Perché non mi serve una cazzo di balia. Aleks, cazzo, ho preso una botta, non mi ha spezzato le ossa né aperto la carne, è un graffietto!» esclama, indicando il segno rosso dei tacchetti che è brutto da vedere ma certamente non pericoloso né tantomeno sanguinante. «Perché non posso andare a farmi un bicchierino da qualche parte l’unica sera che ce ne sarebbe davvero la possibilità?! Andiamoci insieme, cazzo, ma non tenermi segregato in questa stanza solo perché sono uscito in barella per dieci fottuti minuti!»

Aleksandar ascolta la reprimenda senza scomporsi, soltanto gli occhi un po’ bassi, fino alla fine. Tuttavia, quando Dejan chiude con un sospiro frustrato, accingendosi a tornare in bagno per asciugarsi, si avvicina a lui e gli sfiora le labbra con le proprie, senza preavviso; è un contatto così veloce e innocente che Dejan potrebbe quasi esserselo sognato, se non fosse per l’improvviso rossore di Aleksandar che borbotta, semplicemente: «Scusa.»

Dejan resta fermo e in silenzio per un po’, prima di rendersi conto che la sua assoluta mancanza di reazioni sta terrorizzando a morte Aleksandar. «Per i tuoi deliri da crocerossina o per questo?» dice infine, con voce bassa e un po’ roca, toccandosi le labbra con due dita.

«... per il bacio.» Aleksandar ha assunto l’esatta tonalità della maglia, a ben vedere, ed è questo, più di ogni altra cosa, che gli fa passare di colpo il malumore.

«Risposta sbagliata» rimarca Dejan, ammiccando impercettibilmente quando l’altro alza di scatto la testa, lo stupore che riempie i suoi occhi scuri e la bocca che si apre e si chiude senza emettere suoni. Lo bacia sul serio, lasciando che l’asciugamano scivoli per terra.

LUÍS

Mentre l’erezione di Luís cerca la sua strada dentro di lui, affondando con provocante lentezza, Dejan pensa che sia anche troppo facile dire di sì ad ogni sua richiesta; Luís sa leggere nella sua mente annebbiata di voglia, sa entrargli dentro e scardinare la barriera che in tante altre occasioni invece lo trattiene, dissipando completamente le sue remore. Luís sa quando è il momento, per entrambi, in cui c’è bisogno soltanto della reciproca compagnia, e quando invece può solleticare l’appetito di Dejan e ricercare qualcosa che renda la loro occasione un po’ più speciale, che sia un intrico di stoffa robusta con cui impedirgli i movimenti o sommessi discorsi che risvegliano azioni e istinti molto lontani dall’altrui routine. Soprattutto, sa aspettare il suo momento, senza imporsi se Dejan cerca di sopire la propria perenne inquietudine lontano da lui: ed è un aspetto più eccitante di qualsiasi gioco possano intessere insieme.

Anche adesso.

Luís si spinge verso di lui con un ritmo insolitamente lento, quasi torturandolo, perché le sue mani sembrano capaci di leggere, solo sfiorando la sua pelle, quanto sia vicino all’orgasmo. Dejan stringe le gambe contro le sue, inarcandosi all’indietro fino a toccare i suoi polpacci con le mani in quel tentativo di sentirlo dentro più intensamente e profondamente che sa già essere più che inutile; Luís lo trattiene per i fianchi, accompagnandolo in quel movimento dolce che lo solleva e lo riabbassa su di sé e staccando le sue mani da lui con infinita moderazione solo per accarezzare la sua erezione e costringerlo a restare sempre vicinissimo al limite, senza permettergli di oltrepassarlo se non quando anche lui è pronto a venire, quasi in sincrono. Dejan non riesce a sentire il gemito piccolissimo che Luís lascia andare, troppo preso dal piacere rovente che lo lascia presto senza forze, ma riesce a comprendere ugualmente il movimento delle sue labbra.

Anche lui sa leggergli dentro, almeno un po’.

«È sempre al centro dei tuoi pensieri, mh?» ansima, crollando su di lui e riflettendo per un po’. «Parlagli, Luís» gli dice, accarezzandogli la mandibola con il pollice per un istante prima di alzarsi e rotolare sul letto per cominciare a rivestirsi. «O dovrò farlo io.»

Luís sbianca per quanto la sua carnagione possa consentirglielo. «Non oseresti.» Dejan ride sommessamente. «Non puoi farmi questo!»

Dejan si prende un momento per tirarsi su i pantaloni e infilare le scarpe senza allacciarle. «Non potrei» ammette, apparentemente soprappensiero, facendo il giro del letto. «Ma sappiamo entrambi che farei soltanto del bene se lo facessi.»

«Non sai neanche se è… se è interessato… se avrei delle…»

«Luís, ascoltami bene.» Dejan si china su di lui, trattenendo a fatica un sorriso. «Cristiano non potrebbe essere più gay se facesse il portabandiera per un Pride. Ti abbiamo mai raccontato di che è successo quando è venuto nel nostro spogliatoio, dopo la partita, per fare i complimenti a Davide?»

Luís stringe gli occhi, meditabondo. Poi punta le mani sul materasso per spostarsi e batte la destra un paio di volte quando crede ci sia spazio sufficiente per Dejan.

MARIO

«Be’, non posso dire che non me l’aspettassi» borbotta quando gli apre, mezzo nudo, intontito dal sonno che non ha certo sopito l’adrenalina e con la voce roca dal continuo gridare contro il cielo di Barcellona, con i suoi amici, per tutti quelli che li hanno sostenuti anche quando sembravano spacciati. Si limita a farsi da parte per far entrare Mario, soffocando uno sbadiglio dietro il palmo della mano e aspettando che dica quello che l’ha spinto a riattraversare un’altra volta Milano alle quattro del mattino inoltrate; non gli chiede neppure come abbia fatto a sapere che avrebbe dormito al Melià e non a casa sua - probabilmente avrà chiesto a Sabrina che ha fatto il turno di notte, o forse è riuscito a capirlo nonostante la confusione inimmaginabile nell’atrio del terminal quando il taxi ha svoltato da una parte piuttosto che dall’altra.

Quando Deki capisce che non ha alcuna intenzione di parlare - o, magari, non ha la forza per farlo - tutto quello che riesce a fare è sospirare. Tira fuori dal frigobar la prima bottiglina che trova (assicurandosi vagamente che sia, se non analcolico, qualcosa di molto leggero) e gliela svuota in un bicchiere di carta del bagno, poi si siede accanto a lui sul bordo del letto e gli circonda le spalle con un braccio. «Pupi ti ha strigliato per bene?»

«... non solo lui» mormora, puntando i gomiti sulle ginocchia e posando la testa sulle mani, ingobbendosi tutto. «E stavolta non ce n’era bisogno, ci arrivavo da solo.»

«Aha.»

«Puoi risparmiarti il sarcasmo.»

«Già, sulle teste di cazzo non fa effetto.» Mario sussulta, ma non reagisce né si ritrae oltraggiato; del resto, Deki non fa trasparire astio né alza la voce, che però resta più dura di quanto non sia normalmente. «Cos’è che vuoi da me, Balo? Devo prenderti a ceffoni come ha fatto Marco? Devo farti una paternale che ti uscirà dalle orecchie alla stessa velocità con cui c’è entrata? Devo andare dal presidente e dirgli di venderti a... allo Smeredevo, in qualunque posto in culo al mondo, per non farti vedere più neanche una partita visto quante cazzate fai ogni volta che ti si dà una chance?»

«Aiutami.» Mario gli si mette a cavalcioni, sovrastandolo con facilità, e l’erezione di Deki si accende quasi istantaneamente quando comincia a strofinarsi contro di lui, boxer contro pantaloni della divisa sociale. «Ti voglio bene, mi fido di te» insiste, la voce rotta dal piacere che monta e dalle lacrime che gli pungono gli occhi e che non vorrebbe mostrargli. «Aiutami.»

Come può pensare di dirgli “no”, anche se sa che la causa è più che persa, che solo un miracolo può aiutarlo a riunire i cocci di quello che ha distrutto senza costringerlo a lasciare Milano, per un anno o per sempre? Mario si muove più velocemente, lo stringe, lo bacia, e Deki è costretto a gemere un «Ci provo» quando il calore pulsante tra le cosce prorompe nell’orgasmo costretto nei suoi boxer. «Ci provo» sospira, abbracciandolo, e sembrano contentarsi di quella illusione.

NEMANJA

Nemanja è un caso a parte, se mai sia possibile dare una simile definizione per qualcuno che faccia parte della vita di Dejan, e se mai lo stesso Dejan abbia trovato qualcuno, sulla sua strada, uguale a qualcun altro; non è lo stesso tipo di abbandono che prova tra le braccia di Sini, perché è una cosa diversa, né è la sensazione di rilassamento che lo pervade quando sono Cristian e Marco a fargli compagnia dopo una pigra serata di pizza e tv. Nemanja fa quello che vuole, nel modo che vuole, brucia come fuoco e risplende come sole, e a Dejan va bene così.

«Fermo lì» lo rimprovera Nemanja, premendogli una mano sulla nuca e affondando con più forza dentro di lui quando Dejan accenna a sottrarsi alle sue spinte profonde e regolari; anzi, lo schiaccia contro il materasso senza che il gesto assuma una particolare violenza, un po’ perché Nemanja non ha nessuna intenzione di prevaricarlo fino a quel punto (se non altro perché non sarebbe piacevole per nessuno dei due, le cose funzionano bene perché sono loro a farle funzionare così) e un po’ perché lui è arrendevole sotto quella spinta e si limita a inarcare la schiena quel tanto che basta perché sia comodo per entrambi. «Bene, così va bene» mormora, piegandosi su di lui e lasciandogli una scia di piccoli baci lungo tutta la curva della schiena, sorridendo nel veder tremare leggermente le sue braccia tese e le dita che stringono il lenzuolo strappato via dagli angoli: sente che effetto ha ogni colpo sul corpo di Dejan semplicemente godendosi la sensazione che ha sul suo. La presa sui suoi fianchi si fa più stretta, i suoi affondi un po’ più veloci, il suo respiro meno regolare. E Dejan disobbedisce ancora, reggendosi al letto con una mano sola per portare l’altra tra le sue gambe e accelerare l’arrivo del suo piacere; o almeno, ci prova, perché con un grugnito di disapprovazione Nemanja sposta la presa dai suoi fianchi ai suoi polsi, portandoglieli dietro la schiena e costringendolo ad appoggiare la testa e la guancia sul letto per non cadere, col solo, infausto risultato di prolungare e amplificare quella che è una piacevole tortura.

Dejan mugola una serie sconnessa di implorazioni, ogni affondo ora aggressivo e potente al punto da portarlo a strofinare tutto il suo corpo, piegato in quella posizione innaturale, contro il materasso, in una carezza irregolare che riecheggia soltanto del fastidio della stoffa e che gli fa perdere lucidità al punto da non accorgersi neppure dell’orgasmo dell’amico, che in verità continua a spingere finché gli è possibile. Quando Nemanja, stremato, lo lascia finalmente andare e porta una mano tra le sue gambe per afferrare il suo sesso, si accorge che Dejan non ha saputo aspettarlo.

«Alla fine fai sempre come dici tu» brontola, tamburellando con le dita appiccicose sulla sua coscia, ma nel morso accennato che gli lascia sulla spalla non c’è davvero voglia di punizione. Dejan si lascia ricadere sul letto, sorridendo. Va maledettamente bene così.

OBI

«Disturbo?» lo saluta Deki tutto allegro, reggendo un vassoio di pasticceria con una mano e levando l’altra sopra la testa per un momento. «Ho pensato che avessi bisogno di qualcosa di dolce.» Joel lo guarda con occhi sgranati che fanno fatica a trattenere la felicità, si fa da parte più svelto che può e lo lascia entrare in casa. «Come va quella?»

«Meglio» risponde, battendosi una mano sulla coscia - quella sbagliata; Deki non sembra farci molto caso, comunque - e andando completamente nel pallone pochi secondi più tardi. «Vuoi sederti un caffè... cioè, ti faccio il caffè, siediti, vuoi?»

«Aha. Sì, ci starebbe bene» annuisce, senza smettere di sorridere. Il caffè glielo consegna a capo chino una considerevole quantità di tempo più tardi, ma sa di acqua allungata e Deki deve faticare un po’ per mantenere un contegno men che gioviale mentre lo manda giù insieme a una pasta. Joel, prendendo posto accanto a lui sull’unico divano del suo soggiorno e afferrando un dolcetto, sembra un po’ meno mortificato.

Mezzo vassoio di paste dopo, Deki sa una quantità di cose sulla vita di Joel di cui probabilmente non è a conoscenza neanche la sua santissima madre, e Joel parla veloce e sconclusionatamente come se fosse ubriaco soltanto ad essere seduto a quindici centimetri da una delle due persone che ammira di più da quando è arrivato a Milano. Solo che i centimetri si fanno dodici, e poi dieci, e poi Joel si gira verso di lui per parlargli meglio (e Deki fa lo stesso, per imitazione); comincia a pensare che se si è avvicinato così tanto a lui da potergli contare i peli della barba non è proprio per ammirazione, e, con una lentezza ancora peggiore, sospetta che Deki ne sia perfettamente consapevole.

Quando si fanno le sette, e annuncia che è decisamente tempo di andare, Joel lo trattiene per un braccio, d’istinto.

«Cosa c’è?» gli chiede, imbronciando le labbra in una smorfia divertita e irresistibile, e Joel perde la testa. Gli getta le braccia al collo, sporgendosi su di lui fin quasi a cascare sul suo corpo, e lo bacia sulle labbra.

«Era ora, Joey» sussurra Deki, con un sorriso così largo da potervicisi annegare dentro, «cominciavo a disperare.»

Il divano è abbastanza stretto perché si limitino a qualche carezza fuori controllo, ognuno con le mani nei pantaloni dell’altro, e Deki comprende che è bene andarci piano, con un ragazzino con una gamba fuori uso e così spaventosamente turbato dai suoi stessi sentimenti, e che non è il caso di caracollare fino al letto per spingersi oltre. Poco più tardi, e le loro gambe nude si intrecciano per guadagnare spazio e piacere, e Joel geme forte, seminascosto contro la felpa di Deki, quando viene tra le sue dita. Si dà da fare meglio che può, a sua volta, e il respiro profondo e soddisfatto di Deki è una ricompensa ancora maggiore del suo orgasmo.

«La prossima volta saltiamo la fase di paste e caffè» stabilisce, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio, e Joel ride sommessamente, annuendo con entusiasmo.

PAZZINI

Chi raccoglie la bottiglia di birra vuota, gridando come un invasato perché si cominci a giocare a obbligo o verità neanche avesse quindici anni e resistenza all’alcol zero, è naturalmente Marco, poco importa se si regge sulle gambe meglio di tutti gli altri pur avendo fatto fuori un quarto della cassa praticamente da solo. Chi paga la prima penitenza, altrettanto naturalmente, è Cristian, quando si rifiuta categoricamente di dire a Thiago a cosa pensa quando si masturba, e quando si rimette in piedi dopo aver attraversato la stanza in equilibrio sulle mani - e, brillo com’è, non dev’essere stata una bella sensazione - nessuno è in grado di dire se stia per morire o semplicemente per vomitare. In ogni caso la domanda è bella pesante, e se la sentono porre prima Diego (“Un giro di striptease come il più infoiato dei gigolò di strada, Principe!”) e poi Julio (un’altra bottiglia, intera; una crudeltà bella e buona, considerando quanto gli vanno subito alla testa). Neppure Giampaolo, gli zigomi rossissimi per la mezza sbronza e per l’imbarazzo, si sente abbastanza fuori di testa per rivelare i suoi segreti di stato.

«Un bacio a stampo, Pazzo!» grida Cristian, tossendo contro la spalla di Marco per il troppo ridere. «A chi ti pare, e nessuno provi a negarsi.»

«Tutti tranne Deki perché ci mette la lingua» strilla Thiago, dando il via all’ennesima risata collettiva. Giampaolo non deve averlo sentito, perché sceglie giusto lui - d’altronde, gli sta di fianco, è troppo faticoso raggiungere Diego che gli piace decisamente di più. Solo che Dejan ci mette davvero la lingua. E, dopo un istante, ce la mette anche lui, anche se l’unico ad accorgersene è ovviamente proprio Dejan.

Giampaolo si ritrae di scatto, nascondendo il suo imbarazzo dietro una risatina e beccandosi una mezza gomitata nello sterno da parte di Cristian; resta ancora per un paio di giri soltanto per educazione - abbastanza perché anche Marco paghi la sua penitenza, e non c’è nulla di meno edificante al mondo che vederlo mimare atti irripetibili con una bottiglia vuota - e poi annuncia di essere stremato e di dover tornare a letto.

Con grande stupore generale, Dejan fa lo stesso cinque minuti dopo. O, quantomeno, è quello che racconta a loro.

Il viso di Giampaolo gronda di acqua gelida - ha provato a riprendersi un po’ gettando la testa sotto il rubinetto, e buon per loro che hanno già giocato e vinto o nessun santo avrebbe potuto salvarlo dall’ira funesta di tutto lo staff - quando apre la porta a Dejan, che sfoggia un’espressione insolitamente contrita.

«Non volevo infastidirti» dice, la voce chiara nonostante sia appena sfuggito alla serata alcolica, «mi dispiace averti imbarazzato così.»

«È tutto okay» risponde Giampaolo, stupito, dopo un momento di smarrimento. «Anche io...» aggiunge, e poi abbassa lo sguardo verso lo stipite della porta, più rosso in viso che mai.

Dejan sospira. Per nulla desideroso di impicciarsi dei sentimenti altrui - non da ubriaco, almeno - gli dà una pacca sulla spalla, comprensivo, e torna per davvero nella sua stanza.

QUARESMA

«Vuoi smetterla di ridere?»

«Come posso smettere di ridere?» ribatte Deki, sghignazzando senza pudore, completamente incapace di fermarsi perché ogni volta che ci prova si ritrova davanti agli occhi il viso un po’ offeso e un po’ accigliato di Ricardo. «Vieni in vacanza in Italia e nel mio villaggio vacanze preferito, il primo conoscente che becchi sono io e soltanto perché sono abbastanza noioso da andare al mare sempre allo stesso posto, e qual è la seconda cosa che mi dici dopo “la Turchia non è così male, è facile abituarsi”?»

«Deki, ti prego, non alzare la-»

«Che hai bisogno di aiuto perché ti sei ficcato in un ginepraio porno soft e non sai come uscirne!» continua Deki, a voce più bassa perché Ricardo non si scandalizzi troppo dal sentire ad alta voce quello che è riuscito a confessare soltanto in un bisbiglio confuso. «Guarda, caschi decisamente male, e non lo dico perché se fossi al tuo posto non penserei di mandare a ‘fanculo né Guti né tantomeno coso lì, Sabrosa, neanche se ne andasse della mia vita.» Allarga le braccia imperlate di sudore, serafico. «Mi hai mai visto mollare la presa con qualcuno, per dire? Lo specialista di storie strappalacrime e di triangoli inestricabili è Thiago, io sono un dilettante in tal senso.»

«Con me la presa l’hai mollata» gli fa notare Ricardo, inarcando le sopracciglia così tanto da farle spuntare al di là degli occhialoni scuri; Deki gli rivolge un’occhiata pigra, trattenendosi a stento dal ridere ancora, invidiandogli per un momento il livello di abbronzatura che non potrà mai raggiungere.

«Con te è diverso. Io ti ho fatto da nave-scuola, e in ogni caso non è che ti avevo insegnato a dar via il culo a chiunque soddisfi il tuo senso estetico. Quante volte siamo andati a letto insieme, due, tre?»

«Cinque» puntualizza, increspando le labbra in un sorriso imbarazzato. «Ma non è questo il punto. Non ci credo che non ti è mai capitata una cosa del genere. Io non ce la faccio a reggere, Deki, mi devi aiutare.»

Deki non risponde: osserva con svogliata attenzione sua moglie e i suoi figli che giocano a schizzarsi acqua l’un l’altro - si tocca facilmente, lì dove sono, e non c’è rischio per Aleksandar che non sa ancora nuotare benissimo e fa un cenno ad Ana quando lo saluta da lì per assicurarle che stavolta la raggiungerà per davvero.

«Non è il momento giusto, suppongo» commenta amaro Ricardo, facendosi per alzare dalla sdraio.

«È sempre il momento giusto. È sbagliato chiedere a me come risolvere la tua situazione.» Deki gli rivolge un’occhiata indefinibile, ma la bocca è atteggiata a un sorriso ironico. «Io, per dire, cercherei di portarmeli a letto tutti e due insieme. Ma è solo la mia opinione.»

Deki raggiunge la sua famiglia in acqua, stremato dalla prolungata esposizione al sole ligure; quando torna, grondante di acqua salata e di fatica, ma rigenerato dal bagno, Ricardo non è più lì. Il suo ringraziamento illumina il display del suo cellulare, abbandonato da qualche parte nella borsa di Ana.

A ~ I | J ~ Q | R ~ Z

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