L'americano (Prima parte)

Dec 28, 2023 11:54


Dove avrebbe voluto vivere se non fosse nato a Starnazzone? In qualunque posto al mondo, anche a Sbaragazzo, che distava solo tre chilometri, ma almeno aveva un cinema parrocchiale che la domenica dava i film di 007.
In quel posto era venuto alla luce, come un timido pulcino che esce dall'uovo. Non appena gli occhi erano riusciti a mettere a fuoco quello che aveva intorno, aveva espresso i suoi primi due desideri, nella speranza che almeno uno si realizzasse. Tornare dentro il guscio? Purtroppo ci sarebbe voluto il vinavil e tanta pazienza o ritornare a vedere sfuocato. La seconda possibilità, unita alla fantasia, gli avrebbe regalato un paese migliore al punto che, con il passare dei giorni, avrebbe pure cominciato a credere che fosse davvero come lo immaginava. Starnazzone era abbarbicato su una collina, come edera ad un vecchio muro. Si diceva che quella fauce sdentata che si innalzava verso il cielo, un tempo fosse un vulcano. Dario non ci credeva. Se era un vulcano dove era il cratere? La collina in cima aveva la chiesa. A meno che non fosse proprio quella a tapparlo...ma, se così fosse stato, durante la messa si sarebbe stati al caldo e invece c'era sempre un freddo porco. Tutti stavano coi guanti, a battere i piedi al ritmo dei canti e sull'acqua gelata della fonte battesimale ci pattinavano le mosche.
Sì, perché quelle, che d'estate arrivavano a milioni, erano così cocciute, che neppure il freddo riusciva a scacciarle. Qualcuno diceva che lì a Starnazzone gli insetti erano particolari, sul guscio degli scarafaggi si poteva scorgere il viso della madonna, le formiche avevano una gamba in più e alle mosche, ai primi freddi, spuntava il cappotto.
I più raccapriccianti erano i ragni, che il maestro diceva che non erano nemmeno insetti. Quelli tessevano instancabili le loro ragnatele, con le quali acchiappavano perfino i passerotti. C'erano case che erano state abbandonate a causa loro e nessuno aveva più il coraggio di tornarci.
Un giorno in paese arrivò un americano. Lo si capiva subito che non era di quelle parti e non per l'auto che guidava o per l'abbigliamento, ma perché, non appena vista una di quelle case infestate, aveva chiesto se poteva andarci ad abitare. Si era fatto avanti Cosimo, che era il proprietario. Nonostante da tempo l'avrebbe volentieri buttata giù, non se la sentì di nascondere il motivo per cui era famosa. Il tizio però, l'americano, disse che erano proprio i ragni il motivo del suo interesse, perché sapeva che, in abitazioni come quella, abbondano.
Cosimo, con la coscienza più pulita del velo della statua della madonna, gli affittò la casa per centomila lire al mese. Con quei soldi sarebbe andato dal dentista, per farsi aggiustare un dente che gli ballava da almeno un anno.
Per Dario, l'arrivo dell'uomo, fu una sorprendente ed inattesa novità. Non solo era straniero, ma non aveva nessun timore di quelle bestiole. Quando girò la voce che cercava un aiutante, Dario si precipitò a trovarlo, con la speranza di essere accettato.
Giunto alla sua porta sentì delle voci provenire dall’interno. Una la riconobbe, era quella di Osvaldo, mannaggia, lo aveva preceduto. Invece che girare sui tacchi e tornare ad immergersi nella solita noia, rimase immobile ad origliare. Non riusciva a capire che cosa si dicevano, ma in cuor suo sperava di vederlo uscire deluso, perché l’americano aveva deciso che non era adatto a lui. Avvenne circa così, ma Osvaldo uscì con una tale rapidità, che Dario fece appena in tempo a spostarsi per non venire travolto. Sul volto sfoggiava un’espressione terrorizzata, come se avesse visto il demonio. Lo vide correre fino alla piazza e poi sparire lungo la strada che porta ai campi, mentre con le mani sembrava voler scacciare qualcosa che aveva tra i capelli. La porta, dopo aver sbattuto con energia contro lo stipite, era rimasta accostata. Dario bussò e mormorò: Permesso?
Viene tu avanti, prego - lo invitò una voce con un forte accento straniero.
Dario entrò. L’ambiente era meglio di come lo aveva immaginato. L’uomo in pochi giorni, si era dato da fare, ora la stanza sembrava pulita come qualunque altra nel paese.
C’erano un tavolo, tre seggiole, un baule chiuso e sul davanzale della finestra era poggiata una radio, che diffondeva musica nell’ambiente. Dario, che si era levato il berretto che teneva sempre in testa, un copricapo con sopra il nome di un colorificio che gli aveva regalato suo zio imbianchino, entrò timoroso.
Tu qui per job, sì? - chiese l’americano, allungando una mano che il ragazzo strinse.
Sì - rispose Dario. Ho visto che il ragazzo di prima…- aggiunse, come se non conoscesse il suo nome, ma l’americano non gli fece finire la frase: Uh quello, come dire voi, schittinoso?
Ehm, forse schizzinoso? - buttò lì Dario.
Sì, esatto, lui schittinoso, tu? - chiese, guardando il ragazzo dritto negli occhi.
A me non fa schifo niente - ammise Dario, che era abituato a prendere gli orbettini e infilarseli in tasca, a carezzare i bombi e a pulire la pozza del letame.
Molto benissimo, tu allora prendi questo, sì? - chiese, porgendogli una scatola di legno che sul coperchio mostrava numerosi fori.
Dario l’afferrò, era leggera come se fosse priva di contenuto.
Ora tu apre - lo invitò l’uomo e Dario obbediente levò il coperchio.
Pareva che dentro, sul fondo, ci fosse solo della paglia. Ad una seconda occhiata, vide che c’era un ragno dello stesso colore.
Suo nome di questo è Henry - lo presentò l’uomo.
Molto piacere, io sono Dario - ricambiò il ragazzo.
L’americano si fece una gran risata, poi allungò una mano nella scatola e la creatura lesta salì lungo il braccio. Si fermò circa a metà e lì rimase, sollevando il corpo al ritmo della musica che proveniva dalla radio.
Mma, sta ballando! - esclamò Dario per lo stupore.
Sì, Henry, bravissimo ballerino! - disse l’uomo orgoglioso.
Le ha insegnato lei? - chiese il ragazzo, che fissava l’animale come ipnotizzato.
No, lui fa da solo, ama Elvis. Tu conosce? - chiese.
Elvis, lo conosco sì, certo, è incredibile!
Tu dici Presley?
No, dico il ragn, ehm, Henry!
Sì, devo confirmare, lui creatura speciale. Ragazzo di prima invece scappato via.
Uh lo conosco, è un fifone - confessò Dario con aria superiore.
Adesso tu prende Henry e rimette in scatola - disse l’uomo.
Forse era la prova che Osvaldo non aveva superato? Dario allungò una mano, la posò vicina al ragno che continuò per qualche istante ancora a muoversi al ritmo della musica, poi salì sulla sua mano e lì rimase immobile, come se sapesse che sarebbe stato trasportato fino alla sua dimora.
Quando la mano del ragazzo giunse vicina alla scatola, quello scese e si accomodò tra la paglia. Dario chiuse il coperchio e porse la scatola all’americano, che la ripose su una mensola della credenza, insieme ad altre che Dario non aveva notato fino a quel momento.
In breve l’americano spiegò che lui era un aracnologo, uno studioso di ragni. Aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a catturarli, per studio e catalogazione. Lì a Starnazzone ce n’erano molte specie, la maggior parte delle quali lui non aveva mai visto. Questo fatto riempì il ragazzo di una sorta di patriottica fierezza, se qualcuno veniva addirittura, dall’America per studiare i ragni del paese, dovevano essere importanti! Ah se lo avesse saputo il sindaco, che si dannava sempre per cercare qualche attrattiva per i turisti.
(Continua)

ragni

Previous post Next post
Up