Aug 22, 2007 11:11
"Se a volte urlo la rabbia, poi dimentico e mi perdo nei mondi dentro agli occhi dei miei gatti."
Francesco Guccini
E' da un pò che ci penso. Ogni volta che una delle mie gatte arriva dal niente e, senza un'apparente ragione, comincia a strusciarmisi intorno alle gambe. Ogni volta che carezzo loro la schiena e le vedo sollevare verso di me occhi sognanti, dannatamente belli. (Di quel giallo, o quel verde, che vorrei ritrovare in un volto). Ogni volta che mi puntano le zampe al petto e si sollevano in piedi per strusciarmisi contro il viso. Contro il naso.
I gatti - le gatte - sono uke.
Decisamente, inequivocabilmente uke.
Ed io per questo amo i primi. Per questo mi affascinano i secondi.
E' questione di arroganza, credo. Di sicurezza sensuale e delicata, mai prepotente, sempre discreta. Infida. Sottile.
Non hanno bisogno di mostrar le unghie per farsi ascoltare. Gli basta attorcigliarti la coda intorno alle caviglie.
Non hanno bisogno di atteggiarsi, per farsi adorare. Gli basta esistere.
Gli egiziani avevano capito tutto. Sempre detto, io.
Chiaramente, la mia concezione di uke è diversa dai classici stilemi yaoi. Ormai mi sono rassegnata.
I miei uke sono come gatti. Seiran, Vivian, Nico. Aya (che non è mio, ma chissenefrega). December e Killian, Lizard.
Qualcuno li direbbe puttane, con molta probabilità. In quasi tutti i casi. Non si fanno pregare, per infilarsi in un letto. Non esitano ad usare gli occhi per farsi ubbidire - distribuendo promesse indecenti, e mantenendole anche, nella maggior parte dei casi. Anche i gatti lo fanno. Nessun problema a vendersi, per caldo e cibo.
Ma. La soddisfazione di saperli già accontentati. Di saperli sazi, caldi, riposati. E ritrovarteli in braccio lo stesso, a pretendere carezze. A dispensare bellezza. Non esiste prezzo, per certi privilegi.
I miei uke, così come le mie gatte, regalano affetto solo quando vogliono. Solo a chi vogliono. Nei modi che ritengono più consoni. Ed io non posso che amare il momento in cui ciò succede.
gatti,
vivian,
uke