Dec 27, 2023 15:53
Buongiorno, sono venuto per una consulenza.
Ha prenotato?
No, non sapevo fosse necessario.
Mm, prima volta?
Beh, sì.
Allora vediamo di infilarla tra uno e l'altro, ma ci sarà da aspettare.
Molto?
Abbastanza.
Potrebbe essere più precisa?
Fossi in lei mi metterei l'anima in pace, raccoglierei una rivista e lascerei il suo nominativo a quella che sta importunando da cinque minuti.
Che sarebbe lei.
Esatto.
Mi chiamo Erio Serio.
Sta scherzando?
No, sono serio.
Nonostante quel mattino la donna avesse indossato la solita maschera stizzita, scoppiò a ridere.
Mi scusi - disse, quando riuscì a calmarsi. Può star certo che non scorderò il suo nome. Ora vada ad accomodarsi, la chiamiamo noi.
Non capiva perché in certi luoghi si parla al plurale, forse perché la maggioranza vince?
Erio afferrò senza guardare una delle tante riviste che occupavano il tavolino, individuò la seggiola più distante dalla porta di entrata e si sedette.
Dopo qualche minuto, cominciarono ad arrivare i pazienti. Ben presto tutte le seggiole furono occupate.
Non c’era nessuno con la faccia smarrita come la sua, erano tutte persone abituate a venir lì, lo si capiva dalle loro movenze o dal modo in cui sceglievano cosa leggere. Prima di tornare a sedere con in mano una rivista, ne avevano scartate almeno un paio. Qualcuno dava del tu alla segretaria che, nel loro caso, sorrideva.
Il dottore entrò. Ancor prima che la porta di ingresso si fosse richiusa, già era sparito nello studio. Era stato rapido come un crotalo, che è balzato fuori dalla sua tana per ghermire un povero topolino.
Sansevieri! - chiamò la donna. Ed ecco che uno spilungone si alzò. Non aveva neppure raccolto una rivista, sapendo di dover attendere ben poco.
Dopo di lui fu il turno di altri tre. I primi rimasero dentro venti minuti per uno, ma il terzo pareva aver preso residenza nello studio, erano trascorsi almeno quaranta minuti da quando era entrato.
Erio guardò l’orologio, poi si alzò e andò dalla segretaria.
Quella, pur accorgendosi del suo arrivo, non alzò la testa dal foglio, dove stava disegnando una elaborata cornicetta. Pareva un’opera che non si poteva interrompere. Erio attese, poi buttò lì un: Mi scusi?
Quella allora alzò la testa, cosa c’è adesso? - chiese.
Il tipo che è entrato è dentro da un’ora, non è che può far qualcosa?
Signor Serio, non mi faccia ridere - disse, sorridendo per la battuta involontaria. Le sembra possibile che io possa entrare nello studio e interrompere il dottore che sta sicuramente visitando? Magari chiedendogli di sbrigarsi perché lei, che non aveva neppure prenotato, possa essere ricevuto?
Non dico quello, intendevo che, forse, è successo qualcosa. Gli altri hanno impiegato dieci minuti!
Signor Serio, vuole un consiglio?
Dica…- rispose Erio, guardando il soffitto da dove un ventilatore era fermo dall’estate precedente.
Si vada a sedere, prenda una rivista, la chiamiamo noi.
E questo sarebbe un consiglio?
Il migliore che possa darle.
Noi facciamo il possibile, voi dovete essere…pazienti - concluse.
Il ragazzo tornò a sedersi, passando raccolse una rivista ma, dopo aver visto la copertina, la rimise a posto. Non gli andava di ubbidire alla lettera a quello che diceva la donna, la portavoce di una collettività presunta, che si ergeva a gruppo solo per far sentire i singoli in difficoltà.
Guardò nella sua direzione, vide la testa, che spuntava appena dietro il banco. Probabilmente aveva ripreso la sua stupida cornicetta.
Contò le persone in attesa, erano rimasti in sette. Quella gli aveva detto che lo avrebbe fatto passare tra uno e l’altro, ma probabilmente intendeva che il suo turno sarebbe stato alla fine, quando l’ultimo paziente se ne fosse andato. Da un certo punto di vista era giusto così, ma perché non dirglielo? Avrebbe perfino potuto, basandosi sulla sua esperienza, suggerirgli di tornare non prima di un paio d’ore. Erio avrebbe potuto far la spesa o guardare due vetrine e poi arrivare poco prima del suo turno. Questi sono però gesti di riguardo, che vengono riservati alle persone simpatiche. Lui, per quanto il nome sul suo citofono la facesse ridere, doveva starle sulle palle, il perché, gli sfuggiva. Decise che la cosa era reciproca e cominciò a pensare a dei buoni motivi per denigrarla.
Certo era antipatica, scontrosa, si prendeva confidenze che non le erano concesse. Vestiva in modo sciatto, indossava un brutto orologio di plastica, di quelli che si trovano nei fustini di detersivo e si mangiava le unghie.
Dopo questa rassegna Erio si sentiva meglio. Le avrebbe dimostrato, con il suo paziente silenzio, che lui era superiore a quel micropotere che lei sfoggiava nei suoi confronti. Non si sarebbe più mostrato ansioso, non avrebbe letto nessuna rivista nell’attesa. Sarebbe stato capace di rimanere immobile, con la schiena ben poggiata al muro, a vivere quel tempo di inattività come un’asceta.
Passò un’altra mezz’ora. Gli altri in attesa avevano cominciato a spazientirsi. Uno si alzò e si recò dalla donna, proprio come aveva fatto lui. Parlarono per qualche minuto, poi tornò a sedersi. Da come buttò via la rivista che aveva in mano, capì che neppure lui era stato accontentato. Qualunque richiesta avesse rivolto alla donna.
Un altro paziente guardò l’orologio, poi senza dir nulla uscì, sbattendo la porta. Erio poteva giurare che non gli era scivolata dalle mani, ma che il rumore seguiva un gesto di stizza.
Dentro di se gongolava. Era una ben misera vittoria, ma non si sentiva più solo. Ne era già sicuro, adesso aveva la conferma. La porta dello studio non si apriva da più di un’ora e mezza, che tipo di visita stesse riservando il dottore al tizio entrato non sapeva. Se tutti fossero stati come lui, avrebbero atteso per una settimana.
Suonò l’orologio del campanile, dodici rintocchi. La segretaria a quel punto fece due conti. Lo studio, in teoria, avrebbe chiuso entro un’ora, c’erano sei persone in attesa ed era poco probabile che il dottore riuscisse a ricevere tutti.
Signor Serio? - chiamò allora.
Erio non scattò come una molla, anche se a sentire il suo nome aveva sussultato. Si guardò in giro, come se non avessero chiamato lui, poi si alzò, lentamente. Si stirò le gambe, poi le braccia una dopo l’altra, piegando i gomiti. Sentì scrocchiare le spalle, prese l’appunto mentale di riprendere con la ginnastica del mattino. Raggiunse la donna, posò i gomiti sul banco, all’altezza del suo viso e disse: Sì?
Signor Serio, mi sa che non riusciamo a riceverla oggi. Forse dovremmo mandare a casa anche qualcuno che ha prenotato, si figuri. Erio immaginò di mettersi ad urlare. Avrebbe potuto chiedere a gran voce chi fossero QUELLI che lo mandavano a casa, avrebbe voluto sapere i nomi e poi capire cosa diavolo stava succedendo dentro lo studio, lo esigeva. Invece rimase calmo, forte della ragione che gli scaldava il cuore, disgustato da quegli orecchini che deformavano le orecchie della donna, sicuro di non essere più solo, ma parte dell’infinita vastità di pazienti che subiscono angherie, fin dalla notte dei tempi.
Non c’è problema - disse. Torneremo un’altra volta - aggiunse Erio.
La donna pensò di suggerirgli che era meglio prenotare, se voleva essere certo di non attendere più del dovuto, ma si voltò verso la porta chiusa dello studio e rimase in silenzio.
Quando Erio uscì, fece attenzione a chiudere la porta, senza fare il minimo rumore. Loro, le buone maniere, le conoscevano alla perfezione.
Prosit
attese