Titolo: “For handing you a heart worth breaking”
Fandom: Hey! Say! JUMP
Personaggi: Chinen Yuri, Takaki Yuya, Inoo Kei, Yaotome Hikaru
Pairing: Takachii
Warnings: One Shot, Slash, School!AU
Word Count: 7.482
fiumidiparoleRating: NC-17
Prompt: 263. “Un domani solitario”, School!AU; Silenzio
NdA: Storia scritta per la challenge
think_angst, per il set AU, per la
diecielode per la tabella Ideal Seduction, e per la
500themes_ita.
Parte 2 ~ For handing you a heart worth breaking ~
Yuri sapeva che c’era qualcosa di strano.
L’aveva capito non appena aveva visto Hikaru e suo fratello avvicinarsi a Yuya che qualcosa non andava.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che li aveva visti insieme?
Aveva solo tredici anni l’ultima volta che Takaki era andato a casa loro, l’ultima volta in cui aveva visto Kei e Hikaru rivolgergli la parola, l’ultima volta che aveva potuto chiamarli amici.
Quando avevano smesso di frequentarsi, Yuri non aveva battuto ciglio.
Sapeva bene quanto il fratello andasse poco d’accordo con le domande indiscrete, tanto più quando era lui a porgliele.
Quella mattina Kei era uscito di casa molto prima di lui, e pur essendosi domandato il perché non vi aveva prestato troppa attenzione. Aveva semplicemente pensato che dovesse vedersi con qualcuno.
Qualche nuovo fidanzato, o cose del genere.
Conosceva bene abbastanza Kei da sapere che c’erano sempre nuovi fidanzati quando si trattava di lui.
Vederlo lì in quella situazione invece, lo lasciava tutt’altro che indifferente.
Si mise da parte, nascosto dal muro dal quale spuntava il cancello della scuola, ignaro degli sguardi degli altri studenti su di lui.
Scorse Hikaru afferrare lo zaino di Yuya e scaraventarlo per terra, prima di avvicinarsi a lui con quel suo sorriso maligno che Yuri tanto detestava.
Il suo movimento fu così veloce che il più piccolo fece prima a sentire il gemito di dolore di Takaki che a vedere il pugno arrivatogli sullo stomaco.
Spalancò gli occhi, sentendo il fratello ridere.
“Ha fatto male, Yuuyan?” gli chiese, sarcastico, prima di andargli anche lui vicino, posandogli una mano sul viso e facendo forza su di esso con le unghie, lasciando una leggera scia di sangue al loro passaggio.
“Forse non ne ha fatto abbastanza” propose Hikaru, rifilando un altro pugno al più grande, questa volta sullo sterno, lasciandolo a terra privo di fiato.
“Yuya, Yuya...” disse Kei, scuotendo ripetutamente la testa. “Non l’hai ancora capito, dopo tutto questo tempo?” il suo viso si fece più serio, i lineamenti più aguzzi. “Avresti dovuto capire due anni fa che il tuo posto non è più qui. Avresti dovuto capire che te ne saresti dovuto andare, ma...” tornò a sorridere, come calmatosi improvvisamente. “Ma se preferisci rimanere, allora io e Hikka saremo ben felici di riaccoglierti a braccia aperte. Ogni giorno” concluse, allontanandosi insieme a Yaotome e dirigendosi verso l’entrata della scuola, abbastanza lontana perché su di loro non ci fossero altri occhi indiscreti, eccezion fatta per quelli di Yuri.
Questi era sconvolto dalla scena alla quale aveva appena assistito.
Si rese conto di aver spalancato la bocca, e la richiuse con un gesto secco.
Guardò ancora Yuya mentre questi si rialzava a fatica, tenendosi una mano sul punto dove Hikaru l’aveva colpito, e si avviava a sua volta verso la scuola, con lo sguardo chino.
Yuri attese che si fosse allontanato per superare il cancello, camminando con passo incerto.
Da quant’era che andava avanti in quel modo?
Da quanto tempo suo fratello...
Non riusciva a capire.
Aveva iniziato le superiori soltanto da pochi giorni, ragione per la quale non avrebbe mai potuto accorgersi di quella routine che, stando alle parole di Kei, andava avanti giorno dopo giorno da due anni.
Non se ne capacitava, affatto. Non capiva cosa potesse essere accaduto di tanto grave da far sì che i due smettessero di frequentare Yuya, e ancor meno comprendeva quanto grave potesse essere da lasciare che si prendessero gioco di lui e lo picchiassero, senza ottenere la minima reazione.
Yuri era turbato, e non gli piaceva quella sensazione.
Ricordava bene Yuya.
Lui, Hikaru e Kei erano stati amici sin dalle scuole medie, e lui era solo un bambino quando l’aveva conosciuto.
Gli era sempre piaciuto quel suo modo di fare pacato, ed era stato sempre il suo preferito fra gli amici di Kei.
Molto più di Hikaru, senza dubbio, e i fatti sembravano anche dargli ragione in tal senso.
Entrò in classe controvoglia, guardandosi intorno senza prestare la minima attenzione a quello che stava dicendo loro il professore di storia.
Non riusciva a dimenticare l’espressione di Yuya, non riusciva a dimenticare l’accanimento di Hikaru.
E ancora meno riusciva a non pensare allo sguardo maligno sul volto del suo stesso fratello.
***
Gli capitò ancora di vederli nei giorni a seguire.
A dire il vero, se li andava a cercare.
Quando Kei usciva di casa non aspettava che pochi minuti prima di uscire a sua volta, seguendolo a distanza perché non si accorgesse della sua presenza.
Si mettevano sempre in angoli diversi del cortile o dell’ingresso o del campo, attenti a non farsi scoprire.
E tutti i giorni lo picchiavano e gli dicevano che quello era il suo posto, e Yuri ormai l’aveva sentito abbastanza volte da non riuscire a dimenticare quella frase, domandandosi invece come avesse fatto Yuya a conviverci nel corso degli ultimi due anni.
Durante una di quelle mattine, Hikaru e Kei esagerarono.
Dopo essersi allontanati, Yuri vide Takaki rimanere a terra, il naso e la bocca sanguinanti, senza dare cenno di volersi rialzare.
Tentennò.
Si sentiva già orribilmente in colpa per il fatto di continuare a guardarli senza trovare mai il coraggio di fare niente, senza intromettersi e senza dire niente a nessuno riguardo a quanto accadeva.
Ancora peggio si sarebbe sentito in quell’occasione se l’avesse lasciato lì a terra senza aiutarlo.
La verità era che si vergognava, un po’.
Si vergognava del fatto che fosse stato suo fratello a ridurlo in quello stato. Si vergognava delle parole e dei gesti di Kei come se fossero suoi, e bene immaginava quanto poco Yuya fosse disposto ad avere a che fare con lui.
Ma vedendo come continuasse a rimanere fermo per terra, uscì da dietro l’ala dell’edificio dove si era nascosto e lo raggiunse, lentamente.
Yuya alzò lo sguardo solo quando fu a pochi passi da lui, e lo vide sussultare non appena lo riconobbe.
“Yuri...” mormorò. “Cosa vuoi?” aggiunse poi, sulla difensiva, e il più piccolo non poté che dargli ragione per averlo fatto.
“Niente, io...” balbettò, mordendosi un labbro. “Ho visto che eri a terra, e ho pensato che ti potesse servire una mano” disse, a voce bassa, quasi come se avesse paura di una sua qualche reazione.
Yuya sospirò, scrollando le spalle.
“Non mi serve niente, grazie” disse, fra i denti. “Non da te, né da nessuno della tua famiglia” aggiunse, sarcastico.
Yuri lo guardò rialzarsi a fatica, senza riuscire a trattenere un gemito di dolore, e fare per allontanarsi, prima di voltarsi verso di lui. “Dì a tuo fratello che...” s’interruppe, sospirando. “Anzi no. Non dirgli niente. Se avessi davvero qualcosa da fargli sapere gliela direi io.” mormorò, rivolto più a se stesso che a Yuri.
Quest’ultimo lo guardò andarsene, sentendo come un’improvvisa sensazione di vuoto in mezzo al petto.
Avrebbe voluto fermarlo.
Fermarlo, e dirgli che lui non c’entrava niente con quello che gli faceva Kei, che lui non sapeva nemmeno per quale motivo lo facesse, che non c’era ragione per trattarlo in quel modo, che...
Cosa gli interessava, in fondo?
Perché continuava a seguire Kei tutte le mattine, perché si ostinava a guardarlo mentre lui e il suo migliore amico picchiavano qualcuno che un tempo era stato a sua volta loro amico, perché non si decideva a fare qualcosa al riguardo, o a smettere di guardarli se proprio non aveva intenzione di fare nulla?
Si era detto che la propria curiosità derivava unicamente dal pensiero che il fratello potesse fare qualcosa di tanto orribile, tanto più che inaspettato, ma fu in quel momento che si rese conto del fatto che non era così.
Non era lì per Kei.
Era lì per Yuya, e anche di quello non riusciva a spiegarsi il perché.
***
Accadde ancora. Andò avanti ancora per una settimana, e Hikaru si faceva sempre più irruento nei confronti di Yuya, e Kei gli andava dietro con quel suo solito modo di fare apparentemente delicato, eppure dolorosamente efficace.
Yuri non ce la faceva più.
Non ne poteva più di guardare una volta scoperto quanto gli facesse male, una volta scoperto quanto impossibile gli fosse incrociare Takaki nel corridoio e sostenere il suo sguardo.
Quel giorno Yuya sembrava reggere sempre meno i pugni di Hikaru, al pari delle parole di Kei.
Chiedeva loro di fermarsi, qualcosa che normalmente non faceva, e fu probabilmente quello a colpire tanto Yuri.
Per la prima volta da qualche settimana a quella parte, fece un passo avanti.
Erano nel cortile interno, a quell’ora completamente deserto, e per gli altri tre fu impossibile non vederlo arrivare.
Hikaru smise di picchiare Yuya, continuando comunque a tenerlo saldo per una manica della divisa, mentre Kei spalancò gli occhi, allontanandosi di poco dagli altri due.
“Yuri, che cosa diamine...” disse, passandosi la lingua sul labbro inferiore, improvvisamente nervoso. “Vattene. Non sono cose che ti riguardino.” gli intimò, cercando di mostrarsi il più autoritario possibile.
Yuri riconobbe a malapena suo fratello dietro quel tono di voce.
“Lascialo andare” rispose invece alla volta di Hikaru, aggrottando le sopracciglia, senza concedersi di spostare lo sguardo su Yuya.
Yaotome guardò Kei, confuso, come chiedendogli cosa dovesse fare.
Erano evidentemente spiazzati, ma dall’espressione di Kei Yuri comprese quanto poco il fratello fosse disposto a lasciarsi condizionare dalla sua presenza.
“Yuri, ti ho detto di andartene” ripeté, se possibile ancora più freddamente di prima. “Fidati di me, è meglio se lo fai.”
Yuri riconobbe alla perfezione la minaccia dietro le sue parole, ma ancora non se ne curò.
Se se ne fosse andato in quel momento, sapeva che non ci sarebbe stato più niente da fare per lui. Sapeva che Yuya l’avrebbe preso per un codardo ala stregua di suo fratello, sapeva che non avrebbe più trovato il coraggio di intromettersi.
Si avvicinò a Takaki, mettendo la mano su quella di Hikaru e mettendo tutta la forza che aveva per spingerlo a lasciarlo andare, sperando che bastasse il gesto e non la forza effettiva.
Se avesse voluto, Hikaru avrebbe potuto fargli più male di quanto potesse anche solo immaginare.
Le sue previsioni tuttavia si rivelarono esatte.
Sospirando, Kei lo scostò dal proprio amico, afferrando poi Hikaru per un polso e allontanandosi.
“Per oggi abbiamo finito” sibilò, allontanandosi e rivolgendosi poi verso il fratello minore. “Se ti azzardi ancora a metterti in mezzo a faccende che non ti riguardano...” lasciò aperta la minaccia, per poi sorridere. “Andiamo Hikka. Noi ci vediamo domani tanto, no Takaki?” aggiunse, rivolto al più grande, il quale era ancora in ginocchi sul cemento.
Rientrarono nell’edificio, lasciando Yuri e Takaki da soli nel cortile.
“Non avresti dovuto farlo” furono le prime parole che gli rivolse Yuya non appena gli altri due furono spariti.
Yuri alzò un sopracciglio, tirando fuori dei fazzoletti da una tasca della divisa e porgendogliene uno.
“Avrei dovuto lasciare che...” tacque, arrossendo.
Aveva già lasciato che lo facessero, e Yuya lo sapeva.
Quella frase non poteva suonargli più ipocrita di così.
“Per quale motivo l’hai fatto?” gli domandò il più grande, e a Yuri parve che il suo tono di voce fosse più rilassato rispetto alla prima volta che avevano parlato.
Sperava solo che si fosse convinto della sua buona fede, che non lo giudicasse ancora alla stregua di suo fratello.
Al momento, non c’era cosa che temesse di più.
Alzò le spalle, tenendo lo sguardo chino.
“Non lo so. Io...” sospirò. “Mi ricordo di come tu, Kei e Hikaru foste amici. Mi ricordo di quando hai smesso di venire a casa nostra, e mi sono domandato il perché. Potevo immaginare che avessi litigato con loro, ma...” si morse un labbro, improvvisamente cupo. “Non c’è niente che li giustifichi per il modo in cui si stanno comportando” concluse.
Yuya, contro ogni aspettativa, si mise a ridere.
“Pensi davvero di poter fare qualcosa?” lo prese velatamente in giro. Si mise in piedi, posandogli una mano sulla spalla. “Yuri... lascia perdere. È qualcosa di più grande di me e di te, e non c’è niente che possiamo fare per farli smettere. Se vanno a dormire più sereni la notte per quello che fanno, a me sta bene così. Non mi importa, davvero. Non ti ci devi mettere in mezzo tu, non ne vale la pena.”
Il più piccolo arrossì, irritato per quel modo di fare.
“Come fai a dire una cosa del genere?” sibilò. “Quei due ti picchiano tutti i santi giorni da due anni e tu non fai niente per difenderti? Reagisci, per amor del cielo! Dì a qualcuno come stanno le cose. Ma non venirmi a dire che ti sta bene, perché non è possibile una cosa del genere!”
Yuya lo guardò, improvvisamente triste.
“Su una cosa tuo fratello ha ragione, Yuri. Non sono affari che ti riguardino” mormorò, avviandosi a sua volta verso la porta.
Non aggiunse altro e se ne andò, lasciandolo da solo.
Yuri si sentiva scoppiare.
Se prima non comprendeva il comportamento di Kei e quello di Hikaru, ora era quello di Takaki a spiazzarlo.
Come faceva a sopportare tutto quello? Come faceva a...
Sospirò.
Non c’era niente che potesse essere cambiato, arrivati a quel punto.
Se quella mattina aveva scelto di intromettersi, adesso erano diventati anche affari suoi.
Sapeva che il fratello non gli avrebbe perdonato quanto accaduto, per cui perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi di peggiorare una situazione già così tanto rovinata?
Non sapeva per quale ragione, ma sentiva di doverlo a Yuya.
Non avrebbe permesso che lo ferissero. Non più.
***
Yuri posò il proprio vassoio nel posto davanti a quello di Yuya, guardandosi intorno prima di mettersi a sedere.
Gli occhi di suo fratello, al pari di quelli di Hikaru, erano fissi su di lui, studiavano ogni suo movimento.
Sospirando, Yuri prese posto davanti al più grande.
“Quante volte ti ho detto di non sederti con me, Yuri?” si lamentò Takaki, smettendo improvvisamente di mangiare.
Il kouhai alzò solo brevemente lo sguardo su di lui, prima di scrollare le spalle e attaccare il proprio pranzo.
“Com’è andata la mattinata?” gli chiese, come se l’altro non avesse detto nulla.
“Yuri...” si lamentò ancora.
“Cosa c’è?” domandò l’altro con la bocca piena.
Yuya lo fissò a lungo, poggiandosi contro lo schienale della sedia.
“Perché non riesci a lasciar perdere?”
Solo allora il più piccolo lasciò andare le bacchette, arrossendo.
“Io...”
Non sapeva come rispondere a quella domanda.
O meglio, pur sapendolo nel proprio inconscio, non si sentiva ancora pronto a dirglielo, e forse non lo sarebbe stato mai.
Riprese a mangiare, ignorandolo ancora.
“Ti ho detto di non preoccuparti per me, Yuya. Mio fratello non mi farebbe mai del male, per cui non vedo perché tu ti debba impensierire.” mentì.
Kei non aveva preso bene quel suo schierarsi a favore di Takaki, affatto.
Gli aveva urlato contro, gli aveva detto che non erano affari che lo riguardassero, gli aveva detto che se ne sarebbe pentito, e niente di tutto ciò aveva sortito effetto.
Yuri non sentiva ragioni e non coglieva minacce, perché ormai il suo coinvolgimento nei confronti di Yuya si era spinto troppo oltre.
Si era innamorato di lui, suo malgrado.
Non sapeva perché e capiva quanto poco realistico potesse essere uno scenario in cui il più grande lo potesse ricambiare, ma per quanto ci si fosse sforzato non era riuscito a mettere a tacere ciò che provava.
Ed era anche per quello che ora non avrebbe lasciato Yuya in balìa di se stesso, quali che fossero le conseguenze.
“Non sai nemmeno che cosa sia successo per cui loro abbiano cominciato a comportarsi così. Hai mai pensato che possano avere ragione ad avercela con me?” lo provocò il più grande.
Yuri spalancò gli occhi, soffermandosi a pensare su quanto avesse appena detto.
No, non ci aveva pensato più dopo un po’, per quanto effettivamente fosse lecito per lui porsi delle domande.
“Non m’interessa. Qualsiasi cosa tu possa aver fatto, loro sono dalla parte del torto. Non è questo il modo in cui si reagisce, no?” disse, deciso. “Vuoi... vuoi dirmi la ragione?” gli chiese poi, più incerto, mentre il più grande si lasciava andare ad una risata amara.
“Non è il caso. Non adesso almeno” rispose, per poi alzarsi e prendere il proprio vassoio. “Sarà meglio che vada, adesso. Non mi piace essere fissato mentre mangio” gli disse, alzando velocemente gli occhi in direzione del tavolo al quale era seduto Kei, e Yuri non ebbe bisogno di guardare per comprendere a cosa si stesse riferendo.
Lo guardò andarsene, come faceva sempre quando cercava di passare del tempo con lui, e finì controvoglia il proprio pranzo.
Nemmeno a lui piaceva essere guardato mentre mangiava ma, a differenza di Yuya, quella era stata unicamente una sua scelta.
***
“Posso venire da te oggi?”
Yuya strabuzzò gli occhi, prima di scuotere la testa e continuare a camminare.
“Yuri, c’è essere eccessivamente zelanti e poi c’è essere stupidi. Già suppongo che tuo fratello a malapena ti rivolga la parola, che motivo c’è di irritarlo ancora più di così?” gli chiese, non riuscendo a mantenere il passo lungo abbastanza da distanziarlo.
Era un’altra abitudine che aveva preso Yuri, quella di percorrere quel tratto di strada insieme a lui.
Conosceva a menadito i suoi orari, dato che erano all’incirca gli stessi di Kei.
Andava presto abbastanza da concedere ai due la privacy di cui avevano bisogno per continuare a picchiarlo, e Yuri poteva ben immaginare che non fosse per far loro una cortesia, ma piuttosto per evitare eccessivi sguardi indiscreti addosso.
Almeno questo, di lui, lo capiva.
“Oggi mio fratello non dovrebbe nemmeno venire a scuola” comunicò, con un sorriso. “Ho lasciato mia madre che tentava di farlo scendere dal letto e lui che si dava malato. Credo che alla fine la spunterà.”
“C’è pur sempre Hikaru” Takaki sospirò, fermandosi improvvisamente e mettendogli le mani sulle spalle. “Lo so che lo fai per me, Yuri, ma almeno non mi seguire la mattina. Tanto è perfettamente inutile, non ti ascoltano e non puoi fare niente per me, non...” parve sentirsi in colpa per quel commento, e si affrettò ad aggiungere: “non in quel frangente, almeno.” concluse, con un sospiro.
“Ma posso sempre provarci, no?” mormorò il più piccolo, stranamente mortificato dalle parole di Takaki. “Lo so che non sono particolarmente utile, ma...”
Yuya gli sorrise, scuotendo la testa e cercando di tranquillizzarlo.
“Non è vero che non lo sei. Sei... sei l’unica persona che si sia accorta di quello che stava accadendo, e sei l’unica in due anni che mi abbia offerto il proprio aiuto” gli spiegò, prima che il suo sguardo si rattristasse. “Ma non adesso, Yuri. Vai in classe ora, ok? Ci... ci vediamo a pranzo” gli disse, come se gli stesse offrendo qualcosa in cambio.
Yuri si morse un labbro e alla fine annuì controvoglia, continuando a camminare accanto a lui senza dire un’altra parola, fino a che il più grande non si diresse verso il cortile della scuola mentre lui proseguiva oltre il cancello verso l’entrata.
Si accorse del fatto che qualcosa non andava quando vide Hikaru poggiato contro uno dei pilastri poco lontani dall’ingresso.
S’incamminò verso di lui con un sorriso, lo stesso che Yuri tanto detestava, e lo prese per un polso, fingendo che fosse perfettamente normale, per non dare nell’occhio.
“Vieni con me, Yuri” sibilò all’altezza del suo orecchio, trascinandolo oltre il muro della scuola.
Dalla parte opposta, notò il più piccolo, rispetto a dove era andato Yuya.
Non appena furono lontani da tutti gli altri Yuri alzò lo sguardo verso di lui, mentre si divincolava con un gesto repentino.
“Che cosa vuoi?” gli chiese, riaggiustandosi la divisa. “Oggi mio fratello non verrà” aggiunse poi, sentendo l’ansia cominciare a crescere.
C’era qualcosa che non andava, ne era consapevole.
Non capiva perché Hikaru fosse lì con lui anziché andare come tutte le mattine da Yuya, tanto più con Kei assente.
Si morse un labbro, indietreggiando fino a ritrovarsi con la schiena contro il muro.
Yaotome ridacchiò, annuendo.
“Sì. Sì, lo so che Kei oggi non verrà. Ma meglio così, no? Com’è che si dice, occhio non vede cuore non duole.”
Yuri ebbe a malapena il tempo di registrare quella frase prima che arrivasse il primo pugno.
Fece male. E tanto.
Cadde sulle ginocchia, tenendosi lo stomaco con le mani e boccheggiando alla ricerca di aria.
Dopo qualche secondo tornò a guardare il più grande, che lo fissava con aria soddisfatta.
“Fa male, Yuri?” domandò, mellifluo, prima di colpirlo con il pugno sul viso.
Il più piccolo trattenne a stento un grido di dolore, conscio di quanto controproducente sarebbe stato farsi sentire.
Rimase immobile, a terra, gemendo piano ogni volta che Hikaru lo colpiva, cercando di sopportare il dolore e sperando che finisse presto.
Continuava a pensare a Yuya che subiva quel trattamento ogni giorno da due anni, e adesso ancor meno capiva come mai avesse potuto farcela a sopportarlo tanto a lungo.
“Te l’avevamo detto, ragazzino” disse Hikaru, dopo l’ennesimo pugno. “Te l’avevamo detto che non avresti dovuto intrometterti in affari che non ti riguardavano” si chinò fino ad essere alla stessa altezza del suo viso, passandogli un dito sul labbro insanguinato e poi mostrandoglielo. “Guarda. Ne vale davvero la pena per quel rifiuto umano? Ti sei chiesto se Takaki vale davvero questo dolore?” sibilò, dandogli un ultimo schiaffo prima di rialzarsi. “Sta’ più attento al modo in cui ti comporti, d’ora in avanti” lo avvertì, prima di girare oltre l’angolo e sparire.
Yuri rimase ancora fermo.
Aveva voglia di piangere.
Per il dolore, per la frustrazione, per l’umiliazione appena subita.
Facendo presa sul muro, e graffiandosi così la mano, si rimise in piedi, indeciso sul da farsi.
Non poteva farsi vedere in quelle condizioni, non...
Deglutì, ancora sentendosi sull’orlo delle lacrime.
Fu in quel momento che sentì dei passi andare verso il punto in cui si trovava, e trattenne il respiro fino a quando non vide apparire Yuya.
“Yuri!” esclamò questi, spalancando gli occhi e sopperendo quasi subito alla sorpresa, andando verso di lui e mettendogli un braccio intorno alla vita, come per aiutarlo a stare in piedi. “Cosa diamine è successo?”
Il più piccolo scrollò le spalle, appoggiandosi contro di lui e forzando un sorriso.
“Hikaru” rispose. “Non ci sono abituato, perdonami.”
“Ah, taci!” lo riprese, alzando poi lo sguardo e mordendosi un labbro, come se stesse meditando sul da farsi. “Vieni. Ti porto a casa mia, non puoi entrare in queste condizioni” gli spiegò, concedendosi poi un verso soddisfatto. “A me almeno ci sono abituati.” commentò, raggiungendo a passo lento il cancello della scuola prima di tornare a percorrere la medesima strada di quella mattina.
Parte 2